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Ch' i' vedrò secco il mare e'laghi e i fiumi.
Mentre ch' al mar discenderanno i fiumi
E le fere ameranno ombrose valli,
Fia dinanzi a' begli occhi quella nebbia
Che fa nascer de' miei continua pioggia,
E nel bel petto l'indurato ghiaccio
Che trae del mio si dolorosi venti.
Ben debb' io perdonare a tutt' i venti
Per amor d'un che 'n mezzo di duo fiumi
Mi chiuse tra 'l bel verde e 'l dolce ghiaccio,
Tal ch' i' depinsi poi per mille valli
L'ombra ov' io fui; che né calor né pioggia
Né suon curava di spezzata nebbia.
Ma non fuggio giammai nebbia per venti,
Come quel dí, né mai fiume per pioggia,
Né ghiaccio quando 'l sol apre le valli.

24. e laghi e fiumi, A. 25. descenderanno, A. 34. dipinsi, 4.

sdegno contro il P. (CV). - 24. Cfr. xxx 7-10. | nube che squarciata tuona »], io dipingeva

e' laghi. Questo e sta come artic. e non congiunz. 25. Aen. 1 607 «In freta dum fluvii current... Semper honos» etc. - 27. a' b. occhi di Laura (Ai). - 30. venti. Cioè sospiri (L). Cfr. XVII 2.-32. d'un. Cupido (dD). D'un vento, cioè del primo amoroso sospiro (F, Br). D'un vento, che è L'aura, allitterazione di Laura (Ai, e tutti gli altri interpreti), duo flumi. Tra Sorga e Druenza, o vero tra l'un di questi e Rodano (L). Comincia un son. [cxc) Una candida cerva sopra l'erba Verde m' apparve con due corna d'oro Fra due rivere. E in principio di capit. rifiutato <<< Ove Sorga e Druenza in maggior vaso Congiungon le lor chiare e torbid' acque, La mia Academia un tempo e 'l mio Par33. Mi chiuse. Non si potendo piú da quel luogo dove Amor lo vinse dipartire (Bgl). tra 'l b. verde e '1 d. ghiaccio. Il Cv int. che 'l p. voglia inferire ch' egli fu preso tra l'erba e la rugiada. Io direi tra la fiorita erbosa riva e l'acqua di Sorga, ch' ei chiama dolce ghiaccio per la sua freddezza non perch' ella fosse gelata (T). Cosi tutti quasi gli altri; ma l'Ai spiega allegoricamente tra belle speranze e dolce rigore. 34-36. Tanto mi piacque d'essere stato preso da Amore in quel luogo, che in qualunque luogo m'avveniva simile a quello, come sono le valli [non curando né caldo né pioggia né strepito di spezzate nubi, cioè tuoni (L). Parad. xxIII 99 «Parrebbe

naso».

con la mente l'immagine di quello avveni-
mento (Cv). Ombreggiai l'immagine di Lau-
ra, come fanno i pittori. É quello che disse
nella canz. Di pensier in pensier [CXXIX] (T).
Ve Gintendono l'ombra di Valchiusa; D tro-
va allusione al lauro; ed esso e F° eT son
d'accordo nel riferire a ombra l'aggiunto
che né calor né ec. curava eç. T dice:
<<< Parla dell' immagine ch' ei dipingea colla
mente, la quale né sol né pioggia ec. pote-
vano cancellare». Ma si oppone l'imperfetto.

38-9. Come q. dí. Cosi rapidamente come
fuggi quel giorno che io vidi Laura in que-
sto luogo (L). Rispetto al desiderio grande
di quel tempo che nella considerazione della
bellezza di lei sarebbe voluto stare (V). 39.
apre le v. Apre il grembo alla terra. Di pri-
mavera (L). Il contrario di quel che disse
Virg. nella g. [11 317] <rura gelu tum clau-
dit hyems » (D). Aveva detto che pri-
ma egli vedrebbe secco il mare ec. che
Laura un dí fosse senza l'usata durezza e
l'usato sdegno. Ora, perché disiava quel
di vedere ma non lo sperava, però chiu-
dendo dice: Ma (perché avendovi intrapo-
sto altro dire bisognava usare la particella
ma), per ritornare a quello onde partito
s'era, non fuggio già mai nebbia ec. né
fiume ec. né ghiaccio ec., come quel dí che
Laura fosse senza lo 'ndurato ghiaccio e
senza l'usata nebbia fugge dal suo disio ec.
Dicesi fuggire quello ove non giungemo(G°).

