แ 66 "hei; perciocché, senza dubbio, egli la trovò usata dai più antichi di "lui, e specialmente da Dante; ed era voce comune del popolo.... e " si usa ancora oggidí in composizione dello infinito, come in amerei, varrei, leggerei.... „. E fra que' più antichi troviam almeno Guittone d'Arezzo e Brunetto Latini che usarono tal voce in verso e Bono Giamboni che l'usò perfino in prosa. Che piú? Non altrimenti che a' tempi di Dante, in qualche contado toscano essa è " voce co"mune del popolo, anc'oggidí! Tuttavia, pur di contendere al maggior poeta un diritto a minori e minimi assentito, si deturpò in non meno di trentasei differenti maniere il verso dantesco; il quale non ha né men oggi (dopo che il Dionisi, il Foscolo e il Witte l'accolsero) non ha sí allegra la vendetta da venir sempre accettato (tutt'altro!), né da esserlo anzi mai senza premetter le scuse per il proprio ardire di far capolino (v. N. CAIX, Storia di un verso di Dante, nell' Antologia della critica letteraria di L. MORANDI, p. 290). Ma non è di questo verso, al cui grido in ogni modo non tutti furono insensibili, non è di questo verso ch'io voglio oggi tener discorso; bensí d'un altro che, pur esso in sul limitare dell'edificio dantesco, ebbe anzi la sorte peggiore, quella cioè di vedersi sempre finora reietto: alludo al v. 81, c. II dell' Inferno: Piú non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento, dagli editori tutti mutato sempre per lo addietro e continuato a mutar sempre oggidí nel Piú non t'è uopo aprirmi il tuo talento. Gli è dunque del grido che questo verso leva a buon dritto contro lostrazio disonesto,,, gli è di quel grido ch'oggi io mi fo interprete, disponendomi ad esaminare le ragioni della diuturna inescusabile proscrizione impostagli dalle edizioni tutte. (Le riproduzioni di codici dateci dal Fantoni e dallo Scarabelli non voglion esser qui prese in considerazione se non come un argomento a nostro favore). Mi correggo: dalle edizioni tutte ne va eccettuata una, quella cioè di Iesi, ch'è del 1472, l'anno si noti — in cui apparvero le prime edizioni della Commedia di Dante; da quest'ultima infuori, adunque, tutte le altre, che oggi superano le tre centinaia, quelle che avvennero cioè nello spazio di oltre a quattro secoli, tutte si piacquero di proscrivere la lezione (che diremo qui nostra) del verso: Piú non t'è uo' ch' aprirmi il tuo talento. I. IL SENSO. Mettiamoci subito innanzi il piú formidabile forse degli oppositori, il primo di tutti a ogni modo che abbia trattato la questione e il solo poi che per la conoscenza profonda della "volgare lingua,, fosse in grado di dettare al tempo suo un competente e spassionato giudizio a questo riguardo. Ho nominato il Castelvetro; il quale adunque, nella Giunta alla Prosa relativa del Bembo (Op. cit., p. 51), riferí anzi tutto le costui osservazioni: "Huopo è latina voce; tuttavolta è molto prima " usata da' provenzali, che si sappia, che da' toscani; perché da loro si "dee credere che si pigliasse; e tanto piú ancora maggiormente, quanto " avendo i toscani in uso quest' altra voce bisogno che quello stesso può, di questo huopo non faceva loro huopo altramente. Quantunque “huopo si è ancora più provenzalmente detta, che si fe' huo', invece "di huopo, recandola in voce di una sillaba, sí come la recò Dante, "il quale nel suo Inferno disse: แ "Piú non t'è huo, ch' aprirmi 'l tu' talento .... Il Castelvetro, cui non parve qui vero di poter pigliare due piccioni ad una fava, riferita questa nota del Bembo, vi appose dunque una lunga chiosa, ch'io vedrò d'abbreviare: "Uopo è voce latina, come " scrive il Bembo; ma non so perché egli vi premetta un h, né credo "che valga quello che vale bisogno e non possa esser toscano; né che "Dante abbia usato uo' in luogo di uopo; né che uo' sia più proven"zale che uopo: . Bisogno in molti casi non può stare in luogo di "uopo (come altri può provare e veder chiaro).... Ultimamente io "non veggo come voglia il Bembo che Dante abbia usato uo' in luogo "di uopo (il che nondimeno non niego io aver veduto scritto nel luogo "addotto dal Bembo in alcun libro) guastandosi fieramente il sentimento, se ritegniamo la predetta scrittura. Perciocché Beatrice aveva commesso a Virgilio che dovesse andare a soccorrer Dante; a cui egli risponde, che è tanto disposto ad ubbidirla, che non fa mestiere "che si distenda in piú parole, per indurlo a ciò, dicendo: Piú non "l'è uopo aprirmi 'I