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10. fra, A.

Onde questa gentil donna si parte;
Ivi la vide, e la ritrasse in carte,
Per far fede qua giú del suo bel viso.
L'opra fu ben di quelle che nel cielo
Si ponno imaginar, non qui tra noi,
Ove le membra fanno a l'alma velo.
Cortesia fe'; né la potea far poi
Che fu disceso a provar caldo e gelo
E del mortal sentiron gli occhi suoi.

l'essere loro primo che in questo secondario, essendo sempre più bello in ciascheduna figura il proprio che non è il ritratto. Non sia però alcuno che si maravigli se il mio Simone l'ha ritratta molto meglio che non avrebbe fatto Policleto: essendo stato in paradiso, la vide ivi, nella sua idea nella mente di Dio, dove ella è molto piú perfetta e piú bella ch' ella non è qui in terra nell'esser suo corporeo. E in paradiso donde discese fra noi questa sua imagine, veggendola Sim. la ritr. in carte, cioè si fece nella mente quel simulacro ch'egli ha dipoi messo in carte, e questo fece per far fede fra noi quanto quella bellezza ch' ell' ha in cielo nella sua idea è maggiore di quella ch'ella

ha qui nel suo corpo in terra (Gelli). - 5-6.
Inghilfredi siciliano (Audite forte cosa ec.)
<<<Gesù Cristo ideolla in paradiso E poi la
fece angiolo incarnando». - 7. in carte. La
figura non era dunqne in legno in muro o
in tela (Cam).
9. L'opra. Il ritratto, opera
di Simone (L). 12-1. Fece opera cortese
(Decam. v 10 «Farai tu gran cortesia di
fare che noi abbiamo da cena ) a ritrarla
in paradiso; e certo questa cortesia non la
potea far poi disceso dal cielo; perché gli
occhi suoi, sentendo, sperimentando, par-
tecipando del mortale, sarieno stati insoffe-
renti di un obietto celeste qual è Laura.
13. a provar caldo e g. Le contrarietà sono
cagione di corruzione ed imperfezione (Cv).

LXXVIII

Nella stessa occasione che l'antecedente. - L'Alfieri nota tutto.

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Quando giunse a Simon l'alto concetto

Ch'a mio nome gli pose in man lo stile,
S'avesse dato a l'opera gentile
Colla figura voce ed intelletto,

Di sospir molti mi sgombrava il petto,

Che ciò ch'altri ha più caro a me fan vile:

6. han piú, A.

1. giunse. Venne nell' animo (L). concet-è il desiderio che nell' amante desta il ri

to. Idea, fantasia, disegno nella mente come si abbia a operare una cosa (Br). - 2. a m. nome. Mostra che Sim. fu richiesto del ritratto del P. (Bgl). stile. Signif. lo stromento con che si scrive o si pinge o si fanno linee (G°). Verghetta sottile che si fa di due terzi di piombo e un terzo di stagno, e serve per tirar le prime linee a chi vuol disegnar in penna: fannosene anche in argento. Cosí il Baldinucci. E il Bocc., Decam. VI 5, di Giotto dice che dipingeva con lo stile, con la penna e col pennello (Cam). 3-4. Cve T sottilizzano chiamando stolto e vano questo pensiero: ma, nota bene il Bgl,

tratto della persona amata, non ch'ei lo volesse effettuato dal pittore. Ed è insieme lode del pittore; Ovid. her. XIII 155 « Crede mihi: plus est quam quod videatur imago. Adde sonum cerae: Protesilaus erit ». -5-6. Cioè: mi avrebbe liberato di un desiderio affannosissimo, il quale mi fa parer vile, quello di cui gli altri tengono il maggior conto (L). Sospiri nati da un amore onesto che a me fan vile ciò ch' altri han piú caro, cioè la bellezza corporea; onde mi appagherei anche di una pittura, purché fosse intellettuale e vocale (P). Ma Ve G° riferisc, il che del v. 6, come relativo o cau

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sativo a voce ed int. del 4. T sta per l'una | Ovid. Met. x 212-297. lodar. Chiamarti cone per l'altra interpretaz. 7. umile. Piú benigna nel quadro che nella persona (A). - 8. Cioè: promette di contentarmi (L). — 9-11. Allora l'illusione di trovarla benigna

tento (L). Inf. 11 74 Di te mi loderò sovente a lui ». – 14. V, D, G°, Cv, Bgl intendono del parlar seco, riferendosi al v. 11. Altri, altro: L, per le generali, dimostrazioni d'amo

ed esser contentato sparisce, perché non ri-re. Cfr. xxII 31 e ccxxxvII pure al v. 31. sponde.

