11 14 Ricopre con la vista or chiara or bruna: quando l'allegrezza, pogniamo, è mostrata | Dante V. N. « Si faceva d'una vista pietosa di fuori con faccia e parole ed atti allegri, ed al contrario, quando con faccia parole ed atti tristi (Cv). Tasso, G. 1. IV 25 «Vela il soverchio ardir con la vergogna E fa manto del vero a la menzogna ». 11. vista or ch. or br. Sembianza or lieta or trista. e d'un color pallido: Par. xxxII 99 «-Si ch' ogni vista se 'n fe' piú serena»: Sacchetti, ball. «Tanto la vostra vista adorna luce». -13-4. quest' una V. Questo sol modo (L). Decam. III 5 « per via di vendite e IV 7 «per via di diporto ». CIII Son note le contese fra Colonna ed Orsini per il primato in Roma, massime nell' assenza dei pontefici. Il 22 maggio del 1333 spirava a pena una tregua che Giovanni xxII, per mezzo di Bertrando di Saint Geniès decano d'Angoulême e suo cappellano mandato a posta in Roma, aveva fatto giurare dalle due parti, quando Bertoldo e Francesco degli Orsini assalirono presso San Cesario Stefano Colonna il giovine: il quale si difese valorosamente, e i nemici superiori in numero respinse e abbatté con la uccisione de' due capitani. Il cardinale Giovan Gaetano Orsini, legato in Roma e in Toscana, mosse alla riscossa, rivolgendo contro i Colonnesi le milizie della Santa Sede. Allora il P. indirizzò a Stefano Colonna questo son., confortandolo a seguire animosamente e compiere la vittoria avuta su gli Orsini. Cfr. Des. I 22 e segg., e G. Villani x 221, il quale per altro in vece di Stefano il giovine mette che l'assalito fosse Stefanuccio di Sciarra, nipote di Stefano il vecchio. 4 8 11 14 7. indura, A. L'Alfieri nota tutto. Vinse Anibal, e non seppe usar poi 1-2. Maarbale, sec. Plutarco (Vita Ann.), ❘ sus.... Atque hinc atque illinc humeros ad o Aderbale, sec. Floro (II VI), disse ad Annibale: Tu sai, o Annibale, vincere, non sai usar la vittoria. - 3. aggiate. Non l'usa che questa volta: ma aggia, come piú dolce di suono, l' usa piú volte (T). - 5. L'orsa. Casa Orsina, dalla insegna gentilizia. -7. Virg. g. III 225 « .... dentesque sabellicus exacuit vulnera durat». Staz. Theb. II 130 della tigre: Bella cupit, laxatque genas et temperat ungues». - 8. noi. Ripone sé tra' seguaci de' Colonnesi (CV). 9. novo. Recente (L). - 11-12. Oraz. epist. II 2 « I, bone, quo virtus tua te vocat, i pede fausto», Al sonetto consuona l'epistola latina (Famil. III III) che il P. per lo stesso avvenimento mando Stephano Columnae juniori: «Potuisti, vir fortissime, vincere: scito, sapientissime vir, uti victoria: ne quis umquam nostrum tibi possit obiicere quod cannensi quondam die Maharbal Hannibali. E nella epistola appresso (Fam. III IV) accenna a questo son.: «De universo rerum tuarum statu quid sentirem breve quiddam tibi, bellacissime vir, materno pridem sermone conscripseram, ut posset militibus et tuis innotescere tecum in partem laboris et gloriae profecturis ». E séguita annunziandogli di aver composto in sua lode un altro carme, della cui struttura piacevasi: «eidem tibi carmen ex meo alienoque contexui, ea lege, ut primus meus, secundus alicuius probati poetae versus esset, atque ita, ut legentem non sententiarum modo artificiosa connexio sed verborum quoque consonantia delectaret». Doveva esser dunque un centone, e rimato; ma fra le poesie latine e italiane del P. a stampa non ne rimane traccia. Ma vedi Saggio p. 17. CIV Dice il Lelio che questo sonetto fu scritto