8 11 14 10. fra, A. Onde questa gentil donna si parte; l'essere loro primo che in questo secondario, essendo sempre più bello in ciascheduna figura il proprio che non è il ritratto. Non sia però alcuno che si maravigli se il mio Simone l'ha ritratta molto meglio che non avrebbe fatto Policleto: essendo stato in paradiso, la vide ivi, nella sua idea nella mente di Dio, dove ella è molto piú perfetta e piú bella ch' ella non è qui in terra nell'esser suo corporeo. E in paradiso donde discese fra noi questa sua imagine, veggendola Sim. la ritr. in carte, cioè si fece nella mente quel simulacro ch'egli ha dipoi messo in carte, e questo fece per far fede fra noi quanto quella bellezza ch' ell' ha in cielo nella sua idea è maggiore di quella ch'ella ha qui nel suo corpo in terra (Gelli). - 5-6. LXXVIII Nella stessa occasione che l'antecedente. - L'Alfieri nota tutto. 4 Quando giunse a Simon l'alto concetto Ch'a mio nome gli pose in man lo stile, Di sospir molti mi sgombrava il petto, Che ciò ch'altri ha più caro a me fan vile: 6. han piú, A. 1. giunse. Venne nell' animo (L). concet-è il desiderio che nell' amante desta il ri to. Idea, fantasia, disegno nella mente come si abbia a operare una cosa (Br). - 2. a m. nome. Mostra che Sim. fu richiesto del ritratto del P. (Bgl). stile. Signif. lo stromento con che si scrive o si pinge o si fanno linee (G°). Verghetta sottile che si fa di due terzi di piombo e un terzo di stagno, e serve per tirar le prime linee a chi vuol disegnar in penna: fannosene anche in argento. Cosí il Baldinucci. E il Bocc., Decam. VI 5, di Giotto dice che dipingeva con lo stile, con la penna e col pennello (Cam). 3-4. Cve T sottilizzano chiamando stolto e vano questo pensiero: ma, nota bene il Bgl, tratto della persona amata, non ch'ei lo volesse effettuato dal pittore. Ed è insieme lode del pittore; Ovid. her. XIII 155 « Crede mihi: plus est quam quod videatur imago. Adde sonum cerae: Protesilaus erit ». -5-6. Cioè: mi avrebbe liberato di un desiderio affannosissimo, il quale mi fa parer vile, quello di cui gli altri tengono il maggior conto (L). Sospiri nati da un amore onesto che a me fan vile ciò ch' altri han piú caro, cioè la bellezza corporea; onde mi appagherei anche di una pittura, purché fosse intellettuale e vocale (P). Ma Ve G° riferisc, il che del v. 6, come relativo o cau sativo a voce ed int. del 4. T sta per l'una | Ovid. Met. x 212-297. lodar. Chiamarti cone per l'altra interpretaz. 7. umile. Piú benigna nel quadro che nella persona (A). - 8. Cioè: promette di contentarmi (L). — 9-11. Allora l'illusione di trovarla benigna tento (L). Inf. 11 74 Di te mi loderò sovente a lui ». – 14. V, D, G°, Cv, Bgl intendono del parlar seco, riferendosi al v. 11. Altri, altro: L, per le generali, dimostrazioni d'amo ed esser contentato sparisce, perché non ri-re. Cfr. xxII 31 e ccxxxvII pure al v. 31. sponde. 12. Pigmalion. Storia nota: cfr. Questi son., composti per il ritratto di Laura miniato in pergamena da Simon Martini [detto Memmi], pittore senese [n. il 1284 circa], non poteron essere scritti se non fra il 1339, quando il Martini, invitato da papa Benedetto XII, si recò in Avignone, e il 1344, quand' egli mori. Se, come si rileva dalla postilla, quei compon. parevan lontani di più che mille anni al Petrarca, bisogna credere ch'ei li avessi scritti su' primi mesi che conobbe Simon Martini: dunque del 1339 o del 1340. Nell' autunno del 40 egli era già ripartito per Roma (Cesareo, p. 50). LXXIX La passione cresce con gli anni, e non v'è riparo. 4 8 L'Alfieri nota i vv. 2, 5-11. S'al principio risponde il fine e 'l mezzo 5. han mezzo, A. Il principio di amezzo nel ms. originale vaticano è sopra raschiatura. 