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i suoi avversarî potrebbero annullargli la conclusione, cosí l'autore cerca di togliersi d'imbarazzo con un ragionamento di questo tenore: "L'errore sta " nell'affermare che Dante si smarrí nella selva a luna piena; egli sarebbe in แ grave contraddizione con sé stesso riferendo la luna tonda che alcuna volta non gli nocque per la selva fonda, alla notte che ei passò con tanta piéta, “ nella selva selvaggia ed aspra e forte che nel pensier rinnova la paura, e "che tanto è amara Che poco è più morte. Quando cessa un poco la paura "che nel lago del cor gli era durata? La mattina alla vista del sole sulla " cima del colle: Allor fu la paura un poco queta; Inf., I, 19. Poi le fiere "ripingono Dante là dove il sol tace: al declinar del giorno appare Virgilio, " e con l'aer bruno i due poeti si mettono in via volgendo le spalle alla selva. "Ora sorge la luna piena, e dà qualche soccorso nella selva fonda Tenta inoltre l'autore di avvalorare il suo asserto confortandolo col senso allegorico; ma credo inutilmente, giacché l'opera di un commentatore non deve consistere nel dimostrare quel che deve o dovrebbe essere, ma quel che è: cosí la sua interpretazione riesce in nessun modo sostenibile.

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Avanti tutto le quattro ore impiegate dal quarto cerchio (VII, 98) al limitare interno del sesto (XI, 113-114) sono un po' problematiche: "Osserverò, dice "il professor M. Barbi, che nel canto VII non è indicata precisamente la น mezzanotte, tanto che il Russo stesso non dubita poi di porre che i poeti "siano in quel luogo alle 2 antimeridiane; né è detto nel canto XI che tutta "la costellazione dei pesci sia già levata sull'orizzonte, onde il p. Sorio può "dire che siamo alle due mezza antimeridiane colla stessa probabilità con cui " altri può dire alle 3 o alle 4,. Queste quattro ore possono dunque diventar tre ed anche meno: ma ammettiamo pure che il poeta nel recidere il quarto, il quinto e il sesto cerchio, in tutto miglia 7 colla discesa dal quarto al quinto, abbia speso ore quattro. Il dottor Russo, che tanto tien calcolo del rapporto che deve sussistere tra il tempo e lo spazio percorso, dovrà stabilire quest'altra proporzione: Ore 4 stanno a miglia 7, come ore 6 (tante ne passarono dall'imbrunire fino alla mezzanotte) stanno a miglia x. Questa incognita dovrebbe rappresentare lo spazio percorso dal punto in cui il poeta entrò per lo cammino alto e silvestro fino al limitare esterno del cerchio degli avari. Fatto il conto, l'incognita equivale a dieci miglia e mezzo; mentre l'autore, col suo disegno, dà al cammino alto e silvestro la bellezza di miglia mille: a queste bisogna poi aggiungere la campagna dei noncuranti, la traversa di Acheronte e i primi tre cerchi colle rispettive discese, più quella dall'Acheronte al primo cerchio che l'autore fa di ben settanta miglia. Io faccio i conti secondo la regola stabilita dall'autore e null'altro: quand'anche si volesse dare al calcolo una certa elasticità, la sproporzione risulterebbe spaventosa egualmente: per percorrere 1100 miglia, secondo il dottor Russo, occor rerebbero più di 600 ore. Se adunque, come ognun vede, le ore quattro spese

1 Bullettino della Società dantesca italiana, p. 77.

2 M'attengo alle misure esposte dal dottor Russo nel suo disegno.

nell'attraversare il quarto, quinto e sesto cerchio non possono reggere al paragone dello spazio percorso prima, nessuna meraviglia se non reggono nemmeno al paragone di quello percorso dopo.

C'è poi un'altra osservazione: Dante, avanti di entrare in Dite, dovette far molta anticamera: ce lo fa intravvedere l'impazienza di Virgilio nel verso: Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!,

IX, 9.

senza contare il tempo perduto dopo mentre si aspettava il messo del cielo. Di piú, ai piedi della tomba di Anastasio Virgilio dice:

Lo nostro scendere conviene esser tardo.

XI, 10.

Queste circostanze accennate espressamente dal poeta ci danno una certa giustificazione del tempo perduto; tanto più se si considera che la traversa del settimo cerchio si percorre sempre camminando, se si eccettui il colloquio di Pier delle Vigne e la sfuriata di Capanèo; e che la discesa del burrato di Gerione, quantunque lunghissima, si è fatta però fuori dell'uman uso, e quindi in tempo più breve.

