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fondo Capponiano un esemplare della quinta edizione aldina delle Rime tutto collazionato, e al verso della prima carta leggesi in alto « Ex Basilii Zanchii exemplari, cum archetypo manu Petrarchae (ut creditur) scripto collato 1557, mens. Jan, die D. ant. » e súbito dopo Francisci Petrarchae laureati poetae rerum vulgarium fragmenta. Che era quell' archetipo di man del P., e dove andò a finire? O non forse Basilio Zanchi [1501-1560], bergamasco, dimorato per alcun tempo in Padova, familiare di Pietro Bembo a cui aveva dedicato il poema De horto Sophiae, ebbe egli conoscenza ed uso dell' originale in man del Bembo o del figliuolo?

Quest'originale, ora vaticano, di cui noi tenemmo e teniam discorso, seguitava alla metà del secolo decimosesto d'essere in Padova o giú di lí: e il Bembo, scrivendo da Romá il 23 ag. 1544 a Girolamo Quirino in Venezia che era su la via d'acquistarglielo, mostrava inchinare a credere per piú segni fosse una cosa con un Petrarca vero già a lui conosciuto, che avea avuto in mano: « quello non avea se non i sonetti e le canzoni tutte: i trionfi non c'erano:... non avea postilla alcuna, come scrivete: in tutto lui ». Alfine l'ebbe per ottanta zecchini: il 20 sett. riscriveva al Quirino « Non vi potrei dire quanto l'ho caro. Se l'amico mi desse ora cinquecento zecchini appresso a quelli, non glie le darei. È di mano dell'autor suo senza nessun dubbio ».2 Il manoscritto, passato dopo la morte del Bembo [18 genn. 1547] a Torquato suo figliuolo, fu da questo ceduto con altri autografi del Petrarca, Carmen bucolicum, trattato De sui ipsius et multorum ignorantia e i venti fogli archetipi, li 4 marzo del 1581, a Fulvio Orsini, antiquario dotto ed elegante: il quale alla sua volta morendo il 18 maggio 1600 gli lasciò alla Biblioteca vaticana. E non a pena venuto in possesso dell' Orsini e passato poi alla Vaticana andò

1 G. SALVOCOzzo, Il cod. vatic. e l'ediz, aldina del 1501, Roma, tipogr. vatic., 1893, p. 7.

2 P. BEMBO, Delle lettere, Venezia, Scotto, 1552, t. 11, pp. 302-3.

attorno per Roma e pe'l mondo la fama del prezioso autografo. « Gran tesoro ha avuto V. S. dal nepote del Bembo scriveva all' Orsini il card. di Granvella da Madrid il 9 ott. 1581 avendo l'autografo del Petrarca di quelle sue opere che V. S. dice, tesoro nuovo accresciuto alla sua libreria ». Un Teobaldi, canonico di Laterano, ne scriveva a Ferdinando I granduca di Toscana li 2 apr. 1582 cosí: << Sappia che tutte l'opere toscane del Petrarca, scritte di propria mano in cartapecora con le acconciature de' versi e postille, erano tra queste cose [del Bembo], e di già il sig. Fulvio Orsino, che ne aveva notizia, l'ha haute per sé... Quel Petrarca, signore, è cosa troppo bella per V. A.; e spero che il sig. Fulvio Orsino, per la convenienza di tal gioia col principe toscano e per l'affezione che porta al cardinale e al nome di V. A., sia per compiacervela un giorno; et io, che nel coro di s. Giovanni Laterano li sto vicino, non resto di infiammarcelo ». 1 Girolamo Fracchetta nella Sposizione sopra la canz. di G. Cavalcanti Donna mi prega [Venezia, 1585], a proposito d'un verso petrarchiano citava « quel canzoniere che si stima esser di sua man propria, il quale fu già dal card. Bembo et ora è del signor Fulvio Orsini ». Il dotto agostiniano Angelo Rocca, descrivendo nel 1591 la Biblioteca vaticana ed altre di Roma, distingueva in quella dell' Orsini » praesertim Petrarcha, hoc est liber ille insignis non nisi versibus rhytmicis constans, et ipsius auctoris manu conscriptus, quae res singularis est ».2 Il biografo dell' Orsini, Gius. Castiglioni (1657), recava a suo onore: « Comparavit.... Petrarchae rhythmos etrusca lingua compositos manu auctoris scriptos et descriptos, qui fuerunt card. Bembi et quorum gratia Patavium ab omnibus nationibus celebrabatur ». Durò per tutto il sec. XVII chiara la conoscenza di quel codice, salda la fede nella sua autografia. Gian Filippo Tommasini, biografo del P., tra i manoscritti del poeta serbati nella Vaticana no

