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SONETTO XIV.

Per poter men amarla, sugge, ma inutilmente,
dalla vista del suo bel volto.

Quand' io son tutto volto in quella parte,
Ove 'I bel viso di Modonna luce;
E m'è rimasa nel pensier la luce
Che m'arde e strugge dentro a parte a parte;

I', che temo del cor che mi si parte,
E veggio presso il fin della mia luce;
Vommene in guisa d'orbo senza luce,
Che non sa ove si vada, e pur si parte.

Cosi davanti ai colpi della Morte

Fuggo; ma non si ratto, che 'I desio
Meco non venga, come venir sôle.

Tacito vo; che le parole morte
Farian pianger la gente, ed i' desio,
Che le lagrime mie si spargan sole.

Pagrime

SONETTO XV.

Rassomiglia sè stesso alla farfalla, ch'è arsa da quel lume, che si la diletta.

Son animali al mondo di si altera

Vista, che 'ncontr'al Sol pur si difende:
Altri, però che 'l gran lume gli offende,
Non escon fuor se non verso la sera:

Ed altri, col desio folle che spera
Gioir forse nel foco, perche splende,
Provan l'altra virtù, quella che 'ncende.
Lasso, il mio loco e 'n questa ultima schiera:

Ch'i' non son forte ad aspettar la luce
Di questa donna, e non so fare schermi
Di luoghi tenebrosi, o d' ore tarde.
Però con gli occhi lagrimosi e 'nfermi
Mio destino a vederla mi conduce:
E so ben ch' i' vo dietro a quel che m' arde.

SONETTO XVI.

Tentò e ritentò più volte ma indarno, di lodare le bellezze della sua Donna.

Vergognando talor ch'ancor si taccia,
Donna, per me vostra bellezza in rima,
Ricorro al tempo ch' i'vi vidi prima,
Tal che null' altra fia mai che mi piaccia.

Ma trovo peso non dalle mie braccia,
Ne ovra da polir con la mia lima:
Però l'ingegno che sua forza estima,
Nell'operazion tutto s'aggtriaccia.

Più volte già per dir le labbra apersi:
Poi rimase la vore in mezzo 'l petto.
Ma qual suon poria mai salir tant' alto?

Più volte incominciai di scriver versi:
Ma la penna, e la mano, e l' intelletto
Rimaser vinti nel primiero assalto.

SONETTO XVII.

Dimostra che il suo cuore sta in pericolo
di morire, se Laura nol soccorre.

Mille fiate, o dolce mia guerrera,

Per aver co' begli occhi vostri pace,
V' aggio profferto il cor, m' a voi non piace
Mirar si basso con la mente altera.

E se di lui fors' altra donna spera,
Vive in speranza debile e fallace:
Mio, perchè sdegno ciò ch'a voi dispiace,
Esser non può giammai così com' era.

Or s'io lo scaccio, ed e' non trova in voi
Nell'esilio infelice alcun soccorso,
Ne sa star sol, nė gire ov'altri 'l chiama;
Poria smarrire il suo natural corso;
Che grave colpa Ga d'ambeduo noi,
E tanto più di voi, quanto più v' ama.

SESTINA I.

Espone la miseria del suo stato. Ne accusa Laura. La brama pietosa, e ne dispera.

A qualunque animale alberga in terra,

Se non se alquanti, c'hanno in odio il Sole,
Tempo da travagliare è quanto è'l giorno.
Ma pot ch'l ciel accende le sue stelle,
Qual torna a casa, e qual s'annida in selva,
Per aver posa almeno infiu alt alba.
Ed io, da che comincia la bell'alba

A scuoter l'ombra intorno della terra
Svegliando gli animali in ogni selva,
Non ho mai triegua di sospir col Sole.
Poi, quand' io veggio fiammeggiar le stelle,
Vo lagrimando e desïando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
E le tenebre nostre altrui fann'alba;
Miro pensoso le crudeli stelle,
Che m'hanno fatto di sensibil terra;
E maledico il dì ch' i' vidi 'l Sole;
Che mi fa in vista un uom nudrito in selva.

Non credo, che pascesse mai per selva
Si aspra fera, o di notte, o di giorno,
Come coster ch'i' piango all'ombra e al Sole:
E non mi stanca primo sonno od alba;
Che bench'i' sia mortal corpo di terra,
Lo mio fermo desir vien dalle stelle.
Prima ch' i' torni a voi, lucenti stelle,
O tomi già nell' amorosa selva
Lassando il corpo che fia trita terra,
Vedess'io in lei pietà; ch' in un sol giorno
Può ristorar molt' anni, e 'nnanzi all'alba
Puommi arricchir dal tramontar del Sole.

