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"a pie' del colle, la mattina del giovedí; al quarto cerchio, dopo la mezza"notte (ore 2 circa) che precede il venerdí; per abbandonare il sesto cer“chio, la mattina del venerdí alle 4; giú pel burrato e attraverso i gironi "dei violenti, durante il giorno di venerdí; sulle spalle di Gerione entro l'alto "burrato e sulle prime quattro bolge dei fraudolenti, la notte che precede "il sabato; e per passare dalla quarta alla quinta bolgia la mattina del sa"bato dalle 6,45 alle 7; ecc Ecco riassunta la durata del cammino di Dante sino al centro della terra: "Dalla selva al IV cerchio, ore 8; dal IV "al VI, ore 2: dal sesto alla quinta bolgia, ore 27; dalla quinta bolgia alla "nona, ore 5; dalla nona bolgia a Lucifero, ore 6., Totale ore quarantotto.

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L'ultimo capitolo è riservato, per ragione d'importanza, all'architettura dell'Inferno. L'autore, scartando il disegno del Vellutello che riduce l'asse del cono infernale a proporzioni ristrettissime, si attiene al “ grosso dell'eserche comincia col Manetti e "si richiude col Witte e collo Scartazzini Egli combatte il Vellutello colle obbiezioni del Galilei basate sul verso 22 del canto IV, e sul passo del canto XXXIV, 94-95; e con un altro argomento di propria zecca, che egli crede piú formidabile ancora, fondato sul rapporto tra il tempo e lo spazio che egli crede di avere fermamente stabilito.

Se però l'autore preferisce il Manetti e i suoi seguaci riguardo alla profondità dell'abisso, non altrettanto va d'accordo con questi circa la situazione della porta, e meno ancora nella distribuzione dei vari cerchi lungo le pareti interne del cono infernale, la quale non risponde certamente alle esigenze del poema. Egli quindi, sotto questo riguardo, ci presenta un disegno affatto nuovo. Avanti tutto pone la porta colla terribile scritta non a fior di terra, o a Cuma, o a Firenze, o a Roma, ma un po' piú ad oriente del raggio terrestre che passa per l'isola di Creta, per la ragione che Acheronte e gli altri fiumi infernali provengono dal Gran Veglio del monte Ida. Il Vestibolo e l'Acheronte adunque, secondo il dottor Russo, sarebbero sul raggio di Creta, ad una profondità di circa miglia 280, a mille miglia ad oriente di Cuma ed a 700 ad occidente di Gerusalemme. I poeti, per giungere da Cuma alla porta percorrono il cammino alto e silvestro sopra una pendenza del 25%. In questo modo il diametro della imboccatura infernale, in confronto a quello del Manetti, viene considerevolmente limitato, sottendendo un arco di miglia 1280.

L'autore dà la misura del traverso d'una zona di Malebolge (miglia 1,75) a ciascuno dei primi sei cerchi ed al nono; attribuisce cinque volte questa dimensione al settimo cerchio, vale a dire una per Flegetonte, una per la selva e tre per la landa infuocata; e dieci volte la stessa traversa all'ottavo cerchio (miglia 17,50).

In quanto alla profondità dei varî gradi l'autore si attiene ad alcuni concetti etici che regolarono la distribuzione delle pene, ed alla proporzione tra

il tempo impiegato nella discesa e la distanza percorsa: onde è che con un certo suo calcolo approssimativo, pone per distanza in linea "perpendicolare, 1° Tra Acheronte e il sesto cerchio miglia 70; 2° Tra gli eresiarchi ed i violenti miglia 800; 3° Tra questi e Malebolge miglia 2000 o poco più; 4° Tra Malebolge ed il Pozzo miglia 90 o poco meno. I primi sei cerchi sono tra loro egualmente distanti per una profondità brevissima rispetto alle grandi proporzioni (miglia 1,75). Facendo i conti, tutte le traverse fino al centro sarebbero 22, delle quali 21 di miglia 1,75 e l'ultima di miglia 0,875: in tutto miglia 37,625. Le distanze dei principali cerchi prese sull'asse o sul raggio della terra sarebbero: spessore della copertura miglia 280; da Acheronte al VI cerchio miglia 70; dal VI al VII miglia 800, dal VII al centro miglia 2100. Totale miglia 3250.

