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posito del passo suddetto. III. Illustrazione di un luogo del Paradiso [II, 97]: lettera al prin. cipe B. Boncompagni. IV. Intorno ad un passo del Paradiso [XXVII, 79 e segg.]. V. Osser. vazioni di M. G. Ponta sulla interpretazione di O. F. Mossotti ai primi versi del canto IX del Paradiso. Questa ristampa è dedicata al co. ing. Dionisio Passerini, già scolare e com. pagno d'armi del senatore Mossotti. (286

Narrazione storica del Perdono d'Assisi o indulgenza della Porziuncola. Quinta edi zione. Modena, tip. dell'imm. Concezione, 1893, in 24°, di pagg. 32.

Sommario. I. Origine della celebre indulgenza della Porziuncola. II. Della promulgazione e conferma dell' indulgenza di s. Maria degli angeli. III. Della estensione e dei singolari privilegi della indulgenza del Perdono. (287

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Natoli Luigi. Gli studi danteschi in Sicilia: saggio storico bibliografico. Palermo, tip. lo Statuto, 1893, in 8°, di pagg. 138.

Sommario della bibliografia. I. Memorie biografiche. II. Studi biografici. III. Studi complessivi su la vita e su le opere. IV. Studi storici sui tempi di Dante. V. Genio di Dante. VI. Studi di Dante. VII. Religione e politica di Dante. VIII. Beatrice. IX. L'opera di Dante. X. Influenza dell'opera di Dante. XI. Qualità e caratteri artistici dell'opera. XII. Paralellismi. XIII. Allegoria principale, scopo e concetto generale. XIV. Illustrazioni varie. XV. Codici della divina Commedia. Codici perduti. XVI. Illustratori di codici. XVII. Edizioni siciliane. Edizioni commentate da siciliani. Incunaboli. XVIII. Opere minori. XIX. Studi sul testo. XX. Chiose, note, schiarimenti. XXI. Dizionari, florilegi, ecc. XXII. Poligrafia. XXIII. Recensioni, critica, ecc. XXIV. Riproduzioni e traduzioni di articoli. XXV. Versioni. XXVI. Lettori pubblici di Dante. XXVII. Imitazioni dantesche. XXVIII. Opere ispirate a soggetti danteschi: drammatiche, liriche, novelle, pittura, scultura, musica. XXIX. Accademie, onoranze, istituzioni. Precede una dotta introduzione su gli studi danteschi in Sicilia. Del lavoro è una recensione favorevole di A. D'Ancona, nella Rassegna bibl. della letteratura italiana, II, 2. (288 Nottola Umberto. Un verso di Dante interpretato con nuovi raffronti. Roma, Tip. cooperativa romana, 1894, in 8o, di pagg. 8.

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Il verso è quello dell' Inf., V, 34: Quando giungon davanti alla ruina. L'autore, avendo letto nel Sermone del milanese Pietro da Barsegapè che nel giorno del giudizio universale vi sarà pei dannati la grande ruina, cioè il loro precipitarsi nell'inferno, avverte che un ugual precipitarsi ha luogo di continuo a seguito del giudizio particolare che di ogni dannato si fa per opera di Minosse [e vi allude il verso 15: Dicono e odono e poi son già volte]; e che per ciò, quando i lussuriosi sono spinti dal vento là dove scende quella continua fiumana di dannati, se ne spaventano, memori essi pure della loro caduta, onde il compianto e il lamento, e il loro bestemmiare la virtù divina. [Cfr. a questo proposito lo studio del professor Achille Mazzoleni : La ruina nel cerchio dei lussuriosi, di cui si parla al no. 283 di questo bollettino]. (289

sisi.

Odescalchi Baldassarre. Tre grandi uomini. Roma, Edoardo Perino, 1893. Considerazioni biografiche e critiche su Cristoforo Colombo, Cid e san Francesco d'As(290

Paganini Carlo Pagano. Chiose a luoghi filosofici della divina Commedia, raccolte e ristampate per cura di Giovanni Franciosi. Città di Castello, S. Lapi tipografo editore, 1894, in 16o, di pagg. 103.

