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Ma del misero stato ove noi semo
Condotte da la vita altra serena,
Un sol conforto, e de la morte, avemo:
Che vendetta è di lui, ch'a ciò ne mena:
Lo qual in forza altrui, presso a l'estremo,
Riman legato con maggior catena.

cid a tentare ». - 9-11. Abbiamo un solo conforto si di questo misero stato in cui siamo venuti da quell' altra vita libera e dolce e si della morte vicina (L). - 10. serena. Dante nelle tenebre dell' Inf. (xv 49)

al buio, colla vita libera di prima quando volavano pel cielo. 12-4. E questo conforto si è l'essere vendicate di colui che è cagione di nostre calamità; il quale si trova in mano altrui (cioè di Laura), vicino al

« La su di sopra in la vita serena». La col-l'estremo di sua vita, e in cattività piú dura

locazione di altra con l'aggiunta di serena fa sentire il contrapposto dello stato di quelle bestiuole, prigioniere, in gabbia,

che la nostra (L); e pit in gabbia che non siamo noi (Saly), for detta he

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IX

Il De altri commentatori del sec. XVI affermano che negli originali del p. si leggesse sopra. questo son. Tuberorum munus. Il p. dunque, mandando de' tartufi in dono a un amico, prende occasione a paragonare gli effetti del sole su la terra e quelli degli occhi di Laura in lui. - Nell'Accademia Bellunese di Giov. Cervoni da Colle (Venezia, Deuchino, 1621) c'è una esposiz. di questo son.

L'Alfieri nota i vv. 1-8, 10-14.

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1. Il sole che serve alla divisione e alla misura del tempo (L). Cino «La bella stella che 'l tempo misura»: Par. x 30 « E col❘ suo lume il tempo ne misura. - 2. Il sole, che sempre fa il corso di tutto lo zodiaco in un anno, viene ad entrare poco lunge del 12 d'aprile nel primo grado del Tauro (V).-3-1. Piove dalle corna del detto toro, infiammate dal sole [Virg. g. 1 218 « Candidus auratis aperit cum cornibus annum-9. Dal qual terrestre umore si possano poi

5-6. E non solo adorna di fioretti quella parte della terra che sta esposta agli occhi, voglio dire le campagne i colli (L). fioretti: fleurets. È pure in Dante (Inf.1 127): oggi comunemente fiorellini. - 7. Ma, oltre di ciò, sotterra, dove non si fa mai giorno, cioè, non entra mai la luce del sole [s' aggiorna, impersonale) (L). - 8. Virg. g. 11 324 « Vere tument terrae et genitalia semina poscunt». Taurus »] una virtú, cioè calore e luce, che cogliere i frutti che vi mando e altri simili. veste la terra di color nuovo, cioè di muo11. In me. Alcuni antichi commentatori e ve erbe e foglie e nuovi fiori [Virg. g. 11 la Crusca lo fanno dipendere da morendo, 219 « Quaeque suo viridi semper se gra-le spiegano verso di me. Il Te il Monti mine vestit. » Par. xII 48 « le novelle fronde (Proposta) lo riferiscono a Cria del v. seg. Di che si vede Europa rivestire »] (L). e intendono dentro me, in corrispondenza

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ch' io mi volga e ch'io mi guati». 11. I pensieri nascon dentro, ma non dan mai fuori né fior né frutti da cogliersi nella pri

della comparaz. del v. 7.-12. Cria. Cfr. IV
3.-13. come ch'. qui: comunque: Inf. VI 4-6
<<< Nuovi tormenti e nuovi tormentati Mi veg-
gio intorno, come ch' io mi muova, E come | mavera d'amore.

X

Giacomo Colonna, figliuolo di Stefano il vecchio e fratello di Giovanni cardinale, tornato nel 1330 ad Avignone da Roma, ove avea difeso contro Ludovico il Bavaro la legittimità e i diritti di Giovanni xxi, chiamò a sé il P. già suo condiscepolo a Bologna; ed eletto vescovo di Lombez lo condusse seco sul fine di marzo a quella città posta a piè de' Pirenei presso la sorgente della Garonna (Cfr. des. 1 141 e segg.). Ora tutti quasi i commentatori, e anche il des., vogliono che questo son. fosse scritto nel 1331 e in Aviguone, quasi addio a Stefano Colonna il vecchio quando parti da quella città. Ma, come provasi colla 3 del v Famil. che Stefano del '30 era in Avignone e come si sa che la maggior parte di quell'anno il p. fu a Lombez con Giacomo, perché non riconoscer qui un invito a una villeggiatura in montagna fatto al vecchio Colonna in nome del figliuolo suo Giacomo e dei famigliari? Notisi che dice sempre Noi, che il p. non costuma parlando di sé; e i vv. 7-11 accennano ron a città, ma a luogo silvestre e di montagna. Anche il Pag. tiene che questo son. fosse scritto dalla Guascogna. - Ann. Rinuccini ne tratto in una lez. sopra l'amicizia (Firenze, Torrentino, 1561). L'Alfieri nota i vv. 1-4, salvo per ventosa pioggia.