tu' talento. Ma se leggeremo: Più non l'è uo' "ch'aprirmi 'I tu' talento, le parole suoneranno che Virgilio di nuovo domanda che gli sia commesso quello che già gli era stato commesso; "il che poi non si fa punto ....e perché uo' non si trova usato né "da Dante altrove, né dagli altri, crediamo che Dante in questo luogo non l'abbia usato: né può essere uo' reputato piú provenzale "che uopo, poiché i provenzali scrivono, non uo', ma ops in luogo di uopo แ Prendiamo subito nota di due tra le osservazioni del Castelvetro: anzi tutto l'uo' per uopo non fu usato mai da veruno scrittore (non è ancor detto però che di que' tempi non fosse in uso presso il popolo in qualche parte d'Italia: ha certo un qualche valore il fatto costante che vedremo piú innanzi — onde ne' codici i copisti non lo mutarono altrimenti che nella corrispondente voce piana uopo); in secondo luogo, cotest' uo' fu veduto "in alcun libro o testo a penna, anche dal Castelvetro. Se fosse proprio necessario adunque ricorrere agli aлağ signueva, perché, pur di restituire il verso dantesco alla originaria lezione, si dovrebb'esitare? Ma intanto procediamo nel nostro esame. Per veder trattata di nuovo e di proposito la questione bisogna ora fare un salto di tre secoli e dal 1563 cioè venire al 1861, quando il Blanc avendovi il De Romanis (edizione di Roma, 1815 segg.) e il Foscolo (Discorso sul testo, CCIV, Londra, 1825) appena accennato — la riprese in esame. Nel Versuch einer philologischen Erklärung d. Göttl. Kom. (Halle, s. 27) leggiamo infatti e traduciamo come ci riesce, non avendo l'edizione italiana: "Quella di Iesi è l'unica fra tutte le " antiche edizioni principali che offra la lezione ch'aprirmi e, fra gl' interpreti, Benvenuto da Imola e Guiniforto sono i soli (lo Scarabelli vi aggiungerà il Lana, e il Moore, come vedremo, il Buti) che la "adottarono e s'accostò a loro Zane de' Ferranti. Tutti gli altri legแ gono aprirmi e, o non ne offrono veruna dichiarazione, o ne danno questa ch'è la sola esatta: Beatrice non ha bisogno cioè di parlare piú oltre per esprimere il proprio desiderio, poiché ha infatti già chie"sto tutto che le abbisogna, e alla domanda di Virgilio la quale 66 66 prova pure com'egli, che chiede informazione d'altre cose, sia di ciò "a bastanza istrutto a quella domanda essa dà un'ampia risposta, "in cui però non è più il menomo accenno a quant'essa desidera da "lui Qui il Blanc ricorda che il Bembo avrebbe preferito per l'edizione di Aldo (1502) la lezione ch'aprirmi, qual è nel suo manoscritto del codice vaticano (3197); ma vi si opposerɔ - ripeterò col Foscolo "i pareri dell'Accademia ch'essi [il Manuzio e il Bembo] aveano “fondata allora a promovere la emendazione dei codici nelle stampe (Discorso, ecc., CCIV e cfr. LXIX). Io non so chi abbia inventato la storiella; so bene che pur quivi, come da per tutto altrove afferma il Witte, il manoscritto del Bembo (vaticano 3197) ha la lezione dell'aldina: debbo la notizia alla cortesia de' preposti agli Archivi vaticani. Mentre adunque il codice vaticano 3199, ch'è quello regalato dal Boccaccio nel 1359 al Petrarca e trascritto dal Bembo, con piú o men leggiere differenze, per l'edizione aldina, mentre questo codice legge quivi huo' caprirmi, quello, che dovrebb'esserne la copia, di mano del Bembo, il vaticano 3197, ha nel testo üop' aprirmi, dove üop' è fregato col richiamo alla postilla marginale uopo; e infatti nell'edizione di Aldo fu riprodotto perfino il richiamo, poiché quivi l'uopo leggesi introdotto co' suoi due puntini nel testo. Questa è, a mio giudizio, una appunto delle varianti fra' due testi a penna dal Barbi dette "piuttosto guasti che correzioni giudiziose, (La fortuna di Dante nel secolo XVI, p. 110): quant'all'altre, ancora mal note, io àuguro ai due codici un erudito lavoro quale s'ebbero dal Mestica, l'anno passato, il 3197 istesso e il prezioso autografo del Petrarca (vaticano 3195) per rispetto al Canzoniere (Giornale storico, ecc., anno XI, fasc. 62-63). In ogni modo il Foscolo ritornando all'argomento nostro ebbe ragione: per l'aldina del 1502 il Bembo, allora giovine, lesse qui diverso da quel che per le Prose nel 1525, quand'era cioè nel maggior fiore dell'attività intellettuale e della sua gloria letteraria (V. Cian, Un decennio della vita di P. Bembo, p. VII): ben sapeva egli che il Manuzio e i consiglieri suoi non avrebbero accolto la rara lezione! Il Foscolo stesso però ebbe qui il torto