28 35 42 Che mi scacciar di là dov' Amor corse, Lagrima dunque che da gli occhi versi, Da me son fatti i miei pensier diversi: Benigne stelle che compagne fersi Quando 'l bel parto giú nel mondo scórse! gio altero Del bel dolce soave bianco e ne- tanto patire (Bgl). stanco: Orazio o. I 17 « laborantes in uno Penelopen vitreamque Circen». - 38. Dante, Rime « El Amore] m'ha percosso in terra e stammi sopra Con quella spada ond'egli ancise Dido». Восс., Fi Onesto bolognese «Quella che 'n cor l'amo-loc. «Cupido m'ha più volte posto in ma rosa radice Mi pianto». 25-8. Inf. v 124 << conoscer la prima radice Del nostro mal». -28. Come delle cose divine si suol fare | (D). 29-35. Adunque (cioè, poiché il mio male è proceduto per gli occhi miei che videro Laura) niuna lagrima che io versi da questi medesimi occhi per la pena che mi danno quelle saette che nel mio fianco sinistro bagna di sangue chi fu il primo ad accorgersi del mio male, cioè il mio cuore [Altri intendono degli occhi]; niuna lagrima, dico, mi svoglia del mio volere, cioè mi rimuove dal proposito di amar questa donna; perocché la sentenza, cioè la condanna, cade in quella parte di me che l'ha meritata, cioè quella parte di me che sostien la pena del lagrimare sono gli occhi: per colpa di questa parte, cioè degli occhi, l'anima mia patisce: or dunque è ben giusto che quelli lavino le piaghe di questa (L). - 36. I miei pensieri combattono meco medesimo. Io cangio pensiero ad ora ad ora (L). «Alienatae sunt a me cogitationes meae (Т). 37. Donna tale [Didone] stancatasi qual io mi stanco di no quella spada con la quale la misera Dido nella partita d' Enea si passò il petto ». Cino « Ben mi dovea ancider io stesso, Come fe' Dido quando quell' Enea Le lasciò tanto amore ». 39. quella. Non ha l'antecedente: non importa; che questo è privilegio degli amanti, che portano sempre il nome dell'amata cosa nel core (D). Altri, come Cv, T, Bgl, intendono della spada che l'abbia a sciogliere dalla passione con la morte, secondo il virgiliano (Aen. VI 652) « meque his exsolvite curis ». - 41-2. Metaf. A divenir perfetto e beato non v'è miglior modo che questo virtuoso amore. 43-5. Tocca dell'aspetto del cielo nella nascita di Laura. Cfr. ccCXXV 61 e segg. Purg. xxx 109 «ovra delle ruote magne Che drizzan ciascun seme ad alcun fine Secondo che le stelle son compagne >>. 44. fianco della madre di Laura (L). 45. Non parla di Laura quando nacque, ma quando l'anima sua creata da Dio scórse e discese giú nel ventre della madre ad informar l'embrione. parto significa il divino dell' anima e non l'umano. E nota che qui 49 56 58 Ch'è stella in terra, e, come in lauro foglia, Vento mai che l'aggrave. So io ben ch'a voler chiudere in versi Chi piú degna la mano a scriver porse. Quanto 'l sol gira, Amor piú caro pegno, il p. mette l'induzione delle forme e la scesa | 55. segno. Può aver doppio signif., cioè d' in dell' anime alla platonica, come ancora nel son. Per mirar Policleto [LXXVII) e nella 1a sest. [XXII] (T). - 46-7. Come la foglia del lauro si conserva sempre verde (L). 48. Ove, nel qual lauro, non cade folgore. Cosí disse Virg. [Aen. II 649] «fulminis adflavit ventis. Si dice che il lauro non sia percosso da fulmini (L). 48-9. Allegor. per la castità di Laura non commossa da violenza di sensi. 50. chiudere in v. Raccoglier pienamente ne' termini metrici. 51. Suo' laudi. Mascol., come lodo in Dante, Inf. III 36. 52. Ogni piú degno scrittore. Cfr. CCXLVII 9-11. 53. c. è di mem. seguitando l'opinione di alcuni filosofi che la fa dizio e di mèta. Se l' intendiamo per mèta, vuol dire ch'essi eran quel fine che ogni valoroso amante si potea proporre: se l'intendiamo per indizio, vuol dire che da loro si conosceva che in Laura regnava ogni valore (Т). — 56. Altrove, LXXII 30 «Quel core ond' hanno i begli occhi la chiave ». In un rispetto pistoiese la donna dice « Le chiavi del suo cor le porto in seno». - 57. Aen. VII 100 «qua sol utrumque recurrens Aspicit oceanum». Dante, Rime «Non vede il sol che tutto 'l mondo gira Cosa tanto gentil». Il P. Afr. 1 353 << solemque Videntem omnia». pegno. Cosa cara e generale. I latini dicevano pignora, quasi