Con lei foss' io da che si parte il Sole;
E non ci vedess' altri che le stelle;
Sol una notte; e mai non fosse l'alba;
E non si trasformasse in verde selva.
Per uscirmi di braccia, come il giorno
Che Apollo la seguia quaggiù per terra.

Ma io sarò sotterra in secca selva;

E'l giorno andrà pien di minute stelle,
Prima ch'a si dolce alba arrivi il Sole.

CANZONE Ι.

Perduta la libertà, servo di Amore, descrive,
e compiange il proprio stato.

Nel dolce tempo della prima etade,

Che nascer vide, ed ancor quasi in erba,
La fera voglia che per mio mal crebbe;
Perchè cantando il duol si disacerba,
Cantero com' io vissi in libertade,
Mentre Amor nel mio albergo a sdegno s' ebbe:
Poi seguirò, si come a lui ne 'ncrebbe
Troppo altamente, e che di ciò m' avvenne;
Di ch' io son fatto a molta gente esempio:
Benchè 'l mio duro scempio
Sia scritto altrove si, che mille penne
Ne son già stanche; e quasi in ogni valle
Rimbombi 'I suon de' miei gravi sospiri,
Ch'acquistan fede alla penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita,
Come suol fare, iscusinla i martiri,
Ed un pensier che solo angoscia dalle
Tal, ch' ad ogni altro fa voltar le spalle,
E mi fece obblïar me stesso a forza:
Che tien di me quel dentro, ed io la scorza.

I' dico, che dal di che 'l primo assalto
Mi diede Amor, molt' anni eran passati:
Si ch' to cangiava il giovenile aspetto;
E dintorno al mio cor pensier gelati
Fatto avean quasi adamantino smalto,
Ch' allentar non lassava il duro affetto;
Lagrima ancor non mi bagnava il petto,
Ne rompea il sonno; e quel ch' in me non era,
Mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son? che fui?

La vita al fin, e 'l di loda la sera.c
Che sentendo il crudel di ch'io ragiono,

Infin allor percossa di suo strale

Non essermi passato oltra la gonnay

Prese in sua scorta uua possente donna, Ver cui poco giammai mi valse, o vale Ingegno, o forza, o dimandar perdono. Ei duo mi trasformaro in quel ch' i' sono, Facendomi d'uom vivo un lauro verde, Che per fredda stagion foglia non perde. Qual mi fecto, quando primier m'accorsi Della trasfigurata mia persona; E i capei vidi far di quella fronde, Di che sperato avea gia lor corona; E i piedi, in ch'io mi stetti, e mossi, e corsi, (Com' ogni membro all' anima risponde ) Diventar due radici sovra l'onde, Non di Penco, ma d' un più altero fiume; E 'n duo rami mutarsi ambe le braccia! Nė meno ancor m' agghiaccia L'esser coverto poi di bianche piome, Allor che fulminato e morto giacque Il mio sperar, che troppo alto montava. Che, perch' io non sapea dove, ne quando Mel ritrovassi, solo, lagrimando,

Là 've tolto mi fu, di e notte andava
Ricercando dal lato, e dentro all'acque:
E giamınai poi la mia lingua non tacque,
Mentre poteo, del suo cader maligno:
Ond' io presi col suon color d' un cigno.
Così lungo amate rive andai;

Che volendo parlar, cantava sempre,
Mercè chiamando con estrania voce:
Ne mai in si dolci, o in si soavi tempre
Risonar seppi gh amorosi guai,
Che'l cor s'umiliasse, aspro e feroce
Qual fu a sentir; che 4 ricordar mi coce?
Ma molto più di quel ch'è per innanzi,
Della dolce ed acerba mia nemica

È bisogno, ch' io dica;

Benche sta tal, che ogni parlare avanzi.
Questa, che col mirar gli animi fura,
M'aperse il petto, e'l cor prese con mano,
Dicendo a me; Di ciò non far parola.
Poi la rividi in altro abito sola,

Tal, ch' i' non la conobbi, (o senso umano!)
Anzi le dissi 'l ver, pien di paura:

Petra ca

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