12. Pigmalion. Storia nota: cfr.

Questi son., composti per il ritratto di Laura miniato in pergamena da Simon Martini [detto Memmi], pittore senese [n. il 1284 circa], non poteron essere scritti se non fra il 1339, quando il Martini, invitato da papa Benedetto XII, si recò in Avignone, e il 1344, quand' egli mori. Se, come si rileva dalla postilla, quei compon. parevan lontani di più che mille anni al Petrarca, bisogna credere ch'ei li avessi scritti su' primi mesi che conobbe Simon Martini: dunque del 1339 o del 1340. Nell' autunno del 40 egli era già ripartito per Roma (Cesareo, p. 50).

LXXIX

La passione cresce con gli anni, e non v'è riparo.

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L'Alfieri nota i vv. 2, 5-11.

S'al principio risponde il fine e 'l mezzo
Del quartodecimo anno ch'io sospiro,
Piú non mi po scampar l'aura né 'l rezzo;
Si crescer sento 'l mio ardente desiro.
Amor, con cui pensier mai non amezzo,
Sotto 'l cui giogo già mai non respiro,
Tal mi governa, ch'i' non son già mezzo,
Per gli occhi ch'al mio mal si spesso giro.

5. han mezzo, A. Il principio di amezzo nel ms. originale vaticano è sopra raschiatura.

1-2. Se il mezzo e il fine di questo anno ' rimarrebbe in italiano per il valore, dacché

14° della mia passione amorosa, il quale ora incomincia, corrispondono al suo principio (L). 3. l'aura né '1. Che sogliono porgere refrigerio al caldo [ardente, nel v. appresso] (D). Al nome di Laura alludendo (V). 5. cui. Il T voleva che si leggesse cu'i, e cosí lessero Fw e Md, mantenendo la lez. han mezzo. amezzo. Non sapremmo darne spiegazione sicura. Ammezzo nel senso di Incontrare a mezza strada, non pare che sia qui. È nel senso di maturare cioè come i latini adoperavano l'analogo mitescere (méz

ammezzare non si applica già alle frutta che sono sul maturarsi, ma sí bene a quelle che per troppa maturazione stanno per divenir fradice. Il Po pure ne' suoi codici lesse ammezzo, e spiegò alla larga «II р. non potea pensare che come voleva Am., il quale era signore anzi tiranno de' suoi pensieri ». L, mantenendo la lezione han mezzo, d'accordo con gli interpreti tutti dichiarò Non hanno misura, modo: non osservando termine alcuno. - 7-8. Mi concia sí fattamente, fa tal governo di me [cfr.

zo=mitis) nel proposito delle frutta? Maxı 12], ch' io sono già ridotto a meno che la

metaforicamente per condurre a buon fine e nell'uso attivo sarebbe nuovo in latino e in italiano: come nuovo ed unico esempio

metà, cioè più che mezzo disfatto, a cagione del continuo struggermi in lagrime che io fo per gli occhi i quali io volgo cosí spesso

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Cosi mancando vo di giorno in giorno

Si chiusamente, ch'i' sol me n'accorgo
E quella che, guardando, il cor mi strugge.
A pena in fin a qui l'anima scorgo,

Né so quanto fia meco il suo soggiorno;
Ché la morte s'appressa e 'l viver fugge.

al mio male cioè a Laura (L). mezzo. Tal
modo di dire è molto usato: che, veggendo
alcuno per qualche infermità scarno e ma-
gro, diciamo: O me meschino te, che non
sei mezzo! (G°). - 10. chiusamente. Occul-
tamente (G°): Insensibilmente (Bgl).

11. guardando. Quando mi guarda (G°). Guardandola io: a guardarla (L). Per questo uso cfr. vi 14. - 12. Cioè appena io conduco l'anima fino a questo segno [tempo (Cv)]. L'anima è piuttosto essa che move il corpo, se dividiamo questo composto; ma il p. qui finge che, essendo ella che langue,

sia la guidata e che il corpo le serva di veicolo (T). È in somma una versione poetica del comune Tener l'anima a pena, Tener l'anima co' denti. Il V spiega: Conosco esser l'anima in me. - 13. Quanto ella soggiornerà meco, quanto potrò campare ancora (L). - 14. Parrebbe forse a taluno che delle due parti sia l' una soverchia. Si ricordi per altro quel luogo di Dante [Inf. XVI 122] dove rassomiglia ser Brunetto, fuggente, a quelli Che corrono a Verona it drappo verde, e tra questi a Quegli che vince e non colui che perde (Cr).

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Nella 1a st. mostra a coloro che si sono abbandonati ad Am., che sono in pericolo di perder l'anima e che si debbano ritrarre: adduce il suo esempio. Nella 2a, mostra com'era in pericolo. Nella 3a, che periva se Dio non l'aiutava; e nella 4a ancora. Nella 5a mostra che non è fuor di pericolo. Nella 6a pone il desiderio e la ragione della tema. Nella 7 chiama Dio in soccorso. Sicché la materia è convertimento. Prende la metaf. della nave (Cv). L'Alfieri nota di q. sest. i vv. 1-8, 11-16 e del 17° Chiamarme, 22-4, 26-30, 36.

