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Saverio Bettinelli nella Dissertazione accademica sopra Dante, ch'egli considera come il suo testamento letterario, e nella quale conferma ed aggrava il giudizio che aveva dato del divino Poeta nelle Lettere Virgiliane, scrisse del suo secolo: « Nella prima metà vediam risorto il buon gusto >>... << circa poi l'altra metà del secolo cominciò la solita sazietà e amor del nuovo a farsi sentire», e ciò, secondo lui, perché nella prima metà Dante non era tenuto in grande onore ; mentre nell'altra metà « si videro edizioni di Dante come quella del Venturi dei Volpi e dello Zatta, ed alcuni tentarono la poesia dantesca ». Ma egli, che pur aveva scorso quel secolo « poco meno che tutto», e diceva « parlare coll'esperienza non che colla ragione », affermò cose non vere; poiché anzi, se non in tutta la prima metà, nei primi decenni del Settecento, lo studio di Dante, come nota il Pindemonte, « venne ripreso con grandis

* Siamo lieti di publicare questo lavoro dell'egregio prof. Antonio Zardo, che fa parte di un largo studio ch'egli sta preparando intorno a Gasparo Gozzi e la letteratura del suo tempo in Venezia.

IL DIRETTORE.

1 La lesse all'Accademia di Modena nel 1800, in età di ottantadue anni.

2 Opere edite ed inedite. Tomo XXII. Venezia, 1801, pagg. 212-214.

5 Poca accortezza mostra il Bettinelli nel citare a questo riguardo l'edizione del Venturi, poiché, come è noto, il padre Pompeo Venturi, gesuita, si rivela, nel suo Comento, contrario a Dante. Il Pindemonte nell'Elogio di Filippo Rosa Morando, dopo aver detto delle

simo ardore » ', e fu reazione contro i delirî del Seicento. Ne son prova le imitazioni dantesche dal Pindemonte stesso citate, quali i due capitoli per la nascita del principe di Piemonte di Scipione Maffei, i due canti del Paradiso del Manfredi, la cantica su La Provvidenza del Leonarducci, il poema La consumazione del secolo di Cosimo Betti, alle quali si potrebbero aggiungere molte altre poesie in cui la maniera dantesca è imitata più o meno pedantescamente.

Non sono pochi inoltre gli scrittori che fanno le lodi di Dante, temperate, ben s' intende, da quelle censure ch'erano suggerite dal gusto del tempo e dalla incapacità di bene intendere la

Osservazioni che questi, ancor diciottenne, scrisse su quel Comento, per le quali << prese fuoco il padre Zaccaria che nella sua Storia letteraria all'esimio garzone non la perdonó », soggiunge: «Non è da tacere che or s'attribuisce da molti allo stesso Zaccaria il comento che il nome porta in sé del Venturi; anzi alla superba Raccolta di prose e versi in morte della principessa della Roccella, ove le opere tutte registransi di coloro che v'ebber parte, registrato tra quelle del Zaccaria il ritroviamo ». (Elogi di letterati italiani, Firenze, 1859, pag. 372). Secondo il p. Pozzetti scolopio, lo Zaccaria non avrebbe che raffazzonato il maligno comento del Venturi. (Vedi Rass. bibl. della lett. ital. XII, pag. 267). Elogio di Lodovico Salvi in Elogi di letterati italiani, pag. 331.

? Vedi in tal proposito lo scritto di EMILIO BERTANA intorno al libro di Eugenio Bouvy Voltaire et l'Italie in Giornale storico della lett. ital., vol. XXXIII, pagg. 412-414, e le osservazioni di LUIGI FERRARI Sul medesimo libro in Bullettino della Società dantesca italiana. Nuova serie, vol. VII, pagg. 293, 298-299.

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Divina Commedia. Tali, per non ricordare che i principali, il Maffei stesso, il Gravina, il Vico, Apostolo Zeno, Antonio Conti e, con maggior entusiasmo, Anton Maria Salvini e Giuseppe Bianchini.

