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Commedia, e la fa sua o dei suoi, dalla battaglia esce sudato e stanco: solo ai più veementi resta la voglia e il brio da collegare alla più grande anche le opere più piccine; onde è raro il leggere, fatta tedesca o inglese o francese, la Vita Nuova, il leggere in note di altra musica le nobili rime del Canzoniere.

Dei più veementi e de' più fortunati è il Vrchlicky': e, preso in mano il libricciuolo del giovane maestro, non volle tenersi del misurare attorno attorno l'arboscello che diventerà presto l'albero gigante. Nella Vita c'è il poeta ed il retore; l'uno canta e l'altro pesa l'alito che esce dall' innamorato petto di lui; l'arte del trovatore armonizza le strofette, l'arte del glossatore le sminuzza, ne scruta ogni briciolo, vuol guidare un torpente lettore. Forse a parecchi di noi piacerebbe che il retore fosse rimasto nella sua scuola; ma nessuno che rispetti le tradizioni di famiglia, e i padri più degni, mette la mano audace su quelle frangie. Di fuori potrebbero osare : ad ogni modo il dare ogni cosa, lasciando che il libro dipinga meglio anche le costumanze dello scrittore e dei tempi, mostra che lettori possa avere Dante giovanetto tra i boemi; non degli schifiltosi, ma di quelli che gustano il frutto e il nocciolo: e mostra insieme che il volgarizzatore fa opera ad un tempo di poeta e di filologo.

Ma chi voglia, per questa ultima parte, che ogni volgarizzatore si metta a fare alle braccia coi copisti, e logorando gli occhi e il cervello, conquistarsi ogni parola, ogni apice, pecca assai; senza dire che codesto, nei nazionali, è dovere insieme e diritto; e in loro gli sbagli sono sempre e più leggieri e meno frequenti che dove, a queste sottili opere d'indovino, si mettano gli stranieri. Segno di saviezza è l'astenersene; e se per le lingue morte è morto anche il giudice che può rimbeccare, è vivo per le vive e giustizia vuole che sia severo. Il Vrchlicky' fece benone a seguire la tradizione italiana, a credere che l'ultimo libro, raccogliendo il frutto di molti coltivatori, dia maggiore ricchezza, e a tenersi ad un solo; così che professa di seguire la lezione che corre nella stampa del prof. T. Casini (1885), e non poteva naturalmente nel "90 prenderne a guida anche la seconda edizione che è del novantuno.

Senonchè si direbbe che il nostro boemo abbia sopra altra edizione tradotto, e poi ritoccato il lavoro sopra quella che egli cita, lasciando correre qualche piccola diversità; piccola, ma da non trascurare; onde egli ci dirà la gentilissima donna (cap. XXX), che è in altri testi ma non in quello del Casini, e cortamente (krátce pr'ed. tim., c. XXXII) invece di certamente: e così in altro modo altrove.

Basterà avvertirlo e badare come nella lingua moderna si affacci a noi questo antico; e dico subito, con libertà, che un pò di colorito arcaico, anche nel boemo, non gli avrebbe nociuto; benchè io sappia quanto il

LA VITA NUOVA E IL CANZONIERE D1 DANTE

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darne la misura sia cosa difficile; e difficilissimo, appena tu l'abbi trovata, non' abbandonarla mai, essere dell' ottocento o del trecento, immaginarsi lettori che dormono da un pezzo e lettori che spirano e si muovono e non amano aggirarsi fra i sepolcri. E debbo aggiungere che al Vrchlicky', dove egli scrive di suo, in ischietta prosa, spesso escono dalla penna quelle voci latine che, passate per impuri canali, di genti nostrane o di germaniche, pare a me che guastino troppo la purità dello slavo e che ad uno strumento forte davvero scemino le forze; ma in questa versione se ne trattiene, e di quell' inforestieramento i saggi non sono che rari; così che l'italiano diventa slavoboemo e non boemolatino.

Non acconciare, non accrescere; vuole starsene, da uomo ligio, fedele al signore: e se nell'andatura del periodo, sparite quelle sfumature che un italiano, uso alla lingua del nostro secolo, vede subito, pare di andare più lesti, non è a dire che la versione parola a parola non ripeta quello che Dante voleva. Ne devia, per trascuranza, il volgarizzatore di raro e in coselline di poco conto; benchè sia bene tenere anche questo e per rispetto all' Alighieri e per rispetto alla critica che è donna burbera e meticolosa.

Che il dire il poeta i suoi versi (che non è un dettare), si tramuti nello scrivere (cfr. c. XVI, XXXII, e peggio in vers'ovati, al capo XIX) mi dispiace: che, dove una stessa voce ricorre due volte, sia scambiata con due altre, mi dispiace (cfr. gentili donne e gentile parlare c. XVIII): e se colui che se ne va (c. XXII) è detto il morto (zemr'ely'), non si scema tinta alla pittura? e se il tanto amore, quanto da la mia parte (c. VI) diventa solo l'amor mio (taková má láska), non è meno la forza?