a Pandolfo Malatesta signor di Rimini e capitano famoso di quel secolo, il quale essendo ritornato alla patria dopo molte vittorie e forse desiderando d'essere celebrato dal P. ne' suoi scritti, per allettarlo, era stato egli il primo che avea mandato due pittori a posta uno dopo l'altro a pigliare il suo ritratto come d'uomo fa moso. Cosi il T: tutti i commentatori del resto danno gli onori di q. son. al Malatesta, poiché non è da far conto del dT e Fo che nominano un Pandolfo Colonna imaginario. Ma Pandolfo Malatesta conobbe di persona il P. sol del 1356, e allora volle avere di lui un secondo ritratto; e le epistole che il P. gl'indirizzo son tutte posteriori a quell'anno (Cfr. FRACASSETTI, Lettere di F. P. delle cose famigliari, XXII 1, ediz. Le Monn. Iv 412 e segg.). Rimane incerto quando Pandolfo mandasse a fargli quel primo ritratto e quando fosse scritto questo sonetto. Ma, considerando che il sonetto par accennare ad uomo ancor giovane e che ha cominciato pur ora ad esser glorioso, considerando al posto che tiene molto in su nella distribuzione antica del canzoniere, inchineremmo a dar ragione al Men. che lo riporta al 1348: « giacché (cosi ragiona il Men.) la fortuna, come dice il Muratori, non si mostrò mai tanto propizia alla famiglia dei Malatesta quanto in quell' anno. In fatti nel 1348 ebbero il dominio di Ascoli, fecero prigione Mogliano signore di Fermo dopo averne sconfitto l'esercito, e s'impadroniron d'Ancona ». Il Cesareo (p. 54-7) vuole si debba riportare all'a. 1356; che, avendo il P. assistito Pandolfo ammalato e quindi Pandolfo essendo poi andato a trovarlo a casa, era nata fra i due certa intrinsichezza; e il capitano dei Visconti aveva già di sé date molte prove rispondenti alle promesse della sua adolescenza. Noi teniamo sia il son. ancora troppo in su nella distribuzione del canzoniere, tanto da non poter calarlo a quell'anno. - V'è suq. son. una lez. di L. Bonsi letta all'acad. fior. il 6 luglio 1549 (Prose fior. Lez. vol. I). nota i vv. 1-7, 12-14. 1. virtú, A. 4 L'aspettata vertú, che 'n voi fioriva L'Alfieri 1. vertú. Sta bene questo nome generale | rava di dover venire (CV): l'adempie, reca ad significando tutte le virtú di tutte le maniere: si piglia però dagli scrittori latini spessissime volte per la fortezza o piú tosto gagliardia, cioè per quello che i toscani chiamavano principalmente negli uomini di guerra valore (Bonsi). che 'n v. flor. Si vedeva in voi in potenza, come si veggono i frutti ne' fiori (Bonsi). - 2. Nella vostra giovinezza. Per amore i giovani si destano a virtú (L). battaglia. Leopardi, Canti, x « Tornami a mente il dí che la battaglia D'amor sentii la prima volta ». 3. aguaglia. Pareggia, corrisponde a... (Bonsi). - 4. Fa che la mia speranza giugne in fino là dove spe effetto (L). a riva. Il P. usa piú volte, e solo egli, questa locuzione figurata in varı ma non del tutto dissimili significati e casi: xxx 7. Allor saranno i miei pensieri a riva» е 39 <<< gli occhi Che menan gli anni miei sí tosto a riva»: LXXXII «Ma d'odiar me medesmo giunto a riva: e CLXIV « E perché 'l mio martír non giunga a riva». 5. mi dice 'l cor. << Fert animus dice Ovid. [m. 1 1] (Cv). -6. onde. Per la quale (L). - 7.'n nulla parte. In nessuna materia, in nessuna cosa (L). Il Bonsi vuole che significhi in alcuna proporzione a colui che scrive o loda in carte. sí saldo. Cosi saldamente come in carte (L). 