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Chi è fermato di menar sua vita

Su per l'onde fallaci e per li scogli
Scevro da morte con un picciol legno,
Non po molto lontan esser dal fine:
Però sarebbe da ritrarsi in porto,
Mentre al governo ancor crede la vela.
L'aura soave, a cui governo e vela
Commisi entrando a l'amorosa vita
E sperando venire a miglior porto,
Poi mi condusse in più di mille scogli:

1. è fermato. Ha fatto fermo proponimento (D). 3. Scevro. È voce provenz. che signif. separato, diviso. D'amor no m pues dipartir ni sebrar » disse Guido Duisello (T). Parad. XIII 16 « E Beatrice ch'era un poco scevra» (discosta, mentre Dante parlava con Cacciaguida). da m. Cioè distante dalla morte sol di tanto intervallo quanta è la grossezza di una piccola barca (L). Gioven. XII 57 «dolato Confisus ligno, digitis a morte remotus Quatuor aut septem. Anacarsi scita (in Diogene Laerzio) dimandato quanto fossero lungi da la morte co

loro che navigano, domandò a la sua volta
quanto può esser grossa una nave: essen-
dogli risposto quattro dita, disse: coloro che
navigano esser lungi da la morte quattro
dita. - 4. dal f. Dal perdersi, da perire (L).
6. crede. Al T piacerebbe piú cede, ma è lo
stesso signif. del XLVII 14. Chi crede altrui,
nota il G°, serva quello che egli comanda,
cioè, obbedisce. - 7. L'aura s. Scherza sul
nome Laura, che quanto alla cosa signif.
la sua donna, quanto all' allegoria il vento
(D). La piacevolezza della lascivia umana,
la quale prometteva una vita ancora piú

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15. anz' il, A.

E le cagion del mio doglioso fine
Non pur d'intorno avea, ma dentro al legno,
Chiuso gran tempo in questo cieco legno
Errai senza levar occhio a la vela,
Ch' anzi al mio dí mi trasportava al fine:
Poi piacque a lui che mi produsse in vita
Chiamarme tanto in dietro da li scogli,
Ch'almen da lunge m'apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
Vide mai d'alto mar nave né legno,-
Se non gliel tolse o tempestate o scogli;
Cosi di su da la gonfiata vela

Vid'io le 'nsegne di quell' altra vita;
Et allor sospirai verso 'l mio fine.
Non perch'io sia securo ancor del fine;
Ché volendo co'l giorno esser a porto
E gran viaggio in cosí poca vita;
Poi témo, ché mi veggio in fraile legno
E, piú ch' i' non vorrei, piena la vela
Del vento che mi pinse in questi scogli.
S'io esca vivo de' dubbiosi scogli

Et arrive il mio essilio ad un bel fine,
Ch'i' sarei vago di voltar la vela

E l'ancore gittare in qualche porto!

17. Chiamarmi, A. 28. fragil, A 29. Il ms. origin. vaticano ha piú che.

piacevole (CV).
11-2. La barchetta facea
acqua, dicono i marinai (T). Vuol dire che
egli era combattuto non solo dalle bellezze
di Laura e da simili cose di fuori, ma ezian-
dio dentro di sé dai pensieri e dagli affetti
propri (L). 13-5. Parla del corpo, e vuol
dire che accecato dalle passioni errò gran
tempo senza badare alla vela del desiderio
to della volontà), che gonfiata dal vento delle
vane speranze il menava a perdere (T).

tra vita, cioè dell' eterna. Queste insegne il
V le intende per le scorte che a q. alt. v.
conducono, per li vestigi di coloro che tal
vita possedono; il G°, per i lumi della di-
vina grazia; il Cv per sante spirazioni
che lo indussero a pensare: il L « forse ac-
cenna qualche sua infermità di cui fu per
morire ». 24. sospirai v. Per desiderio di
presto venire a quel beato fine. - 25-30. Non
già ch'io sia ancora sicuro di conseguirlo
[quel beato fine]; perché, volendo prima
della morte [co 'l giorno. G°, V, D intend. il
lume e le ispirazioni della grazia) conver-
tirmi a Dio, la faccenda è lunga ed il tempo
della vita che mi resta è breve: inoltre té-
mo, perché vedo, conosco, la mia umana
fragilità, e piena la mente, piú che non vor-
rei, dell'amore di Laura, che mi spinse sul-
l'orlo del precipizio (Ai). 31. S'io esca.
Cosí io esca. Forma desiderativa (L). Cfr.
LXXIII 70. - 32. essilio. I piú intendono l'al-
lontanamento dell'anima da Dio o dalla ra-
gione, ma Cv, Lea Ai, la vita. - 33. Ch'.
Ha forza di come, ed è modo che s'usa di
parlare: Si avess'io della robba, che farei