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Al tempo in cui il Bettinelli scrisse le Lettere Virgiliane, il desiderio di liberarsi dalla tradizione era vivo in molti, i quali per ciò riprovavano l'imitazione degli antichi nostri poeti e particolarmente di Dante, che, del resto, era studiato da pochi e in alcune città soltanto, come Venezia, Padova, Verona e Firenze. Di tale riprovazione si fece interprete il Bettinelli, che quegli studiosi, e principalmente i Granelleschi, prese di mira. Soltanto verso la fine del secolo lo studio di Dante rinvigori e si mise sulla buona via; dopo, cioè, che il Parini e, maggiormente, l'Alfieri si mostrarono ammiratori del divino Poeta, e il Monti lo imitò stupendamente ne' suoi poemetti, e gli italiani cominciarono ad acquistar la coscienza di sé medesimi". Non andò lontano dal vero Ugo Foscolo, quando scrisse: «Per tutto il secolo scorso la poesia di Dante non trovò giudici competenti, se non quando la gioventú crebbe preparata allo studio della Divina Commedia, sí per le nuove opinioni che cominciarono a prevalere in Europa, e sí per l'educazione che gl' ingegni di Vittorio Alfieri e di Vincenzo Monti desunsero in guise diverse dal creatore della poe- ! sia e della lingua italiana » . Che il Bettinelli nelle sue accuse contro Dante siasi ispirato alle idee dei letterati francesi e più particolarmente a quelle del Voltaire, si può ammettere in quanto all'efficacia che quelle idee ebbero sugli scrittori nostri del Settecento; ma ch'egli sia stato ispirato dal Voltaire a scrivere le Virgiliane, difficilmente si potrà ammettere, quando si pensi che il poemetto Le Raccolte, nel quale manifesta il suo disprezzo per i danteschi, fu pubblicato nel 1750, prima, cioè, che il Voltaire scrivesse quella sua spropositata Lettre sur le Dante, che è il ca

1 Del Parini narra il Reina: «Negli ultimi tempi suoi l'evidentissimo Dante, il semplice e facile Ariosto gli erano sempre alla mano; costoro, diceva egli, piú si conosce l'arte, più si ammirano; piú si studiano più piacciono ». Opere di Giuseppe Parini. Milano, 1801, vol. I, pag. XXXVII.

2 Vedi ciò che dello studio di Dante nel sec. XVIII scrisse MICHELE BARBI in Bull. della Soc. dant. ital., N. S. vol. IX, pag. 16 e segg.

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pitolo XV delle Mélanges de poesies, de litterature, d'histoire et de philosophie, edite la prima volta nel 1756. Tutt'al piú l'esempio del Voltaire gli potrà essere stato d'incoraggiamento a vincere ogni titubanza; ma come quegli non fu ispirato da lui, cosí egli non fu ispirato dal Voltaire 2. Certo, il Bettinelli che conosceva l'umor di quello, non dubitò che le sue Lettere gli sarebbero piaciute, e per meglio assaporare le lodi di lui, si recò a visitarlo l'anno dopo la pubblicazione di esse”.

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Nelle Lettere inglesi, scritte << assai tempo dopo le Virgiliane», afferma il Bettinelli non aver mirato ad altro con la sua critica di Dante che « a scuotere il giogo, a liberar dalla schiavitú e dai pregiudizi la nazione e la poesia » e << a censurare la cieca imitazione de' suoi tempi Filomuso Eleuterio nella Lettera sopra il libro intitolato Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori con alcune lettere non più stampate, dice che l'autore di queste non parla direttamente degli antichi nostri poeti « riguardo a loro o alla giusta riputazione che debbono esigere, ma in quanto sono o non sono utili alla poesia od a' giovani che vogliono apprenderla » . In pro di questi principalmente sostiene infatti il Bettinelli di aver rivolto ogni suo studio. Che s'egli sentenziò null'altro mancare a Dante che « buon gusto e discernimento nell'arte » e non dover egli « es

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1 Vedi Bullettino della Soc. dant, ital., N. S. VII, pag. 291, e ARTURO FARINELLI, Voltaire et Dante Sonderabdruck aus den Studien zur vergleichenden Literaturgeschichte. Berlin, 1906, pag. 32.

