Caduto in un rio, dice che gli occhi non glieli può asciugare che Laura.
Del mar Tirreno alla sinistra riva,
Dove rotte dal vento piangon l' onde, Subito vidi quell' altera fronde, Di cui conven che'n tante carte scriva.
Amor, che dentro all'anima bolliva,
Per rimembranza delle trecce bionde Mi spinse: onde in un rio, che l'erba asconde, Caddi, non già come persona viva.
Solo, ov' io era tra boschetti e colli, Vergogna ebbi di me; ch'al cor gentile Basta ben tanto; ed altro spron non volli.
Piacemi almen d'aver cangiato stile
Dagli occhi a' piè; se del lor esser molli Gli altri asciugasse un più cortese aprile.
SONETTO XLIV.
È combattuto in Roma dai due pensieri, o di ritornarsene a Dio, o alla sua donna.
L'aspetto sacro della terra vostra Mi fa del mal passato tragger guai, Gridando: Sta su misero; che fai? E la via di salir al Ciel mi mostra. Ma con questo pensier un altro giostra; E dice a me: Perché fuggendo vai? Se ti rimembra. il tempo passa omai Di tornar a veder la Donna nostra.
IP, che 'l suo ragionar intendo allora, M'agghiaccio dentro in guisa d' uom, ch' ascolta Novella che di subito l'accora:
Poi torna il primo; e questo da la volta: Qual vincera, non so; ma infino ad ora Combattut' hanno, e non pur una volta.
Destinato alla servitù di Amore, non potè liberarsene ne pur colla fuga
Ben sapev' io, che natural consiglio, Amor, contra di te giammai non valse: Tanti lacciuol, tante impromesse false, Tanto provato avea'l tuo fero artiglio.
Ma novamente (ond'io mi maraviglio) Dirol, come persona, a cui ne calse; E che'l notai là sopra l' acque salse Tra la riva toscana, e l' Elba, e 'l Giglio.
IP fuggia le tue mani, e per cammino, Agitandom'i venti, e'l cielo, e l'onde, M' andava sconosciuto e pellegrino;
Quand' ecco i tuoi ministri (i'non so donde ) Per darmi a diveder, ch' al suo destino Mal chi contrasta, e mal chi si nasconde.
Vorrebbe consolarsi col canto, ma per propria colpa è costretto a piangere.
Lasso me, ch'i'non so in qual parte pieghi La speme ch' e tradita omai più volte: Che se non è chi con pietà m'ascolte, Perché sparger al ciel si spessi preghi? Ma s'egli avvien ch'arcor non mi si nieghi Fiair anzil mio fine
Non gravi al mio signor, perch' io ripreghi Di dir libero un di tra l'erba e' i fiori; " Drez et raison es qui en ciant emdemori. Ragion e ben ch' alcuna volta i canti; Però c'ho sospirato si gran tempo; Che mai non incomincio assat per tempo Per adeguar col riso i dolor tanti. E s' io potessi far, ch'agli occhi sauti Porgesse alcun diletto
Qualche dolce mio detto;
Qualche O me beato sopra gli altri amanti! Ma più, quand' io dirò senza mentire: » Donna mi prega; perch' io voglio dire.
Vaghi pensier, che cosi passo passo
Scorto m'avete a ragionar tant' alto; Vedete, che Madonna ha 'l cor di smalto Si forte, ch'io per me dentro no 'l passo: Ella non degna di mirar si basso, Che di nostre parole
Curi; che 't Ciel non vole; Al qual pur contrastando i' son già lasso: Onde, come nel cor m'induro e 'nnaspro, » Cosi nel mio parlar voglio esser aspro. Che parlo? o dove sono? e chi m' inganna Altri, ch'io stesso, e'l desiar soverchio? Già, s'i' trascorro il ciel di cerchio in cerchio, Nessun pianeta a pianger mi condanna. Se mortal velo il mio veder appanna, Che colpa e delle stelle, O delle cose belle?
Meco si sta chi di e notte m'affanna, Poi che del suo piacer mi fe gir grave. " La dolce vista, e 'l bel guardo soave. Tutte le cose, di che 'l mondo è adorno, Uscîr buone di man del Mastro eterno: Ma me, che cosi addentro non discerno, Abbaglia il bel che mi si mostra intorno; E s'al vero splendor giammai ritorno, L'occhio non può star fermo; Cosi l'ha fatto infermo
Pur la sua propria colpa, e non quel giorno, Ch' i' volsi inver l'angelica beltade » Nel dolce tempo della prima etade.
Grande elogio de'begli occhi di Laura
è la difficolia di saper lodarli.
Perchè la vita è breve,
E l'ingegno paventa all' alta impresa, Nè di lui, ne di lei molto mi fido;
Ma spero, che sia intesa Là dov'io bramo, e là dov' esser deve, La doglia mia, la qual tacendo i'grido: Occhi leggiadri, dov' Amor fa nido, A voi rivolgo il mio debile stile,
Pigro da se, ma'l gran piacer lo sprona: E chi di voi ragiona,
Tien dal suggetto un abito gentile, Che con l'ale amorose
Levando, il parte d'ogni pensier vile: Con queste alzato vengo a dire or cose, C'ho portate nel cor gran tempo ascose.
Non perch'io non m' avveggia,
Quanto mia laude è ingiuriosa a voi: Ma contrastar nou posso al gran desio, Lo quale è in me, dappoi Ch' i' vidi quel, che pensier non pareggia, Nou che l' agguagli altrui parlar, o mio. Principio del mio dolce stato rio, Altri che voi, so ben, che non m' intende. Quando agli ardenti rai neve divegno, Vostro gentile sdegno
Forse ch'alior mia indegnitate offende. O, se questa temenza
Non temprasse l' arsura che m3 incende; Beato venir men! che 'n lor presenza. M'e più caro il morir, che 'l viver senza.
Dunque, ch'i' non mi sfaccia,
Si frale oggetto a si possente foco, Non e proprio valor che me ne scampi: Ma la paura un poco,
Che'l sangue vago per le vene agghiaccia, Risalda 'I cor, perchè più tempo avvampi. O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi, O testimon della mia grave vita, Quante volte m'udiste chiamar Morte? Ahi dolorosa sorte!
Lo star mi stugge, e'l fuggir non m'aita. Ma, se maggior paura Non m' affrenasse; via corta e spedita Travrebbe a fin quest' aspra pena e dura; E la colpa e di tal, che non ha cura.
Dolor, perché mi meni
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