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Cosi carco d'obblio,

Il divin portamento

E'l volto e le parole e 'l dolce riso

M'aveano, e sí diviso

Da l'imagine vera,

Ch'i' dicea sospirando

- Qui come venn' io, o quando?

Credendo esser in ciel, non là dov' era.
Da indi in qua mi piace

Quest' erba sí, ch'altrove non ho pace.
Su tu avessi ornamenti quant' hai voglia,
Potresti arditamente

Uscir del bosco e gir in fra la gente.

67. Poresti, il ms. origin. vaticano.

gia di fiori che le cadeva sopra (L). Dante, Purg. xxx 28, vede Beatrice scendere «dentro una nuvola di fiori». Il Poliz., Giostra 1 122, imitando dice: «Di rose sopra lor pioveva un nembo ». 48-9. Le chiome pareano, a vedere, oro forbito pe 'l color biondo e perle per gli fioretti bianchi che si fermavano sopra (Ai). 11 Salvini dice che il dottissimo e giudiziosissimo Carlo Dati lo spiegava per gli spruzzi dell' acqua rimastagli sopra dopo bagnatasi. Il Go intende del collo piú che perla candido. Il Quarta e altri spiegano I capelli biondi, ne' punti ove la luce si riflette, non si veggono piú biondi, non paiono piú oro forbito, ma d'un colore bianco lucido, simile a quello delle perle ». T. Tasso, G. 1. IV 74. «E le nascenti lacrime a vederle Erano a' rai del sol cristalli e perle ».

ve ne è alcuno, è conceduto di poter mi-
rare cosa divina o mai piú non veduta: onde
disse in XXIX quella in cui l'etade Nostra
si mira, la qual piombo o legno Vedendo è
chi non pave» (D). - 56-61. Il divino porta-
mento della persona, il volto, le parole e 'I
soave riso di lei m' aveano si fattamente
carco d'oblio [m'avevano cosí fatto scordare
di me stesso] e cosí diviso dalla immagine
vera, cioè alienato dalla vera opinione, dal
concetto vero, dal conoscimento di ciò ch' io
vedea, per modo che io dicea sospirando
(L). 65. Q. erba. Questa riva erbosa dove
Laura sedé. - 66. Parla alla canz., Se tu
fossi cosí acconcia e adorna come desidere-
resti di essere (L). Il Casini vorrebbe inten-
dere « Se tu fossi bella come sei affettuosa,
se i pregi dello stile fossero adeguati all' in-

-51-2. Errando leggiadramente o aggiran-tensità del mio desiderio, che tu esprimi». dosi vagamente per l'aere. 51. spavento. 68. Uscir del bosco. Questa e l'antecedente fuCome sogliono esser quelli ai quali, se purrono composte nella solitudine di Valchiusa.

Sino il Mur diviene, nel suo commento, poetico: Siccome nelle ottime dipinture di qualche bel paese, ove appariscano e alberi fronzuti e cascate d' acque e simili altri dilettosi oggetti, si sente al mirarli un non so che di fresco e ci par proprio di trovarci al rezzo; cosi in q. canz. sensibilmente si fa provare ai lettori parte una certa tale evidente amenità e parte una tale occulta tenerezza d' affetto che altrove indarno se ne spererà altr' e tanto ». Il Voltaire, ne

cap. LXXXIII degli Essais sur les moeurs, dopo detto che in Dante ma piú nel P. si trovano ■ in gran numero tratti simili a quelle bell' opere degli antichi, i quali hanno a un tempo la forza dell' antichità e la freschezza dei moderni, si provò a tradurre per dare qualche pallida idea della indole poetica del Petrarca, di quella dolcezza e morbidezza elegante che è la particolarità sua il principio di questa canzone. Ahimè!

Fu imitata da Ang. Poliziano nella sua che inc. Monti, valli, antri e colli. Ant. Cesari la tradusse in elegi latini (Rime gravi, Verona, Libanti, 1823) troppo materialmente per prete autore di una vita di Cristo: egli non ha da vero scrupoli a far bagnare Laura:

O fons Bandusiae, gelida mellitule lympha,
corpus ubi vitreis Delia lavit aquis;

tuque nitens patulis arbor pulcherrima ramis,
qua fulsit niveum candida nympha latus;
vosque aurae testes, cum iam labefacta medullis
pectore languidulo lumine perdomuit.