pegno del coltà della memoria risedesse in certi scom-vincolo matrimoniale, i figliuoli e i nepoti, partimenti che fossero nel cervello (L). poi anche i parenti più stretti. Questa è da credere che egli componesse cosí piú per lasciarne una fatta alla guisa molto usata dai provenzali rimatori che per altro (Bembo, Volg. ling., 11 3). Questa canz. cosi oscura e sconvolta, senza dubbio, se non fosse stato l'obbligo di tante rime, il p. l'avrebbe fatta d'altra maniera. Il modello è tolto dai provenzali: ma non tutto quello ch'è facile ad una lingua è facile a tutte l'altre; perciocché i provenzali facendo le rime di voci tronche aveano piú facilità in esse che i toscani non abbiano. In questa sorte di canzoni fu stimato assai A. Daniello: ed una delle sue incomincia a punto sul tenore di questa « Ar vei vermeils, vertz, blaus, blancs e groes» (T). A ogni modo, il lavoro tecnico, elocuzione e verseggiatura, è, in q. canzone, meraviglioso. XXX Loda la beltà di Laura, ma duolsi dell' ostinato rigore: e come per la beltà dimostra ch'egli è costretto ad amarla sempre, cosí per lo indurato cuore di lei non crede ch'egli giunger mai debba al desiato fine (G°). - È di due parti, vv. 1-18, vv. 19-36, che si rispondono simmetricamente anche ne' concetti ripetuti. E nella chiusa, vv. 37-9, vien ripreso il primo concetto della prima e seconda parte, quasi enfaticamente insistendo il p. su la ragione dell'amor suo e della costanza. L'Alfieri nota i vv. 1-6 (salvo in poggio o 'n riva), 9, 15, 18, 21, 28-9, 34-5, 39. Giovene donna sotto un verde lauro Mi piacquen sí, ch' i' l'ho dinanzi a gli occhi 12 18 24 Che foglia verde non si trovi in lauro: due sillabe, che arriva è verbo ed è di tre sillabe; onde leggono s'ha riva: il che è contro l'autorità di tutti i testi ed è parlare no non usato. Il p. ciò fece arditamente, sic 1. sotto un v. 1. Alludendo al nome (V). 2. piú bianca e p. fr. Perché bella e casta (P). 6. E l'avrò sempre dinanzi agli occhi in qualunque luogo io sia (L). - 7. Giungeranno al desiderato fine (V). Alcuni in-come disse sotterra nella 1a sest. [xxII 37]; terpr., Allora avrò finito di pensare a lei. 8. Quando sarà quello ch'è impossibile. 9. Quando avrò sodisfatto il mio desiderio o lasciato l'amore 12. Quanti anni consentirei di aspettare quel giorno del mio contento, se io fossi certo che egli dovesse pur venire una volta. O vero: quanti anni vorrei che passassero innanzi ch' io lasciassi l'amor di Laura (L). Piú avanzato, il p. dirà (CCLXIV) « E se l'ardor fallace Durò molt'anni in aspettando un giorno Che per nostra salute unqua non vene». Alf. nota la trasposiz. quanti.... anni. Inf. XXIX 43 <<<Lamenti saettaron me diversi » e XVI 3 «Simile a quel che l'arnie fanno rombo ». 13-8. Ma, poiché non posso viver tanto, almeno andrò sempre amando e seguitando colei finch' io moia (L). 14. s'arriva. Pare ad alcuni che l'uso di questo verbo trisillabo sia contro la natura della sestina, la quale non riceve in rima se non nome di e pare che reputasse le parole composte per una. Riva in q. sestina è preso in diversi modi: nella 1a stanza signif. piano; nella 2a porto, traslazione tolta da' naviganti; in questa 3a è verbo, che pure per la stessa traslaz. signif. pervenire; nella 4a significa rivo; nella 5a e nella 6 luogo solitario e disabitato, come sono le rive de' fiumi e del mare; nella 7 sign. morte, presa pur la traslaz. da' naviganti, ché la morte è riva della vita nostra e porto (Cv). - 16. lauro. Alleg., Laura stessa. - 20. ne' prim' anni. Al tempo antico (L). Quel che Dante, Parad. xxxIII 16, dice secoli recenti (Bgl). Altrove [cccxxxvII], piú chiaramente « Non fu simil bellezza antica o nova (T).-22. Dal quale struggimento procede un fiume di lagrime (T). riva. È preso da' Francesi che dicono riviera al rio, da rivus e non da ripa (Cv). - 24. i rami di diam., cioè candidissimi e preziosi, significano le membra di Laura 30 36 39 36. culto, A. I' temo di cangiar pria volto e chiome, La notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve. Sol con questi pensier, con altre chiome, con a. ch., cioè colle chiome alterate dall'età (L). Parad. xxv 7 « Con altra voce omai con altro vello Ritornerò poeta ». - 35. tal. Taluno, uno. Parad. VIII 145 «Ma voi torcete a la religione Tal che fu nato a cingersi la spada E fate re di tal ch'è da sermone». Decam. IX 10 Risvegliandosi tale che non era chiamato e su levandosi...». (L). 