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Mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!

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La vita el fin e'l di loda la sera.
Ché, sentendo il crudel di ch'io ragiono
In fin allor precossa di suo strale
Non essermi passato oltra la gonna,
Prese in sua scorta una possente donna
Vèr' cui poco già mai mi valse o vale
Ingegno o forza o dimandar perdono.
Ei duo mi trasformaro in quel ch' i'sono,
Facendomi d'uom vivo un lauro verde
Che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec' io, quando primier m' accorsi
De la trasfigurata mia persona,
E i capei vidi far di quella fronde
Di che sperato avea già lor corona,
E i piedi in ch'io mi stetti e mossi e corsi
(Com' ogni membro a l'anima risponde)

Et come in me provato l'ho ben poi, mentre il D che non reca questo conciero dà questi altri E come in me provato l'ho buon tempo, E come ahimè provato ec.: « sopra il qual verso è scritto, dice il D, Placet, ma non gli compiendo però in tutto il piacere soggiunse Né rompea il sonno, e quel ch'in me non era, et anco sopra questo è scritto magis placet; vel aimè hoc placet rautius sed at'j., MC. - 30. Che son lasso et che fui! vel, Oimè che son! che fui, OV D. IL D vi frappone Or che sono e che fui! -31. La vita al fin, OV A. 32. (vedendo) sentendo, OV D.

33. In sin, Ov. 34. passata, OV. 35. una leggiadra, OV D. 43. Et vidi i capei far, ον. -44. sperata, OV.

affanni e le smanie d'amore (L). Il D toccan-sità e la costanza dell'amor suo: la prima, do dei molti mutamenti che q. verso ebbe a soffrire, dice che l'ultimo «avanzò tanto e intorno al numero e intorno al senso, quanto piú ancóra venne a meglio congiungere e legare insieme il v. che gli sta dinanzi con quello che gli vien dietro; oltra che più espresse l'amorosa passione ». - 31. I commentatori che lessero al în come prima aveva scritto il poeta prendono toda per 2a pers. dell' imperat.; 1' ultima lezione richiede che invece loda sia 3a dell' indic. È traduzione in somma di quel d' Ovidio, Her. II Exitus acta probat». 31. passato. Se non è errore del copista, e il P. volle di suo sostituire al passata, che prima aveva scritto, questa nuova lezione, bisogna dire che è molta libertà di sintassi. gonna. Veste in generale. Cfr. XXVIII 41. Qui metaf., come in Orl. fur. XXXVIII 4 « uno amante a cui non lieve Colpo d'amor passò piú là del manto ». 35. in sua se. In rinforzo, in aiuto. possente. La 1a lez. leggiadra fu mutata ragionevolmente, trattandosi di persona presa in aiuto. - 38. Ei. Parad. III 65 « ei vengon piano». duo. Amore e Laura. 39-40. Vuol significare l'inten- | [nel luogo ove trovò Laura] rapior; dulcisque

dicendo di essere stato trasformato nella
persona della sua donna (Tr. am. 11 162];
l'altra, dicendo che egli, come fa il lauro,
non perde mai foglia (L). Parad. xvIII 30
«E frutta sempre e mai non perde foglia».
Trasformatosi il P. in Laura si trovò tra-
sformato anche in alloro, per la solita con-
taminatio che egli fa di Laura é di Dafne.
Cfr. particolarmente l' ecl. III: alle pre-
ghiere di Stupeus [il P.] Daphne [Laural
risponde « Quem Phoebum sprevit, quem
non spretura putetur? » e « Quot placuit mea
forma viris, quot torsit amantes Dinumerare
piget; placuit super omnia Phoebo».
41. Qual mi fec' io nell' animo e nel pen-
siero! primier. Sono due avverbi di questa.
forma volentieri e primier, che vengono da
voluntarie e primarie, gittato e (CV). -
46. Com'. Lo danno per equivalente a peroc-
ché, ma significa relaz. e risponde a un
tacito cosí, a l'anima che era nel p., non
piú razionale d' uomo, ma vegetativa di
lauro (P), poiché appena si affisse in Laura
restò tutto assorto in lei spregiando cio che
prima gli era piú piaciuto: ecl. x « Hue

