L' amerà anche dopo morte. Essa nol crede, ed egli se ne rattrista.
Lasso, ch'i' ardo, ed altri non mel crede! Si crede ogni uom, se non sola colei, Che sovr' ogni altra è ch' i sola vorrei : Ella non par, che 'l creda, e si sel vede.
Infinita bellezza e poca fede,
Non vedete voi i cor negli occhi miei? Se non fosse mia stella, i' pur devrei Al fonte di pietà trovar mercede.
Quest' arder mio, di che vi cal si poco, E i vostri onori in mie rime diffusi, Ne porian infiammar fors' ancor mille : Ch' i' veggio nel pensier, dolce mio foco, Fredda una lingua, e duo begli occhi chiusi Rimaner dopo noi pien di faville.
Propone Laura a sè stesso come un modello di virtù a doversi imitare.
Anima, che diverse cose tante
Vedi, odi, e leggi, e parli, e scrivi, e pensí; Occhi miei vaghi; e tu, fra gli altri sensi, Che storgi al cor l'alte parole sante;
Per quanto non vorreste, o poscia, od ante Esser giunti al cammin, che si mal tiensi, Per non trovarvi i duo bei lumi accensi, Nè l'orme impresse dell' amate piante? Or con sì chiara luce, e con tai segni Errar non dessi in quel breve viaggio, Che ne può far d' eterno albergo degni. Sforzati al. Cielo, o mio stanco coraggio, Per la nebbia entro de' suoi dolci sdegni Seguendo i passi onesti, e 'l divo raggio,
Confortasi col pensiero, che un di gli sarà invidiata la sua fortuna.
Dolci ire, dolci sdegni, e dolci paci, Dolce mat, dolce affanno, Dolce parlar. e dolcemente inteso, Or di dolce ôra, or pien di dolci faci.
Alma, non ti lagnar: ma soffri, e taci; E tempra il dolce amaro, che n' ha offeso, Col dolce onor, che d' amar quella hai preso, A cu' io dissi: Tu sola mi piaci.
Forse ancor fia chi sospirando dica, Tinto di dolce invidia: Assai sostenne Per bellissimo amor quest'al suo tempo'; Altri: O Fortuna agli occhi miei nemica! Perchè non la vid'io? perché non venne Ella più tardi, ovver io più per tempo?
La persuade esser falso, ch' ei avesse detto di amare altra donna.
S'i''l dissi mai; ch'i' venga in odio a quella Del cui amor vivo, e senza'l qual morrei: S'i'l dissi; ch' e' miei di sian pochi e rei, E di vil signoria l'anima ancella: S'i''l dissi; contra me s' arme ogni stella; E dal mio lato sia
Paura, e gelosia; E la nemica mia
Più feroce ver me sempre, e più bella. S'i' 'l dissi; Amor l'aurate sue quadrella Spenda in me tutte, e l'impiombate in lei: S'i' 'l dissi; cielo e terra, uomini e Dei Mi sian contrarii, ed essa ognor più fella: S'i' 'l dissi; chi con sua cieca facella Dritto a morte m'invia,
Pur, come suol, si stia;
Nè mai più dolce, o pia Ver me si mostri in atto, od in favella. S'i'l dissi mai; di quel, ch' io men vorrei, Piena trovi quest'aspra e breve via: S'i' 'l dissi; il fero ardor che mi desvia, Cresca in me, quanto il fier ghiacchio in costei: S'i' 'l dissi; unqua non veggian gli occhi miei Sol chiaro, o sua sorella, Nė donna, ne donzella,
Qual Faraone in perseguir gli Ebrei. S'i 'l dissi; coi sospir, quant' io mai fei, Sia pietà per me morta, e cortesia: S'i'''l dissi; il dir s'innaspri, che s' udia Si dolce allor, che vinto mi rendei: S'i' 'I dissi; io spiaccia a quella, ch' i' torrei Sol chiuso in fosca cella Dal di, che la mammella Lasciai, fin che si svella Da me l'alma, adorar: forse 'l farei.
Ma s'io nol dissi, chi si dolce apria Mio cor a speme nell'età novella, Regga ancor questa stanca navicella Col governo di sua pietà natia; Ne diventi altra; ma pur qual solia Quando più non potei, Che me stesso perdei, Né più perder devrei Malfa chi tanta fè si tosto obblia.