1 Le citazioni di queste due lettere, da P. DE NOLHAC, Le canzoniere autographe de P., Paris, Klincksieck, 1886, pp. 22 e 23.

2 A. Rocca, Biblioth. apost, vatic. ec., Roma, tip. vatic., 1591, p. 401.

tava nel 1635 « Scriptum autographum Petrarchae 3195 » : 1 e l'Accademia della Crusca, chiamata giudice da Egidio Menagio e Giovanni Chapelain d'una controversia ch'era tra loro circa la lettura d'un verso nel son. Rapido fiume, recava nella sua sentenza degli 8 ott. 1654 l'autorità del <<< testo a penna originale di mano dell'autore, che si conserva nella libreria vaticana al numero 3195 ».2 Finalmente G. M. Crescimbeni discorrendo nel libro secondo dell'Istoria della volgar poesia al capo quinto di Fr. Petrarca e delle sue rime affermava: << Testi a penna... poi ne abbiamo veduti due nella Vaticana, l'uno di mano dello stesso autore, che è il cod. 3195 ». Co'l secolo decimottavo cominciò ad oscurarsi la conoscenza dell'autografo, cominciò il manoscritto intiero e compiuto a essere scambiato e fattone tutt'uno con le carte frammentarie. Primo, nel 1718, diè l'esempio della confusione Apostolo Zeno in certe note alla vita del Bembo latinamente scritta da Giov. della Casa, nelle quali discorre di quel codice qui tum Bembi erat nunc in Bibliotheca vaticana servatur atque autographum opus creditur, unde variantes illas lectiones excripsit, quae editae sunt, Federicus Ubaldinus».4 E la confusione raffermò Iac. Morelli nel 1774, scrivendo Della pubblica libreria di s. Marco, ove ricordò «l'originale del canzoniere del poeta sopra del quale si fece l'edizione di Padova del 1472..., e che poi venuto in potere di Fulvio Orsini e da lui donato alla Libreria vaticana servi per l'edizione di Roma 1642 procurata dal conte Federigo Ubaldini ».5 A ogni modo, al già glorioso e ora disgraziato cimelio, quando anche non più scambiato o confuso con altro, quando anche restituito alla sua propria essenza, s' invidiava omai la gloria, gli si negava l'originalità. A questo stesso Morelli, l'ab. Gaetano Marini, l'illustratore dei papiri diplo

1 Petrarcha redivivus, Padova, Pasquati, 1635, p. 40.

2 E. MENAGIO, Mescolanze, Venezia, Pasquali, 1736, p. 43.

3 Roma, Antonio de' Rossi, 1714, p. 314.

▲ Degl' Istorici delle cose di Venezia, Venezia, Loviso, t. II (1718),

p. xv (a).