Sommario. Carlo Pagano Paganini ricordato da un suo discepolo. I. Di un luogo del

Purgatorio di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato pienamente. [Purg., XVIII, 49 e segg.]. II. Sopra un luogo della cantica del Paradiso [XXIX, 49-51]. III. L'Averroe della divina Commedia. IV. Alcune osservazioni sulla Fortuna di Dante. V. Sopra un . luogo del canto XXIV del Paradiso. [88 e segg.]. VI. Di un luogo filosofico della divina Com. media. [Purg, XVIII, 55-56]. Tavola dei luoghi del poema di Dante chiosati o citati dal Paganini, e degli autori o libri allegati nelle chiose. (291

Papini Carlo. Il monumento a Dante Allighieri per la città di Trento del prof. Ce sare Zocchi: ricordo ai componenti il quarto congresso convocato in Firenze dalla Società Dante Allighieri per la diffusione della lingua e coltura italiana fuori del regno; novembre 1893. Firenze, tip. Bonducciana A. Meozzi, 1893, in 8o, di pagg. 14. (292

Passerini Giuseppe Lando. - Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari. [Recens. in Nuova Antologia, An. XXIX, terza serie, vol. 50°. fasc. 5o).

È meritevole di essere incoraggiata e lodata l'impresa cui si è accinto il conte Passerini di ripublicare in una serie di eleganti volumetti tutto ciò che di più vivo e utile offre la letteratura dantesca degli ultimi secoli, e di trarre in luce per la prima volta documenti e studi che siano rimasti inediti. I primi sei volumetti son come una lieta promessa che da questa publicazione gli studi danteschi trarranno grande utilità, in quanto per essa ritornano nel patrimonio comune molti tesori di osservazioni e di indagini, i quali fino ad ora son rimasti nascosti ai più per ingiusto oblìo. (293

Cfr. no. 286.

Perrens F. T. La civilisation florentine du XIII au XVI siècle. [Recens. firmata P. N. in Poly biblion. Partie littéraire. Serie seconda, vol. XXXVIII, sett. 1893].

L'autore ha in questo libro [Paris, May et Motteroz, 1893] capitoli belli e compiuti d' intorno alle origini di Firenze, alle costumanze della città, alle sue industrie, alla parte da essa rappresentata nelle lettere e nelle arti: ma sopra molti particolari meriterebbe le censure dei critici. Al capitolo sui costumi, ove il carattere religioso di Firenze è studiato un po' troppo fugacemente, si cerca invano un ricordo degli instituti di carità e specialmente della celebre fraternita della Misericordia. A pagina 134 reca stupore leggere che les savants de Bysance aveano propagé le gout delle ricerche degli autori antichi prima del tempo del Petrarca e del Boccaccio; e alla pagina 158 che Andrea Pisano era a Firenze ed avea compiute le famose porte del battisterio molto prima di lavorare alle sculture del campanile giottesco. Le illustrazioni che adornano il libro sarebber lodevoli se non fossero generalmente tolte da moderne incisioni senza valore. (294 Petit de Julleville. La poésie lyrique au XIV siècle. [In Revue des cours et confé rences, luglio 18931. (295

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Ponta Marco Giovanni.

vol. VIII, quad. 1043]. Favorevole.

Orologio dantesco. [Recens. in Civiltà cattolica. Serie XV,

Cfr. no. 231.

(296

Dante e il Petrarca [studio]; aggiuntivi i ragionamenti sopra due versi di Dante. Città di Castello, S. Lapi tip.-editore, 1894, in 16°, di pagg. 91.

Sommario: Prefazione di Carmine Gioia. I. Qual sia il giudizio di Francesco Petrarca intorno alla divina Commedia. II. Interpretazione del verso: Perch' io te sopra te corono e mitrio. III. Lettera di Marco Antonio Parenti a Giovanni Battista Giuliani intorno a questa

interpretazione del padre Ponta. IV. Nuova interpretazione del verso: Ebber la fama ch'io volentier mirro.

Prompt Dr. Cfr. no. 280.

(297

Rosa G. S. Antonio di Padova e i suoi tempi [1195-1231] per Enrico Salvagnini. [Recensione nell' Archivio storico italiano. Serie V, tom. XII, disp. 4a del 1893].