2 Vedi l'articolo di MICHELE BARBI intorno al libro citato del Bouvy in Rassegna bibliog. della lett. ital., VI, pag. 293 e segg., e quello di Luigi Ferrari Ancóra dello scritto del signor Bouvy nel capitolo « Voltaire et la critique de Dante ». Ibid., pag. 300 e segg. Ispiratore della critica del Voltaire contro Dante, fu, secondo il Farinelli, Luigi Racine, figlio del grande tragico, con le note alla sua traduzione del Paradiso perduto di Milton, nelle quall il divino Poeta è fatto segno alle piú maligne censure. Op. cit. p. 28 e segg.

3 Da un Diario ms. dei viaggi fatti dal Bettinelli in Francia, che si conserva nella Biblioteca comunale di Mantova, risulta essere stato egli stesso, e non l'Algarotti, come affermò nella Lettera I a Lesbia (Op. XXI, pag. 19), colui che offerse le Virgiliane al Voltaire. Cfr. Bull. della Soc. dant. ital., VII, N. S. p. 288 e segg.

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ser letto più d' Ennio e di Pacuvio» e al piú doversene << conservare alcuni frammenti più eletti,

come serbansi alcune statue o bassirilievi d'un antico edifizio inutile e diroccato », proponendo che fossero estratti i migliori pezzi della Divina Commedia e raccolti insieme « in un piccolo volume di tre o quattro canti veramente poetici » 3, e il resto fosse posto « tra' libri d'erudizione siccome un codice e monumento d'antichità », ciò prova com'egli non fosse atto ad intendere il di vino Poeta, al pari di tanti altri suoi contemporanei, e, più leggiero e vanitoso di questi, volesse darsi l'aria di spregiudicato. Ciò non ostante, se l'intenzione sua fu principalmente didattica, se cioè egli intese censurare la cieca imitazione di Dante, come fan credere queste sue parole: « Il volerlo tutti imitare, il proporlo ai giovani, l'esaltarlo senza conoscerlo e senza intenderlo, quest'è che noi condanniamo », vien fatto di domandare: C'era ella poi veramente questa imitazione al suo tempo? Il Frugoni, nell'epistola Al signor conte Aurelio Bernieri, che fa parte dei versi sciolti dei tre eccellenti autori, parla dell'imitatrice immensa turba del maggior Tosco, la quale

pochi sensi, e poche
ricerche parolette e scelti modi

mal ne' suoi versi dilombati, e d'arte
vôti e di genio a gran fatica intesse ;

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ma la lettera in nome dell'editore Antonio Zatta Ai signori associati del Petrarca e di Dante, premessa al Giudizio del Gozzi, domanda: « Quanti sono oggidí gl' imitatori di Dante?». Come stesser le cose a questo riguardo dice chiaramente il veronese Giuseppe Torelli, di Dante studiosissimo, in una lettera del 23 gennaio 1758 a Clemente Sibiliato: «Quanto alle lettere anonime ch'egli (il Bettinelli) promette, esse commoverebbero la turba dei dantisti e petrarchisti, se questi tali ci fossero oggidi più. Non so quello che accade a voi. Quanto a me, nei componimenti, che qualche volta mi vengono alle mani, io non scorgo piú alcuna imitazione né di Dante né del Petrarca, né di verun altro dei nostri buoni antichi ; colpa della viltà italiana, che si fa idoli in tutto i Francesi, e vuol imparare da loro quello che sanno, e quello ancor che non sanno ». Quale imita

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zione dantesca vedeva dunque il Bettinelli ne' suoi contemporanei? A spiegare l'origine delle Lettere Virgiliane egli dice che un signor veneto suo amico (Andrea Cornaro), volendo stampare un tomo di sciolti, gli chiese i suoi per porli con quelli dell'Algarotti e del Frugoni, e nel medesimo tempo qualche prosa da premettere ad essi. << Durava cosí egli in me tuttavia qualche sdegnuzzo dalla lettura preso di Dante, ed eccoti il malo spirito che mi suggerisce il pensiero delle lettere di Virgilio agli Elisi, e in quelle la critica della Commedia dantesca » '. Ma nella IX delle Lettere inglesi afferma non aver egli inteso di fare altra cosa « se non che di mettere qualche riparo agli abusi di qualche setta e alla tirannia di alcuni přegiudizj». La medesima cosa ripete nella Dissertazione accademica sopra Dante, nella quale, dopo aver enumerato i difetti di lui, già notati nelle Virgiliane, con la giunta di altri ancóra, soggiunge: << Questi sono i principali difetti pur troppo evidenti, che mi fecero scrivere quelle critiche di Dante per la sola mira d'educar negli studi poetici la gioventú a me fidata contro il pericolo del falso gusto sparso infino d'allora in qualche setta dantesca ». Di tali sette, com'egli le chiamava, la principale era quella dei Granelleschi, che avea per fine lo studio degli antichi scrittori toscani. Allude ad essa nella citata Dissertazione, là dove dice aver uditi sin dal tempo in cui scriveva il poemetto Le Raccolte, « alcuni danteschi, principalmente in Venezia, che gli parvero assai meschini poeti e l'annoiarono al par di molti uditori in quelle accademie letterarie, non vcdendosi in loro né bello stile, né gusto poetico, né invenzione; ma solo copie del gusto, e delle frasi dantesche, di vocaboli strani, di rime forzate, d'aria. scientifica »".

