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SONETTO CLI.

L' amerà anche dopo morte. Essa nol crede,
ed egli se ne rattrista.

Lasso, ch'i' ardo, ed altri non mel crede!
Si crede ogni uom, se non sola colei,
Che sovr' ogni altra è ch' i sola vorrei :
Ella non par, che 'l creda, e si sel vede.

Infinita bellezza e poca fede,

Non vedete voi i cor negli occhi miei?
Se non fosse mia stella, i' pur devrei
Al fonte di pietà trovar mercede.

Quest' arder mio, di che vi cal si poco,
E i vostri onori in mie rime diffusi,
Ne porian infiammar fors' ancor mille :
Ch' i' veggio nel pensier, dolce mio foco,
Fredda una lingua, e duo begli occhi chiusi
Rimaner dopo noi pien di faville.

SONETTO CLII.

Propone Laura a sè stesso come un modello di virtù a doversi imitare.

Anima, che diverse cose tante

Vedi, odi, e leggi, e parli, e scrivi, e pensí;
Occhi miei vaghi; e tu, fra gli altri sensi,
Che storgi al cor l'alte parole sante;

Per quanto non vorreste, o poscia, od ante
Esser giunti al cammin, che si mal tiensi,
Per non trovarvi i duo bei lumi accensi,
Nè l'orme impresse dell' amate piante?
Or con sì chiara luce, e con tai segni
Errar non dessi in quel breve viaggio,
Che ne può far d' eterno albergo degni.
Sforzati al. Cielo, o mio stanco coraggio,
Per la nebbia entro de' suoi dolci sdegni
Seguendo i passi onesti, e 'l divo raggio,

SONETTO CLIII.

Confortasi col pensiero, che un di gli sarà invidiata la sua fortuna.

e

dolce peso,

Dolci ire, dolci sdegni, e dolci paci,
Dolce mat, dolce affanno,
Dolce parlar. e dolcemente inteso,
Or di dolce ôra, or pien di dolci faci.

Alma, non ti lagnar: ma soffri, e taci;
E tempra il dolce amaro, che n' ha offeso,
Col dolce onor, che d' amar quella hai preso,
A cu' io dissi: Tu sola mi piaci.

Forse ancor fia chi sospirando dica,
Tinto di dolce invidia: Assai sostenne
Per bellissimo amor quest'al suo tempo';
Altri: O Fortuna agli occhi miei nemica!
Perchè non la vid'io? perché non venne
Ella più tardi, ovver io più per tempo?

CANZONE XV.

1

La persuade esser falso, ch' ei avesse detto di amare altra donna.

S'i''l dissi mai; ch'i' venga in odio a quella
Del cui amor vivo, e senza'l qual morrei:
S'i'l dissi; ch' e' miei di sian pochi e rei,
E di vil signoria l'anima ancella:
S'i''l dissi; contra me s' arme ogni stella;
E dal mio lato sia

Paura, e gelosia;
E la nemica mia

Più feroce ver me sempre, e più bella.
S'i' 'l dissi; Amor l'aurate sue quadrella
Spenda in me tutte, e l'impiombate in lei:
S'i' 'l dissi; cielo e terra, uomini e Dei
Mi sian contrarii, ed essa ognor più fella:
S'i' 'l dissi; chi con sua cieca facella
Dritto a morte m'invia,

Pur, come suol, si stia;

Nè mai più dolce, o pia Ver me si mostri in atto, od in favella. S'i'l dissi mai; di quel, ch' io men vorrei, Piena trovi quest'aspra e breve via: S'i' 'l dissi; il fero ardor che mi desvia, Cresca in me, quanto il fier ghiacchio in costei: S'i' 'l dissi; unqua non veggian gli occhi miei Sol chiaro, o sua sorella, Nė donna, ne donzella,

Ma terribill procella,

Qual Faraone in perseguir gli Ebrei.
S'i 'l dissi; coi sospir, quant' io mai fei,
Sia pietà per me morta, e cortesia:
S'i'''l dissi; il dir s'innaspri, che s' udia
Si dolce allor, che vinto mi rendei:
S'i' 'I dissi; io spiaccia a quella, ch' i' torrei
Sol chiuso in fosca cella
Dal di, che la mammella
Lasciai, fin che si svella
Da me l'alma, adorar: forse 'l farei.

Ma s'io nol dissi, chi si dolce apria
Mio cor a speme nell'età novella,
Regga ancor questa stanca navicella
Col governo di sua pietà natia;
Ne diventi altra; ma pur qual solia
Quando più non potei,
Che me stesso perdei,
Né più perder devrei
Malfa chi tanta fè si tosto obblia.