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Diventar due radici sovra l'onde

Non di Peneo ma d'un piú altero fiume,
E'n duo rami mutarsi ambe le braccia!
Né meno ancor m'agghiaccia
L'esser coverto poi di bianche piume,
Allor che folminato e morto giacque.
Il mio sperar, che troppo alto montava.
Ché, perch'io non sapea dove né quando
Me 'l ritrovasse, solo, lagrimando,
Là 've tolto mi fu, dí e notte andava
Ricercando dal lato e dentro a l'acque;
E già mai poi la mia lingua non tacque,
Mentre poteo, del suo cader maligno;
Ond'io presi col suon color d'un cigno.
Cosí lungo l'amate rive andai,
Che volendo parlar cantava sempre,
Mercé chiamando con estrania voce:

r

a

47. Mutarsi in due radici presso l'onde, OV D; ma il D aggiunge che accanto al verso vi è, dopo un vel, l'ultima lez, con l'hoc placet. - 49. Et rami diventar ambe, OV. - 50. Ma via più ancor, OV D. 52. fulminato, A.

semel postquam attigit umbra [del lauro], Omnis in hunc vertor; cessit mea prima voluptas. Rusticus ardor erat, qui me mortalia prorsus Oblitum immemoremque mei meminisse iubebat Hanc unam curasque et totum volvere tempus». Il traduttore tedesco Fr nota « In una scrittura tedesca, de' tempi del P., su le malattie (v. Hoffmann, Fundgruben für Gesch. deutsch. Spr. u. Lit. Abth. 10) dicesi, in un paragrafo che tratta l'amore come un morbo: « Quando il corpo segue l'anima ed a lei si sottomette, l'anima nuoce al corpo nelle sue funzioni ». - 47. Non senza allusione, come nota il Cv, al suo lungo fermarsi in quel d'Avignone, egli che pur tanto desiderava l' Italia e i viaggi. sovra. Presso. Inf. xXIII 95 << io fui nato e cresciuto Sovra il bel fiume d'Arno ». 48. Non di Peneo. Fiume di Tessaglia su le cui rive Dafne fuggendo alle voglie di Apollo fu cangiata in lauro: della qual trasforınazione narrata da Ovid. Met. I 550 («In frondes crines, in ramos brachia crescunt, Pes modo tam velox pigris radicibus haeret») è ricordanza questa del p. un piú alt. f. Rodano. 50. L'altra lez. Ma via più ancor m'aggh., nota il D., stava male per quelle tre particelle una dopo l'altra d'una sola sillaba, per ciò la mutò.

51. Il ripensare come fui poscia coperto ec. (L). 52-53. Il p. sperò di godere Laura: la quale speranza gli fu tolta da lei. Finge adunque che sia stata simile a Fetonte; il

54. perch'i', ον.