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1. colonna, Α.

Gloriosa columna, in cui s' appoggia
Nostra speranza e 'l gran nome latino,
Ch' ancor non torse del vero cammino
L'ira di Giove per ventosa pioggia;
Qui non palazzi, non teatro o loggia,
Ma 'n lor vece un abete un faggio un pino
Tra l'erba verde e 'l bel monte vicino,
Onde si scende poetando e poggia,
Levan di terra al ciel nostr' intelletto;
E'l rosigniuol che dolcemente a l'ombra
Tutte le notti si lamenta e piagne,
D'amorosi penseri il cor n'engombra:

3-1. Adombra la persecuzione di Bonifa- | suscitatagli dal nome dell' imperatore? e

zio vin contro quella famiglia; e di ciò lo stesso p. altrove (Rer. Mem. II 1) «Fulminabat ille de terris, et ad exemplum Tonantis æthe

l'ancor non varrebbe pur ora, né pur questa colla? Del resto Alf. nota seccamente, Una colonna non cammina; ma è rigore

rei cuius gerebat vices edictis minacibus in-soverchio: la metafora tratta dal nome non

tonabat» (Bgl): anche, epi. 11 15, al card. Giovanni <« marmoreæ domus imperiosa columnae, Nec cœli concussa minis, nec fulmine torvi Victa Jovis quondam, nec turbine fessa bilustri». Dove accennasi certo alla persecuzione papale del 1298 e 99: ma nel son., scritto del 1330, quell' ancor starebbe egli? Pare che St. Colonna il vecchio venisse via da Roma dopo il 1327 per contrasti che ebbe con la parte la quale favoreggiava Lu

i

si prolunga oltre s'appoggia. - 9. al ciel. Ad alti e poetici pensieri, o anche alla meditazione delle cose celesti; ché Giac., Colonna era vescovo. 10-11. Virg. g. Iv 511 <<< Qualis populea merens philomela sub umbra.... Flet noctem». E il p., epi. III 5 (a Giov. Colonna) « Herba thorum, ramis tectum viridantibus arbor, At cytharam Philomela ieret». - 12. n'engombra. Cfr. v 5 annotaz. È forma antiquata in enganno (Bonichi)

dovico il Bavaro. Non potrebbe per avven-e engannare (Abate di Napoli), ma è viva tura accennarsi a questa nuova molestial in empiastro, enpare, entrare, empiere

ec.

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Ma tanto ben sol tronchi e fai imperfetto
Tu che da noi, signor mio, ti scompagne.

13-14. Cic. ad Att. IV 10 «Ego me in | bar»: Oraz. epi. I 10 «Excepto quod non siCumano et Pompeiano, præter quam quo mul esses, cætera laetus ». sine te, cæterum satis commode oblecta

Tenue di concetti e di stile; nol diremo però da dozzina, come vorrebbe il Mur. Certo che de' quattordici versi dieci sono di non comune eleganza (Cr).

XIFALATA

Di q.

Accortasi Laura dell'amore di lui, gli si fece tosto piú severa che prima (Md). ball. e dell'altra che va sotto il n. xiv pubblico una esposizione Salomone [Eugenio] Camerini (Pisa, Prosperi, 1837). L'Alfieri la nota tutta.

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Lassare il velo o per sole o per ombra,

Donna, non vi vid' io,

Poi che in me conosceste il gran desio
Ch'ogni altra voglia d'entr' al cor mi sgombra.

Mentr' io portava i be' pensier celati
C' hanno la mente desïando morta,
Vidivi di pietate ornare il volto;
Ma, poi ch'Amor di me vi fece accorta,
Fuor i biondi capelli allor velati,
E l'amoroso sguardo in sé raccolto.
Quel ch' i' più desïava in voi, m' è tolto;
Sí mi governa il velo,

Che per mia morte et al caldo et al gelo
De' be' vostri occhi il dolce lume adombra.

