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mentatore, perchè, ripeto un'altra volta, di intervento divino nè prima nè appresso Dante dà il più lieve cenno. E poi, non parrà fuor di luogo, tanto quanto la bufera per l'arrivo dell' angelo, un sublime cosiffatto, data la situazione drammatica e lo scambio di solo poche vivaci parole fra Virgilio e Caronte? E che ragioni aveva l'angelo di far così in fretta da non lasciarsi punto punto vedere. da Dante, neanche da lontano? Quando il messo del cielo rompe le porte di Dite il poeta sa toccare il sublime, e come! ma non con la furia sragionata, nè lasciando lavorare la fantasia degl' interpreti, ma dipingendo egli stesso la dignità e l'eccellenza di quello, e senza per nulla aver bisogno di addensare i fatti oltre il possibile o alterare i fenomeni naturali dei quali è noto quanto sia stato scrupolosissimo osservatore.

La seconda osservazione che si può dedurre è la seguente: che tuoni con ogni probabilità ce ne furono parecchi; qualcuno lontano, qualcuno vicino.

Or se si esclude che la bufera sia provocata dalla venuta dell'angelo, si deve inferire che fu suscitata unicamente per far perdere i sensi a Dante? Non credo che questo si possa ammettere; ed allora non ci resta da concludere che nell' Antinferno scoppino di quando in quando di tali bufere. Scrissi in altra occasione che Dante per la sua brevità spesso accenna fatti e circostanze di cui trascura di dare la spiegazione lasciando al lettore la cura di trovarla da sè. La bufera a me pare uno dei particolari che tocca ́a noi spiegare e darle il significato che deve avere nel poema. Questo non è il luogo di farlo, solo mi piace accennare che, se bufera ci fu, quella che Dante vide non dovette essere la sola; e perciò tra gli ignavi, sia o no accrescimento di pena, si hanno di queste commozioni atmosferiche, forse ad intervalli fissi, forse no. Se si potesse fare un'ipotesi senza che il poeta ci desse alcun fondamento nelle sue parole, io direi: Poichè il primo lampo, a cui senza dubbio succedette un tuono lontano, balenò allorchè Caronte era già da un pezzo andato via, e quindi si trovava sull' approdare alla sponda opposta, ed il secondo tuono scoppiò quando Dante fu portato di là con la seguente barcata di anime; si può credere che, come nel purgatorio ad ogni anima che vola al paradiso trema tutto il monte, qui, ad ogni barca di anime che giunge al primo cerchio dell'inferno, tremi la terra, or qua or là si sprigioni una raffica e scoppi un fulmine. Ma scrivo questa ipotesi perchè mi è venuta in capo, non ch'io la creda da raccomandarsi.

Veniamo infine alla prova irrefragabile da me promessa a principio di questo paragrafo. Essa è di natura estrinseca, quando

Giornale dantesco

tutti gli argomenti fin ora addotti sono stati di ordine intrinseco. I commentatori, i critici, e quanti si sono occupati di questo luogo hanno discusso, rigettato e approvato interessandosi della sola persona di Dante; ma essi hanno fatto il conto senza l'oste, e l'oste in questo caso è Virgilio. Il poeta latino è stato messo addirittura nel dimenticatoio; e per quanto io sappia, nessuno si è proposto la domanda: « In che modo Virgilio è passato di là ? » Questo è un dubbio interessante; perchè se, quando Dante si destò, Virgilio si trovava accanto a lui, vuol dire che, ammettendo Virgilio passato nella barca di Caronte, tra lo stramazzare per terra e il greve tuono dovette almeno intercedere lo spazio di tempo necessario a che Caronte rivenisse, riempisse la barca d'anime e poi tornasse indietro e giungesse di là. Or si vorrà dire che questo sia pure stato fatto nei tre o quattro secondi, e siano anche dieci, i quali secondo il Puccianti intercedono fra la luce vermiglia e il greve tuono? oppure si vuol sostenere che Virgilio fu pure passato dall' angelo? che questi si cacciò l'uno sotto il destro e l'altro sotto il braccio sinistro, come fossero due fasci d'erba, e li abbia trasportati di là? Ovvero che, quando Dante si destò, Virgilio doveva ancora varcare l'Acheronte? Se questo ora si vorrà sostenere, io da parte mia sostengo che mi par di leggere in quel principio del canto quarto che l'angelo ha anche fatto una partita a dadi con Caronte. Ma non credo che si voglia arrivare fino ad asserir ciò, perchè anche nel Purgatorio Lucia porta il solo Dante, e Virgilio va per le su' orme. Resta dunque fermo che questi passò con la barca come gli altri spiriti; ed allora, poichè si trovava accanto a Dante quando scoppiò il greve tuono, questo dovette scoppiare molto in là della luce vermiglia, la quale perciò, come appunto per considerazioni meteorologiche s'è provato, non ha nessuna relazione con quello. E se la luce vermiglia non è lo sfolgorio del fulmine che dà il greve tuono, la supposizione della venuta dell' angelo, la quale si fonda soltanto sul supposto contrario, va immancabilmente all'aria.