Il portoghese di Lisbona Ferdinando Balhem, o dei Buglioni della prima crociata, diventato poi sant' Antonio di Padova, fu, dopo san Francesco, il più influente e rinomato tra i fondatori e i propugnatori dell'ordine francescano del secolo XIII. Frate Antonio fu ancora il più dotto ed il più eloquente dei fondatori dell'ordine, e seppe destare tale entusiasmo popolare, che le turbe esaltate lo circondarono di aureola luminosa e ne crearono il santo più taumaturgo del cristianesimo. Perciò gli sviluppi degli studi storici rendevano molto desiderato uno studio accurato e coscienzioso su di esso. Ed ora è grande il merito del compianto Salvagnini d'avere saputo con grande diligenza e critica raccogliere in questo volume [Torino, Roux, 1887] il succo della verità dal cumulo delle tradizioni maravigliose e dai cenni sparsi confusamente. L'autore, penetrando nelle condizioni dell'Italia, del papato e dell'Europa e specialmente della Marca trivigiana nel principio del secolo XIII, preparò ricca cornice al quadro luminoso di sant' Antonio e compose un libro istruttivo e che alletta allo studio. (298

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Sanesi Ireneo. Di un incarico dato dalla repubblica fiorentina a Giovanni Villani. [In Arch. stor. italiano. Serie V, tom. XII, disp. 4a del 1893].

Di un altro incarico sostenuto da Giovanni Villani ci dà notizia il Liber censuum che si conserva a Pistoia, nell'archivio comunale. Questo documento porta la data del 21 di luglio 1335 e contiene una delimitazione di confini fra la terra di Montemerlo, nel distretto fiorentino, e le terre di Montale ed Agliana in quel di Pistoja. Tale delimitazione, come dal documento stesso rilevasi, era divenuta necessaria dopo che il torrente Agna aveva straripato cambiando il suo corso primitivo; forse a cagione del nubifragio del novembre 1333, del quale si ha notizia nel Villani medesimo [Cronaca, XI, 1]. A causa, pertanto, del suddetto straripamento, eran frequenti lites et questiones fra gli abitanti di Montemerlo, Montale e Agliana occasione confinium, terminorum et territoriorum ipsorum comunium vel alicuius eorum, qui confines et termini dictantur mutati, et mutati ab una parte per alteram, et e contrario: alle quali controversie volendo il comune di Pistoja porre rimedio, pensò mandare un ambasciatore alla Signorìa, per mettersi d'accordo con essa intorno al modo di rifermare gli antichi confini. I reggitori del comune di Firenze accolsero bene la proposta : e d'accordo col comune di Pistoja nominarono sei arbitri, tre pei pistoiesi eletti dagli anziani e dal gonfaloniere della giustizia, tre pei fiorentini eletti dal gonfaloniere e da' priori delle arti. Fra questi fu Johannes Villani. (299

Bindo Bonichi da Siena e le sue rime. Torino, E. Loescher, 1891, in 8o, di pagg. 75. Incominciando la sua monografia dalle ricerche intorno alla casata di Bindo, il Sanesi non solo col Borgognoni dubita, ma crede, anzi, di poter negare che i Bonichi discendesser da Reggio, però che a Siena era gente di quel nome avanti a quel Maravono e a quel Gre gorio de' quali parla fra' Salimbene, nella Cronaca del quale trovò il Borgognoni accennati i due personaggi suddetti. Si fa poi a confutare le ragioni addotte dal Benvoglienti per pro