9. Fur i biondi, A. - 11. Quel che piú, A.

1. per. Determina tempo durante il quale | fuorono, antiche forme regolari toscane di

si fa una cosa. Decam. I 10 « Ceneremo per lo fresco ». - 1. d'entr'. Cosí St. Le altre edd. dentr'. È usato per da entro come in quel del Par. v1 10 « D'entro alle leggi trassi il troppo e 'l vano ». -5. pensier. D'amore. Detti belli perché avevano per oggetto bella donna.-6. La vita della mente si è discorrere pensando a varie cose: ma il desio di Laura l'aveva tanto occupata, pensando é disiando essa, che era morta a tutti gli altri pensamenti (Cv). - 7. di pietate. Di quet segni che le pietose donne sogliono fare. Dino Frescobaldi i miei occhi.... faranno l'altra gente accorta Dell' aspra pena che lo mio cor porta ». 9. Fuor. fuoro,

furono. Forma latineggiante per für. - 10. amoroso. Generante in altrui amore. I nomi in oso e attivi e passivi cosí appo noi come appo i latini si trovano (G°), in sé raccolto. Levato dagli oggetti esterni, e in sé medesimo ragunato o ristretto (Cam). 11. Quel ch' i' p. d. Il dolce lume degli occhi. - 12. Sí mi gov. Cosi male mi tratta, Governare e conciare spesso prendonsi, pur senza giunta d'altre parole, in mal senso, quasi ironicamente. Dante, dei ghiotti smagriti, Purg. XXIII 35 «Chi crederebbe che l'odor di un pomo Sí governasse generando brama? ».

13. per mia m.: per mia pena mortale (L). XII

Laura col suo contegno toglieva al p. il coraggio di aprirle l'animo suo: egli se ne rimette a un'età più avanzata. È insomma una dichiarazione dissimulata: dice, infingendosi di non voler dire; e segretamente brama e destramente insinua, come nota il Mur, che Laura non aspetti troppo tardi ad aver pietà di lui.

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L'Alfieri lo nota tutto.

Se la mia vita da l'aspro tormento

Si può tanto schermire e da gli affanni,
Ch'i' veggia per vertú de gli ultimi anni,
Donna, de' be' vostri occhi, il lume spento;
E i cape' d'oro fin farsi d'argento,
E lassar le ghirlande e i verdi panni,
E'l viso scolorir, che ne' miei danni
A'llamentar mi fa pauroso e lento;
Pur mi darà tanta baldanza Amore,
Ch'i' vi discovrirò de' mei martiri
Qua' sono stati gli anni e i giorni e l'ore:

- E, se 'l tempo è contrario a i be' desiri,
Non fia ch' almen non giunga al mio dolore
Alcun soccorso di tardi sospiri.

2. schermire. Difendere: resistere a quel tormento e agli affanni d'amore. 3. ult. anni. La vecchiezza. - 4. il lume. Il brio e la vivacità, non la virtú visiva (P). 6. E voi [sottint.] lassar, lasciare, le ghirl. e i v. panni, le vesti di color gaio, da giovane (L). 7-8. E scolorirsi quel viso che ora m' infonde tanta timidità, che ne' miei mali appena ardisco di lamentarmi (L). Al

lamentar. È grafia che rappresenta pura-
mente la pronunzia toscana. - 9. Pur. Fi-
nalmente. baldanza. Ardire e fiducia,
12. Tibullo, 1 1 « Jam subrepet iners aetas,
nec amare decebit Dicere nec cano blandi-
tias capite. >>> 14. sospiri vostri, nati dalla
compassione di non avermi corrisposto in
gioventů (P).
ヒメ

Seme di q. son. si possou dire questi tre vv. di Dante [canz. Io sento si] « E, se mercé giovinezza mi toglie, Aspetto tempo che più ragion prenda, Pur che la vita tanto si difonda» (P). - Fu imitato dal Bembo in quel suo O superba e crudele ec. ove mescolò le tinte del p. e quelle d' Orazio [od. iv 10], l'amor di Laura e quel di Ligurino. Anche a q. son. ebbe il pensiero Giov. Boccacci in due de' suoi [L' alta speranza e S'egli avvien mai], ma conchiudeva anch' egli come il Bembo, tutt' altro « Oh, s'io potessi creder di vedere Canuta e crespa e pallida colei Che con isdegno nuovo n'è cagione! Ch' ancor la vita mia di ritenere, Che fugge a più poter, m'ingegnerei, Per rider la cambiata condizione ». Il Mur lo dice cosa da non disprezzare, difendendolo tepidamente contro le beffe del T il quale conchiude che è una cosa cattiva. Cr lo giudica de' piú affettuosi del canzoniere.