I Granelleschi erano per lui danteschi in quanto si proclamavano studiosi e ammiratori di Dante; ma, nel vero, più che di Dante, essi erano imitatori del Burchiello, di Luigi Pulci, del Berni e dei berneschi. Di ciò in fondo mostra esser persuaso egli stesso, poiché nella Lettera XII delle Inglesi dice aver trovato in Venezia «una setta di burchielleschi, che si facean gloria di scrivere

1 Op. XII, pag. 161.

2 Ibid., pag. 263.

3 Op. XXII pag. 205.

Fu pubblicato nel 1750 per le nozze di Andrea Cornaro.

5 Op. XXII, pag. 159.

su quel gusto »', e soggiunge, con evidente allusione a Gasparo Gozzi: «< il poetar bernesco è ancóra alla moda, e conosco un qualche poeta di merito e di talento, che ha cambiata la bella poesia, quasi noiandosi di servir la reina, in questa fantastica plebea » .

Il qual Gozzi egli prende di mira anche più innanzi, condannando le stanze in lingua rustica fiorentina e toscana, e dicendo averle vedute in gran credito nel suo soggiorno a Venezia « pregiandosi i primi verseggiatori di scrivere con lo stile de' montanari e de' bifolchi toscani, come di un ornamento vezzoso di poesia » 3.

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Quanto allo studio particolare di Dante, fatto, se non da tutti, da alcuni dei Granelleschi, che a tal fine si riunivano, danno notizia le lettere di Gasparo Gozzi all'abate Giuseppe Gennari. In una del 17 marzo 1753, gli scrive: « Qui la compagnia dantesca ripiglia le sue forze; ma la S. V. l’ha abbandonata e mi dispiace, perché siamo alle porte del Paradiso, e io son poco teologo, onde poco altro potrò fare di più che leggere ». In altra di pochi giorni appresso (22 marzo) lamenta che l'Accademia sia povera e derelitta. « Quattro o cinque sono gli ascoltatori e sbadigliano » *. Di tali riunioni fa parola anche Daniele Farsetti nelle sue Memorie dell' Accademia Granellesca, dove dice che cominciando questa a scemare, Gasparo Gozzi propose che, lasciato da un canto l'Arcigranellone, i soci si radunassero alcune sere della settimana in un luogo stabilito a conversare e a leggervi le cose loro, e non ricorressero a quello che quando avessero voglia di ridere. Si radunarono infatti in una stanza del Farsetti presso S. Marco, e quando leggevano Dante e quando altra cosa. Cotesta unione durò per ben due anni, nè l'Arcigranellone fu del tutto lasciato da parte, ma qualche volta fu chiamato a spiegare alcun Canto della Divina Commedia, a fine di sollazzar la brigata. Per consiglio ed opera del Gennari ebbe vita anche in Padova un'accademia dantesca sull'esempio di quella dei Granelleschi. Di essa, che sostituí

1 Accenna principalmente ad essa anche nello scritto Il risorgimento d'Italia, dove dice: « ho veduto nascere delle sette di burchielleschi agli anni miei ». Op. IX, pag. 185.

Op. XII, pag. 331.