15. anzi al m. d. Cfr. XXXI 2. A Dante, che venia vivo in inferno, l'Argenti « Chi se' tu che vieni anzi ora?» Inf. vIII 33. al f. Cioè, prima della morte naturale all' eterna (Т). 17. Chiamarme... in d. Latinamente revocare (G°). 19-23. Con quell' allegrezza, con la quale una nave o altro legno [né per o. Cfr. LVII 9 e CCLVIII 77] dall' alto mare suole alcuna volta veder nella notte il lume, il fanale, d'un porto, se pure la tempesta o li scogli non glie ne impedirono la vista; con tale allegrezza io d'in cima alla vela (al luogo della gabbia ove stanno le sentinelle (T)] gonfiata dal vento (la mente, la volontà, piena dell'amore di Laura, inebriata dalle passioni) vidi i segni, gl'indizi dell'al-del bene » (D). - 33-1. Di cangiar vita e ri36

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Se non ch'i' ardo come acceso legno,
Si m'è duro a lassar l'usata vita..
Signor de la mia fine e de la vita,
Prima ch' i' fiacchi il legno tra li scogli,
Drizza a buon porto l'affannata vela.

38. le scogli, A: ma dev' essere errore di stampa.
tirarmi dal mondo (Ai). 36. m'è duro.
Dante, Inf. III 12 « il senso lor m' è duro». -
37. Che puoi lasciarmi perire e scamparmi

(CV).
39. 1' aff. Dando alla vela quello
ch'era proprio di lui (D). vela. La volontà in-
fiacchita e affannata, che nulla puote da sé.

Non è questa una sest. da confondersi colle altre. Ci trovo dentro non delle parole sole, ma dei nobili pensieri ancora e con felicità espressi, i quali tanto più la ragione insegna a prezzare, quanto più è malagevole l' esprimerli bene colla schiavitú di queste determinate rime (Mur).

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LXXXI X

Riconosce i suoi falli, e brama seguire la voce del Salvatore che lo chiama (Ai). - Consuona (notano D, Cve Ai) e continua alla sest. precedente; e gli consuona quel lamento del Secr. Interdum, Deo manum porrigente, surrexi, et nunc meo pondere in antiquas miserias relapsus quid me iterum perdiderit cum amarissimo gustu mentis experior ». L'Alfieri nota i vv. 1-4, 7, 11.

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I. fascio. Carico, chiamandosi fascio tutto lucchese. - Io tengo che sia formato da deliquello che legato si porti addosso (Br). An- bro, che signif. dibucciare e levar la scorza che in prosa, G. Vill. VIII 56 « Consideran-e, per metaf., mondar dal peccato (T). do di non poter per loro medesimi soste- | 5-8. Inclinando la coscienza a disperazione, nere si gran fascio..., sí mandarono in Bra-si ricorda della via di salute che è Cristo. bante». E in provenz., Guill. de Poitiers Mostra adunque egli che Cr. sia venuto a << Ar non poss plus soffrir lo fais Tant suichiamare i peccatori, acciocché, seguendo

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Chiama usanza r. il cattivo abito preso di seguitar Laura, e sue colpe gli altri peccati particolari (T). - 3. Scrive una coscienza spaventata, che inclini a disperazione: e questo significa di manc. tr. v. PS. LIV 5 e 6 <<< Cor meum conturbatum est in me, et formido mortis cecidit super me. Timor et tremor venerunt super me, et contexerunt me tenebrae» (Cv). 4. del m. nem. Del demonio, intendono tutti; salvo Fe V, che dell' abito vizioso o dell' appetito. 5. dilivrarmi. Provenz. e franc.: è in Guido delle Col., nelle Nov. ant. e in altri del duecento; e vive con alcuni suoi derivati nel dialetto

lo, con la croce e con le opere sante gli dovesse liberare dal peccato: per ciò dice che questo amico venne, poi volò in cielo; non tanto per lo montarvi il di delle pentecoste, quanto per le opere divine che il p. non può fare. (Cv). E di Cristo intend. i piú: ma Fl'abito virtuoso, V un amico pensiero (CXXVIII 9) e anche, in compagnia del G°, la grazia preveniente, gratia gratis data, e rimanda al madrig. Per ch' al viso (LIV). Per il des il grande amico è il p. Dionigi da Borgo S. Sepolcro, che nel 1389 invitava il p. alla corte di Napoli, ov'erasi egli raccolto; ma niuno gli ha dato retta, eccetto il Men. - 6. Paolo, Ep. ad Tit. III « Apparuit benignitas et humanitas salvatoris Dei nostri non ex operibus iustitiae quae fecimus nos, sed secundum suam misericordiam salvos

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