XIII

Si contenta degli effetti virtuosi che in lui produce l'amor di Laura È quasi un correttivo del son. e della ballata anteriori. Anche di questo il Camerini [cfr. x1] fece l'esposizione. L'Alfieri lo nota tutto.

Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,

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1-2. Quando Amore, il quale è nel bel viso di costei, viene ad ora ad ora fra l'altre

donne. Che è quanto dire: Quando l'amo-
rosa Laura viene fra le altre donne (P). Que-

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Quanto ciascuna è men bella di lei,
Tanto cresce 'l desio che m'innamora.
I' benedico il loco e 'l tempo e l'ora
Che si alto miraron gli occhi mei,
E dico: Anima, assai ringraziar dêi,
Che fosti a tanto onor degnata allora.
Da lei ti ven l'amoroso pensero

Che, mentre 'l segui, al sommo ben t'invia,
Poco prezando quel ch' ogni uom desia:
Da lei vien l'animosa leggiadria

Ch' al ciel ti scorge per destro sentero;
Sí ch' i' vo già de la speranza altero.

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sta identificazione di Amore e del viso della donna amata è dantesca: «Vedeste voi nostra donna gentile Bagnar nel viso suo di pianto Amore?» e V. N. XXIV (parla Amore)

comune (T). Matteo Frescobaldi Natura in lui beltà si forte accampa Che quale ha cor gentil ringrazia ogni ora Che 'n terra apparse. - 8. a tanto onor degn. Aen. I 335

<<E chi volesse sottilmente considerare, quel-Non tali me dignor honore» е III 475 «Со

la Beatrice chiamerebbe Amore per molta somiglianza che ha meco». Il Bgl con altri intende del mostrarsi Laura non in sé raccolta o con riserva, ma lieta e amorosa. 5. Questo movimento lirico, tanto per le benedizioni quanto per le maledizioni, era già frequente ne' rimatori antecedenti al P., ed egli stesso To riprese e svolse nel LXL.

6. Che. Elissi della preposiz. innanzi al relat. dopo nome dinotante tempo. Decam. IV 1 « incominciando da questo di ch'io mi parto. È dell'uso. 7. ringraziar. In assoInto, che però suol anche usarsi nel parlar

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niugio Anchisa Veneris dignate superbo ». Inf. 1 122 « Anima fia a ciò di me piú degna ». - 11. 11 diletto dei sensi. Altri intendono: i beni desiderati dalla moltitudine, onori, ricchezze. Cino <<< Ogni uom che mira il suo leggiadro viso Divotamente Iddio del ciel ringrazia E ciò ch'è tra noi qui nel mondo sprezza ». 12. anim. legg. La bella e nobile franchezza (L). «Decenzia et attitudine degli atti virtuosı » è definita dal Buti, Purg. XXXVI 99. 11. speranza, intendono, del cielo. Il F, la speranza di conseguire una volta l'amor di Laura.

Può contarsi per uno dei son, forti e buoni del poeta (Mur). È amplificazione dei concetti di Dante e di Cino circa la bellezza. Dante « Sua beltà piove fiammelle di fuoco Animate d'un spirito gentile Ch'è creatore d'ogni pensier buono». Cino « Questa donna che andar mi fa pensoso Porta ne gli occhi la virtú d'amore, La qual fa risvegliar altrui nel core Lo spirito gentil che v'è nascoso».

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XIV

Lontano non vedrà Laura che col pensiero; perciò sul partire invita gli occhi a confortarsi della vista di lei. Questa ball. fu commentata dal Camerini [cfr. x1]. L'Alfieri la nota tutta.

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Occhi miei lassi, mentre ch'io vi giro
Nel bel viso di quella che v'ha morti,
Pregovi, siate accorti;

Ché già vì sfida Amore; ond' io sospiro.

2.

1. lassi. Stanchi dal pianger (L). morti. Ha spento, insieme con la interna letizia mia, ogni vivacità del vostro sguardo. - 3. siate acc. a prendere di quella vista il diletto che piú potete. 4. vi sfida a

reggere al dolore della lontananza, Cosi infese il L prendendo sfidare nel senso di invitare a battaglia. Si può dargli anche l'altro senso di Levar di speranza, Togliere ogni fiducia. Per ciò A « Vi tiene

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