quale siccome innalzandosi troppo fu fulminato da Giove, cosí la sua speranza fu fulminata dallo sdegno di Laura. Nella guisa. che Cigno, zio di Fetonte, l' andò cercando e piangendo intorno al Po ed al fine fu convertito in uccello di quel nome, cosí il p. affannandosi per la passione della ripulsa divenne canuto e pianse la morte della sua speranza intorno al fiume (Cv). 55. ritrovasse. È piú consentaneo alla primitiva desinenza latina e se ne vedranno del P. altri esempi. - 56. Là 've. Alle spiaggie di Rodano e di Sorga ove solea trovar Laura (G°). 57. Ricercando. Investigando qual altra via per venire al suo disegno potesse tenere e nessuna trovandone (V). Cosí Cicno ricercando il corpo di Fetonte « ripas virides amnemque querelis Eridanum implerat silvamque Ovid. Met. II 371. - 59. Mentre p. Fin che poté parlare; perché nella seg. st. vedremo come Laura gli tolse la voce (G°). del s. cad. m. Dell' infelice caduta della mia speranza (L). maligno, in senso d'infelice, è nuovo in italiano e latino: forse unico. - 60. col suon. Poeta dimostra che diventasse, come ancora di sé Orazio o. II 20 et album mutor in alitem Superne >> (D). color d'un c. Accenna alla canutezza. cominciatagli fin da' 24 anni: Sen. VIII 1. -62. Ovid. Trist. IV 10 « Quicquid conabar dicere versus erat ». - 63. Mercé chiam. Chiedendo pietà e guiderdone. Purg. XXIX 39 «Ragion mi sprona ch'io mercé ne chia

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67. Qual fu al sentir, vel Qual fu il sentir, vel Qual fu a sentir ec., hoc placet, D: OF ha soltanto la 2a lez. 69. (vel dolce superba), OV. - 72. Costei che, OV.

mi. con estr. v. Non d'uomo ma di ci-pendere il periodo dal mi coce del v. an

tec. e spiegano: Ma molto piú mi coce il ricordarmi di quel che per innanzi è bisogno ch'io dica intorno alla dolce ec.

gno (L). Per essere il p. toscano e Laura francese (dC). Peregrina, dolce e soave: altrove « E qual strania dolcezza si sentia >>> (CV). 61. tempre. Accenti (G°). Note armo-- 72. gli animi f. Samuel, II 15 « Furatus

niche, da tempo, che vale anche misura di armonia. Purg. xxx 94 « intesi nelle dolci tempre Lor compatire a me » [gli angeli cantanti]. 65. Risonar. Esprimer cantando (L). Tien di quel di Dante, Parad. xxv 31 «Fa risonar la speme in questa altezza». 67. coce. Sopra << Né meno ancor m'agghiaccia >>> (Salv). Aen. VII 315 «ardentem curaeque iraeque coquebant». Boezio De cons. ph. 11 pr. 4 <<< hoc est quod recolentem me vehementius coquit». Vuol dire: Qual fu allora la mia pena a sentirla, poiché il sol ricordarla mi cruccia! 68-70. Ma bisogna ch'io dica di Laura cose molto maggiori di quelle che ho dette innanzi; benché questo che ho a dire sia tale che vinca ogni parlare, cioè non si possa ben dare ad intendere con parole (L). Si nota che per innanzi dal Bocc. e da altri è usato a significar tempo a venire: e qui valga la spiegaz. del T «È vero che la frase per innanzi significa tempo avvenire, ma rispetto però al punto di che si tratta. Avendo il p. esagerato la sua trasformaz. in cigno e volendo seguitar narrando quello che dopo gli venne di peggio con Laura, dice: Ma, della dolce ed acerba mia nemica, di quello ch'è per innanzi, cioè di quello ch'è stato dopo e che m' è avvenuto dopo quella trasform., è bisogno ch'io dica molto di piú; benché ec.». Singolare, ma non risibile, è la interpret. del V e del P: essi leggendo di quel che per innanzi (senza il verbo è, di cui non è segno nei codd.) fanno di