8 11 14 Per far di marmo una persona viva. 8. Quando anche una persona si ritragga in schiari, Se gli occhi suoi ti für dolci né cari». E il Bocc. Dec. x 10 Gesú Cristo... più volte spregiato e schernito da' farisei non se ne curava né non lasciava il bene della dottrina e de' miracoli». È anche del provenzale: Guglielmo di Montagnaguto «A! quente nella lingua del trecento. Il P., al-per que vol clercz belha vestidura? Ni per trove, CCCLXVI 165 « E, di mille miei mali un non sapea, E per saperlo, pur quel che n'avenne Fora avvenuto: Bocc. Decam. Iy 4 Assai volte avevano quella canzone udita cantare, né mai avevano potuto, per domandarne, sapere qual fosse la cagione per che fosse stata fatta». Inf. IV 4 Tanto che, per ficcar lo viso al fondo, Io non vi discernea veruna cosa». 9. Marcello, che pigliò Siracusa (G°). - 10. Paolo Emilio (L). Affrican. Scipione (L). cotali. Cosi nominati (Bonsi). - 11. per inc. Per effigiati bronzi (Bgl). né. Ovvero. Cfr. LVII 9 e aggiungi: Piú d'una volta il P. dà alla particella né altro valore che il negativo, LXXX 20 Come lume di notte in alcun porto Vide mai d'alto mar nave né legno»: CCLXVIII 77 Anzi la voce al suo nome ri que vol viure ricamen? Ni per que vol belha cavalcadura?». E forse ancora del latino: Aen. III. 192 «Ipse diem noctemque negat discernere coelo Nec meminisse viae media Palinurus in unda». per martello. Marmi in statue conversi (Bgl). - 13. Al lungo and. Del tempo (L). Notalo, ché comunemente si dice a lungo andare. Ed è meglio detto, parturendo durezza la divisione delle due 1 (T). 12-4. Il P., in un'epist. a Luchino Visconti, Famil. VII 15 «Fluxa est hominum memoria, picturae labiles, caducae statuae, interque mortalium inventa nihil litteris stabilius». Ovid. a. I x « Scindentur vestes, gemmae frangentur et aurum: Carmina quam tribuent fama perennis erit». Oraz. O. IV 8: Dignum laude virum musa vetit mori». CV La rispondenza di uno o piú versi di questa canzone, intesi bene o no, con altri passi del canzoniere e delle altre opere del P. o col suo modo di pensare o con certe circostanze della vita sua, e l'oscurità richiesta dal genere stesso del componimento (frottola), persuasero ai commentatori vecchi e nuovi strane e disparate ipotesi su l'occasione in che fosse composta e conseguentemente su 'l modo d'interpetrarla: alcuni anzi la lasciarono senza commento. I versi Io 'l die' in guardia a San Pietro; or non più no... Quanto posso mi spetro e sol mi sto, intesi allusivamente alla corte papale o a prelati per quel dare in guardia a San Pietro e per quello spetrarsi che spiegavano come un uscir di Pietro, e intesi, e qui a ragione, come un togliersi da uno stato di servitú per quel sol mi sto; e l'altro verso Intendami chi può, che m'intend' io in cui vedevano il ritegno e la paura del P. a parlare in causa dei potenti contro cui volgeva il suo dire; ed altri versi ancora, che piú innanzi avvertiremo, spinsero primi gli interpreti su la mala via, che non fu mai del tutto abbandonata, di credere che il P. volesse dire copertamente del suo allontanarsi dalla corte di Avignone o da qualche suo protettore. Ma differirono poi su le ragioni. I piú vecchi, sia che tirassero a indovinare di suo, sia che raccogliessero immaginazioni già fiorite, pensarono a donne. Il dT suppose che il P. volesse sfogare il dispetto concepito contro il cardinal Colonna per avergli questi insidiata Laura: altri, fra i quali dC, lo seguirono in questa strana supposizione, confortati