3 Ibid., pag. 337.

4 G. Gozzi, Opere. Bergamo, 1826. Vol. IX, раgine 71-73.

5 In Nuova Raccolta di operette italiane in prosa d in verso, inedite o rare. Treviso, 1799. Vol. XVI.

nell'amore di Dante quella degli Orditi, ch' era venuta meno ', egli dà notizia al Forcellini in una lettera del 7 luglio 1753, ed esclama: «Oh_se ci fossero il Forcellini e il Gozzi, quanto meglio gusteremmo quel divino poeta!». Il primo dicembre dello stesso anno fa sapere al Patriarchi che il giorno tre si sarebbe cominciata la lettura del poema di Dante, e ch'era già stata letta la vita dell'Autore, dalla quale aveva giudicato doversi cominciare. « S'esaminerà l'Allegoria, il Dottrinale e il Bello poetico, e ci saranno altresí delle osservazioni in proposito della lingua ». Gli dice che della brigatella fanno parte << il Mussato il gran dantista, il co. Borromeo, il co. Obizzo Camposampiero, il Calza, il Bresciani ed altri di simil tempra », e che si terranno tre tornate alla settimana. Tale lettura fu « seria e regolata » e la piccola Accademia si occupò in essa con profitto. Nel medesimo tempo il Gennari carteggiava col Gozzi per chiedergli il suo parere sull'interpretazione del verso Esaminava del cammin la mente (Purg. III, 56), che i componenti la brigatella padovana interpretavano chi in un modo, chi in un altro, e si compiaceva ch'egli lo intendesse come lui, cioè « che Virgilio con gli occhi bassi, in atto di considerazione, esaminava il suo pensiero intorno al cammino » . Nella stessa maniera lo intendeva il Patriarchi". Uno scambio di lettere tra questo e il Gennari nel 1753 ci fa sapere qual fosse la loro opinione circa la derivazione della Divina Commedia dalla Visione di

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1 Vedi Memorie intorno agli studi ed al carattere dell'ab. Giuseppe Gennari, scritte da Floriano Caldani. pagg. XX-XXII. Sono premesse agli Annali della città di Padova di G. G. Bassano, 1804.

2 Questa, come le altre lettere del Gennari che avremo occasione di citare in séguito, e delle quali non indicheremo altra fonte, è tratta dal codice autografo 621 della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova. Una copia in due volumi, ma incompleta di tali lettere fu eseguita da Giovanni Lazara nel 1814, ed è il codice C. M. 184 del Museo Civico di Padova. Questa lettera fu pubblicata per le nozze GiustiCittadella. Padova, 1863.

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Lettera all'ab. Domenico Salvagnini, 17 sett. 1754. Anche questa fu pubblicata per le medesime nozze. 5 Lettera dell'ab. Giovanni Nani, 10 dicem. 1754. Lettera a G. Gozzi, 18 gennaio 1754. Fu pubblicata per le nozze Giusti-Cittadella.

7 Lettera al Patriarchi, 5 febbraio 1754. Ibid. Lettera del Gozzi al Gennari, 19 gennaio 1754. Si legge, oltre che nelle opere del Gozzi, vol. IX, nel l'opuscolo per le nozze Giusti-Cittadella.

↑ La lettera del Patriarchi fu pubblicata nel medesimo opuscolo.

Alberico, che l'ab. Morosini, per aver veduto questa in un codice della badia di Montecassino, sosteneva esser tale da doversi considerar Dante come plagiario. « Quanto a me, scriveva il Patriarchi al Gennari il 6 agosto, giuocherei tre occhi e un dente, che posto pur vero, che il nostro Poeta abbia veduto quella Visione e dieci oltre a quella, la migliorò ed ingrandilla per modo, che parrà l' una a paraggio una larva e uno sconcio, e l'altra, come pur bene fu detta, una cosa divina ». Anche sul commento attribuito a Pietro figlio di Dante, che Gian Iacopo Dionisi nel secondo numero della sua Serie di aneddoti danteschi negava esser opera di Pietro, il Gennari, che la riteneva tale, ebbe corrispondenza, oltre che col Dionisi stesso, col conte Rambaldo degli Azzoni Avogadro, col conte Giulio Tomitano e coll' ab. Iacopo Morelli, che convenivano con lui 2. Altre lettere del Gennari fanno parola della piccola Accademia dantesca padovana, la quale nel 1757 si riuniva ancora. Il primo maggio di quell' anno scriveva il Gennari a Giovanni Marsili ch' essa s'era radunata tutte le sere fino a pochi di prima per legger Dante e per trattenersi in eruditi colloqui, e che egli vi aveva inteso molte utili osservazioni sul divino Poeta dal Brazzolo e da altri. <<< Abbiamo letto, soggiungeva, l'Inferno e il Purgatorio, riserbandoci ad altro tempo la cantica del Paradiso». E il 23 giugno all'ab. Salvagnini, che a quelle adunanze era intervenuto frequentemente, e che allora si trovava a Palermo: «Siamo rimasti nel Paradiso terrestre del Purgatorio, e non c'è chi ci cavi di là. La compagnia è sbandata, e massimamente dopo il caldo che si fa sentire ». L'amore del Gennari a Dante si manifesta particolarmente in queste parole, ch' egli scriveva al Patriarchi: << Leggo a' miei giovani il poema di ! Dante, e posso con verità dir di esso, ciò ch'egli diceva di Beatrice, cioè che non era volta che la guardasse, che in lei non vedesse nuove bellezze »3.

