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dargli nugellas meas vulgares in trascrizione forse alquanto scorretta, perché assediato da molte occupazioni ne commise ad altri la revisione; in fine della lettera aggiungeva « Sunt apud me huius generis vulgarium adhuc multa, et vetustissimis schedulis et sic senio exesis ut vix legi queant. E quibus, si quando unus aut alter dies otiosus adfulserit, nunc unum nunc aliud elicere soleo, pro quodam quasi diverticulo laborum, sed perraro; ideoque mandavi quod ütriusque [dell' una e dell' altra parte in che era diviso il manoscritto mandato] in fine bona spatia linquerentur: et si quidquam occurret, mittam tibi reclusum nihilominus in papyro ».1

Quel che a noi preme anzi tutto rilevare da tali parole è che il P. un anno e mezzo avanti la sua morte serbava delle sue cose volgari in vecchissime schede e cosi róse e stinte dall'età che a pena si poteva leggerle. Ora non sappiamo se di quelle proprie schede, ma il secolo decimosesto vide ed ebbe più carte ove erano di man del p. le rime sparse in abbozzo e in correzione. Pietro Bembo già nella prima edizione data nel 1525 delle Prose della volgar lingua afferma aver veduto « alcune carte scritte di mano medesima del poeta, nelle quali erano alquante delle sue rime, che in quei fogli mostrava che egli, secondo che esso le veniva componendo, avesse notata, quale intera, quale tronca, quale in molta parte cassa e mutata piú volte >:2 ma quelle almeno dove il chiaro veneziano riferisce aver letto il son. Voi ch'ascoltate come fu scritto da prima e poi con i concieri al secondo verso sono perite alla nostra notizia.

Piú altre ne vide mons. Ludovico Beccadelli [1502-1572], bolognese, che seppe mandar del pari gli studi co' negozi della chiesa; e ne lasciò notizia in una sua vita del Petrarca.

1 F. PETRARCA, Variarum epist. IX, in « F. P. Epistolae de reb. famil. et variae », Firenze, Le Monnier, 1863, III: cfr. anche Lettere di F. P., volgarizz. ec. da G. Fracassetti, Firenze, L. M., VI (1867), pp. 226-232.

2 P. BEMBO, Prose della volgar lingua, libro 11, carta XIIII dell'ediz. per Giov. Tacuino, Vinegia, MDXXV.

<< Li fogli che di sua mano scritti ho veduto sono stati di due sorti. Li primi furono quelli ch' in Padua, mentre vi studiai, mi mostrò nel 1530 mons. reverendiss. Bembo; i quali con molta cura tra molte altre sue belle cose teneva nello studio, et erano la piú parte sonetti e canzoni. Gli altri di quella istessa mano e carta viddi dopo x anni in Roma in mano di mons. Baldassera [Turini] da Pescia chierico di camera, che gli avea avuti non so donde, per mandarli a Francesco re di Francia, come fece: quelli erano quasi tutti li Trionfi, da quello della Morte in poi e del Tempo. Le dette scritture erano certo di sua mano; perché, oltre il carattere conforme all'altre cose c'ha lasciato scritte, sono di tante maniere corrette e rimutate che altro che lo autore istesso non lo può aver fatto. E considerai ch' erano scritti di due sorti, ciò è una piú confusa et in ogni foglio, l'altra in miglior carta e piú ordinatamente e manco interlineata e chiosata: donde chiaramente si vedeva che l'una era la prima bozza, per dir cosí, delle sue invenzioni, l'altra era poi com'il registro donde nette le riportava.... Nelle dette rime gran cura si vede che usava il Petrarca per farle migliori, mutando qualche volta una parola quattro o cinque volte e cosi le sentenze: ed è cosa notabile che quello che fuor delli concieri diceva, tutto lo scriveva in latino, rendendo alcuna volta la cagione per che mutava, e sempre notando il tempo che tornava a scriverle, con memoria anco del luogo dove si trovava. Il che son certo che faceva per sua memoria, né pensò mai che avessero асаpitar in mano d'altri per tenerne conto; ché molte volte l'uomo fra sé medesimo pensa e discorre qualche pensiero che fa per lui medesimo e non per altri. Ciò dico per iscusa del Petrarca, e perché non paresse a qualcuno che fosse stato simplice a far ricordo, verbigrazia, a che ora levava e che faccenda dallo studio lo disviasse, come alle volte fa ».1 Abbiamo creduto di riferir per disteso queste

1 L. BECCADELLI, Ms. della Marciana, Lat. Cl. XIV, n. 79, pp. 598-612; pubbl. da J. Morelli in Rime di F. P., Verona, Giuliari, 1799, 1, pp. 60-75;

notizie del Beccadelli perché rappresentano al vivo l'abi-
tudine e forma di quelle tra esse carte che ci son note
tuttora: e sono le possedute nel 1530 da P. Bembo, che
nel 1581 passarono a Fulvio Orsini e da lui nel 1600 alla
Biblioteca vaticana, dove si conservano sotto il numero
3196 dei codici latini.1

Le quali erano e furono lungo tempo venti di numero;

e contengono, oltre la prima bozza d'una epistola lati-

na (sesta del XVI de rebus familiaribus), oltre quattro so-

netti di rimatori diversi trascritti di man del Petrarca

che vi facea le risposte e quattro sonetti di esso il Pe-

trarca non accolti poi fra le rime, oltre sei o principii

0 ballate o frammenti non ammessi allo stesso onore,

oltre la ballatina Amor quand'io credea, contengono due

canzoni solo in frammenti Ben mi credea passar e Stan-

domi un giorno, due intere canzoni Nel dolce tempo e

Amor se vuoi ch'io torni, e ripetuta due volte la canzone

Che debbo far, contengono cinquantadue sonetti, del capi-

tolo secondo del Trionfo d'Amore dal v. 46 sino al fine e

tutto il Trionfo dell' Eternità.