Questo non è tradurre: è pigliare un pretesto per dire in latino sguaiataggini e smancerie che il P. non avrebbe mai pensato in verso italiano. Altra versione latina recente, pure in distici, di G. B. Mattè, è ricordata nel foglio periodico Il Baretti [1873, no 35]. Nel sec. XVI meglio tradussero in metri catulliani M. Ant. Flaminio e il men noto Flaminio Rai pratese n. nel 1556. Questi avea verseggiato in latino tutto il canzoniere, e il lavoro andò perduto: ma la versione di Chiare fresche e dolci acque conservata in un ms. della Roncioniana di Prato [R'. VI, 10, 355] fu ultimamente pubbl. dal sig. Alfr. Giannini [Alba, Vertamy, 1895]. Escoñe il principio:

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Piú elegante e poeta il Flaminio, il quale parve al T. tradurre « con leggiadria grandee il B giunse a dire «non tanto è da lodare le canz. sendo di mess. F. P. toscana quanto da ammirare questa del Flam. latina ».

O fons Melioli sacer,
lympha splendide vitrea,
in quo virgineum mea
lavit Delia corpus;

tuque lenibus enitens
arbor florida ramulis,
qua latus niveum et caput
fulsit illa decorum;

et vos prata recentia
quae vestem nitidam et sinum
fovistis tenerum uvida
laeti graminis herba;

vosque aurae liquidi aetheris,
nostri consciae amoris, ad-
este, dum queror atque vos
suprema alloquor hora.

CXXVII

Canzone di lontananza. - St. 1a propone l' argomento. Perché il narrare l' istoria de' suoi martiri gli allevia il dolore, egli la dirà: Lontano da Laura, egli in tutte cose vede la bella immagine di lei. 2a Dopo detto che questo perpetuo ricordarsi della sua donna è la sola cagione per cui si mantenga vivo nella lontananza, passa ad enumerare alcuni dei fenomeni che gli destano i ricordi. E incomincia dalle tre stagioni dell' anno, primavera, estate, autunno; che gli dan somiglianza delle tre età di Laura, puerizia, giovinezza, età matura. (Cfr. Ovid. met. XV 199-213). 3a Rallarga la similitudine della primavera. L' erbe le viole e le benigne

stelle che accompagnano detta stagione gli riducono a mente i colori delle vesti e i costumi di Laura giovinetta quand' egli la prima volta la vide. 4 Dice che vista di lontano la neve sui colli percossa dal sole lo fa ripensare al viso e ai capelli della sua donna. - 5a Pone tre similitudini. La prima è delle stelle sfavillanti dopo notturna pioggia, cogli occhi di Laura piangenti sotto il velo: la seconda è del levare del sole, con l'apparir di lei la terza è del tramontare, col suo dipartirsi. 6a Fa comparazione di un vaso d'oro pieno di rose bianche e vermiglie, co'l viso ei capelli della donna sua: poi dice che la vista di un prato fiorito gli rammenta il luogo e il tempo del suo innamoramento. - 7 Si scusa d'arditezza per aver tentato di enumerare in quante cose gli pareva di veder Laura. Ha tentato l'impossibile: Laura gli è presente in tutto. - Nella chiusa dichiara che ciò che ha detto è poco in rispetto del molto che avrebbe voluto dire: ma parla per isfogo del suo dolore, per conforto della sua vita, non per altro (cfr. sopra i vv. 1-18). L'Alfieri nota tutto.

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In quella parte dove Amor mi sprona
Conven ch'io volga le dogliose rime,
Che son seguaci de la mente afflitta.
Quai fien ultime, lasso!, e quai fien prime?
Colui che del mio mal meco ragiona
Mi lascia in dubbio; si confuso ditta.
Ma pur quanto l'istoria trovo scritta
In mezzo 'l cor, che si spesso rincorro,
Con la sua propria man, de' miei martíri
Dirò; perché i sospiri,

Parlando, han triegua, et al dolor soccorro.
Dico, che, perch' io miri

Mille cose diverse attento e fiso,

Sol una donna veggio e'l suo bel viso.
Poi che la dispietata mia ventura
M'ha dilungato dal maggior mio bene,
Noiosa, inesorabile e superba,

Amor co 'l rimembrar sol mi mantene.

