Slike stranica
PDF
ePub
[blocks in formation]

I x

Proemio; e dovrebb' essere epilogo, perché scritto negli ultimi anni quando il p. si diè a raccogliere le sue rime. Orazio e Ovidio nei loro epiloghi [carm. I 30, am. III 15] si vantano e ripromettonsi immortal fama; il poeta cristiano spera solo pietà, ed è pentito e vergognoso: per ciò l'epilogo, ammonimento spirituale a'lettori, va innanzi. Rin. Corso (Fondam. del parlar tosc. Venez. 1550) e G. Cam. Delminio (Op. t. II. Venez. 1566) ne fecero un' esposizione, Giov. Talentoni medico una lezione all'Accad. fiorent. nel 1587 (Pr. fiorent. Lez. vol. IV) e Tomm. Dall'Arme certe sue riflessioni all'Accad. dei Filargiti (Forli, 1699). L'Alfieri nota tutto.

4

8

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
In su 'l mio primo giovenile errore,
Quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono;
Del vario stile, in ch'io piango e ragiono
Fra le vane speranze e 'l van dolore,
Ove sia chi per prova intenda amore,
Spero trovar pietà non che perdono.
Ma ben veggio or si come al popol tutto

[ocr errors]

2. Il Bembo [Volg. ling. 11 3] dice che in alcune carte di mano del p. vide che prima avea scritto Di quei sospir de' quai, poi corresse di ch'io nutriva, e finalmente cangió come sta ora.

1. Vai. Questo pronome nel vocat. sta so- | l'adolescenza: secondo le idee del tempo, la

gioventú cominciava a 25 anni. errore. Virg.
ecl. VIII « Ut vidi, ut perii, ut me malus ab-
stulit error». - 4. Anche mandando parte
delle rime a Barbato Sulmonese scriveva,
epi. 11 «Ipse mihi collatus enim non ille vi-
debor: Frons alia est moresque alii, nova
mentis imago, Voxque aliud mutata sonat,
nec pestibus iisdem Urgeor ».
mandandole tutte [1373] a P. Malatesta, Senil.
XIII 11 «Opusculi varietatem vagus furor
amantium, de quo statim in principio agi-
tur, ruditatem stili aetas excuset ».
Le parole si corrispondono alternamente :

speso da verbo, né per altro è posto che per mettere attenzione nella mente de' lettori (Delm). rime: per far differenza da versi, che per latini poemi intende, usa questa voce volendo per quella significare la poesia toscana, la qual va tutta fornita di rime (Delm). sparse. Divulgate e note in diverse parti si che «de' suoi detti conserve si fanno con diletto in alcun loco (Delm eCv.) Non continuate e insieme raccolte come sono la Commedia e l'Eneide (D). Può rispondere al titolo in testa del ms. originale e delle prime stampe « F. P. laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta». | piango per il van dolore e ragiono in

3. Il tempo è quasi come spazio sopra il quale si fa qualunque operazione: quindi i latini dissero nocte super media, e i volgari in sul tempo del mio ec. (Cv). Il p. s'innamoro a 22 anni e 8 mesi, cioè nel

5. vario. E

5-6.

vane speranze. - 9. al popol ec.: fui argomento a tutti di compassione e di riso. Altrove, epi. III 27 « Licuerunt multa iocose Tunc puero, nunc pauca viro; suntque illa pudori, Fabula quod populo fuerim digi

11

14

13. pentirsi, A.

Favola fui gran tempo, onde sovente
Di me medesmo meco mi vergogno:
E del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
E'l pentersi, e'l conoscer chiaramente
Che quanto piace al mondo è breve sogno. Suo

[blocks in formation]

Innamoramento. Anche di questo fece l'esposizione Cam. Delminio. Dei terzetti parlò A. Rosmini, Pensieri e dottrine trascelte (Intra, 1875, п 590). - L'Alfieri nota tutto.

4

8

11

Per fare una leggiadra sua vendetta

E punire in un di ben mille offese,
Celatamente Amor l'arco riprese,

Come uom ch' a nocer luogo e tempo aspetta.

Era la mia virtute al cor ristretta

Per far ivi e ne gli occhi sue difese,
Quando 'l colpo mortal là giú discese
Ove solea spuntarsi ogni saetta.
Però turbata nel primiero assalto,
Non ebbe tanto né vigor né spazio
Che potesse al bisogno prender l'arme,
O vero al poggio faticoso et alto

c., era per far ivi ec. – 7. là giú. Nel cuore.