forse, secondo il F°, da un supposto accenno al medesimo fatto che si troverebbe in quei versi della XXIII « io non fui mai quel nugol d'oro Che poi discese in preziosa manna Si che il foco di Giove in parte spenses e per quel son. fuori del canzon, che incom. Ahi penna, ahi lingua mia ch'in tante carte (recato dal Fo a c. 131). Il F pensò non al cardinale Colonna, ma al papa (non dice poi quale), e non a Laura ma alla sorella del p. medesimo; in questo modo: il papa innamoratosi di lei si sarebbe, molto curiosamente in vero, rivolto allo stesso P. pregandolo di mezzanità; e il P. rispose con q. canz. minacciandolo che da lui si sarebbe partito; come poi fece, dice il F, quando s' accorse che il papa aveva ottenuto il fine suo istessamente per mezzo di quel vil fratello del p. che poi si fece monaco. Anche a queste vane congetture si oppose il Fo facendo osservare che, fra l'altre cose, il P. non ebbe mai sorelle. Né aveva mostrato di darvi alcun peso il V, il quale posti da banda codesti innamoramenti vide nella canzone piú cose: cioè il ritrovarsi il p. malcontento del pontefice che non lo rimeritava secondo le sue speranze, la corruttela papale in Avignone, e Laura che co' suoi casti esempi avendo fatto in contrario alla passione di lui lo faceva sperare di potere nella contemplazione e nella solitudine la felice vita conseguire: se non che per esso V il papa sarebbe stato Giovanni xxı, il che non tornava, perché questi era morto fino nel 1334, e il ritiro del P. in Valchiusa è del '37. Quindi i commentatori cominciarono a tenere diverse strade e a spiegare alla larga. Alcuni, come il Lelio, cit. dal T, non videro altro che la detestazione del p. per la corte romana: e ciò piacque in questo nostro secolo allo Zotti, cit. dall'Ai; e all'Ai ancora parve la spiegazione piú plausibile. Altri accettarono di vedervi soltanto il dispetto del poeta verso qualche suo signore. Secondo il Fo, che reca queste opinioni, la canz. sarebbe stata fatta contro il cardinale Colonna, ai cui servigi s' era applicato dopo la morte del vescovo suo fratello; e per averne ricevuto mal guiderdone delle fatiche sue determinò di discostarsi da lui per lettere ricevute dal signor di Correggio, di gran promissione », o contro papa Benedetto da Tolosa, sempre per l'istessa causa di trovarsi il P. scontento della rimeritazione; e, raccontano, avrebbe la canz. tanto acceso d'ira il pontefice, che dando fede a un suo famigliare avrebbe voluto far abbruciare il p. per mago e incantatore, ma poi placatosi lo desiderò come suo segretario. E anche tutte queste sono chimere, e ne addita il Fo l'origine; cioè il sapersi dalla vita del p. che egli fu poi al servizio dei signori di Correggio, onde a quest'avvenimento applicavano i vv. 76-8, dicendo che il poeta piangeva de' passati suoi danni, cioè dell'aver servito senza utilità il Colonna, e rideva di quello che udiva, cioè si rallegrava per le lettere dei Correggeschi; e il sapersi dall'ep. 4 del I Sen. che il p. rifiutò poi di essere segretario di papa Benedetto. Ma già al Fo pareva che la migliore opinione fosse quella che intendeva la canz. fatta dal P. per dolersi ora di aver servito a corte indarno, ora d'aver amato Laura senza profitto alcuno, ora contr' a' costumi di corte; in parte adunque, l'opinione del Cv, che in parte piacque poi anche al Go e al Pe fra i moderni al Fw e al traduttore Fr: pareva, diciamo, questa la migliore interpretazione