1-2. Se il mezzo e il fine di questo anno ' rimarrebbe in italiano per il valore, dacché 14° della mia passione amorosa, il quale ora incomincia, corrispondono al suo principio (L). 3. l'aura né '1. Che sogliono porgere refrigerio al caldo [ardente, nel v. appresso] (D). Al nome di Laura alludendo (V). 5. cui. Il T voleva che si leggesse cu'i, e cosí lessero Fw e Md, mantenendo la lez. han mezzo. amezzo. Non sapremmo darne spiegazione sicura. Ammezzo nel senso di Incontrare a mezza strada, non pare che sia qui. È nel senso di maturare cioè come i latini adoperavano l'analogo mitescere (méz ammezzare non si applica già alle frutta che sono sul maturarsi, ma sí bene a quelle che per troppa maturazione stanno per divenir fradice. Il Po pure ne' suoi codici lesse ammezzo, e spiegò alla larga «II р. non potea pensare che come voleva Am., il quale era signore anzi tiranno de' suoi pensieri ». L, mantenendo la lezione han mezzo, d'accordo con gli interpreti tutti dichiarò Non hanno misura, modo: non osservando termine alcuno. - 7-8. Mi concia sí fattamente, fa tal governo di me [cfr. zo=mitis) nel proposito delle frutta? Maxı 12], ch' io sono già ridotto a meno che la metaforicamente per condurre a buon fine e nell'uso attivo sarebbe nuovo in latino e in italiano: come nuovo ed unico esempio metà, cioè più che mezzo disfatto, a cagione del continuo struggermi in lagrime che io fo per gli occhi i quali io volgo cosí spesso 11 14 Cosi mancando vo di giorno in giorno Si chiusamente, ch'i' sol me n'accorgo Né so quanto fia meco il suo soggiorno; al mio male cioè a Laura (L). mezzo. Tal 11. guardando. Quando mi guarda (G°). Guardandola io: a guardarla (L). Per questo uso cfr. vi 14. - 12. Cioè appena io conduco l'anima fino a questo segno [tempo (Cv)]. L'anima è piuttosto essa che move il corpo, se dividiamo questo composto; ma il p. qui finge che, essendo ella che langue, sia la guidata e che il corpo le serva di veicolo (T). È in somma una versione poetica del comune Tener l'anima a pena, Tener l'anima co' denti. Il V spiega: Conosco esser l'anima in me. - 13. Quanto ella soggiornerà meco, quanto potrò campare ancora (L). - 14. Parrebbe forse a taluno che delle due parti sia l' una soverchia. Si ricordi per altro quel luogo di Dante [Inf. XVI 122] dove rassomiglia ser Brunetto, fuggente, a quelli Che corrono a Verona it drappo verde, e tra questi a Quegli che vince e non colui che perde (Cr). LXXX Nella 1a st. mostra a coloro che si sono abbandonati ad Am., che sono in pericolo di perder l'anima e che si debbano ritrarre: adduce il suo esempio. Nella 2a, mostra com'era in pericolo. Nella 3a, che periva se Dio non l'aiutava; e nella 4a ancora. Nella 5a mostra che non è fuor di pericolo. Nella 6a pone il desiderio e la ragione della tema. Nella 7 chiama Dio in soccorso. Sicché la materia è convertimento. Prende la metaf. della nave (Cv). L'Alfieri nota di q. sest. i vv. 1-8, 11-16 e del 17° Chiamarme, 22-4, 26-30, 36. 6 Chi è fermato di menar sua vita Su per l'onde fallaci e per li scogli 1. è fermato. Ha fatto fermo proponimento (D). 3. Scevro. È voce provenz. che signif. separato, diviso. D'amor no m pues dipartir ni sebrar » disse Guido Duisello (T). Parad. XIII 16 « E Beatrice ch'era un poco scevra» (discosta, mentre Dante parlava con Cacciaguida). da m. Cioè distante dalla morte sol di tanto intervallo quanta è la grossezza di una piccola barca (L). Gioven. XII 57 «dolato Confisus ligno, digitis a morte remotus Quatuor aut septem. Anacarsi scita (in Diogene Laerzio) dimandato quanto fossero lungi da la morte co loro che navigano, domandò a la sua volta 12 18 24 30 15. anz' il, A. E le cagion del mio doglioso fine Vid'io le 'nsegne di quell' altra vita; Et arrive il mio essilio ad un bel fine, E l'ancore gittare in qualche porto! 