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1-3. In q. p. Cioè, verso Laura. mi sprona. Viene a dire: io mi trovo costretto a cantare, a prendere per materia delle rime, Laura e l'amor mio (L). 3. Ex abundantia cordis os loquitur. Matth. XII 34. - 4. Stat. Sylv. I III 31 « Quid primum mediumve canam? quo fine quiescam? >>> 5. Colui. Il pensiero amoroso o l'Amore stesso (T). — 6. Mi 1. in dubbio donde io debba incominciare e dove finire (L). confuso. Confusamente per la moltitudine delle cose (Cv). ditta. Detta, parla. Dante, Purg. XIV 12 «ne consola e ne ditta Onde vieni e qual se' ». 7-10. Ma pur dirò la istoria de' miei martiri, per quant' io la trovo scritta con le sue proprie mani [d'Amore] in mezzo del cuor mio, la qual istoria cosi spesso rincorro (verbo formato da recurro) riveggo all'innanzi e all' indietro (T). Virg., di Didone, [Aen. II 3] Multa viri virtus animo multusque recursat Gentis honos». Rincorrere, che in questo senso direbbesi piú comunemente e forse meglio ricorrere, qui

valeriandare o ripassare con la memoria, rimettersi in memoria: Giamboni, nel Volgarizz. della miseria del'uomo pag. 37 <<< Come ruguma il bue il cibo che piglia, cosí dee l'uomo rincorrere quel ch'egli ha già imparato, e il Varchi nel volgarizz. de' Beneficii di Seneca III 5 Certi altri benefizii minori caggiono altrui della memoria, perché noi non gli rincorriamo di mano in mano ». 11. et al dol. socc. E perché parlando soccorro al mio dolore, cioè alleggerisco il mio dolore (L). Cfr. XXIII 4.-12-3. Per quante cose diverse io miri, Per mirar ch' io faccia mille cose diverse (L). 13-4. Que sola leis veg, aug et esgar >> disse Giraldo di Borneil. Altrove [CXXIX 38] il P. stesso «In tante parti e sí bella la veggio, Che, se l'error durasse, altro non cheggio (T). - 15. ventura. Fortuna. 16. magg. m. b. Laura, della quale non ho bene che reputi maggiore (CV). 17. Si riferisce a ventura del 15. Noiosa. Fastidiosa. 18. Amore mi

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Onde, s'io veggio in giovenil figura
Incominciarsi il mondo a vestir d' erba,
Parmi vedere in quella etate acerba
La bella giovenetta ch'ora è donna:
Poi che sormonta, riscaldando, il sole,
Parmi qual esser sòle
Fiamma d'Amor che 'n cor alto s'endonna:
Ma, quando il di si dole

Di lui che passo passo a dietro torni,
Veggio lei giunta a' suoi perfetti giorni.
In ramo fronde o ver viole in terra
Mirando a la stagion che 'l freddo perde
E le stelle migliori acquistan forza,
Ne gli occhi ho pur le violette e 'l verde
Di ch'era nel principio di mia guerra
Amore armato si ch'ancor mi sforza,
E quella dolce leggiadretta scorza
Che ricopria le pargolette membra,
Dove oggi alberga l'anima gentile

25. se 'ndonna, A. 31. miglior, ms. origin. vatic. e A.

sostenta [tiene in vita [G°)] solo colle re-
miniscenze, colle rimembranze; cioè di Lau-
ra (L). -19-28. Rassomiglia le stagioni del-
l' anno alle stagioni dell'età di Laura, cioè
la primavera alla fanciullezza, la state alla
gioventú e l'autunno all' età perfetta che
noi chiamiamo virilità. Non paragona l'in-
verno alla vecchiezza, perché Laura non in-
vecchio (T). O perché non era vecchia al
tempo in cui il P. fece q. canz. 19. in
giov. fig. Per gli alberi e per l'erbe che
sono giovinette in primavera, e somiglianti
in certo qual modo a giovenile figura d'uo-
mo. Dante, Inf. xxvI 1 « giovinetto anno »
(Cv).
21. in quella. In simile (CV). acerba.
Immatura. 22. Se non la chiama donna

13 << un'arena arida e spessa Non altramente
fatta che colei Che fu da'piedi di Caton
soppressa». 29-37. Se vede fronde in ra->
mo o viole di primavera allora che i nuovi
ramoscelli e le frondi sono teneri e verdi e le
viole piú vaghe, si ricorda e del vestire che
era verde, e delle viole di che era ornata
(cfr. cv 61], e della pelle tenera [il Br in-
tende della veste, ma sarebbe ripetizione]
che è come novella scorza verde al ramo
delle membra, e delle maniere umili che
sono come frondi tenere dell' anima. Adun-
que le frondi cuoprono il ramo e la scorza
il veste; la vesta cuopre il corpo, la pelle
cuopre le membra, i costumi cuoprono l'ani-
ma (Cv). 30. Mirando io nella stagione

rispetto all' età, questo è titolo di mari-nella quale ecc. Cfr. cxxII 10. perde della sua