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LXVII

Veniva per

Scherza sur una piccola disgrazia avvenutagli per poetica sbadataggine. mare, e dismontato in terra vide un lauro, al quale correndo disavvedutamente cadde in un rivo coverto dall'erbe (D). - L'Alfieri nota i vv. 1-11 (salvo Súbito vidi e fronde del 3o e onde in un rio che l'erba asconde del 7°).

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Gli altri asciugasse un più cortese aprile.

1. sinistra per chi di Provenza viene in Italia; o, piú generalmente col Cv, perché, entrando dallo stretto di Gibilterra, il Mediterraneo e la Francia e l' Italia vengono ad essere alla sinistra riva. - 2. piangon. È il gemito dell' onde rotte battendo il lido; piú conforme al signif. latino, il quale non è il lagrimare ma il battere che si fa lamentando (G°). Virg. g. 1 334 < Nunc nemora ingenti vento nunc littora plangunt, e III 261 <Scopulis illisa reclamant Aequora», ed Aen. III 555 Et gemitum ingentem pelagi pulsataque saxa Audimus longe >>> 3. Súbito. Improvvisamente (L). fronde. Il lauro, simbolo di Laura (Ai). - 6. Facendomi risovvenire delle bionde chiome della mia donna (L).-7. onde. Per avvicinarmi, cosí spinto, al lauro. - 8. Inf. v 142 E caddi come corpo morto cade ». 9-11. Quantunque io mi ri

trovassi solo e in luogo ritirato dalla gente, pure io mi vergognai per quella caduta; e la vergogna che ebbi fu di me stesso, cioè della presenza mia propria, ché basta ben questa a un cuor nobile; ed altro stimolo non ci volle a farmi vergognare (L). Purg. III 17 «Ei mi parea da sé stesso rimorso. O dignitosa coscienza e netta, Come t'è picciol fallo amaro morso!» - 12-14. A ogni modo io sono contento di aver cangiato usanza, cioè dello aver bagnato i piedi in cambio degli occhi, se pure un piú cortese aprile asciugasse questi occhi del loro esser molli, cioè delle loro lagrime. Dice un p. cort. apr., avendo riguardo sí all'essergli avvenuto in aprile il caso recitato in q. son., e sí agli altri mesi di aprile che esso aveva passati dolorosamente infino allora, da poi che pure in aprile si fu innamorato di Laura (L).

LXVIII

In Roma è combattuto dalla devozione e dall'amore. Se il son. fosse indirizzato, come vuole il Cv, a un romano che era fuora di Roma, questi dovrebb' essere probabilmente il card. Giov. Colonna; ma poté benissimo il P. intitolarlo ad uno de' suoi ospiti colonnesi od anche a tutti.

L' Alfieri nota tutto.

L'aspetto sacro de la terra vostra

Mi fa del mal passato tragger guai

1. sacro. Che induce religione ne' riguar-ri (Cv). 2. del mal pass. De' miei passati danti per la venerabile memoria de' marti-vaneggiamenti amorosi (L). tragger g. So

PETRARCA

Rime

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Gridando:

Sta' su, misero: che fai? —,

E la via di salir al ciel mi mostra.
Ma con questo pensier un altro giostra,
E dice a me
Perché fuggendo vai?

Se ti rimembra, il tempo passa omai
Di tornar a veder la donna nostra.
I', che 'l suo ragionar intendo, allora
M'agghiaccio dentro in guisa d'uom ch'ascolta
Novella che di súbito l'accora.

Poi torna il primo, e questo dà la volta.
Qual vincerà, non so; ma in fino ad ora
Combattut' hanno, e non pur una volta.

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Nella traversata da Marsiglia per a Roma il p. ha un'esperienza nuova di quel che sapeva: esser egli destinato alla servitu d'amore, e non potersene per niuna guisa liberare. L'Alfieri nota i vv. 1-4, 6, 9-14. OV, Transcrip: id. tit. C.

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Ben sapev'io che natural consiglio,
Amor, contra di te già mai non valse;
Tanti lacciuol, tante impromesse false,
Tanto provato avea 'l tuo fiero artiglio.
Ma novamente, ond'io mi meraviglio
(Dirò 'l, come persona a cui ne calse
E che 'l notai là sopra l'acque salse
Tra la riva toscana e l'Elba e Giglio),
I' fuggia le tue mani, e per camino,
Agitandom'i venti e 'l cielo e l'onde,
M'andava sconosciuto e pellegrino;
Quando ecco i tuoi ministri (i' non so donde),

3. Che pur (per) a forza o per promesse, OV. 4. Provar conviensi or l'uno or l'altro artiglio, OV. - 10. Aitandomi i, OV. - 12. Quando ecco tuoi, ον.