17. Chiamarmi, A. 28. fragil, A 29. Il ms. origin. vaticano ha piú che. piacevole (CV). tra vita, cioè dell' eterna. Queste insegne il 15. anzi al m. d. Cfr. XXXI 2. A Dante, che venia vivo in inferno, l'Argenti « Chi se' tu che vieni anzi ora?» Inf. vIII 33. al f. Cioè, prima della morte naturale all' eterna (Т). 17. Chiamarme... in d. Latinamente revocare (G°). 19-23. Con quell' allegrezza, con la quale una nave o altro legno [né per o. Cfr. LVII 9 e CCLVIII 77] dall' alto mare suole alcuna volta veder nella notte il lume, il fanale, d'un porto, se pure la tempesta o li scogli non glie ne impedirono la vista; con tale allegrezza io d'in cima alla vela (al luogo della gabbia ove stanno le sentinelle (T)] gonfiata dal vento (la mente, la volontà, piena dell'amore di Laura, inebriata dalle passioni) vidi i segni, gl'indizi dell'al-del bene » (D). - 33-1. Di cangiar vita e ri36 39 Se non ch'i' ardo come acceso legno, 38. le scogli, A: ma dev' essere errore di stampa. (CV). Non è questa una sest. da confondersi colle altre. Ci trovo dentro non delle parole sole, ma dei nobili pensieri ancora e con felicità espressi, i quali tanto più la ragione insegna a prezzare, quanto più è malagevole l' esprimerli bene colla schiavitú di queste determinate rime (Mur). i LXXXI X Riconosce i suoi falli, e brama seguire la voce del Salvatore che lo chiama (Ai). - Consuona (notano D, Cve Ai) e continua alla sest. precedente; e gli consuona quel lamento del Secr. Interdum, Deo manum porrigente, surrexi, et nunc meo pondere in antiquas miserias relapsus quid me iterum perdiderit cum amarissimo gustu mentis experior ». L'Alfieri nota i vv. 1-4, 7, 11. I. fascio. Carico, chiamandosi fascio tutto lucchese. - Io tengo che sia formato da deliquello che legato si porti addosso (Br). An- bro, che signif. dibucciare e levar la scorza che in prosa, G. Vill. VIII 56 « Consideran-e, per metaf., mondar dal peccato (T). do di non poter per loro medesimi soste- | 5-8. Inclinando la coscienza a disperazione, nere si gran fascio..., sí mandarono in Bra-si ricorda della via di salute che è Cristo. bante». E in provenz., Guill. de Poitiers Mostra adunque egli che Cr. sia venuto a << Ar non poss plus soffrir lo fais Tant suichiamare i peccatori, acciocché, seguendo Chiama usanza r. il cattivo abito preso di seguitar Laura, e sue colpe gli altri peccati particolari (T). - 3. Scrive una coscienza spaventata, che inclini a disperazione: e questo significa di manc. tr. v. PS. LIV 5 e 6 <<< Cor meum conturbatum est in me, et formido mortis cecidit super me. Timor et tremor venerunt super me, et contexerunt me tenebrae» (Cv). 4. del m. nem. Del demonio, intendono tutti; salvo Fe V, che dell' abito vizioso o dell' appetito. 5. dilivrarmi. Provenz. e franc.: è in Guido delle Col., nelle Nov. ant. e in altri del duecento; e vive con alcuni suoi derivati nel dialetto lo, con la croce e con le opere sante gli dovesse liberare dal peccato: per ciò dice che questo amico venne, poi volò in cielo; non tanto per lo montarvi il di delle pentecoste, quanto per le opere divine che il p. non può fare. (Cv). E di Cristo intend. i piú: ma Fl'abito virtuoso, V un amico pensiero (CXXVIII 9) e anche, in compagnia del G°, la grazia preveniente, gratia gratis data, e rimanda al madrig. Per ch' al viso (LIV). Per il des il grande amico è il p. Dionigi da Borgo S. Sepolcro, che nel 1389 invitava il p. alla corte di Napoli, ov'erasi egli raccolto; ma niuno gli ha dato retta, eccetto il Men. - 6. Paolo, Ep. ad Tit. III « Apparuit benignitas et humanitas salvatoris Dei nostri non ex operibus iustitiae quae fecimus nos, sed secundum suam misericordiam salvos |