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Ma questa nuova ricostruzione della dantesca valléa nello spazio e nel tempo risponde veramente alle esigenze del poema, o, per lo meno, a quanto più rigorosamente è richiesto per sodisfare lo studioso che ancora non si acqueta malgrado i tanti disegni che con vece assidua si succedettero dal Manetti fino ai nostri giorni? Io non lo credo: molti sono i passi che accennano a circostanze di tempo e di luogo ai quali l'autore o non ha badato, ovvero vi ha applicato un senso o lontano o non corrispondente al vero. E avanti tutto quel fare della buia campagna e dell'Acheronte un luogo appartato come un gran vestibolo, quando si pensa che gli ignavi, volere o no, sono essi pure dannati, come tutti gli altri, ad una pena per la quale sono costretti a correre vanamente dietro ad una insegna, mi sembra non del tutto consentaneo al concetto intiero della prima cantica. È ben vero che Dante chiama il Limbo primo cerchio che l'abisso cigne; cerchio primaio, ecc.; ciò però non toglie che anche la buia campagna, messa fuori dell'abisso non sia anch'essa un cerchio come gli altri, sebbene da non contarsi nel novero di questi: Dante dice campagna anche ad altri luoghi che si aggirano in cerchio (Inf., IX, 110-111; XVIII, 4) ed assomiglia alla campagna anche il terzo girone del settimo cerchio (XV, 123). Di Acheronte il poeta parla come di tutti gli altri fiumi d'inferno, i quali si stendono circolarmente; non v'ha motivo quindi, e tanto meno se si fa attenzione alle parole di Caronte, di dare a questo fiume una forma diversa dagli altri.

Quando i poeti si trovano sulla proda della valle d'abisso, Dante guarda in giù, ma

Oscura, profonda era, e nebulosa

tanto, che, per ficcar lo viso al fondo,

io non vi discerneva alcuna cosa.

Inf., IV, 10.

Da questi versi l'autore deduce che la voragine infernale si apre a guisa di immane precipizio, al cui fondo e per le tenebre e per la distanza l'occhio

non arriva; e facendo tesoro dei disegni del Manetti, del Giambullari, e della difesa che ne fece il Galilei, ritiene che la costa abbia la direzione del filo a piombo. Al lettore poi che desiderasse di far conoscenza col Vellutello che disegnò a scarpa le coste dei primi cinque gradi, suggerisce di darsi la pena di guardare la figura 3a della tavola II del Michelangeli e la tavola 1a dell'Agnelli, "e dirà se dalla proda d'abisso gli riesca di vedere la voragine infernale mentre egli, l'autore, non vi "scorge che un campo che "va degradando ancor meno che le falde dei monti

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Veramente non saprei come da quei versi un commentatore possa dedurre che la costa dell'abisso abbia la direzione del filo a piombo, quando Dante istesso ne dice che era tanto oscura e nebulosa da non potervi scorgere cosa veruna: so non di meno che per la oscurità il poeta non poteva raffigurare nulla nemmeno in fondo alla settima bolgia stando a perpendicolo sul ponte che vi dominava (XXIV, 74-75), e che, pure ad una distanza relativamente minima, sempre per la stessa cagione, prima non vide i giganti, e poi, accortosi di loro, al suono del corno, li credette tante torri (XXXI, 20, 21). Lo autore stesso (p. 45), ove parla della declinazione data dal Vellutello a Malebolge, la dice soverchia per sé stessa, "e riferendo questa linea di pendenza.... al raggio terrestre, si accorge di un declivio che rasenta la per"pendicolare Ora la pendenza che il Vellutello dà alla Malebolge è uguale a quella di ciascuna delle coste che congiungono i primi cinque gradi. Dunque o l'autore vide male quando disse che il disegno del Vellutelli gli sembra un campo che va degradando ancor meno che le falde dei monti,, o cade in una patentissima contraddizione.

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L'autore ad ogni modo vuole che le coste dei varî gradi seguano una linea verticale: questa direzione porta con sé la impossibilità dello scenderle a chi non è spirto che per l'aer vada. A togliere questo inconveniente di capitalissima importanza si sognò dai sostenitori delle calate a perpendicolo una continuità di scale più o meno regolari o comode, come quelle che Dante descrive nel salire i gironi del sacro monte.

Premesso che se il Purgatorio aveva le sue brave scale non ne consegue necessariamente che pure l'Inferno dovesse aver le sue; io, che pure ho camminato su e giù per l'Inferno e il Purgatorio di Dante, non mi sono mai accorto di queste ripe a perpendicolo, tranne là dove Dante lo lascia colla massima evidenza supporre, e nemmeno di queste scale lungo le medesime. Se il lettore o l'autore vuol darsi la pena di seguire con me i passi di Dante, io mi incarico di dimostrargli, come due e due quattro, che il poeta fa le coste inclinate e non accenna a scale nel vero senso della parola, quando però per scale non si prendano le spalle di Gerione (XVIII, 82) o le branche di Antèo, ovvero i peli di Lucifero (XXXIV, 82).

Eccoci

in su la proda.....

della valle d'abisso dolorosa.

Inf., IV, 7.8.

Come racconta il poeta la discesa ? brevemente:

Cosí si mise e cosí mi fe' entrare

nel primo cerchio che l'abisso cigne.