1. nat. cons. Provvedimento, espediente | come un'interposizione. Le altre edd. met

umano; ovvero prudenza, sagacità umana (L).

3. Dipend. da provato avea del v. seg. (L). 4. Ben disse artiglio, essendo Am. pennato, che è proprio degli uccelli (Cv). Amore, nelle St. per la g. di A. Poliz., 11 9, dice: Assai provato ha l'amorosa forza, Assai giaciuto è sotto il nostro artiglio». 5. ond'. Del che (L). Adottiamo l'interpunz. del Cv, Bgle S', e consideriamo i 3 vv. segg.

tendo tra parent. ond'io mi mer., collegano novamente a Dirò 'l: ma non è cosa che il p. dica di nuovo o una seconda volta, è un' altra esperienza avuta ultimamente, di recente. 6. Come uno che ci ha avuto interesse (L). 12. Quand' ecco [per dinotare che vennero alla impensata: cosí usano Virg. e Tullio la partic. ecce (G°)], non so donde venuti, mi sopraggiungono i tuoi mi14

Per darmi a diveder ch'al suo destino

Mal chi contrasta e mal chi si nasconde.

nistri: cioè rimembranze e pensieri di quell'amore che il P. fuggiva; ovvero amoretti nuovi, occasioni di nuovi amori (L). E cosí FeP. Ma il V suppone una bella donna

imbarcata in quella stessa nave o uno che
gli parlasse di Laura.
13. al suo dest. Di-
pende da contrasta e si nasconde del v.
seg. (L). 14. Mal fa (L).

Il sign. Cesareo, p. 48 e segg., vuole che questi tre ultimi sonetti fosser composti nell' inverno 1336-37 durante il primo viaggio del P. da Avignone in Italia. Però, prima, mette a confronto le parole I' fuggia le tue mani ec. col passo delle Fam. Iv 6 ove accennasi quel viaggio, «Veni tandem, ut vidisti, hyeme bello pelagoque tonantibus», e con que' vv. dell'ep. 1 7 che allo stesso frangente si riferiscono, «Diffugio, totoque vagus circumferor orbe, Adriacas tuscasque ausus sulcare procellas Ereptumque iugo caput hoc committere cimbae Non veritus tremulae: quid enim properata noceret Mors mihi suppliciis victo vitamque peroso?», ove è la stessa battaglia interna descritta nel LXVIII all'ultima terzina: poi nota che in questo gruppo di sonetti manca qualsiasi accenno alla laurea poetica, e che, avendo usato il P. nel riordinamento del canzoniere di aggruppare le rime immaginate o composte nella stessa occasione, se fossero stati fatti nel secondo viaggio a Roma per la laurea, il P. li avrebbe posti vicino alla canz. Una donna piú bella, che invece e piú giú: avverte in fine che in un foglio degli Oil 3o son. (LXIX) del presente gruppo si trova pure come 3o di altro gruppo, a questo modo: il 1° (Più volte) ha inscritto il giorno 4 novembr. 1336, con un A enumerativo; il 2o (Per ch' io t'abbia guardato) ha inseritto 13 febr. 1337, con un B enumerativo; esso 3o poi ha un C enumerativo, con sotto id. tt. (idem titulus), onde par lecito inferire che il p. volesse assegnargli la stessa data che l'antec.: ora, essendo che nella distribuzione terminativa del canzoniere il P. volle poi trasportare esso 3o son. a chiudere questo presente gruppo, cosi par lecito credere che anche agli altri due dello stesso gruppo volesse assegnare la data del 1337.

LXX

1-10. S'avvede che speranze e preghiere sono in vano, ma pur s' attenta a ripregar Amore che gli dia cagione di cantar un di lietamente. 11-20. Sarebbe tempo: è tanto che sospira! Ed oh potesse piacere a lei, si che ella stessa lo pregasse a cantare. 21-30. Ma è stolto presumere: ella non cura di queste cose, e contrari sono i destini: séguiti adunque il canto aspro e doloroso. 31-40. I destini? No. La cagione del dolor suo è dentro di lui, è nella sua passione. 41-50. Imperocché la bellezza è di per sé buona; s'egli ne rimane offeso, la colpa è dell'animo mal disposto a contemplarla. L' Alfieri nota i vv. 1-9 (salvo tra l'erba e i fiori), 11-36 (salvo che 'l ciel non vòle del v. 27 e Onde, come del 29), 38-50.

