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dell'altra detta il Dante del re, contenente le annotazioni del piemontese Fr. Talice, dedotte similmente dallo stesso Benvenuto, e voluta quella con alto senso italiano dedicare da Umberto I a suo figlio qui in Roma. Accettando l'odierno avviamento critico degli studi sugli antichi testi delle opere di Dante, l'importanza principale del lavoro Serravalliano per noi riducesi a questo con esso s' inizia realmente e solennemente la storia del culto di Dante in Germania, la cui origine così ne acquista maggior valore ed antichità, precedendo esso di circa 76 anni quella stampa lipsiense (1493) delle chiose di Bartolo da Sassoferrato ad una canzone dell' Alighieri, documento col quale lo Scartazzini dà principio al suo noto lavoro.

Ma appunto perchè così da noi considerati il commento e la traduzione del francescano, vescovo e principe di Fermo, assumono un carattere storico solenne, avremmo desiderato vederli ricollegati non ad un codice, cui trascrisse fr. Bernardo da Colle nel 1478, ossia circa 64 anni dopo la loro composizione, bensì ad uno o più testi antichi non da essi discordi e avuti probabilmente dinanzi e studiati dal traduttore. E tutto ciò non poteva offrire serie difficoltà agli egregi editori, se avesser voluto o pensato stabilir dei raffronti coi codici danteschi di santa Croce, oggi Laurenziani, dove si sa che il Serravalle fu reggente degli studj nel 1395 e rimase quattro anni.

Avremmo del pari desiderato che i lettori del grosso volume, fornito d'un ampia prefazione, di prolegomeni, di riposi, e di varii documenti, non fossero poi stati privati della conoscenza di un' importante dedica necessaria al retto giudizio sulla mente e i fini dell'autore. Egli dedicò la Comedia, chiamandola : liber poeticus trium Comoediarum a Sigismondo re dei romani, presidente del concilio, con parole e frasi le quali inducono a creder lui un seguace caldo e convinto della dottrina politica trattata nel de Monarchia, a meno che non si dica essergli state consigliate da un sentimento di adulazione; il che non si avrebbero poi indizi o ragioni d'altronde a supporre.

« Vestre clementissime et Cesaree majestati omnis sit virtus et omne im"perium, omnisque salus, honor et gloria per cuncta vasti orbis spatia, » uti est bene congruum atque decens. »

Cotesta dedica asserente il primato universale di Cesare e la conseguente implicita soggezione della chiesa romana sembra non abbia garbato punto sì allo scrittore del codice Capponiano vaticano, dondè tratta la edizione, che a quello del British Museum, notificato nel 1886 dall' insigne dantista Edward Moore. È dato leggerla soltanto nel codice serravalliano che si conserva alla biblioteca del liceo di Eger in Ungheria.

Anima del cardinal del Poggetto (truce nella memoria) tu l'avresti in un batter d' occhio dannata alle fiamme: ma non meno da queste, anzi per queste avrebbe maggior nome acquistato il commento dantesco, oggi messo in luce dal papa, che pur piange il temporal perduto e per sempre.

Roma, maggio 1894.

ANNIBALE TENNERONI,

CHIOSE DANTESCHE

"AL DOLCE SUONO

Purg., IX, 141.

Poco fà ebbi l'occasione di fare nel vetusto battistero presso san Giovanni in Laterano una osservazione, dalla quale mi pare si possa trar profitto per spiegar meglio, di quanto non sia stato fatto finora, un luogo controverso del Purgatorio.

Si sa, che attiguo al battistero si trova l'oratorio di san Giovanni battista, chiuso con una porta di bronzo, la quale una iscrizione dice offerta. da Ilario vescovo. Secondo la tradizione peraltro, essa sarebbe stata tolta dalle terme di Caracalla, e il pregio del lavoro, contrastante notevolmente col gran declino, che aveva invaso ogni arte nei tempi del papa Ilario (V secolo), è ben tale da dare appoggio a questa tradizione. Ciascuno dei due battenti è fatto d'una sola solida lastra di bronzo con semplice ornamento di specchi e scaglie le piccole croci d' argento di assai cattiva fattura, delle quali la porta è incrostata, nonchè l'iscrizione suddetta saranno di quell'epoca in cui la porta fu trasportata nel luogo sacro ove è ora), e l'artista, il quale ha composto e lavorato il bronzo, deve essere stato pratico del suo mestiere al pari del migliore fonditore di campane. Il custode, che mi mostrava il battistero, fece girare sui cardini i battenti pesanti, lentamente, l'uno dopo l' altro. Alla prima spinta striderono fragorosamente; ma quando i battenti erano in movimento e il bronzo in vibrazione, suonavano soave e sonoramente come un organo e avevano l'ottava chiaramente accordata. E quando il custode li fece girare vicendevolmente,

ogni volta soltanto per una particella del giro, ora un battente, ora l'altro, sì che la risonanza bassa della prima lama di bronzo si mescolava al suono limpido e puro dell' altra, ci fu una armonìa di un effetto fantasticamente solenne.