1. leggiadra. Si può intendere nel senso | ordinasse cosí: la mia virtú, ristretta at di elegante perché fatta in persona di bellissima donna: o pure che sia detto ironicamente, somigliante al virgiliano Egregiam vero laudem [Aen. Iv 93]. 2. offese: fattegli dal p, in resistere (Cv). In al

9. Però. Dipende dal primo quadernario: perché celatamente e a tradimento Amore prese l'arme, però la mia vertů non poté aitarmi non lo pensando (dC). nel prim. ass.

tri luoghi il p. confessa di essersi prima Fin sul principio dell'assalto (L). - 10. spache di Laura innamorato di altre donne, mazio di tempo. Per lo scambio consueto tra leggermente; onde poi il riprese del v. seg. | i concetti di tempo e di luogo. - 11. al bis. - 3. Celatamente. Alla chetichella, per po- | Quando il bisogno lo richiedeva. Al rappre

terlo cogliere sprovveduto. 4. luogo e tempo opportuni. È poi spiegato nel son. seg. 5. virtute: forza (L). Virtú teorica, o buona intenzione di non innamorare (P). ristretta. Altrove « Ristretto in guisa d'uom ch' aspetta guerra, Che si provvede e i passi intorno serra». 6. Cv vorrebbe si

senta qui idea di tempo congiunta a quella d'azione. Simile al famigliare, a un bisogno. - 12. al poggio ove di consueto alberga essa virtú, ristrettasi, solo per quell' occorrenza, al core; al poggio della ragione, posta da Platone nella piú alta parte dell'uomo e propriamente nel mezzo ventri

14

Ritrarmi accortamente da lo strazio,
Del quale oggi vorrebbe, e non po, aitarme.
conto il quale

colo del cerebro, come nota il F; il quale phil. I pr. 3. 13. Ritrarmi. Qui è attivo; ricorda il colle luminoso trovato da Dante e dipende da potesse del v. 11 (L). 11. aisul terminar della valle. II p. Secr. «Quo- tarme. Quasi difendermi [da to strazio). ties aliquod fortunae vulnus infligitur, per-Inf. 1 89 « Aiutami da tei». Il Boccaccio, Desisto interritus...: si duobus tertium quar-cam. 1 1, l'usa col di «Di ciò mi ha sí bene tumve successerit, pede sensim relato, in il mio creatore aiutato, che io ho sempre arcem rationis evado ». Cfr. Boezio De cons. di bene in meglio fatti li fatti miei ».

È in istil grave e più uniforme del preced.; ma nondimeno e' pare che manchi di certe vivezze anch' egli, che sono proprie de' giovani e degl' innamorati; e fommi a credere che fossero amendui composti dal p. già vecchio per dar forma di principio al volume (T). Giov. Mestica (Fanf. d. Domen. Roma, 20 genn. 1888) ha tentato provare che q. son. è la piú giovanile delle rime raccolte nel canzoniere, e che tratta di un innamoramento anteriore di parecchi anni a quello per Laura.

[merged small][ocr errors]

Tempo dell' innamoramento.

Parigi, Cellier, 1708).

Fu comment. dall' ab. Regnier Desmarais (Poesie toscane ec.

L'Alfieri nota i vv. 1-2, 4-7, 9-10, 12-14.

Era il giorno ch' al sol si scoloraro
Per la pietà del suo fattore i rai,

4

8

11

Quando i' fui preso, e non me ne guardai,
Che i be' vostri occhi, donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
Contra colpi d'Amor: però m' andai
Secur, senza sospetto: onde i miei guai
Nel cómmune dolor s' incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato
Et aperta la via per gli occhi al core,
Che di lagrime son fatti uscio e varcopertura

sosp. d'altri. Secur, car ec. sono troncamenti frequenti negli antichi, oggi non piú tollerati. - 8. commune d. dei cristiani, per la ricordanza della morte di Cristo. - 10. Et ap. E trovo aperta (L). Guido Ca

1-2. L'anniversario della morte di Cristo (L). Secondo il racconto degli evangelisti [Matteo, XXVII 15; Marco, xv 33; Luca, XXIII 41], nella morte di C. il sole si oscurò dalLora sesta alla nona. - 3-1. «Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis >>> disse | valcanti, son. 1 « Voi che per gli occhi miei

Properz. [11]. «Mon cor an pres, dona cor-
tes e gaia, Vostre bel hueilh» disse Giraldo
Io Ros (T). Dante, degli occhi di Beatrice,
Parad. XXVI 12 « Onde a pigliarmi fece Amor
la corda». - 4. Che. Si lega con fui preso,
non con me ne guardai.
5-6. Essendo
quel giorno santo e lugubre, non mi pareva
tempo da temere assalti d'amore e da starne
in guardia (L). m'andai. E della lingua del 300
e del P.: altrove « M' andava sconosciuto e
pellegrino ». - 7. Secur di me stesso, senza

passaste al core ». 11. Dante, dei morsi delle arpie ne tronchi de' suicidi, Inf. XIII 102 «Fanno dolore ed al dolor finestra». 12-11. Ovid. am. 12 «Nec tibi laus armis victus inermis ero » e II 9 « Gloria pugnantes vincere maior erat ». Concetto divenuto comune nei trovadori e negli italiani che li imitarono. Raimondo Jorda, cit. dal T: «Amor ben fait volpillatge e faillensa, Car mi qué soi vencut venet ferir E laissat leis ne pot convertir Merces ni vos ni ieu ni conoisen

[merged small][ocr errors]
« PrethodnaNastavi »