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Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi
La speme ch'è tradita omai più volte!
Che se non è chi con pietà m'ascolte,
Perché spargere al ciel si spessi preghi?
Ma, s'egli aven ch'ancor non mi si nieghi
Finir anzi 'l mio fine

Queste voci meschine,

Non gravi al mio signor perch'io 'l ripreghi
Di dir libero un dí tra l'erba e i fiori:

<< Drez et raison es qu'ieu ciant e'm demori. >>>

1-2. Non so piú che mi sperare veden-clamor». Per Cv e D puossi anche intendedomi tante volte ingannato e tradito (T). re d'Amore che sta in cielo. 5-10. Ma, se 3. non è chi. Non v'è nessuno che (L). - 4. pure ancora non mi è negato di finire una Non signif. indirizzar le sue preghiere al volta questi miei lamenti prima che io muocielo ed a Dio, ma spargerle al vento ed ia; cioè, se la mia presente infelicità non è all'aria (T). Virg. ecl. 1 « canet frondator ad destinata a durar sempre; non gravi, cioè auras. Aen. XI 745 « Tollitur in coelum non sia grave, non dispiaccia [Nov. ant.

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Curi; ché 'l ciel non vole,

Al qual pur contrastando i' son già lasso:
Onde, come nel cor m'induro e 'nnaspro,
<<< Cosi nel mio parlar voglio esser aspro. »
Che parlo? o dove sono? e chi m'inganna
Altri ch'io stesso e 'l desïar soverchio?
Già, s'i' trascorro il ciel di cerchio in cerchio,
Nessun pianeta a pianger mi condanna.

Se mortal velo il mio veder appanna,

proem. Non gravi a' leggitori] ad Am. che io di nuovo lo preghi di potere un giorno dire allegramente [libero dal timore che la speranza sia tradita] tra l'erba e i fiori, cioè in luoghi di sollazzo e di piacere: Diritto e ragione è che io canti e mi trastulli (L). 11-2. Interpreta in parte il v. provenzale, e da ragione dell' esserselo applicato. 13-4. Anzi, se io incomincio ora a cantare, a prendere un poco di spasso, io non incomincio già tanto presto quanto bisognerebbe perché io potessi agguagliar col riso i tanti miei dolori, sollazzarmi quanto ho penato (L). - 15. potesse. Per questa desinenza cfr. XXIII 55. santi. A mostrare che i suoi detti non sono lascivi (Cv)

Qui senza preposiz. come Inf. xxIx 70 «Pas-
so passo andavam senza sermone: altro-
ve, LXV 3, con la preposiz. - 22. a ragionar t.
a. A presumer tanto di me stesso, ad imma-
ginare che Laura si muova a pregarmi che
io parli (L). - 23 di smalto. Cfr. XXIII 25.
24. io per me. Per quanto è il mio potere (G°).
Né con prieghi né con canzoni né con altra
mia dote (Cv). Io quanto a me; cioè, Non so
degli altri, ma certamente io non ho forza di
penetrarlo (L). - 25. Cfr. xxi 4 – 27. '1 ciel
che dispensa i nostri destini (G°). - 28. pur
contr. Seguitando a contrastare come da
tempo fo. - 29-30. Le parole voglio che sie-
no confacevoli al cuore, ch'è doglioso e ina-
sprito dal dolore ec. (Cv). - 31-40. Questa st.

17. detto in rima. Delle rime del Gui- | disdice quello che ha detto di sopra, ché'l

nicelli, Dante, Purg. XVI 112 «li dolci detti vostri : cfr. XXVI 10. Intendi poi coll'Alf.: scritto, ch' ella il leggesse. 19-20. Ma piú beato se io potrò dire con verità: Una donna mi prega [a parlare]: perché, per la qual cosa, io voglio dire. E vuole intendere: Ma beatissimo me se Laura non solo mi ascoltasse con qualche diletto ma eziandio mi ❘ pregasse a parlare (L). - 21. Vaghi. Vagabondi, leggeri (L). passo passo. Pian piano.

ciel non vole (Bgl). - 31. Aen. VI 595 « Quid loquor? aut ubi sum? Quae mentem insania mutat? Infelix Dido! » 33. Già. Serve a crescer forza alla negaz. (L). s'i' trascorro guardando il cielo, di giro, in giro, di spera in spera (G). 34. Qui rinnega l'astronomia giudiziaria, altrove ammessa per vaghezza forse di poeta. Cfr. xxII 24 e Dante Purg. XVI 67. - 35. m. velo. La carne (Cv). il m. veder il lume della ragione. appanna.

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