Qua e là, a una seconda ristampa, il Vrchlicky' darà certo qualche ritocco: ed egli non negherà mai che nell' adorare i grandi un pò di superstizione, se non fa bene, è certo desiderata da chi pratica nel santuario. Di questo culto, che dirò pusillanime, mostrerò qualche segno. I fedeli d' Amore (c. III) sono anche fedeli in amore (ve'rné v Lásce), ma qualcosa di più, ne sono i zelanti cortigiani. Il per cui l'ha così distratto questo amore? è meno ambiguo che nel ke komu del boemo (c. IV). Non va letto dissi questo sonetto (c. XVI), ma questo sonetto mi mosse: e, nello stesso capo, quale Amor mi facea non è, come vorrebbe il boemo, tutto quello che mi faceva. Ove il testo pone A che fine ami tu questa tua donna? (c. XVIII) non va lasciato da banda il tua, che cresce affetto e vigore all'immagine. Al chiaro rivo (c. XIX) basta jasná e il pru'hledná è d'avanzo. Il sen gio veracemente (c. XXII) non è da dimenticare. Incontanente che le lagrime m’aveano assalito (c. XXII) non vuole virgole, e il che non è perchè; onde il nebo del boemo si cancellerà. Certo da correggere è quel luogo dove l'italiano vuole avvegna che paia l'una e l'altra (stanzia) per una persona detta (c. XXXIII) e vorrebbe il boemo per l'una come per l'altra persona: come le parole

del poeta, o anzi del suo cuore, Vero è che morta giace la nostra donna (c. XXIII) non sono di chi interroghi.

Chi si arresta a queste minuzie pare che censuri, e invece loda, loda assai bocconi ghiotti non trova e va rodendo come può. Al buon traduttore non so dir altro.

Dei versi che si intrecciano alla prosa non ho toccato perchè voglio discorrerne adesso, rammentando la seconda delle opere che dobbiamo al Vrchlicky' cioè le poesie liriche dell'Alighieri. Mise da parte le spurie e quelle che alle spurie somigliano: si tenne alla edizione popolare del Sonzogno (1), e, ai versi che se ne vanno liberi, congiunse le nobili canzoni che sono commentate nel Convivio; ma solo la poesia, chè inutile gli pareva far di più, almeno per adesso. Aggiungerei e per lunghissimo tempo; che male sarebbe interpretare i bisogni e gli usi della letteratura straniera a supporre codesta smania nei lettori di porre gli occhi nelle parti più riposte dei nostri tesori. Troppi frutti di eleganti narratori e di vigorosi pensatori, nel quattrocento e nel cinquecento, getterebbero seme più fecondo, se trapiantati con amore e con arte: e se di tutte le opere dantesche i lettori sono molto rari in Italia, pensiamo in Boemia!

Sonetti e canzoni, ballate e sestine, sono rifatte col ritmo stesso, con lo stesso ordine di rime, o alla fine del verso o nel mezzo, con una stichica uguale e do questo nome all'alternare che fanno versi più lunghi e più corti, senza che il ritmo ascendente si tramuti. Il Vrchlicky' fa miracoli davvero e, nella facile abbondanza delle rime, si vede il destro artefice che a queste imprese faticò intelletto e memoria; se di fatica si può discorrere quando c'è da vedere buona natura di poeta vero.

Le note sono brevi, anzi brevissime, in un libro e nell'altro: e forse uno straniero amerebbe spesso una amica mano che lo reggesse; tanto la poesia, anche la più limpida, dopo cinque secoli s'intorba. Vero è che il traduttore non ha tanti secoli sulle spalle e che la lingua giovane che egli usa fa da interprete: vero è che i molti e svariati commenti fanno paura e, cacciatosi nel labirinto, il Vrchlicky' penerebbe ad uscirne. Tra i glossatori ne troverebbe più fecondi poeti di Dante stesso: e quello che fanno va contato tra le meraviglie. Ne vuole un saggio?

Non sono molti anni che un galantuomo di oltralpe, un abbachista,

(1) Nella Biblioteca classica economica, ed ha il n. LII. Avrei voluto che il traduttore facesse più onore alle lunghe fatiche del Fraticelli e non si contentasse di una edizioncina popolare: ad ogni modo perchè gli annalisti della letteratura dantesca veggano che cosa sia tradotto, e con che ordine, basti questa citazione.

scoprì che nel casato dei Portinari si contano nove lettere e che, dentro al nome di Bice, c'è una i, la nona lettera dell' abbicì nostro. Il poeta, secondo questa nuova famiglia di ragionieri, col tre e col nove giocherellava di molto e non meraviglierei che un altro acuto indagatore rivelasse all' attonito mondo che Vergilius fu scelto a maestro perchè il suo nome ha nove lettere, e quello della Francesca altrettante, e che in Ugolino Gherardesca ve ne sono diciotto, che è un rincarare la dose; senza dire che saltano agli occhi, bene aperti, gli enneagrammati anche nei titoli, in Vita Nuova o La Comedia, e sopra tutto nel nome dell' Alighieri, perchè le nove lettere e le tre i meravigliosamente si intrecciano e fanno più potente la magia. Ma lasciamo da parte l'abbaco, la logistica e il libro dei sogni.