di non vederci che un capriccio; benché non reputasse il Bembo" di ingegno sí stupido ch'ei senza avvedersene gli [a Dante] guastasse la poesia; né sí malnato che s'industriasse di sfigurarla. Ben ei leggevala alcune volte, e la intendeva a sua posta a farne esempj di grammatica; onde fino da' primi canti: " แ "Piú non t'è huo' ch' aprirmi il tuo talento Che non fosse capriccio l'abbiam veduto dal codice del Boccaccio (vaticano 3199), riprodotto anche qui integralmente, se si prescinda dall'ortografia, nell'edizione del Fantoni (Roveta, 1820: huo' ch'aprirmi); l'abbiamo veduto anzi nelle Giunte del Castelvetro, il quale, avendo appena osservato: "io non veggo come voglia il Bembo che Dante abbia "usato uo' in luogo di uopo „, si contraddisse soggiungendo: "il che "io non niego aver veduto scritto in alcun libro แ แ Ancora: un quarto di secolo fa il Campi (ediz. di Torino, 1888) Osservava: "Non può dirsi un capriccio, sendo lettera di molti testi "della quale quel Monsignore [il Bembo] non avvertí l'assurdità.... Io "tengo per sincera aggiungeva il Campi la lezione degli accademici, e l'ho rispettata, e la sentenza è questa: Ti ho inteso, basta cosí, non mi occorre altra spiegazione, né altro eccitamento. Ma sul "margine della loro edizione citarono l'altra Più non t'è uo' ch'aprirmi "il tuo talento, da essi riscontrata in cinque dei loro testi [vedremo piú innanzi quanto c'è di vero in questa loro asserzione] e verrebbe a dire: Non ti rimane che a palesarmi il tuo volere; ma Beatrice glielo " aveva già manifestato, quindi assurda è questa lettera del Bembo Come possa conciliarsi il sendo lettera di molti testi, con questo lettera del Bembo, altri vegga: anche il Campi adunque cadde nella contraddizione del Castelvetro! " ད. Meglio ancora che il Bembo, il Castelvetro, il Blanc e il Campi, su questa lezione dissertò il dottore Edoardo Moore di S. Edmund Hall (Oxford) nelle sue Contributions to the Textual Criticism of the D. C. (Cambridge, 1889, p. 273 e 274). Pure accogliendo la lezione comune, ei riconobbe cioè quivi nell' "inserzione del che.... un significato “indubbiamente assai naturale e logico in generale „; e si richiamò alla terzina del Purgatorio (XXXIII, 130-132): Com' anima gentil che non fa scusa, ma fa sua voglia della voglia altrui, e riferí, come già il Blanc, la nota risposta di Eolo a Giunone, ch'è nel primo dell'Eneide (anche qui richiamandosi opportunamente al c. 25° della Vita Nuova, dove Dante ne tocca): Tuus, o regina, quid optes explorare labor: mihi jussa capessere fas est. Tuttavia, dunque, dette la preferenza pur lui, il Moore, alla lezione comune (uopo aprirmi), non sembrandogli che l'altra rispondesse alle esigenze della narrazione dantesca. Ben cinque ragioni allegò poi contro la rifiutata; le quali però possono ridursi a due, l'una, cioè, di senso e l'altra di metro. Le relative al senso infatti non tendono che a ribadir tutte questo concetto: Beatrice aveva appena espressa la propria volontà a Virgilio, senza lasciar supporre d'aver null'altro ad aggiun gere, e Virgilio aveva appena risposto che si disponeva ad ubbidire; considerando quindi come già esaurita da quest'aspetto la questione, egli rivolgeva l'animo e il pensiero ad altro: Ma dimmi la cagion ché non ti guardi, ecc. né Beatrice poi accennò piú in verun modo a quella maggior esplicazione del proprio desiderio che sarebbe richiesta dalla lezione: Piú non l'è uopo che aprirmi il tuo talento. Fermiamoci, per ora, qui. L'errore del Moore, di tutti anzi quelli che"fieramente furo avversi, a questa lezione, trae origine dall'aver qui male interpretato il pensiero del poeta nostro. Di que' diciassette versi infatti che spende Beatrice per movere Virgilio al soccorso di Dante, ben dodici ne rivolge a spiegare la ragione della preghiera e gli altri dedica ad ingraziarsi l'animo del poeta latino. Dopo di tutto ciò e dopo anche la risposta di Virgilio ch'è a' citati versi 79 e 80, ozioso, se non anche ridicolo, è il soggiungere: Tu non hai che a dirmi ora quel che l'abbisogna. Hanno ben ragione dunque i difensori della lezion comune, poiché né Beatrice alluse per entro al discorso, già chiuso, a lacune da riempire poi, né accennò in sul finire ad aver dell'altro ad aggiungere; anzi, Tacette allora; e poi cominciai io, 4 continuando, fa dire a Virgilio il poeta nostro; il quale spende cosí un intero verso a significare quel lungo silenzio ch'è qui effetto dell'esta |