vare la identità dei Bichi coi Bonichi: e afferma che l'unica notizia certa che abbiam del padre di Bindo si è ch' ei fu notajo, e prima del 27 di agosto 1299 era morto. Del resto, nè ch'egli fusse Bonico di Monte Bonichi, nè Bonico Mainardi possiam credere. Piuttosto è lecito supporre non, certo, affermare, che il padre di Bindo fosse quel Bonico di Giovanni che nel 1271 sedea fra' consiglieri della Campana, e che da due cartapecore dell'archivio sienese apparisce esercitare il notariato. Della mamma di Bindo nulla può dire l'autore: nè gli riesce trovare assicurazioni tali da provar che il Bonichi avesse per fratello un Giovanni, come il Borgognoni, con prove non forse a bastanza sicure, parve di credere. Tra tanta carestìa di notizie, non si può, nè pure, fissare il tempo in cui Bindo nacque, nè nulla affermar della sua giovinezza. Può bensì dirsi che Bindo, fatto adulto, esercitò la mercatura e fu probo, onesto, colto ed intelligente uomo: tanto che meritò la fiducia de' suoi concittadini che lo chiamarono a partecipare, come provano i documenti, al consiglio generale, ad assumer la dignità di ufficiale del comune e di console della mercanzia, e di sedere, più volte, tra i Nove del supremo reggimento. Della sua vita privata si ha da una pergamena del 2 di gennaio 1302, nell'archivio di Siena, ch'egli comprò un podere in santa Regina, tolse a moglie Giovanna di Arrigo di Bartolommeo Saracini, ebbe un figliuolo di nome Antonio e fu frate della casa di s. Maria della Misericordia. L'autore passa quindi a discorrere di Bindo come poeta: e lamentata la perdita, probabile, di molte sue rime, e accennati i giudizi disparati che del l'opera sua ci hanno dato gli storici delle lettere nostre, il Sanesi accenna ad alcuni difetti che, peraltro, non tolgono i pregi delle poesie di Bindo, fra i quali una profonda conoscenza del cuore umano, un sentire nobile, una filosofia alta e serena, una forma serrata, concisa, piena di pensiero, che a volte rasenta la potenza della poesia dantesca. Studiando il Bonichi anche come poeta satirico, l'autore cita alcuni brani di sonetti e canzoni e paragonandolo a Cecco Angiulieri, a Cene della Chitarra e a Folgore di Sangeminiano, nota che costoro preludono piuttosto alla poesia burlesca e popolare che alla satirica alla quale il Bonichi tende. Pone quindi a confronto Francesco da Barberino con Bindo e mostra la superiorità di questi per altezza di concepimento e artifizio di forma. Lo studio si chiude con un raffronto tra fra' Guittone d'Arezzo e Bindo Bonichi nel quale è posta in luce la differenza che sta fra l'uno e l'altro poeta nel concepir le cose e trattar la poesia. Guittone ha il tuono del predicatore : Bindo sembra un filosofo che mediti le verità balenate al suo pensiero. (300

Santini P. I primi due secoli della storia di Firenze: ricerche di P. censione nell' Archivio storico italiano. Serie V, tom. XII, disp. 4a del 1893]. Favorevole. Cfr. ni. 237 e 314.

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Villari. [Re

(301

Il veltro». Camerino, tip. succ. Borgarelli, 1893, in 8o, di pagg. 23.

Cacciaguida. Padova, Stab. Prosperini, 1894, in 8", di pagg. 25.

(302

È un comento estetico, dal canto XIV al XVIII del Paradiso. Vi notiamo, come cose nuove e che potrebbero dar luogo a discussione: a pag. 8, la lezione In questa quinta foglia, seguita al XVIII, 28 in luogo di soglia e confermata a pag. 10, mentre foglia si ha pure nella rima al verso 30; a pag. 9 la invocazione Benedetto sii tu, fu, trino ed uno considerata quale allusione all' essere Dante uno nella persona e trinipote allo invocante Cacciaguida: a pag. 11 l'essere sintomo della progrediente decadenza della republica fiorentina la collocazione in paradiso del trisavo Cacciaguida, in purgatorio del bisavo Bonareditta [?], in inferno del l'avo [?] Geri del Bello [osservazione del prof. Ruggero Della Torre]. (303

Scaetta Silvio.« Dantes Xristi Vertagus: conferenza di Vincenzina Inguagiato [Re. cens. in Chienti e Potenza. An. VII, no. 31).