Lo lasciamo da parte e siamo già alla fine. Aggiungo solo che la Vita Nuova fu dal valoroso boemo dedicata a un italiano, come segno di affetto tra le nazioni: questi sa bene che per nessuna altra ragione ne avrebbe il diritto.

Padova, aprile, 1894.

E. TEZA

I GIRI DANTESCHI NELL' INFERNO SUPERIORE

Nel quaderno VIII-IX dell'anno I di questo giornale, ho letto una critica del mio studio della Malebolge. È la seconda volta che l'Agnelli riprende la questione. Si tratta d'un lavorino di sole 16 pagine, e continuando così, le osservazioni intorno a quel libello faranno presto un bel

volume.

Manco male, se la questione diviene chiara. Dante parla più di cento volte del modo nel quale girano lui medesimo e Virgilio intorno all'asse generale del purgatorio e dell' inferno. Prima di me, non vi fu mai nessuno che facesse uno sforzo per spiegare il principio di quelle rivoluzioni. Non dico niente dell'idea d'un senso augurale, poichè conviene lasciare in pace i morti; pure, trattandosi d'un sistema geometrico, sul quale il Maestro insiste senza stancarsi mai di far distinzioni fra la destra e la sinistra, che sarebbero inconsistenti e stupidissime, se non avessero un carattere al

legorico, è ovvio che nessuno può darsi il vanto d'intendere il poema, se prima non si vince quella difficoltà. È una X evidente, che si ritrova in ogni luogo; chi la lascia in disparte, confessa di non saper niente delle idee. dell' Alighieri.

Il mio studio della Malebolge ebbe per iscopo di dimostrare con perfettissima esattezza quale fosse il sistema dei giri che si fanno su Gerione. e nell'ottavo cerchio dell' Inferno. Poi, diedi la dichiarazione generale dell'allegoria del poema, basandomi su quei risultamenti, e pare che l'Agnelli ammetta per vera quella dichiarazione, che è cosa di massimo momento, poichè insomma è la chiave dell' enimma dantesco.

Quanto al movimento su Gerione e nella Malebolge, l'Agnelli è d'accordo con me, e veramente pazzo sarebbe chi volesse fare altrimenti, poichè sono cose geometriche, la cui certezza non soffre obbiezioni. Del resto, quella teoria fu spiegata all' Accademia di Marsiglia dall' egregic astronomo Stephan, direttore di quell'osservatorio. Spero che quei dantisti che sono incapaci d'intender le matematiche, saranno cortesi assai per ammettere, d'ora innanzi, la regola da me stabilita, cioè, che Dante segue il movimento del Medesimo, in tutto il suo viaggio di Malebolge, e in quelli del Purgatorio e del Paradiso.

Che segua il movimento dell' Altro su Gerione, sull'orlo di Malebolge e nel cerchio degli Eresiarchi, è cosa stabilita, anche per l'Agnelli, e qui, lo ripeto, a meno di pazzia o di sciocchezza insoffribile, non si può pretendere ch' io non abbia ragione.

Ma l'Agnelli vuole che negli altri cerchi dell' inferno superiore Dante giri secondo il movimento del Medesimo, come nella Malebolge. E le sue critiche vanno a colpire il mio concetto in parte ch' egli non conosce, e che il pubblico non conosce ancora. È vero che ho dimostrato quelle cose nelle mie Considerazioni sur un passo del « Purgatorio », che furono pubblicate or sono dodici anni, e furono il primo saggio d' un' interpretazione scientifical delle opere di Dante; ma quel libello fu poco e male inteso, poichè non v'era anima viva in questo mondo che potesse sognare allora di ritrovar nelle allegorie del divino poema altro che enimmi. Del resto quei principî non sono di facile intendimento per chi non ha sotto gli occhi qualche figura che aiuti la dichiarazione verbale.

Nella piccola figura a destra del mio disegno, si vede lo schema generale del viaggio d'inferno. I poeti dovranno percorrere il gran cono che ha per asse la verticale di Gerusalemme, e per base il cerchietto, il cui centro è a Gerusalemme, mentre la circonferenza passa pel monte Ida. Sulla generatrice che va dal monte Ida al centro della terra si dirocciano i fiumi infernali. Dante e Virgilio prendono per punto di partenza la ripa destra dell' Acheronte, quasi quasi sotto Ida; poi vanno calando e descrivono, gi

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