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Al passar questa valle,

Piacciavi porre giù l'odio e lo sdegno,

Venti contrarii alla vita serena:

E quel, che'n altrui pena

Tempo si spende, in qualche atto più degno,

O di mano, o d'ingegno,

In qualche bella lode,

In qualche onesto studio si converta:

Così quaggiù si gode,

E la strada del Ciel si trova aperta.

Canzone; io t'ammonisco,

Che tua ragion cortesemente dica,
Perchè fra gente altera ir ti conviene;
E le voglie son piene

Già dell' usanza pessima ed antica,

Del ver sempre nemica.

Proverai tua ventura

Fra magnanimi pochi, a chi'l ben piace;

Di' lor: Chi m'assicura?

I'vo gridando: Pace, pace, pace.

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SONETTO XIV.

Inveisce contro gli scandali, che recava
a que tempi la Corte di Avignone.

Fiamma dal ciel su le tue trecce piova;
Malvagia, che dal fiume, e dalle ghiande,
Per l'altru'impoverir, se'ricca e grande;
Poi che di mal oprar tanto ti giova:

Nido di tradimenti, in cui si cova
Quanto mal per lo mondo oggi si spande:
Di vin serva, di letti, e di vivande,
In cui lussuria fa l'ultima prova.
Per le camere tue fanciulle e vecchi
Vanno trescando, e Belzebub in mezzo
Co'mantici, e col foco, e con gli specchi.

Già non fostu nudrita in piume al rezzo;
Ma nuda al vento, e scalza fra gli stecchi:
Or vivi si, ch'a Dio ne venga il lezzo.

SONETTO XV.

Predice a Roma la venuta di un gran personaggio, che la ritornerà all' antica virtù.

L'avara Babilonia ha colmo'l sacco
D'ira di Dio, e di vizii empi e rei
Tanto, che scoppia: ed ha fatti suoi Dei
Non Giove e Palla, ma Venere e Bacco.

Aspettando ragion mi struggo e fiacco:
Ma pur novo Soldan veggio per lei;
Lo qual farà, non gia quand'io vorrei,
Sol una sede; e quella fia in Baldacco.

Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi,
E le torri superbe al ciel nemiche;
E suos torrier di for, come dentr', arsi.

Anime belle, e di virtute amiche
Terranno 'l mondo; e poi vedrem lui farsi
Aureo tutto, e pien dell'opre antiche.

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SONETTO XVI.

Attribuisce la reità della Corte di Roma
alle donazioni fattele da Costantino.

Fontana di dolore, albergo d'ira,
Scola d' errori, e tempio d'eresia,
Già Roma, or Babilonia falsa e ria,
Per cui tanto si piagne, e si sospira;

O fucina d'inganni, o prigion dira,
Ove 'l ben more, e 'l mal si nutre, e cria;
Di vivi Inferno; un gran miracol fia,
Se Cristo teco al fine non s' adira.

Fondata in casta ed umil povertate,
Contra tuoi fondatori alzi le corna,
Putta sfacciata: e dov' hai posto spene?
Negli adulteri tuoi, nelle mal nate!
Ricchezze tante? or Costantin non torna;
Ma tolga il mondo tristo, che 'l sostene.

SONETTO XVII.

Lontano da' suoi amici, vola tra lor col pensiero, e vi si arresta col cuore.

Quanto più disïose l'ali spando

Verso di voi, o dolce schiera amica,
Tanto Fortuna con più visco intrica
Il mio volare, e gir mi face errando.

Il cor, che mal suo grado attorno mando,
È con voi sempre in quella valle aprica,
Ove 'l mar nostro più la terra implica,
L' altr'ier da lui partimmi lagrimando.

I' da man manca, e' tenne il cammin dritto;
I'tratto a forza, ed e' d' Amore scorto;
Egli in Gierusalem, ed io in Egitto..

Ma sofferenza è nel dolor conforto:

Che per lungo uso, già fra noi prescritto, Il nostro esser insieme è raro e corto.

SONETTO XVIII.

Dichiara, che s' e' avesse continuato nello studio, avrebbe ora la fama di gran poeta.

S'io fossi stato fermo alla spelunca
Là, dov' Apoilo diventò profeta;
Fiorenza avria fors'oggi il suo poeta,
Non pur Verona, e Mautoa, ed Arunca:

Ma perche 'I mio terren più non s'ingiunca
Dell' umor di quel sasso; altro pianeta
Conven, ch'i' segua, e del mio campo mieta
Lappole e stecchi con la falce adunca.

L'oliva è secca; ed è rivolta altrove
L'acqua, che di Parnaso si deriva:
Per cu' in alcun tempo ella fioriva.
Cosi sventura, ovver colpa mi priva
D'egni buon frutto; se l'eterno Giove
Della sua grazia sopra me non piove.

SONETTΟ ΧΙΧ.

De' gravi danni recati dall' ira non frenata, su gli esempi di uomini illustri.

Vincitore Alessandro l' ira vinse,

E fel minore in parte, che Filippo:
Chi li val, se Pirgotele, o Lisippo
L' intagliar solo, ed Apelle il dipinse?

L'ira Tideo a tal rabbia sospinse,
Che morend' ei si rose Menalippo:
L' ira cieco del tutto, non pur lippo,
Fatto avea Silla; all' ultimo l'estinse.

Sal Valentinian, ch'a simil pena

Ira conduce; e sal quei, che ne more,
Aiace in molti, o po'in sè stesso forte.

Ira è breve furor; e chi nol frena,
È furor lungo, che 'l suo possessore
Spesso a vergogna, e talor mena a morte.

SONETTO XX.

Ringrazia Giacomo Colonna de' suoi sentimenti
affettuosi verso di lui.

Mai non vedranno le mie luci asciutte,
Con le parti dell' animo tranquille,
Quelle note, ov' Amor par che sfaville,
E Pietà di sua man l' abbia construtte;

Spirto già invitto alle terrene. lutte,
Ch' or su dal Ciel tanta dolcezza stille,
Ch' allo stil, onde Morte dipartille,
Le disvïate rime hai ricondutte.

Di mie tenere frondi altro lavoro
Credea mostrarte: e qual fero pianeta
Ne 'nvidio insieme? o mio nobil tesoro,
Chi 'nnanzi tempo mi t'asconde, e vieta?
Che col cor veggio, e con la lingua onoro,
E 'n te, dolce sospir, l' alma s' acqueta.

FINE.

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