Questa impressione destava nella mia mente il ricordo di quel passo dove Dante descrive come l'angelo portinajo apre la porta del purgatorio: E quando fur ne' cardini distorti gli spigoli di quella regge sacra, che di metallo son sonanti e forti, non rugghiò sì, nè si mostrò sì acra Tarpeia, come tolto le fu il buono Metello, per che poi rimase macra. Io mi rivolsi attento al primo tuono, e Te Deum laudamus mi parea udir in voce mista al dolce suono. Tale imagine appunto mi rendea

ciò ch'io udiva, qual prender si suole, quando a cantar con organi si stea: che or si or no s' intendon le parole.

Purg., IX, 133-145.

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In questo passo come fosse da intendere quel « dolce suono >> difficilissimo finora a precisare, perchè non si prestava altra interpretazione, soddisfacente e non artificiosa, se non quella, che il suono proveniva dal girare della porta; alla quale interpretazione accennano anche le parole del v. 135 «che di metallo son sonanti e forti » e quelle del v. 4 del canto seguente «sonando la sentii esser richiusa ». Ma a questa spiegazione pareva si potesse ben a ragione opporre, che una porta, la quale rugghiava, non era istrumento molto adatto a produrre un dolce snono. «In verità, bella musica questa, esclama lo Scartazzini, un canto con accompagnamento dello stridore d' un uscio!» E anche a me l'obbiezione mi era sembrata stringente. Ma ora credo che il fatto più sopra esposto tolga tutte le difficoltà nel modo più semplice. Cioè: Dante descrive effettivamente, come lo stridore primitivo (il « primo tuono », v. 139) dei battenti di bronzo si cambi in un dolce suono da organo. Quale fosse il senso allegorico di questo cambiamento (l' amaritudine al cominciare della penitenza e il sentimento di beatitudine dopo la remissione dei peccati), fu già ben dimostrato da altri. Ma che l'immortale poema, « polisenso», anche quì nel senso più strettamente letterale dipinga al vero, ce lo prova la porta di bronzo nel battistero di san Giovanni in Laterano.

Heidelberg, maggio 1894.

ALFRED BASSERMANN.

VARIETÀ

DANTE MATTO?!

Ottimo Passerini,

Vuol ch'io Le dica quel che penso dell'articolo Dante e la psichiatria, pubblicato dal discepolo del Lombroso, signor B. Chiara, e dedicato al suo maestro su la Gazzetta letteraria di Torino, no. 15 del 1894? Io non sono uno specialista della materia; però dirò franca la mia opinione, qualunque essa sia.

Anzitutto dirò che le note, fatte dal Chiara, sono vere, giuste, esatte; nè si possono oppugnare o contraddire, perchè risultano dalle opere di Dante, in prosa ed in rime, studiate con diligenza e messe a riscontro tra loro; ma non accetto, del pari, le conseguenze, perchè un po' stiracchiate ed eccentriche. Ed invero: se Dante, con tanta squisitezza di sentire, con tanta energia di carattere, con tanta elevatezza d'ingegno, con tanta vastità di dottrina, con tanta ricchezza di fantasia, con tanta esuberanza di forze intellettive e morali, si fosse improvvidamente chiuso in sè, povero ed esule, fremebondo e triste, sconsolato e solo, avrebbe davvero finito col dar di volta al cervello e correre defilato al manicomio. Ma egli, che pur << trasmutabile per tutte guise» (Parad., V, 99), aveva l'ingegno talmente equilibrato, che di sè medesimo cantava: «Non mi lascia più gir lo fren dell' arte» (Purg., XXXIII, 141). La fantasia, che in arte è sovrana, in lui dunque (siccome il Monti ben si espresse) era « tiranneggiata » e questo impero su le proprie facoltà non possono esercitare, se non quelli che hanno gl'intelletti sani » (Inf., IX, 61).

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Sbarrate tutte le vie, tranne quella dell'esilio, Dante, come sorvolando su tante umane miserie, si rifugiò nel mondo dell'arte, e qui tutta trasfuse la sua grande anima di filosofo e di poeta, di credente e di cittadino, di artista incomparabile e di banditore di rettitudine a tutto un mondo tralignato e guasto. Avrà, qualche volta, trasceso nel suo magnanimo disdegno? Ma l'ira stessa in lui (come il Mazzini ha splendidamente dimostrato) è figlia dell'amore: irascimini et nolite peccare (la gran sentenza di Davide); se no, Cristo medesimo sarebbe stato un mattoide, quando si armò la destra di flagelli e discacciò i profanatori dal tempio. Contro la nera infamia, che a suo danno si era consumata, Dante sentiva imperioso ed irrefrenato il bisogno di reagire, di sfogarsi, di espandersi. « Oh! come allora si abbassarono i campanili di Fiorenza!» (scrive, di santa ragione, il Carducci); e il poeta faceva come il vento «Che le più alte cime più percuote: E ciò non fia d'onor poco argomento » (Parad, XVII, 134-135). Per tal modo, il perseguitato si metteva al di sopra de' suoi persecutori, e li condannava dall'alto alla esecrazione de' posteri: se fu condanna, fu morale; e, se fu vendetta, fu di artista sovrano: ultio Domini, ultio templi sui. E, quindi, (ecco quel che ne voglio de