Ivi, 23-24.

Avanti: siamo sul limitare interno del primo cerchio, quindi sulla sponda del restante abisso

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Al riaprirsi della mente che si era chiusa per la pietà dei due cognati, il poeta si trova di pianta trasportato sul limite esterno del terzo cerchio, davanti a Cerbero: non dice nulla della discesa: questa per conseguenza si può delineare come più talenta al disegnatore. Il poeta viene poi al punto dove si digrada dal III cerchio (VI, 114): quivi si trova Pluto: il poeta discende al IV cerchio:

Cosí scendemmo nella quarta lacca
prendendo piú della dolente ripa.

VII, 16-17.

Visitati gli avari Virgilio dice

Or discendiamo omai a maggior pièta.

e Dante

Noi ricidemmo il cerchio all'altra riva
sovr'una fonte, che bolle e riversa
per un fossato che da lei diriva.

e noi, in compagnia dell'onde bige,
entrammo giú per una via diversa.
Una palude fa, ch'ha nome Stige,
questo triste ruscel, quand'è disceso
al pie delle maligne PIAGGIE grige.
VII, 100-108.

Da questi passi risulta a chiare note che le coste non avevano scale, ma vie speciali; che non erano a picco, ma a scarpa; che i poeti non precipitavano, ma scendevano per queste vie prendendo sempre più della dolente ripa, come a seconda giù l'andar per nave; e finalmente che il triste ruscello scendeva esso pure nel suo letto lungo una via percorsa dai poeti. Quel prendendo più della dolente ripa non lascia dubbio sulla verità delle mie asserzioni, tanto più se si pone mente a quel pié delle maligne piagge, dove alla parola piaggia non si può attribuire il significato di costa verticale.

Le coste, sebbene pendenti, non offrono dapertutto un mezzo facile alla discesa; ma Dante, seguendo un concetto etico, pone una via certa, guardata

più o meno da un mostro infernale. A questo riguardo ho poi una osservazione che mi pare degna di nota: man mano che si progredisce nel viaggio le difficoltà per parte dei guardiani dei cerchi vanno crescendo: la porta è senza serrame: il primo cerchio è senza guardia, segno che è accessibile da qualunque punto della sua circonferenza; a guardia del secondo cerchio sta Minosse, cosí pure a quella del terzo il dimonio Cerbero; questi mostri però non impediscono per nulla lo fatale andare giacché si incontrano quando i poeti sono già discesi ed entrati nel nuovo cerchio. Ma non è cosí allorché si tratta di discendere al quarto: Pluto non si trova precisamente nel quarto cerchio, ma sul limitare esterno del terzo, ed è necessaria la bravura di Virgilio per ridurlo al dovere e a dare libero il passo. Ancor più seria diventa la difficoltà quando si tratta di addomesticare Flegias, vincere i dimon duri, il Minotauro, ecc.

Ma proseguiamo. Eccoci sul ciglio interno del sesto cerchio

In su l'estremità d'un'alta ripa,

che facevan gran pietre rotte in cerchio.

XI, 1-2.

In questo punto i poeti non prendono la discesa, ma volgendo a sinistra e girando una parte della circonferenza interna del cerchio stesso, arrivano ad un altro luogo, di cui il poeta ci fa la descrizione nei primi versi del canto duodecimo.

Ora io dico che se anche nel punto di cambiar direzione e girar l'arco il poeta vede l'alta ripa formata da gran pietre rotte in cerchio, è segno che la rovina cagionata dalla discesa di Cristo nel Limbo non si limitò unicamente al punto guardato dall'infamia di Creti, ma si estese a tutta, o, per lo meno, alla massima parte della circonferenza esterna del settimo cerchio: cosí pure, dei ponti che una volta univano il sesto al settimo argine non cadde al fondo solamente quello su cui dovevano transitare i poeti, ma si ha motivo di credere che rovinassero tutti; ragione di piú per ritenere che anche lo scoscendimento, il riverso toccato al burrato del Minotauro si estendesse in cerchio a tutta la roccia. Onde è che Virgilio, quando dà spiegazione della causa che ha prodotto l'immane scoscendimento, dice che in quel punto, cioè nell'atto della morte di Cristo

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E Dante, anche qui, ci fa conoscere nel modo più evidente che egli non ismontò la discoscesa roccia a mezzo di scale, ma solo approfittandosi della scarpa formata dalla frana, sulla quale camminava come poteva, su di pietre che si movevano sotto i suoi piedi, come ebbero ad osservare i centauri (XII, 80-81).

Dopo questo io domando: Se Dante scese questa costa di considerevole altezza approfittandosi della sua declinazione sul piano, perché si vorrà

Giornale dantesco.

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