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come tutti gli altri, ma certamente di un ripiano considerevolmente piú esteso di quello degli altri. Ora facciamo i conti: l'autore dice che la circonferenza di undici miglia dell'ultima bolgia si deve misurare sulla metà del traverso del suo letto; dunque da questo punto sino all'asse del cono infernale devono esserci miglia 1,75, tale essendo il raggio che genera la circonferenza di undici miglia. Leviamo da questo raggio miglia 0,25 corrispondenti a metà del traverso che Dante dice di mezzo miglio, piú la proiezione della scarpa dell'argine che non deve essere minore, stando al disegno del dottor Russo, di altre miglia 0,25, piú il raggio del pozzo che è di miglia 0,875; in tutto miglia 1,375; che cosa rimarranno per il traverso dell'argine percorso dalla decima bolgia fino a Nembrot? sole miglia 0,375. Questo traverso, stando al testo del poema, deve essere più largo di tutti. Invece dal disegno del dottor Russo che cosa risulta? nient'altro che questo traverso non corrisponde nemmeno ad un terzo di quello che è delineato tra la nona e la decima bolgia. Se qui vi sia corrispondenza col contesto del poema lascio giudicare dagli studiosi che volessero dare un'occhiata ai canti XXIX (16-17) e XXXI (7-58). Per me credo che l'autore, con tutti i canoni della geometria, non è riuscito a sopprimere la difficoltà, e tanto meno a dileguare i dubbi e gli errori in cui sono caduti tanti commentatori.

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Eccoci ora al pozzo dei traditori, a questa incognita tenebrosa che nessuno ha mai potuto trovare anche col mettere a contribuzione tutte le regole della geometria e della statica. L'autore, scartando tutti gli altri disegni ci offre il suo che ha il baco fin nelle midolla. Premesso che "l'Allighieri

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"nella composizione del suo poema avrà proceduto con progetti ben definiti "e tracciati; come disegnatore schizzò forse le scene del suo teatro, altri" menti riuscirebbe affatto meravigliosa tanta varietà di particolari nelle de"scrizioni, stabilisce che bisogna dare alle pareti del pozzo la forma cilindrica "la quale non ripugna ai principi fisici e metafisici che regolano il "mondo soprannaturale dell'Allighieri, al buon senso che più importa, e per avventura anche alle leggi della statica, (p. 50). Egli a buon conto ci presenta un tubo lungo 88 miglia, del diametro di miglia 1,75, che dalla cerchia dei Giganti si allunga fino a breve distanza dal centro della terra: le sue pareti, per conseguenza, non convergono al centro, quindi sono ancor meno che verticali; e il poeta, si noti bene, deve discendere con siffatta scala per tutta questa profondità. Io domando come questa discesa possa rispondere ai principii fisici... al buon senso che più importa e per avventura anche alle leggi della statica! Un uomo che porta seco quel d'Adamo camminare sopra una parete meno che verticale a guisa delle mosche e dei ragni! Ma non ha detto l'autore (p. 30) che lo scendere e lo scivolare non è cosa verosimile su parete perpendicolare? Dove mai Dante ha parlato di questo modo di " arrampicarsi di pietra in pietra?, Né mi si venga a dire che “una "descrizione della discesa non sarebbe stata necessaria, né poetica, né di ef"fetto estetico, sfido io! come descrivere una discesa che il poeta non ha neppure sognata? Il professore M. Barbi, parlando del pozzo ideato dal dottor Russo, dice: "L'autore, mosso da ragioni geometriche e architettoniche "s'è indotto a credere che Antèo ponesse Dante e Virgilio non propriamente "sulla ghiaccia, ma li avviasse giú d'un brevissimo tratto verso il fondo, che "sarebbe lontano 88 miglia, il resto sce ndessero essi da sé arrampicandosi "di pietra in pietra. La supposizione ch'egli fa per giustificare come solaแ mente vicino all'orlo superiore dal pozzo sia necessario ai due poeti l'aiuto " di Antèo non ha fondamento alcuno nel testo di Dante; e debolissime sono "le risposte preparate per chi chiedesse come mai Dante taccia affatto di น questa strana e faticosissima discesa; l'una e le altre poi non reggono mi"nimamente al confronto del v. 82, XVII, d'onde si deduce che omai le discese da cerchio a cerchio si fanno al modo di quella del burrato di Gerione, né alla retta interpretazione delle frasi mettine giuso e al fondo ci sposò (XXXI, 122 e 143). Il prof. Russo interpreta la prima mandane giù, avviaci, mettici in condizione di potere compiere la discesa verso il luogo "dove Cocito si aggela, e la seconda Antèo ci posò al fondo, inverso il fondo, น non sul fondo, ma non so se troverà alcuno che voglia accettare tali interpre"tazioni. Che i poeti posati sulla ghiaccia si trovino sotto i piè del gigante “assai più bassi non fa difficoltà; basta che i giganti posino sur una specie " di piedistallo, da poter toccare il fondo con le mani senza capitombolare Queste sono ragioni senza dubbio formidabili, ma inferiori a quella della

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1 Bullettino della Società dantesca italiana, p. 76.

impraticabilità assoluta del pozzo russiano; impossibile (per la discesa, s'intende) anche se avesse una profondità cento volte minore.