al Fo, ma non già che a lui soddisfacesse, come non aveva soddisfatto il dV che aveva pensato unicamente ad un colloquio del P. con Laura, nel quale essendosi mostrata essa fuor del solito superba, il P. imaginando che un nuovo amore ne fosse cagione, si sarebbe ingelosito: si che esso F ne propose una di suo, questa: «Tenuto gran tempo in dubbio, il P. si ritrovò un giorno sulla riviera del Rodano con l'amata donna e la richiese di quel che sogliono essere ricercate le donne, ed essa negò e del tutto lo escluse della speranza di conseguir da lei cosa alcuna, e fu la terza volta: e su ciò fece un dialogo [opinione pure del dV] ove introduce la ragione col senso a litigare insieme». Non tenendo conto del fatterello speciale, il Fo pone adunque che un rifiuto di Laura fosse la cagione vera che movesse il P. al comporre. E in questo senso piú largo la intesero poi nel cinquecento il Deil Cv: se non che verso la fine di esso secolo fra tante disparità si faceva strada il modo piú spiccio e piú curioso di lasciar la canzone senza interpretazione di sorta. E primo il T, anche perché aspettava il commento in allora promesso di Riccardo Riccardi, se ne cavò con un'avvertenza e con brevissime e роchissime annotazioni: fu seguito dal Mur, il quale ammoni che il miglior commento era un verso di Dante iscrittovi sopra da un antico commentatore da lui visto [forse le Annotazioni brevissime alle rime di F. P., Padova, MDLXVI] «Non ragioniam di lei ma guarda e passa »; e ultimamente dal L che, dopo aver accennato alle diverse interpretazioni de' suoi antecessori, conchiuse col dire che era un gergo da cui non si poteva trar nulla di buono; e il Cr assenti. Tal modo per altro poco prima del L non era piaciuto al Bgl, il quale anzi si vantò d'averla capita, e dietro al Cv, che quasi aveva tócco il segno, la disse un dispettoso sfogo del p. per essersi visto mal corrisposto da Laura, e in questo intendimento con larghezza l'annoto: come anche provarono di intenderla e commentarla lo Zotto e l'Ai, come di sopra si è detto. Noi venuti ultimi, crediamo col D col Cve col Bgl, che non già, secondo opinò il Bembo, sia una filza di proverbi slegati, ma che abbia un senso continuato, e che si debba spiegare, come appunto vollero quei valentuomini, per una poesia d'amore rivolta a Laura, in questo modo particolare tuttavia, prezzando ciò che al proposito avvisarono anche il Vil dV e il F.° È in due parti: nella prima (1-45) sfoga un po' di dispetto nato in lui per le altere ripulse di Laura; nella seconda (46-90) loda ciò che prima aveva biasimato e si consola, perché in tal modo To sfrenato suo desiderio ha fatto luogo ad un sentimento d'amore onesto e tranquillo che non piú gli impedisce la via del cielo. - Vi è su q. canz. un comento di Stefano Moresino (Milano, Da Borgo, 1559) e un discorso di Ubaldo De Domo (Perugia, Colombara, 1604). - L'Alfieri nota i vv. 1, 4-9, 11-2, 17, 23 e del 24° assai mi doglio, 25-8 e del 35° a me pur pare, 36, 38, 42-5, 47, 51-2, 67, 76, 78-9, 87-90. 1. Non voglio cantar mai piú sul tuono solito, voglio uscir del solito tuono: ed è modo proverbiale che dice chi non la può durar piú, chi vuolsi da una impresa distogliere (Bgl). In un rispetto popolare toscano è cosí modificato «Non posso piú cantar come soleva, Perché ho perduto il fior de la mia voce». Mai. Cv proporrebbe di leggere Ma v. - 2. altri: Laura (D), non m'intend. Non ascoltava volentieri i miei detti (D): non attendeva a me (Bgl). Ma forse è da intendersi semplicemente, Non comprendeva il mio dire. ond' ebbi scorno di questo vedere che cantavo a' sordi (Bgl). Si può intendere che egli ne restasse per ciò beffato [da Laura], o vero perché fu favola al popol tutto (F°). 