tata (T).-23-5. Quando il sole sormonta, cioè monta su via via, riscaldando (che è al tempo della state), io lo assomiglio a una fiamma di amore che a poco a poco s' endonna, cioè si fa signora, di un animo alto, cioè grande e nobile (L). s'end.: Dante usò q. verbo nello stesso significato ma colla particella di, Par. vII 13 «Ma quella reverenza che s'indonna Di tutto me».-26-8. Quando il giorno duolsi di quello, dico del sole, che tornando passo passo in dietro lasci lui vincere dalla notte, che è quanto dire in autunno, io veggo Laura giunta all'età matura (L). 27. Di lui che. Uso non comune del pronome personale. Inf. XIV

forza, manca. Lud. Martelli opere 1548 c. 55 «Vie piú caduce e frai che non è'l verde Ei vaghi fior quando la state perde ». 31. le st. migl. Venere, Giove, la Luna e il Sole. Ma il T dice che ciò può essere vero per il sole, non rispetto a lui ma rispetto a noi, allungandosi i giorni; ma non per le altre. -34. Cioè le viole e il color verde aiutò mirabilmente la bellezza di Laura in guisa, che, piú bella parendo, Amor si trovò armato di queste cose (CV). mi sforza. Cfr. cxxV 14-5. 36. le parg. m. Le tenere membra di Laura giovanetta (L). - 37. oggi. Questa voce mette difficoltà, parendo o che allora l'anima di Laura non informasse

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quelle membra o che non fosse gentile: ma vuol dire che allora non era cosí perfezionata (T). 39. sí f. mi rim. Sí viva e gagliarda ricordanza nasce allora in me. Si riferisce alle parole del 32 ne gli occhi ho pur (L). 40. portamento. È l'armonia intera degli atti nei quali piú espeditamente l'anima si manifesta; e nella parola umile, piú ancora adoperante pe 'l trasponimento dell'accento dalla prima sulla seconda sede, si dimostra che ombra d'alterezza o su

la memoria di quegli occhi, pe'l desiderio che accende in lui, lo fa disfarsi in lagrime; il che non gli avviene da presso, perciocché il lume ch' ivi risplende gli abbaglia il viso e gli travolge la mente; vale a dire che co'l senso tutta l'anima a sé tira. Onde per soverchio d'allegrezza diveniva tale, che 'l suo corpo, lo quale era tutto allora sotto il suo reggimento, molte volte si movea come cosa greve inanimata. Cosí spiega Dante [V. N. XI] il mistero (Bgl). -49-56. Nel qual viso, tra il

perbia non fu mai in quella (Bgl). Ma altro-color bianco della carne [della gola e del pet

ve [CCLXVII], «Oimè il leggiadro portamento altero». - 41. allor. Nella prima giovinezza di Laura e nel principio della mia passione amorosa (L). anz. g. ann. Piú prestamente che a proporzione degli anni (L). Virg. Aen. Ix 311, di Iulo «Ante annos animumque gerens curamque virilem». 42. I costumi di Laura schifi eran cagione degli affanni; e perché eran dolci e nobili,

to (T)] e il dorato dei capelli, sempre si mostra, cioè apparisce, quello che, per quanto io credo, non fu mai veduto da occhio mortale eccetto che dal mio (vuol dire la bellezza interna e le perfezioni dell' animo di Laura); quello, dico, che m'infiamma d'un desiderio ardente; e ciò avviene allora che, sospirando io, ella sorride: il qual desiderio è tale che niente apprezza obblio, cioè non

eran cagione che egli s'appagava di lan-teme di mancare, di venir meno, ma diventa

guire per tal donna (Cv). 43-6. La neve percossa dal sole gli torna a mente il viso di Laura, e spezialmente la fronte bianca percossa da ciocchette di capelli simili al sole. E prende la neve per li colli, perché gli torna a mente la bianchezza del viso di Laura; e di lontano, perché da vicino non appare quell' aureo colore (Cv). - 46. Pens. Cioè mi strugge facendomi pensare ec. (Alf). nel. Potrebbe questa frase indicare un pensiero, una considerazione piú intensa della solita frase pensare al (Ambr).-47-8. Dice che

eterno. Cosi il L che seguiva la lez. i' sospirando. Ma dacché l'i' mancava nel ms. origin. vaticano (e manca pure in A), è assai meglio riferire con CvoTil sospirando a Laura, quasi che al P. paresse che la donna sospirasse per lui. -51. Occhio. Sente quel di Paolo, Cor. II 9, «Neque oculus vidit neque auris audivit neque in cor hominis ascendit >>> (Cv). 50-1. Giusto de' Conti In voi si mostra quel che non comprende Al mondo altro intelletto se no 'l mio ». 56. Il caldo desio del P. non può essere scemato perché Laura

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