E la ghiaccia? Ecco come ne parla l'autore: "Il lago, i gelati guazzi, "la lama è in piano orizzontale, diceva il Vellutello, e l'Agnelli con l'esame "del testo ne faceva la dimostrazione. Considerato il fatto con le leggi della "fisica è un assurdo, perché le molecole o solide o liquide al centro della " terra si dovrebbero disporre in forma sferica; ma se un uomo vi discendesse "dovrebbe trovare condizioni di superficie, quali si hanno sulla terra, per potervi camminare. Se tali condizioni mutano, se in cambio di una sfera " di sei milioni e trecentomila metri di raggio (raggio della terra secondo Dante), ne poniamo una di piccolissime dimensioni, l'uomo non camminerà piú sul piano, e quando la superficie fosse di ghiaccio, egli non vi potrebbe addi"rittura muovere i passi. Or se Dante si conduce al centro del mondo, cosa che nessuno scienziato sognò mai di fare, se egli passeggia tra le teste dei "traditori, deve pensare sicuramente che il lago è una pianura orizzontale, "come quelle che si hanno sulla terra,. Dunque, l'autore, con tutte le sue leggi di statica e di fisica è costretto ad accettare l'impossibile pianura orizzontale ideata dal Vellutello e punto da me dimostrata.

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Avanti tutto io invito il dottor Russo a voler darsi la pena di leggere meglio il mio libro, e vedrà che io non ho mai detto piano né pianura orizzontale, ma semplicemente SUPERFICIE orizzontale, il che significa molto per me. Il piano orizzontale è molto diverso dalla superficie orizzontale, perché questa segue la convessità della sfera terrestre, quello invece è semplicemente un piano tangente la superficie della sfera stessa. Se poi graficamente non ho potuto correggere il disegno del Vellutello, come avrei dovuto, questo è un'altra quistione; e l'autore stesso che pei cerchi superiori tanto si è ingegnato, si è guardato bene dal mettere mano a disegnare un dettaglio della ghiaccia, argomento molto scottante nella sua freddura. Ciò premesso, una linea retta, disegnata perpendicolarmente all'asse del pozzo dantesco, non può rappresentare il profilo di una superficie orizzontale, ma sempre quello della superficie interna di un cono rovesciato. Ora io dico: se col solo tracciare perpendicolarmente all'asse del pozzo, che è pur quello di tutto l'inferno, una retta, questa non dà il profilo di una superficie piana, ma quello interno di un cono rovesciato, tanto più questa superficie diventerà concava quanto piú si disegneranno i profili pendenti verso il centro. Ed è per questo che il profilo del Giambullari va assolutamente scartato, senza che perciò il disegno del Vellutello corrisponda esattamente alle esigenze del testo; giacché è matematicamente impossibile che il lato di un cono regolare sia eguale alla propria altezza.

Ma se Dante dice che passeggiava tra le teste sulla ghiaccia è necessario che la superficie di questa offra tali condizioni da rendere possibile questo modo di muoversi. Ora la condizione sine qua non richiesta perché la ghiaccia possa essere passeggiata è quella che ogni punto della sua superficie sia allo stesso livello, come quello dell'acqua stagnante. È quindi necessario che

la superficie di Cocito segua una curva concentrica a quella della terra, e piú precisamente a quella dei mari che ne coprono la maggior parte: di qui non si scappa. Non dica il dottor Russo che riducendo la sfera a piccole dimensioni l'uomo non può piú camminarci sopra. Certamente se noi immaginassimo una sfera del diametro di Cocito posta sulla superficie della terra come un balocco, la sua superficie non potrebbe essere passeggiata da un uomo; ma quando a questa sfera si dà per centro il centro stesso del nostro pianeta, allora la cosa muta d'aspetto, e sulla superficie di questa sfera si può passeggiare facilmente come sopra un laghetto ghiacciato delle nostre valli. La superficie di Cocito adunque per essere, come vuole il dottor Russo, una pianura orizzontale come quelle che si hanno sulla terra, deve essere concentrica alla superficie della terra stessa, e presentare perciò matematicamente una superficie curva come quella degli oceani.