3. molesto. Spiacevole agli altri (V). Si può intendere in due modi: o che io sono venuto in fastidio a Laura, ancoraché da principio mostrasse d'aggradire il mio amore; o che ella, che è b. sogg., m' è di molestia per l'asprezza che mi usa (Cv). Uno può essere molestato anche in b. sogg.; ovvero, e anche in b. sogg. può essere molestia, perciocché tra le gioconde viste puossi pur incontrare alcun soggetto di noia; pe 'l quale parlar coperto intende ferir Laura, quasi dica E poi L. non è forse quella rara cosa che mi figuro (Bgl). 4. so spirar. D'Amore, nulla rileva. Nulla giova ed a niuna cosa è utile (D). Altrove, CCLXIV 9 « Ma in fin a qui niente mi rileva Prego o sospiro o lagrimar ch'io faccia ». Questo si dice da coloro che piangono i morti, o di coloro che sono caduti in pericolo e si dolgono quando sarebbe da lasciare le lagrime e da prendere alcun partito d'uscirne (CV). 5. Già per lo capo e per le tempie nevica, cioè biancheggiano i capelli canuti, ad imitaz. di quel v. da Quintil. [VIII 6] addutto <Iuppiter hibernas cananive conspuit Alpes [il qual v. da Oraz. prese, Sat. II 5 « seu pinguis tentus omaso Furius hibernas cana nive conspuet alpes» (Cv) ma per modo di satireggiare Furio]; e ben ch'egli dica esser troppo dura e di lontana similitudine recata la metafora capitis nives invece dei peli bianchi, non di meno da quella età molle già s'era fatta, o vero meno dura [già in Oraz. o. Iv 12 « et capitis nives (Cv)); e qui dove ad arte oscuramente si parla, dicevolmente s'è posta (G°). Il P. stesso [Rer. Mem. II III 7] « comam permixta canitie flavescentem perfusam mulso nivem appellavit (Cv). neva. Da nevare. Dante, Conv. I 58 « Nevato è sí ché tutto cuopre la neve». Alamanni, Coltiv. Iv 587 « quando piú neva». 6. è già pr. al g., figurando il lungo tempo che è stato nell'errore, cioè nell'ingannevole speranza di riuscire nell' impresa di farsi amare da Laura (Bgl). Trovandosi di età forse maggior di 35 anni, nella virilità, nella quale gli uomini togliendosi da cose vane e disutili, danno opera a cose onorate (dv). È già il fine della sua vita [cfr. i vv. 40-5], come altrove [CCCLXVI] « Il dí s'appressa, e non puote esser lungi >>> (D). desto. Parendoli che sino allora avesse dormito, non avendo fatto alcun frutto dell' amor suo (Mor). É tolto da coloro che dormono mentre è notte, e il dí si destano. Paolo Rom. XIII 11 <<< Praesertim cum sciamus tempus quod tempestivum sit nos jam a somno expergisci » e poco appresso, 12 « Nox progressa est, dies autem appropinquavit. Abiicimus igitur etc. (CV). - 7-10. Tende a sminuire il merito di quelle cose ond'era prima invaghito tanto, e cerca scemarne lo splendore coll'opposizione del loro contrario; come diresti, per es., di donna che fosse tale: è bella sí, ma troppo ritrosa e superba (Bgl). Quantunque gli atti dolci e piacevoli siano cosa gentile, pure si può comportare a donna amorosa [che ispira amore] che vada in vista [nell'apparenza, negli atti] alt. e disd., per non dare ardire altrui di assecurarsi troppo e dimesticarsi con lei; ma che l'andar sup. e ritr., com'ella si era mostrata a lui, non le stava bene (dv). alt. e disd. Purg. VI 61 |