E questo fia suggel ch'ogni uomo sganni.

G. DEL NOCE.

LA

VITA NUOVA E IL

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LA "VITA NUOVA, E IL "CANZONIERE,, DI DANTE

TRADOTTI IN BOEMO (1)

Non da un giorno, ma nemmeno da un secolo, venne in luce a Praga la versione della Vita Nuova e del Canzoniere di Dante; prima tra i boemi, e la prima, se non erro, che si vedesse in uno o nell'altro dei paesi slavi. Nei quali paesi ognuno che abbia cura della nuova storia letteraria, interrogato chi possa essere il traduttore, risponderebbe: Jaroslavo Vrchlicky'; tanta è la meravigliosa fecondità di questo uomo, che nel fiore degli anni, o vestendo le sue fantasie, o rivestendo quelle dei grandi poeti, apre fra i cittadini boemi due strade di Parnaso, una straniera ed una nazionale. Il traduttore dei versi e della prosa dell' Alighieri, è appunto il Vrchlicky'; e anche tra noi, di quanto egli fece per la Commedia, per la Liberata, per il Furioso, per altri vecchi e nuovi dei nostri poeti, s'è già discorso più volte; ma ad ogni segno dell' amore che, da quando venne in Italia e ne uscì, le serbò sempre l'ingegnoso boemo, si sente la tentazione di ridire, plaudendo, le stesse parole. Bisognerà guardarsene e quindi andare per le vie più brevi.

Afferma il padre Cesari nel 1792 che « certo convien dire che i forestieri più studino in Dante che i nostri non fanno ». Dopo un secolo, non si metterebbero fuori questi lamenti; ma si vedrà che, da una parte e dall'altra, crebbero e nascono i segni della riverenza e dello studio, ora ardito ora umile; non per imitare in Italia lo stile del poeta, ma per intendere bene addentro tutto quello che nella vigorosa e feconda parola si contiene; non per fantasticare, oltre le Alpi, sulle teoriche dell'arte, ma per dare, con versioni ricche di vita, il ritratto pieno della poesia. Chi fatica sulla

(1) I titoli suonano così: Dante Alighieri | Novy z'ivot Pr'eloq'il [tradusse] Jaroslav Vrchlicky. V Praze, J. Otto 1890. 8.o picc., p. 73. D. A. Básne' lyrické [Il Canzoniere]. Pr'eloz'il J. V. V Praze, J. Otto 1891. p. 131. Tutti e due i volumetti hanno altro fron. tespizio comune, con le parole. D. A. Básnická díla [opere poetiche].

Commedia, e la fa sua o dei suoi, dalla battaglia esce sudato e stanco: solo ai più veementi resta la voglia e il brio da collegare alla più grande anche le opere più piccine; onde è raro il leggere, fattå tedesca o inglese o francese, la Vita Nuova, il leggere in note di altra musica le nobili rime del Canzoniere.

Dei più veementi e de' più fortunati è il Vrchlicky': e, preso in mano il libricciuolo del giovane maestro, non volle tenersi del misurare attorno attorno l'arboscello che diventerà presto l'albero gigante. Nella Vita c'è il poeta ed il retore; l'uno canta e l'altro pesa l'alito che esce dall' innamorato petto di lui; l'arte del trovatore armonizza le strofette, l'arte del glossatore le sminuzza, ne scruta ogni briciolo, vuol guidare un torpente lettore. Forse a parecchi di noi piacerebbe che il retore fosse rimasto nella sua scuola; ma nessuno che rispetti le tradizioni di famiglia, e i padri più degni, mette la mano audace su quelle frangie. Di fuori potrebbero osare: ad ogni modo il dare ogni cosa, lasciando che il libro dipinga meglio anche le costumanze dello scrittore e dei tempi, mostra che lettori possa avere Dante giovanetto tra i boemi; non degli schifiltosi, ma di quelli che gustano il frutto e il nocciolo: e mostra insieme che il volgarizzatore fa opera ad un tempo di poeta e di filologo.