Scartato il pozzo profondo ottantotto miglia, e nello stesso tempo anche quello del Giambullari che di un pozzo assai largo e profondo fa una vasca, io credo che si possa ritenere quello del Vellutello, per lo meno profondo quanto il diametro. A mio modo di vedere però, tranne che per la profondità, il disegno del Vellutello va totalmente riformato. Io costruirei un pozzo ed una ghiaccia nel modo seguente. Dando a Lucifero un miglio di statura, risulta che per un quarto di miglio si trova accerchiato dalla ghiaccia: questa formerebbe un emisfero rivolto verso Gerusalemme, del raggio di un quarto di miglio, pari per l'appunto ad un quarto dell'altezza di Lucifero. Essendo il pozzo alla sua imboccatura largo un miglio, ne viene che sotto i piedi di Antèo si può dare al pozzo medesimo una scarpa di un buon quarto di miglio, per la quale si potrebbe rendere la ghiaccia meno inaccessibile. I traditori vengono fitti in gelatina sopra quattro zone sferiche concentriche, ed i poeti, nel modo più naturale, possono passeggiare a loro agio fra le teste percorrendo un quarto di cerchio che, dato il raggio di un quarto di miglio (metri 450) corrisponderebbe in lunghezza a 706 metri. La scarpa però verrebbe ad essere maggiormente inclinata quando si riducesse la statura di Lucifero a dimensioni piú limitate; in tal caso anche il raggio della ghiaccia diminuirebbe in ragione inversa dell'aumentare della scarpa. Sempre meno inaccessibile sarebbe la ghiaccia quando si aumentasse di qualche frazione di miglio l'imboccatura del pozzo, o se ne accorciasse la profondità. M'affretto però a dichiarare che, se con questo disegno la ghiaccia diventa passeggiabile in ogni verso, la discesa del pozzo, anche colla maggior scarpa possibile, è tutt'altro che risolta.

Ho detto che l'autore nel quinto capitolo tratta la quistione del tempo speso nel tragitto infernale, e che questo viene portato dal dottor Russo da ventiquattro a quarantotto ore; nientemeno che duplicato. In quasi tutti gli annotatori della Commedia si trova questa distribuzione del tempo: "Dante entra in inferno la sera del Venerdí santo (Inf., II, 1), a mezzanotte è per "abbandonare il quarto cerchio (VII, 98); alle quattro di mattina (Sabato)

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"il sesto (XI, 13), alle sette di mattina (Sabato) la quarta bolgia dell'ottavo "(XX, 124), alle dieci è sulla quinta coi Malebranche (XXI, 112), all'una "del pomeriggio tra la nona e la decima bolgia (XXIX, 10), alle sei di sera "vicino a Lucifero (XXIV, 68). L'autore fa seguire a questo orario una osservazione che egli crede di gran peso. "Se il lettore vuol notare le incoe"renze di tali indicazioni, osservi che passano ore quattro dal quarto al sesto "cerchio, ore tre dal sesto alla quarta bolgia dell'ottavo. Guardiamo qual si "voglia dei profili dell'abisso, o del Benivieni o del Vellutello o dei moderni, "e misuriamo coll'occhio la distanza che corre tra gli avari e gli eresiarchi, "tra questi e gl'indovini: nella prima vi è la sola discesa in compagnia del"l'onde bige, nella seconda vi è il burrato e l'alto burrato, profondità enormi. "Dal quarto al sesto cerchio troviamo due sole zone di peccatori (la palude 'Stige è il cimitero degli epicurei) e gl'indugi sono con Filippo Argenti, con "le Furie, con Farinata e dietro la tomba di Anastasio. Nell'altra parte del viaggio invece attraversiamo sette zone (tre gironi dei violenti e quattro "bolge) e gl'indugi son più frequenti: sulla riva del Flegetonte, nella selva, "al pruno di Pier della Vigna e d'altri suicidi, sul sabbione con Capanèo, con ser Brunetto, con Guido Guerra, e compagni, con gli usurai, sulla prima bolgia coi lenoni, sulla seconda con gli adulatori, nella terza con l'invettiva "a papa Niccolò, sulla quarta cogli indovini e col lungo discorso intorno all'origine di Mantova. È possibile che dopo tanta differenza di spazio, di episodî e di fermate, sia vero quello che ne dicono i commentatori? Piú tempo s'impiega dal quarto al sesto cerchio (4 ore) che dal sesto alla quarta "bolgia dell'ottavo (3 ore)?, Egli dunque, l'autore, va cercando una soluzione a questi suoi dubbî. Allorché i poeti si mossero di qua (dalla tomba "di Anastasio) erano le 4 di mattina; è vero, tutti siam d'accordo, ma che "si tratti della mattina del Sabato santo è falso. Se alle sei e tre quarti " del mattino di Sabato Dante è sulla quarta bolgia, non può, per le ragioni "dette di sopra, aver percorso tanto cammino in meno di tre ore. È neces"sario che nel poema ci sia logica corrispondenza tra il tempo e lo spazio: non è da ammettere che siano, in cosí patente contradizione, sopratutto quando vediamo che l'Allighieri insiste cosí di frequente nell'indicarci l'ora "e il cammino percorso. Se per comune consenso le distanze piú grandi son "quelle tra sesto e settimo, tra settimo ed ottavo cerchio, ragion vuole che maggior tempo s'impieghi nell'attraversarle, un tempo che stia in propor"zione con quello impiegato nelle altre discese. Le due descrizioni del mat"tino appartengono a due giornate ben differenti; se il secondo mattino, "descritto alla quarta bolgia, è del Sabato, il primo, descritto al sesto cer"chio, non può essere che del Venerdi. Cosi diceva messer Donato Giannotti, "e cosí la logica vuole che sia,. Siccome poi coi versi

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E già ier notte fu la luna tonda:

ben ten dee ricordar, che non ti nocque

alcuna volta per la selva fonda,

XX, 127-29.

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