Studiosi di Dante, e in buon numero, accoglieva pure Verona, della quale scrisse il Pindemonte che nessun'altra città si mostrò altrettanto

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affezionata al divino Pocta 1, e ricorda il Morando, il Tirabosco, il Perazzini, il Torelli, il Dionigi, il Trevisani e sopra tutti il Salvi. A questi si possono aggiungere, senza uscire dal secolo XVIII, Girolamo Pompei, Ippolito Bevilacqua, Bartolomeo Lorenzi, Agostino e Verardo Zeviani, Gaspare Bordoni, Domenico Gottardi, G. B. Mutinelli, i quali, per la maggior parte, non lasciarono traccia dei loro scritti danteschi 3.

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Tali erano le sette dantesche, contro gli abusi e i pregiudizî delle quali intese metter qualche riparo il Bettinelli Ma a quale egli mirasse particolarmente ben mostrarono d'accorgersi alcuni de' Granelleschi, i quali pensarono di pubblicare il Parere sul' poemetto Le Raccolte, non ostante fossero già passati otto anni dalla comparsa di questo, e ciò fu come il preludio di quella Difesa di Dante che poco appresso doveva pubblicare il più autorevole tra i componenti quell'Accademia. Qual fine si fossero proposti gli autori con la pubblicazione del Parere è detto chiaramente nella prefazione: « In questo Parere si fa la censura al poema di quell'autore, il quale adesso la vuol far da maestro con Dante. Ora farà giudizio il mondo del nuovo critico, che volendo accoccarla altrui, ha bisogno il poveretto d'andar alla scuola » . Autori ne sarebbero stati, secondo Carlo Gozzi, Marco Forcellini e Natale dalle Laste, ed egli vi avrebbe aggiunta un'epistola '; ma pare più conforme al vero ciò che scrisse il Sibiliato: «La prima lettera sotto nome dell' editore dicesi sia dell'abate Daniel Farsetti; la seconda del Forcellini, che sembra alquanto men insolente, e la terza, che è un' infilzatura d' ingiurie, del conte Carlo Gozzi »". Il Farsetti pertanto

Flogio di Lodovico Salvi, in Elogi di letterali italiani, pag. 331.

2 Vedi MARIA ZAMBONI, La critica dantesca nella metà del secolo XVIII, nella Collez. PASSERINI. Città di Castello, 1901, pag. 8.

Di lezioni dantesche fatte all'Accademia fiorentina dà notizie Michele Barbi, traendole dal Ms. II, IV, 208 della Nazionale di Firenze (Vedi Bull. della Soc. dant. ital. N. S. IX, pagg. 2 e 3 in nota); ma esse sono tutte posterior: alla pubblicazione delle Lettere Virgi liane.

3 Parere o sia lettera scritta da un amico del Friuli ad un amico di Venezia sopra il poemetto intitolato LE RACCOLTE con la risposta dell'amico di Venezia all'amico del Friuli. In Venezia, 1758.

Ibid., pagg. 6-7.

5 Memorie inutili della vita di C. G. scritte da lui medesimo e pubblicate per umiltà. Venezia, 1797. Parte I, pag. 259.

Vedi la seconda delle Lettere due di un profes sore di Padova a S. E. Andrea Cornaro sopra le LET

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