Ma chi voglia, per questa ultima parte, che ogni volgarizzatore si metta a fare alle braccia coi copisti, e logorando gli occhi e il cervello, conquistarsi ogni parola, ogni apice, pecca assai; senza dire che codesto, nei nazionali, è dovere insieme e diritto; e in loro gli sbagli sono sempre e più leggieri e meno frequenti che dove, a queste sottili opere d'indovino, si mettano gli stranieri. Segno di saviezza è l'astenersene; e se per le lingue morte è morto anche il giudice che può rimbeccare, è vivo per le vive e giustizia vuole che sia severo. Il Vrchlicky' fece benone a seguire la tradizione italiana, a credere che l'ultimo libro, raccogliendo il frutto di molti coltivatori, dia maggiore ricchezza, e a tenersi ad un solo; così che professa di seguire la lezione che corre nella stampa del prof. T. Casini (1885), e non poteva naturalmente nel "90 prenderne a guida anche la seconda edizione che è del novantuno.

Senonchè si direbbe che il nostro boemo abbia sopra altra edizione tradotto, e poi ritoccato il lavoro sopra quella che egli cita, lasciando correre qualche piccola diversità; piccola, ma da non trascurare; onde egli ci dirà la gentilissima donna (cap. XXX), che è in altri testi ma non in quello del Casini, e cortamente (krátce pr'ed. tim., c. XXXII) invece di certamente: e così in altro modo altrove.

Basterà avvertirlo e badare come nella lingua moderna si affacci a noi questo antico; e dico subito, con libertà, che un pò di colorito arcaico, anche nel boemo, non gli avrebbe nociuto; benchè io sappia quanto il.

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darne la misura sia cosa difficile; e difficilissimo, appena tu l'abbi trovata, non' abbandonarla mai, essere dell' ottocento o del trecento, immaginarsi lettori che dormono da un pezzo e lettori che spirano e si muovono e non amano aggirarsi fra i sepolcri. E debbo aggiungere che al Vrchlicky', dove egli scrive di suo, in ischietta prosa, spesso escono dalla penna quelle voci latine che, passate per impuri canali, di genti nostrane o di germaniche, pare a me che guastino troppo la purità dello slavo e che ad uno strumento forte davvero scemino le forze; ma in questa versione se ne trattiene, e di quell' inforestieramento i saggi non sono che rari; così che l'italiano diventa slavoboemo e non boemolatino.

Non acconciare, non accrescere; vuole starsene, da uomo ligio, fedele al signore: e se nell' andatura del periodo, sparite quelle sfumature che un italiano, uso alla lingua del nostro secolo, vede subito, pare di andare più lesti, non è a dire che la versione parola a parola non ripeta quello che Dante voleva. Ne devia, per trascuranza, il volgarizzatore di raro e in coselline di poco conto; benchè sia bene tenere anche questo e per rispetto all' Alighieri e per rispetto alla critica che è donna burbera e meticolosa.

Che il dire il poeta i suoi versi (che non è un dettare), si tramuti nello scrivere (cfr. c. XVI, XXXII, e peggio in vers'ovati, al capo XIX) mi dispiace: che, dove una stessa voce ricorre due volte, sia scambiata con due altre, mi dispiace (cfr. gentili donne e gentile parlare c. XVIII): e se colui che se ne va (c. XXII) è detto il morto (zemr’ely'), non si scema tinta alla pittura? e se il tanto amore, quanto da la mia parte (c. VI) diventa solo l'amor mio (taková má láska), non è meno la forza?

Qua e là, a una seconda ristampa, il Vrchlicky' darà certo qualche ritocco: ed egli non negherà mai che nell' adorare i grandi un pò di superstizione, se non fa bene, è certo desiderata da chi pratica nel santuario. Di questo culto, che dirò pusillanime, mostrerò qualche segno. I fedeli d' Amore (c. III) sonó anche fedeli in amore (veʼrné v Lásce), ma qualcosa di più, ne sono i zelanti cortigiani. Il per cui l'ha così distratto questo amore? è meno ambiguo che nel ke komu del boemo (c. IV). Non va letto dissi questo sonetto (c. XVI), ma questo sonetto mi mosse: e, nello stesso capo, quale Amor mi facea non è, come vorrebbe il boemo, tutto quello che mi faceva. Ove il testo pone A che fine ami tu questa tua donna? (c. XVIII) non va lasciato da banda il tua, che cresce affetto e vigore all'immagine. Al chiaro rivo (c. XIX) basta jasná e il pruhledná è d'avanzo. Il sen gio veracemente (c. XXII) non è da dimenticare. Incontanente che le lagrime m' aveano assalito (c. XXII) non vuole virgole, e il che non è perchè; onde il nebo del boemo si cancellerà. Certo da correggere è quel luogo dove l'italiano vuole avvegna che paia l'una e l'altra (stanzia) per una persona detta (c. XXXIII) e vorrebbe il boemo per l'una come per l'altra persona: come le parole

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