Quanto all'altre carte che il Beccadelli dieci anni dopo,

cioè nel 1540, vide in Roma presso mons. Baldassera, quelle
stesse circa lo stesso tempo dové aver viste Bernardino
Daniello, il quale nella edizione sua de' Sonetti Canzoni e
Trionfi data del 1541 in Venezia sparse per entro il
suo commentario e nell'altra ivi ripetuta del 1549 rac-
colse in fronte del libro súbito dopo Vita e costumi det
poeta « un breve discorso fatto sopra molti luoghi e di-
verse lezioni tolte da gli scritti di man propria di esso
poeta ». Gli scritti, dai quali il Daniello trasse le va-
rianti lezioni, furono tre capitoli del Trionfo d' Amore
(primo, secondo e quarto), il secondo o breve tratto al-

meno del Trionfo di Morte, i tre del Trionfo di Fama; e parrebbero quelli stessi veduti dal Beccadelli, « erano quasi tutti li Trionfi, da quello della Morte in poi e 'del Tempo >; oltre che le quattro grandi canzoni, Nel dolce tempo, Amor se vuoi ch'i torni, Che debb' io far, Standomi un giorno, e diciassette sonetti: e correzioni e varianti e note sono quasi le stesse che nelle carte possedute dal Bembo, ma non in tutto né tutte; v'è talvolta di più, talvolta di meno, talvolta dell'altro; v'è riportata e commentata una variante del son. Quel vago impallidir, del quale non è traccia nelle bembiane. Del resto, dove siano andate a finire le carte vedute dal Beccadelli in Roma presso mons. Baldassera, se elleno arrivassero mai in Francia al loro destino, se elleno siano proprio le stesse che vide Bernardino Daniello, o, se furono altre, dove pur queste altre andassero a finire, le son tenebre. Delle varie lezioni, delle emendazioni, delle note e postille, si dalla raccolta bembiana e si dalla baldasseriana, si delle rime e si dei capitoli, un discreto saggio compilò mons. Beссаdelli nella citata vita del P. dietro queste notizie che ce ne lasció. Il quale mons. Beccadelli in un suo viaggio in Provenza circa il 1539 aveva acquistato alcuni altri autografi di rime del P., e al suo ritorno stimò di non poterli piú degnamente collocare che in dono all'amico Bembo. E forse che anche di quegli autografi diè saggio nella su detta compilazione; ma noi non ne sappiamo di più, smarrita pur la lettera con la quale il Beccadelli dava notizia a Carlo Gualteruzzi del suo acquisto e del dono. 1

V'è dell'altro: v'è un codice della Casanatense, lat. A III 31, di rime del P., del sec. decimoquinto, non di gran pregio in sé, ma che molto pregio acquista dalla collazione con carte certo autografe che una mano del decimosesto vi tracciò tra le linee. La collazione, fatta con gran diligenza,

1 L. BECCADELLI, Monumenti di varia letter. etc., Bologna, Instituto nazionale, 1799, t. 1, parte 2a, p. 235, nota 38. V. CIAN, Un decennio della vita di m. Pietro Bembo, Torino, Loescher, 1885, p. 99 e nota (1).

comprende tutto ciò che è o che era nelle venti carte vaticane, e riempie cosi le lacune che vaneggiano nell'autografo a' luoghi divenuti illeggibili e vaneggiavano qua e là anche nel secolo decimosettimo quando, come vedremo, Federigo Ubaldini lo diè primo alla stampa. Ma il collazionatore, che oltre il contenuto dei venti fogli aggiunse varianti variamente distinte d' altri codici pregevoli, ebbe certamente innanzi una raccolta di fogli autografi del P. piú ricca di quella pervenuta a Fulvio Orsini e da lui passata alla Vaticana. Egli segna varianti note e postille del son. Aspro core e selvaggio, non che del primo secondo e quarto Trionfo d'Amore e de' primi 36 versi del Trionfo di Fama che sappiamo non essere in dette carte.

Che del resto il Bembo abbia posseduto piú dei venti fogli più volte omai menzionati apparisce da una lettera dell' Orsini a Gian Vincenzo Pinelli del 26 febbraio 1583: << M' è capitato un libro di LXXX pagine in foglio, ma li mancano xxxii le prime, dove sono copiate molte canzone sonetti e trionfi del Petrarca, tolti da fogli archetipi come sono li miei, ma questi sono in piú quantità. Questo libro dal card. Bembo fu dato al card. S. Croce alias papa Marcello; e credo che il Bembo ci mettesse li suoi fogli e quelli che vidde altrove: ovvero forse erano tutti li suoi, che poi non sono pervenuti in mia mano. Intendo che V. S. ha un raccolto simile: però la prego che mi mandi li principii delle canzone, sonetti e trionfi che lei ha, perché dal mio si supplirà il suo e dal suo si complirà il mio ». Il signor de Nolhac, a cui dobbiamo la notizia,1 anche ci fa sapere che questo libro non è tra i legati dall' Orsini alla Vaticana; e da poi che il card. Edoardo Farnese ebbe le collezioni orsiniane e i libri non destinati alla Vaticana, forse è da cercarne traccia nelle carte farnesiane a Napoli.

Ma, tornando a quelle carte che sole avanzano allo sperdimento delle autografe petrarchiane, « alli fogli archetipi delli quali si vede il modo di fare di quell'uomo » come

1 Fac-similés de l'écriture de P., cit.: p. 16.

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