est Absalon cor virorum Israel ». Ovid. Art.
am. 1 243 «Illic saepe animus iuvenum ra-
puere puellae ».
73. Intendono i piú di
qualche dimostrazione fatta da Laura al
p. che l'amor suo le piacesse con divieto
tuttavia di parlarne: Br, ch'ella gli toglies-
se il cuore dal quale uscivano le voci e i
sospiri comandandogli che non facesse piú
parola di tali cose d'amore: G°, che gli
togliesse quasi ogni vigore e ardimento di
pur lamentarsi e di racquistare speranza.
DV spiega: con mirarlo solo s'avvide del-
l'animo suo, e conobbe quel che avea nel
core per dirle; onde gli disse che di ciò
non ardisse parlarne. 75. in altro ab. In
aspetto piú benigno del consueto (L). Abito
doppiamente si prende cosí per quello del
corpo come dell' animo (D). Or prende la
favola di Mercurio e di Batto, la quale è di-
stesa appr. Ovid. [Met. II 685 e segg.] ed
è in poche parole tale. Fura Mercurio gli
armenti ad Apollo, e si conviene con Batto,
ch'era presente, che non lo scopra. Mercurio
poi si trasforma, e promette a Batto guider-
done se gli scopre il furto; egli il fa, ed è
mutato in sasso (CV). 77. Anzi, cogliendo
il tempo, perch'ella era sola e mi parea piú
cortese, le scopersi il mio desiderio (L).
pien di p. Inf. v 136 «La bocca mi bació tutto
tremante». 78-80. Ma ella, ripigliando su-
bito il solito suo rigore, mi cangið in un
sasso semivivo e sbigottito. Vuol significare
quanto fosse grande la confusione e lo sbi-

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La penna al buon voler non può gir presso,
Onde piú cose ne la mente scritte
Vo trapassando, e sol d'alcune parlo,
Che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al core avolta,
Né tacendo potea di sua man trarlo
Q. dar soccorso a le vertuti afflitte:
Le vive voci m'erano interditte:
Ond'io gridai con carta e con inchiostro:
Non son mio, no; s'io moro, il danno è vostro.

80. D'un freddo (in), OV, e 'n vista sbigott., OV D. - 81. Ella parlava si che là ov' io era, OV D. 82. Tremar mi facea dentro a, OV. 83. Odendo, OV. 85. noiosa o fera, OV D. 95. La morte m'era sempre al core, OV D. 96. potea (da lei, scamparlo) vel (vedea come indi trarlo) vel potea di sua man trarlo, OV D. 97. O dar conforto, vel O dar soccorso, OV D. - 99. Però con una carta, vel con breve carta, OV D: D reca pure con un vel l' ult. lez. 100. Dissi accorrete, donna, al fedel vostro, OV e Dil quale con un vel reca anche l'ultima lezione.

gottimento che provò per lo sdegno mostra- | se. Non volendo ella supporre il p. capace di

to da Laura all' udire quella richiesta (L). Di sotto sarà trasformato in dura selce; e per ció, a differenza di quella trasformaz., dice essere stato fatto ora d'una pietra quasi viva (Cv). - 80. Sulla 1a lez. D'un freddo e 'n vista sb. e sulla correzione fatta dal p. ragiona il D cosí: «Poco dicea a dir freddo, perché non è meraviglia che un sasso sia tale; ma è ben meraviglia che uno artefice vaglia tanto che possa far parer un uomo di sasso, vivo; però disse D'un quasi vivo

tale opinione di lei (Bgl). - 84-6. Se costei mi libera da questo esser di pietra [o col tornar benigna o coll'allontanarsi (Ai)), ogni vita, per dura e misera che sia, mi parrà dolce a paragone dello smarrimento e del travaglio che provo adesso. Torna, Amoré, a farmi piangere come soglio; cioè: lasciami tornare alla mia vita trista, che pure è assai. piú comportabile di questo mio stato presente (L). - 89. tra v. em. Lat. semianimis. Inf. XXXIV 25 « I' non fui morto e non ri

e sb. s., volendo inferir che parea una ima-masi vivo». Vedi P. Vettori nelle Var. Les.