L'opinione che nel veltro della Commedia sia simboleggiato lo stesso poeta fa ogni giorno più strada e trova nuovi seguaci. Al Missirini, al Bovio, al Della Torre, al Passerini, s'aggiunge ora dalla bella Trinacria che caliga Tra Pachino e Peloro Vincenzina Inguagiato, la quale con molto slancio e molto brio in questa sua conferenza afferma che Dante, piuttosto che col biasimevole titolo di guelfo o di ghibellino, dovrebb' esser chiamato genio del bene, banditore della dottrina di Cristo, suo messo o suo nuovo apostolo fra le genti. (304

Scherillo Michele. La madre e la matrigna di Dante. [In Nuova Antologia. An. XXIX, terza serie, vol. XLIX, fasc. 3°).

Nel verso Benedetto colei che in te s' incinse! è l'unico accenno che pel poema Dante faccia alla madre; e in tutte le altre opere non troviamo ricordo di lei se non in quel luogo del Convivio in cui il poeta riconosce dalla lingua volgare il beneficio dell' essere. [I, 13]. L'indole dell' Alighieri era naturalmente schiva dall'ostentare in publico i pudichi affetti della famiglia e in cotal ritrosia lo confortavano e gli esempi dell'arte classica e la consuetudine dell'arte nuova e i costumi del tempo suo. Una sol volta, e nella Vita nuova, l'opera sua giovenile ci solleva un lembo del velo che nascondeva a' profani il santuario domestico: quando, nel paragrafo 23, Dante ricorda la donna giovane e gentile che lo vegliava infermo, e nella quale lo Scherillo crede di riconoscere una delle due sorelle del poeta, e, preferibilmente, quella che fu moglie a Leon Poggi e mamma di Andrea, che al dire del Boccacci maravigliosamente ricordò nel sembiante e nelle forme della persona lo zio Dante Alighieri. Eppure il poeta si compiace di toccare spesso con sentimento vivo e squisito delle più pure gioie domestiche: e anche il culto ch'egli dimostra vivo e sincero per la Vergine madre ha molto del filiale. E donna Bella? In tutta la fantasmagorìa affettiva che è nella Commedia, alla fantasia dell' esule si presentava la cara figura di lei come d'una vecchierella favoleggiante di Fiesole e di Roma agli attoniti nipotini, lì nelle avite case delli Alighieri a porta san Piero, o al tempo dell'esilio era essa già in quel mondo di oltretomba che il singolare figliuolo si accingeva a percorrere? Se è vera l'opinione di coloro che asseriron la Bella sposa in seconde nozze di Alighiero sarebbe anche possibile che la poverina avesse provata l'angoscia di ve dersi condannato nel capo l'unico figliuolo e di saperlo mendicare la vita frusto a frusto. Ma Luigi Passerini, meglio esaminando i pochi documenti, osservò che l'ordine cronologico delle due mogli di Alighiero era forse da invertire: e alle sue giuste deduzioni acconsenti il Reumont e poi l'Imbriani. Quando dunque il poeta sospirava il suo dolce nido, la madre ne era sparita: e da un bel pezzo, se si consideri che nel 1297 il figlio della seconda moglie era già in età da intervenire a un instrumento di mutuo. Non si sa quando Alighiero sposò, in seconde nozze, la Lapa; ma nulla ci autorizza a supporre che ciò fosse poco tempo dopo la morte della Bella: e se consideriamo che Dante non ebbe altri fratelli germani [almeno per quanto ne sappiam noi] e solo che ci facciam lecito di non far seguire il secondo matrimonio subito dopo la morte della prima moglie, ecco che ci si affaccia il sospetto che Dante non abbia mai conosciuta sua madre e non mai provate quelle carezze sospirate con tanto strazio di nostalgia nelle amaritudini dell'esilio! Ma come mai il poeta non ricorda in nessun modo la madre nel poema? Forse per la stessa ragione che a lui vietò di riconoscervi il padre di Beatrice. A Dante ripugnava mettere a parte i lettori dei suoi sentimenti più sacri ed intimi. e d'altra parte ei non voleva anticipare o ripetere nulla che gli turbasse l'effetto estetico dell'episodio di Cacciaguida. Gli antichi biografi, se ne togli il Boccaccio, che vi accenna senza pur dirne il nome, tacciono tutti della madre di Dante. Fra i moderni, il solo che abbia ardito di arrischiare qualche congetture, fu il conte Passerini, il quale reputò non improba

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