25. Invecchiando. - 27. L'idolo mio il quale è fatto di un lauro vivo; cioè, il quale non è inanimato come gli altri idoli, ma è una donna viva di nome Laura (L). Il dC nota che il p., pigliando dagli oggetti naturali i termini metaforici per significar Laura o cosa che le spetti, spesse volte usa questa parola vivo: come un vivo sole, a differenza del celeste; viva neve, a differenza dell'altra vera; vivo fonte, viva luce, vivo ghiaccio, e simil altre. - 31. foco, per l'amore; neve, per il pallore (Ai). pur. Qui può significare | quegli occhi che mi conducono a morte im 36. Se 'l nome di Laura da lui onorato in versi può per suoi detti durar tanto (G°). 37-9. Le bionde chiome di Laura presso a solamente: ma io direi che puro significasse e che a candida corrispondesse (T). 32. con q. pens. che ho adesso, ma ben matura vincono in splendore e in bellezza l'oro e i topazi posti al sole sopra la neve (L). È certamente, almeno nell'intenzione del poeta, del 6 aprile 1334, come si rileva dai versi 28 6 29 (Cesareo, p. 38). XXXI Per grave malattia di Laura. Ci sono su q. son. tre lezioni di Iac. Poliziano Mancini da Montepulciano (Genova, 1591), un discorso di Gius. Passi su i primi versi (Venezia, Somasco, 1616) e una Censura di Giov. Merlini (Forli, 1699). L'Alfieri nota i vv. 1-6, 10, 11. 2. Anzit. Aen. IV 696 « merita nec morterà. Abiterà. Latinamente. Aen. VI 431 « Properibat Sed misera ante diem >>> Inf. XXXI 129 lunga vita ancora aspetta, Se innanzi tempo grazia a sé nol chiama». 4. Ter PETRARCA - Rime xima deinde tenent moesti loca qui sibi letum Insontes perperere manu ». - 5. terzo 1. Terzo pianeta, Venere. Tra Venere e 4 Marte sta il Sole, secondo gli astronomiza: è metaf. cara al P. cfr. xXVII 6 0 L 3). antichi (L). 6-8. L'aspetto del sole perderà del suo colore, sarà quasi velato dalla luce di quest'anima (L). Fia scolorito, perch' egli vedrà l'anime beate piú riguardare Laura che lui, e si tignerà d' invidia (Cv). Questa fu prima invenzione di Dante, il quale, entrando con Beatr, nel Sole [Parad. x 64], disse dell'anime che vi trovò - 10. de le tre stellé, o pianeti, che stanno sotto al sole (L). - 11. la fama e'l g. di bellezza. Quel cielo ov' ella abitasse non si nomineria piú dalla stella ma da essa Laura (D). 12. quinto g. Cerchio di Marte (L). non abitr. Essendo ella piacevole e umana (Cv). - 13. mi fido. Nel signific. di sperare con pducia che un fatto segua è peregri << I' vidi piú fulgor vívi e vincenti Far dino, almeno in poesia. Varchi, Benef. Sen. noi centro e di sé far corona e piú bas-Li imprudenti sono quelli i quali si fidano so [92] « Questa ghirlanda [d' anime] ch'in- di dover avere la fortuna come vorreb torno vagheggia La bella donna (T)-9. quarto nido. Del sole; e di sotto sta Venere, Mercurio, la Luna (Bgl). Nido lo chiama per le anime che vi annidano, vi hanno stan bero. E par che risponda a un modo popolare: per es. uno dirà, Il tale è uomo da spuntarla; e l'altro risponderà, Me ne fido io. Il P. seconda qui l'invenzione del Parad. di Dante, derivata dal Timeo di Platone, che nelle stelle assegna luogo alle anime gloriose (T). Ma in Dante non abitano nelle stelle: vi si mostrano soltanto perchè il p. possa farsi un'idea del grado di loro beatitudine. - La materia di q. son. è presa per similit. da Virg. g. 1 24 «Tuque adeo quem mox quae sint habitura deorum Concilia incertum est» (Cv). 2. Chi ha più breve vita piú presto esce suo) lo veggio riuscire ingannevole e scedi miseria (G°). Questa nostra vita, chia-mo, privo, d'effetto. - 7. Terr. inc. II corpo. mata miseria, comunque lunga, nel giorno Fazio d. Uberti «E mi distruggo come della morte par sempre brieve (T). 4. E il mio sperare del tempo (sperava aver col tempo qualche mercede o ristoro dell'amor al sol la neve». 8. Si va str. Detto per le qualità delle malattie prodotte dall'eccessivo calore di quell'estate. Cfr. esso P., Sen. Ix 2. |