Io nol dissi giammai, ne dir poria

Per oro, o per cittadi, o per castella:
Vinca 'l ver dunque, e si rimanga in sella;
E vinta a terra caggia la bugia.
Tu sai in me il tutto, Amor: s'ella ne spia,

Dinne quel, che dir dei:

I' beato direi

Tre volte, e quattro, e sei

Chi dovendo languir, si mori pria.

Per Rachel ho servito, e non per Lia:

Ne con altra saprei

Viver; e sosterrei,

Quando 'l Ciet ne rappella,

Girmen con ella in sul carro d' Elia.

CANZONE XVI.

Non può vivere senza vederla, e non vorrebbe
morire per poter amarla.

Ben mi credea passar mio tempo omai,
Come passato avea quest' anni addietro,
Senz' altro studio, e senza novi ingegni:
Or, poi che da Madonna i' non impetro
L' usata aita; a che condotto m'hai,
Tul vedi, Amor, che tal arte m' insegni.
Non so, s'i' me ne sdegni;
Che 'n questa età mi fai divenir ladro
Del bel lume leggiadro,
Senza 'l qual non vivrei in tanti affanni.
Cosi avess' io i prim' anni
Preso lo stil, ch' or prender mi bisogna!
Che 'n giovenil fallire è men vergogna.

Gli occhi soavi, ond' io soglio aver vita,
Delle divine lor alte bellezze

Furmi in sul cominciar tanto cortesi,
Che 'n guisa d' uom, cui non proprie ricchezze,
Ma celato di fuor soccorso aita,

Vissimi: che ne lor, ne altri offesi.
Or, bench' a me ne pesi,

Divento ingiurïoso ed importuno;

Che 'l poverel digiuno
Vien ad atto talor, che 'n miglior stato
Avria in altrui biasmato..

Se le man di pieta invidia m' ha chiuse;
Fame amorosa, e 'I non poter mi scuse.

Ch'i' ho cercate già vie più di mille,
Per provar senza lor, se mortal cosa
Mi potesse tener in vita un giorno:
L'anima, poi ch' altrove non ha posa,
Corre pur ail' angeliche faville:
Ed io, che son di cera, al foco torno;
E pongo mente intorno,

2

Ove si fa men guardia a quel, ch'i' bramo;
E come augello in ramo,

Ove men teme, ivi più tosto è colto;

Cosi dal suo bel volto

:

L'involo or uno, ed or un altro sguardo; E di ciò insieme mi nutrico, ed ardo. Di mia morte mi pasco, e vivo in fiamme: Stranio cibo, e mirabil salamandra! Ma miracol non e: da tal si vòle. Felice agnello alla penosa mandra Mi piacqui un tempo: or all' estremo famme E Fortuna ed Amor pur come sòle.

Cosi rose e viole

Ha primavera, e 'l verno ha neve e ghiaccio:
Però, s'i' mi procaccio

Quinci e quindi alimenti al viver curto,
Se vol dir che sia furto;

Si ricca donna deve esser contenta,
S' altri vive del suo, ch'ella non senta.
Chi nol sa di ch' io vivo, e vissi sempre
Dal di, che prima que' begli occhi vidi,
Che mi fecer cangiar vita e costume?
Per cercar terra e mar da tutti lidi,
Chi può saver tutte l' umane tempre?
L' un vive, eeco, d'odor là sul gran fiume;

Io qui, di foco e lume
Queto i frali e famelici miei spirti.
Amor (e vo'ben dirti )
Disconviensi a signor l' esser si parco.
Tu hai li strali e l'arco:

الله

Fa di tua man, non pur bramando, i'mora:
Ch'un bel morir tutta la vita onora.
Chiusa fiamma e più ardente; e se pur cresce,
In alcun modo più non può celarsi:
Amor, i' 'l so; che 'l provo alle tue mani.
Vedesti ben, quando si tacito arsi:
Or de' miei gridi a me medesmo incresce;
Che vo noiando e prossimi, e lontani.
O mondo, o pensier vani!

O mia forte ventura, a che m' adduce!
O di che vaga luce

Al cor mi nacque la tenace speme,
Onde l' annoda, e preme

Quella, che con tua forza al fin mi mena!
La colpa è vostra; e mio 'l danno, e la pena.

Cosi di ben amar porto tormento;

Anzi del mio, che devea torcer gli occhi

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