Quanto par si convenga agli anni tuoi. Ond'a me in questo stató, Altro volere, o disvolver m'éė tolto. Che temer e sperar mi farà sempre: Per breve tempo almen qualche favilla: I'volea dir: Quest'è impossibil cosa; La vista mia, cui maggior luce preme. Lei davanti e me poi produsse un parto. Ruppesi intanto di vergogna il nodo, Ch' alla mia lingua era distretto intorno Allor quand' io del suo accorger m' accorsi; 1 Beato il padre, e benedetto, il giorno, E tutto 'l tempo ch'a vedervi io corsi! Fossi degno udir più, del desir ardo. Me' v' era, che da noi fosse 'l difetto. Per tornar all'antico suo ricetto; I'per me sono un'ombra: ed or t'ho detto Intorno intorno alle mie tempie avvolse. Canzon; chí tua ragion chiamasse oscura, Non m' ingannò quand'io partii da lui. SONETTO ΧΙΙΙ. A M. Antonio de' Beccari Ferrarese per acquetarlo, e farlo certo ch' ei vive ancora. Quelle pietose rime, in ch' io m' accorsi Per far voi certo, che gli estremi morsi CANZONE IV. A Grandi d' Italia, eccitandogli a liberarla Italia mia, berchè 'I parlar sia indarno, Che nel bel corpo tuo sì spesse veggio, E'l Po, dove doglioso e grave or seggio. Che la pietà, che ti condusse in terra, Vedi, Signor cortese, Di che lievi cagion che crudel guerra: Marte superbo e ferb, Apri, tu Padre, e 'ntenerisci e snoda: (Qual io mi sia) per la mia lingua s'oda. Voi, cui Fortuna ha posto in mano il freno Delle belle contrade, Di che nulla pietà par, che vi stringa; Perche'l verde terreno Del barbarico sangue si dipinga? Poco vedete, e parvi veder molto; Qual più gente possede, Colui è più da suoi nemici avvolto. O diluvio raccolto, Di che deserti strani Per innondar i nostri dolci campi! Se dalle proprie mani Questo n'avven; or chi fia, che ne scampi? Ben provvide Natura al nostro stato, Pose fra noi, e la Tedesca rabbia. Ma 'l desir cieco, e 'ncontra'l suo ben fermo, S' è poi tanto ingegnato, Ch' al corpo sano ha procurato scabbia. Or dentro ad una gabbia Fere selvagge, e mansuete gregge S' annidan si, che sempre il miglior geme: Ed è questo del seme, Per più dolor, del popol senza legge, Al qual, come si legge, Mario aperse sì 'l fianco, Che memoria dell'opra anco non langue; Quando, assetato e stanco, Non più bevve del fiume acqua, che sangue. Cesare taccio, che per ogni piaggia Di lor vene, ove 'l nostro ferro mise. Vostra mercè, cui tanto si commise, Vostre voglie divise Guastan del mondo la più bella parte. Qual colpa, qual giudicio, o qual destino, Fastidire il vicino Povero, e le fortune afflitte e sparte Perseguire, e 'n disparte Cercar gente, e gradire, Che sparga 'I sangue, e venda l'alma a prezzo? Io parlo per ver dire, Non per odio d' altrui, nė per disprezzo. Ne v'accorgete ancor per tante prove, Del Bavarico inganno, Ch' alzando 'I dito, con la Morte scherza. Peggio e lo strazio, al mio parer, che 'l danno. Ma 'l vostro sangue piove Più largamente; ch'altr' ira vi sferza. Dalla mattina a terza Di voi pensate; e vederete, come Sgombra da te queste dannose some: Peccato è nostro, e non natural cosa. Non è questo 'l terren, ch' i' toccai pria? Non è questa la patria, in ch'io mi fido, Che copre l'uno e l'altro mio parente? Talor vi moval e con pietà guardate Le lagrime del popol doloroso, Che sol da voi riposo Dopo Dio spera: e, pur che voi mostriate Virtù contra furore Prenderà l'arme, e fia'l combatter corto: Nell' Italici cor non è ancor morto. Signor; mirate come 'l tempo vola, E si, come la vita Fugge; e la morte n'è sovra le spalle. Conven, ch'arrive a quel dubbioso calle.. |