Io nol dissi giammai, ne dir poria
Per oro, o per cittadi, o per castella: Vinca 'l ver dunque, e si rimanga in sella; E vinta a terra caggia la bugia. Tu sai in me il tutto, Amor: s'ella ne spia,
Dinne quel, che dir dei:
I' beato direi
Tre volte, e quattro, e sei
Chi dovendo languir, si mori pria.
Per Rachel ho servito, e non per Lia:
Ne con altra saprei
Viver; e sosterrei,
Quando 'l Ciet ne rappella,
Girmen con ella in sul carro d' Elia.
Non può vivere senza vederla, e non vorrebbe morire per poter amarla.
Ben mi credea passar mio tempo omai, Come passato avea quest' anni addietro, Senz' altro studio, e senza novi ingegni: Or, poi che da Madonna i' non impetro L' usata aita; a che condotto m'hai, Tul vedi, Amor, che tal arte m' insegni. Non so, s'i' me ne sdegni; Che 'n questa età mi fai divenir ladro Del bel lume leggiadro, Senza 'l qual non vivrei in tanti affanni. Cosi avess' io i prim' anni Preso lo stil, ch' or prender mi bisogna! Che 'n giovenil fallire è men vergogna.
Gli occhi soavi, ond' io soglio aver vita, Delle divine lor alte bellezze
Furmi in sul cominciar tanto cortesi, Che 'n guisa d' uom, cui non proprie ricchezze, Ma celato di fuor soccorso aita,
Vissimi: che ne lor, ne altri offesi. Or, bench' a me ne pesi,
Divento ingiurïoso ed importuno;
Che 'l poverel digiuno Vien ad atto talor, che 'n miglior stato Avria in altrui biasmato..
Se le man di pieta invidia m' ha chiuse; Fame amorosa, e 'I non poter mi scuse.
Ch'i' ho cercate già vie più di mille, Per provar senza lor, se mortal cosa Mi potesse tener in vita un giorno: L'anima, poi ch' altrove non ha posa, Corre pur ail' angeliche faville: Ed io, che son di cera, al foco torno; E pongo mente intorno,
Ove si fa men guardia a quel, ch'i' bramo; E come augello in ramo,
Ove men teme, ivi più tosto è colto;
Cosi dal suo bel volto
L'involo or uno, ed or un altro sguardo; E di ciò insieme mi nutrico, ed ardo. Di mia morte mi pasco, e vivo in fiamme: Stranio cibo, e mirabil salamandra! Ma miracol non e: da tal si vòle. Felice agnello alla penosa mandra Mi piacqui un tempo: or all' estremo famme E Fortuna ed Amor pur come sòle.
Ha primavera, e 'l verno ha neve e ghiaccio: Però, s'i' mi procaccio
Quinci e quindi alimenti al viver curto, Se vol dir che sia furto;
Si ricca donna deve esser contenta, S' altri vive del suo, ch'ella non senta. Chi nol sa di ch' io vivo, e vissi sempre Dal di, che prima que' begli occhi vidi, Che mi fecer cangiar vita e costume? Per cercar terra e mar da tutti lidi, Chi può saver tutte l' umane tempre? L' un vive, eeco, d'odor là sul gran fiume;
Io qui, di foco e lume Queto i frali e famelici miei spirti. Amor (e vo'ben dirti ) Disconviensi a signor l' esser si parco. Tu hai li strali e l'arco:
Fa di tua man, non pur bramando, i'mora: Ch'un bel morir tutta la vita onora. Chiusa fiamma e più ardente; e se pur cresce, In alcun modo più non può celarsi: Amor, i' 'l so; che 'l provo alle tue mani. Vedesti ben, quando si tacito arsi: Or de' miei gridi a me medesmo incresce; Che vo noiando e prossimi, e lontani. O mondo, o pensier vani!
O mia forte ventura, a che m' adduce! O di che vaga luce
Al cor mi nacque la tenace speme, Onde l' annoda, e preme
Quella, che con tua forza al fin mi mena! La colpa è vostra; e mio 'l danno, e la pena.
Cosi di ben amar porto tormento;
Anzi del mio, che devea torcer gli occhi
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