5 IAC. MORELLI, Operette, Venezia, Alvisopoli, 1820, 1, pp. 9-10.

matici, pregato a fare un maturo esame sul 3195 in servizio della edizione che delle Rime del Petrarca stava preparando nel 1799, rispondeva cosi: « E bello e nitido, né certamente di mano dell'autore; sebbene de' suoi tempi, e scritto da chi aveva un carattere assai somigliante al petrarchesco, ch'era / pur bello ».1 A tempi nostri, un trent' anni fa, la fama del famoso originale era venuta affatto meno: nel 1874 chi compilò un catalogo dei codici petrarcheschi della Vaticana e di altre biblioteche romane lo registrò senza né anche una nota; né anche ebbe un pensiero non diciamo di ricorrere all' inventario originale di Fulvio Orsini, il cui primo articolo registra PETRARCA le canzone et sonetti SCRITTI DI MANO SUA, ma d'interrogare l' Inventario generale vaticano nel cui volume IV il codice è catalogato a questo modo « 3195: Francisci Petrarchae rerum vulgarium opera... MANU PROP.A AUCTORIS ». Cosi noi italiani mercé la sbadataggine e trascuranza nostra dobbiamo chiamarci grati ai dotti stranieri che vengano a rimetterci in possesso di ciò che noi avevamo abbandonato all'oblio, che vengano a restituirne la conoscenza di ciò che noi ci eravamo indurati a ignorare. Il prof. Pietro de Nolhac nel 1886 fu da' suoi studi intorno alla Biblioteca di Fulvio Orsini condotto a riconoscere e additare all' Italia e al mondo l'originale delle rime di F. Petrarca: senza sapere di lui, giunse poco dopo al medesimo il d. Arturo Pakscher: il ritrovamento del de Nolhac fu segnalato la prima volta nella Revue critique del 4 febb. 1886, poi il 28 maggio comunicata all'Accademia d' Iscrizioni e belle lettere: gli studi del Pakscher furono pubblicati del 1887 nel tomo decimo di Zeitschrift für die Romanische Philologie. 4 Il

1 Nella prefazione alle Rime di F. P., Verona, Giuliari, 1799, 1, pp. x-x1. E. NARDUCCI, Catalogo dei codd. petrarcheschi delle bibl. barberina, ecc., Roma, Loescher, 1874, pp. 38-9.

3 P. DE NOLHAC, Le canzoniere autogr. de P., Paris, Klincksieck, 1866: Fac-similés de l'écriture de P. et appendices au « Canzonière autogr. », Rome, Cuggiani, 1887.

4 A.PAKSCHER, Aus einem Katalog. des Fulvius Ursinus.

II

testo originale fu pubblicato con apparato critico da Giov. Mestica:

Le rime | di | Francesco Petrarca | restituite nell' ordine e nella lezione | del testo originario | su gli autografi | col sussidio di altri codici e di stampe | e corredate di varianti e note | Firenze, | G. Barbèra, | 1896.

Di cotesta edizione critica il sig. G. Salvo-Cozzo diè una recensione non senza recare importanti emendazioni e giunte, intitolata « Le rime sparse e il Trionfo dell' Eternità di F. P. nei codici vaticani latini 3195 e 3196 », nel vol. xxx (2o semestre 1897) del Giornale storico della letteratura italiana.

Nel 1501 del mese di luglio le «cose volgari» del Petrarca uscivano impresse in Venezia nelle case di Aldo Romano, come porta la nota finale; e il libro era << tolto, - aggiungeva con sommissima diligenza dallo scritto di mano medesima del poeta avuto da m. Pietro Bembo ». Fin dagl'inizii della stampa una edizione ottima c'era, e da fare autorità, se altra mai, la padovana del 1472, e non fu seguita. Gli stampatori in quella vece non facevano che produrre qual primo codice capitasse loro alle mani o riprodurre una delle stampe anteriori. E come le più volte il codice era spropositato e quasi sempre piene d'errori le stampe, e quelli spropositi ed errori andavano di stampa in stampa ripullulando e vigoreggiando, cosi ben presto oсcorsero i correttori letterari; tra i quali certo massimo di dottrina e di buon giudizio Pietro Bembo: ma, fatto il gusto ai testi invalsi, o inuzzoliti, i lettori non si contentavano in tutto del nuovo e avean che ridire su l'ortografia e su le varianti: Del barbarico inganno volevano s'avesse a leggere e non Del bavarico inganno nella canz. Italia mia; non Chi non ha l'auro o 'l perde ma Chi non ha l'auro e ber de nell'altra Mai non vo' piú cantar; e simili. Aldo allora negli esemplari del libro ancora invenduti aggiunse un'epistola a gli lettori. «Io mi credea per certo avere a

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