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(Salv). 91. Non può scrivere tutto quel ch'io vorrei (L). Dante, Rime « Alla voglia il poter non terrà fede». - 92. Dante, Rime <<< Secondo che si trova Nel libro della mente che vien meno, e cfr. Inf. II 6e Parad. xvII 91.95. Espression forte a dimostrare l'angoscia (Bgl). - 96-7. Se mi fossi taciuto, non avrei potuto né campar da morte né dar conforto agli spiriti compressi. - 98. vive v. Il favellare a bocca (T). 99-100. Mi diedi a

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103. spene a ciò mi fece ardito, OV D: D con un vel poi l'ult. lez. 105. Talora emfiamma, OV. et io'l provai ben poi, et io il seppi da poi, OV: D pone il vel avanti il 2o abbozzo, poi, dopo un vel, l'ult. lez. iscrittovi sopra hoc placet. - 107. Che'l (bel viso) a quei preghi era, Che'l (mio lume): il D oltre ai 2 concieri l'altro, vel che 'l mio bene, poi l'ult.

lez.

108-9. Et io seguia 'I mio lume intorno intorno, Et io non ritrovando intorno intorno, Ma de' suo piè non ritrovando un' orma, ombra di lei o de'suoi piè ql..., vel né pur de' suoi, OV. 115. Né sotto al sol già mai neve, OV.

vestito. Continuando la metaf. del lume dirà
piú sotto raggio,
110. Che andando s'ad-
dormenti in guisa che si getti in sulla strada
né guardi che vi sia buono o reo essere (Cv).

112. Dolendomi che il lume de' begli occhi
di Laura mi fuggisse.
113. S. Agost. Con-
fess. VIII 12 « Ego sub quadam fici arbore
stravi me..., et demisi habenas lacrymis, et
proruperunt flumina oculorum meorum ».
- 115. Né mai neve si liquefece al sole cosi
compiutamente come io ec. (L). Parad.
xxxIII 61 « Cosí la neve al sol si dissigilla ».

scrivere e far versi (L). Scrisse una lettera | meglio quanto di sopra avea detto di tenebre (Cv). 101-2. Ben credeva io cosí, cioè con tali versi umili e supplichevoli, rendermi nella estimazione di Laura degno di perdono da indegno ch' io n'era. Mi credea far vuol dire credea farımi, ed è maniera molto usata dagli antichi (L). Nota nel v. 102 l' antitesi di concetto e di parole, come nel XIII Inf. 72 <<< Ingiusto fece me contra me giusto». 101-5. È preso da' rettorici che insegnano che con l'umiltà si dee accattare compassione e disprezzo. Cic. De inv. Nam ab iratis si perspicue pax et benevolentia petitur, non modo ea non invenitur, sed augetur et inflammatur odium (CV). «Che l'umiltà vi fa crescer lo sdegno disse Dino Frescobaldi in una canzone (T). 106-7. Essendo vissuto lungo tempo in tenebre, perché il mio lume, Laura, per questo pregarla di perdono che io faceva in versi, era sparita, non mi si lasciava più vedere (L). di ten. v.: risponde per converso a quel dell' Inf. 1 17 « le spalle [del colle] Vestite già de' raggi del pianeta». 107. Sulla 1a lez. viso, cangiato poi in lume, ragiona il D che sparito non gli pareva proprio di viso; ma ricordossi di quella voce lume della quale è proprio lo sparire, e tanto piú suona

117. faggio. Forse allude alla salvatichezza di lei (G). Pare che faggio altrove sia preso per la vita solitaria campestre e per la meditazione. Imita la trasformaz. di Biblide [Ovid. Met. Ix 610 e segg.], la quale, ricercando dell'amato Cauno che la fuggiva, tanto ne pianse che divenne fonte. Ecco alcuni dei vv. latini, che paiono specialmente ricordati dal P. Deficiunt sylvae: cum tu lassata sequendo Procidis, et, dura positis tellure capillis, Bybli, taces.. Utve sub adventum spirantis lene Favoni Sole remollescit quae frigore constitit unda, Sic lacrymis consumpta suis phoebeia Byblis Vertitur in fontem, qui nunc quoque vallibus illis

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