durre) la divina Commedia fu, per Dante, la valvola di sicurezza, che lo salvò dall'ultima ed irreparabile rovina. Quando il fiume va gonfio, s'apre da sè stesso il suo diversivo, per cui fremendo sbocca nel mare immenso. Ecco quel che io penso della psicopatìa di Dante; e son sicuro che, con me, così penseranno i migliori.

Ma Dante, (sento dirmi) a quando a quando, si contraddice. Ed io ripiglio : Ma qual uomo su la terra, sia pur grande e sublime, non si è mai contraddetto? Chi non ha mai dubitato di nulla, non ha mai pensato; e, quindi, non è mai esistito : dappoichè (Dante stesso sentenzia) « vivere nell'uomo è ragione usare » (Conv., IV, 7). E, quindi, che cosa avviene? Avviene che l'uomo, evolvendosi di continuo, successivamente si rinnova, si compie, si per. feziona, senza che neppure se ne accorga: fenomeno psichico sì prodigioso, che lo stesso uomo, alla fine, si sente come trasumanato, e non sa neppur ei comprendere come ciò sia avvenuto: « siam vermi, Nati a formar l'angelica farfalla » (Purg, X, 124-125). Qual maraviglia, dunque, che Dante siasi contraddetto? Stupore sarebbe, se ciò non fosse mai avvenuto. Ma, se Dante variò di opinioni o d'indirizzo o di mezzi al fine, non deviò mai, neppure d'una linea, dal suo grande ideale o dal suo canone supremo: Cuncta mensurantur Uno (De vulg. eloquio, I, 16); onde quel fare dell' Uno eterno e dell'eterno Amore il centro d'irradiazione di tutto quel poetico mondo, « Al quale ha posto mano e cielo e terra » (Parad, XXV, 2); E questo fia suggel, ch'ogni uomo sganni» (Inf., XIX, 21).

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Ma, se questo è già molto, non è tutto ancora. Se l'egregio signor Chiara avesse voluto un esempio di contraddizione enorme, paradossale, avrebbe potuto cercarla nell' Ugolino di Dante. -Per vendicare quattro innocenti (osservava, da suo pari, il De Sanctis), Dante, più feroce di Ugolino, condanna a morte tntti gl'innocenti di una intera città, i padri e i figli e i figli de' figli ». — È contraddittorio? Ma la logica del cuore umano è, per lo appunto, la contraddizione, che anche l'Apostolo notava in sè: videor proboque, deteriora sequor. Di qui il furore biblico »; di qui quel« violare le leggi di natura »; e quel volere che « la Capraia e la Gorgona, acquistando coscienza della oltraggiata innocenza, se ne facessero vindici, ostruendo le foci dell' Arno, per fare che 'l fiume, rigurgitando, allagasse Pisa, vituperio delle genti, ed ogni persona » perciò vi perisse annegata (Saggi critici). Il poeta, com'è chiaro, spiriualizza la natura e vi trasfonde la sua stessa anima; onde una poesia viva, palpitante, di sua natura immortale, eterna, non ostante tutte le sue contraddizioni, come se il cuore, quest'organo ribelle, invece di sussultare in petto, fosse nel cervello! E ricordiamoci tutti che Dante, più che filosofo, è poeta; e, più che poeta, è uomo; ed uomo (come ben disse il compianto Bartoli) « del suo tempo » ossia del medio evo» (Storia della lett. ital., VI, pag. 187). Non mi si venga, dunque, più a parlare di matti e di mattoidi, dappoichè il matto non fu mai sapiente, nè il mattoide seppe mai fare miracoli. Un momento di pazzia fece scendere la folgore dalle nubi, disarmandone il chimerico Giove; un altro momento di pazzia ci regalò il Nuovo mondo, legandolo di perenni benefizî all'antico; e un altro momento di concitazione cerebrale ci diè la divina Commedia, la più grande opera che la mente umana abbia mai concepita ed espressa sotto forma fantastica.

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Oh! dolcissimi, beati,
benedetti quegl' istanti,
che di matti e di malati
ve n'eran tanti!

Ora, grazie a Dio, siam tutti savi! « Ma (scrive il Renan) i vocaboli sano e malato sono relativi. Chi non preferirebbe l'essere malato come Pascal all'essere sano come un cretino ? » (Vita di Gesù, XXVIII, pag. 168). « L'armonia dell'umanità (altrove ripiglia) ri

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