Ma ammettiamo pure che esista la sproporzione che tanto dà ai nervi all'autore. Lo svario potrebbe valutarsi di qualche ora spesa in piú tra il sesto cerchio e la quarta bolgia; ma da qualche ora ad un giorno intiero, mi pare che ci corra molto, per non dir troppo. E Dante, appunto perché "insiste cosí di frequente nell'indicarci l'ora e il cammino percorso, (p. 58) quando avesse creduto di impiegare quarantotto ore nel discendere il suo Inferno, avrebbe senza dubbio trovato qualche nuovo cenno astronomico o qualche altro mezzo per rendercene avvisati: non avendo ciò fatto, non si ha diritto alcuno di interpretarlo cosí a capriccio, come fa il dottor Russo.

Né meno arbitraria è l'altra osservazione dell'autore dove dice che la luna piena avrebbe giovato al poeta non quando questi, nella notte, era smarrito nella selva fonda avanti di arrivare ai piedi del colle, ma la sera successiva, allorché con Virgilio entrò per lo cammino alto e silvestro. Virgilio, secondo me, non è entrato nella selva, ma è apparso a Dante fuori della medesima, sulla piaggia deserta, alle falde del monte, mentre il suo futuro discepolo ruinava in basso loco; e da questo punto, colle sue esortazioni, lo condusse, senza toccare la selva, all'imboccatura della caverna, ove entrò sull'imbrunire. Io chiedo al dottor Russo come facesse la luna a giovare al poeta mentre faceva suo viaggio nel sotterraneo prima, e poi in quell'aer senza stelle: il sotterraneo non si può certamente scambiare colla selva fonda.

Quando i poeti sono per recidere il quarto cerchio, e Virgilio dice:

Già ogni stella cade, che saliva
quando mi mossi,

VII, 98-99.

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Le stelle che erano tutti spiegano, meno i signori Vaccheri e Bertacchi: surte la sera dall'oriente, si trovano allo zenit: dunque è mezzanotte, sono passate sei ore. L'autore non sembra pago di questo commento, ed asserendo che Dante non adoperò mai nel poema il verbo cadere nel senso di oltrepassare il meridiano; ma ben l'usò una volta nel significato di tramontare (Purg., XVIII, 79), conchiude: “ tramontano le stelle che sorgevano "quando mi mossi - Ma Dante ha forse detto che le stelle sorgevano?. E se salire, come l'autore aggiunge in nota (p. 60), riferito agli astri, ha in Dante sempre il significato di procedere dall'orizzonte al meridiano, e non mai quello di salire per tutta una mezza sfera, non è egli evidente che cadere, in questo caso, ha anche il significato, per ragione di contrapposto, di procedere dal meridiano all'orizzonte? L'autore però dalla selva al quarto cerchio mette ore otto; non dà quindi ragione ai signori Vaccheri e Bertacchi,

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Un'altra cosa: quel mi mossi, in bocca di Virgilio, a qual circostanza si riferisce? L'autore vuole che questo muoversi debba riferirsi al momento in cui Virgilio lasciò il Limbo per correre in aiuto di Dante: e si sarebbe mosso circa due ore avanti sera. Pare invece che Virgilio sia accorso in aiuto di Dante nelle ore antimeridiane, e che il si mosse indichi il momento in cui i poeti si avviano ed entrano per lo cammino alto e silvestro. Perché, chiede l'autore, Dante dice: "quando mi mossi, invece che "ci movemmo?, Bella anche questa; bisognerebbe chiederlo a Dante, il quale termina i primi due canti precisamente col verbo muoversi, tempo passato in atto ed in effetto, numero singolare:

Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.

I, 136.

E poi che mosso fue entrai per lo cammino alto e silvestro.

II, 141-42.

Il metodo di computare il tempo in rapporto allo spazio percorso, stabilito dal Russo, ha però corretto un errore nel quale sono caduti molti commentatori, i quali, quando Malacoda ci annunzia:

Ier, più oltre cinqu'ore che quest'otta

mille dugento con sessanta sei
anni compier che qui la via fu rotta,
XXI, 112-14.

credono che si alluda alle ore dieci antimeridiane, mentre sarebbero le sette. È giusto allo stesso risultato sono giunti molti altri, anche indipendentemente dal metodo escogitato dal Russo.

Dell'architettura dell'Inferno secondo il Russo ho già tenuto parola: faccio solo alcune osservazioni che non credo fuori di posto. Alla obiezione

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che il Galilei (p. 63) fa al disegno del Vellutello, si può rispondere: La via lunga, che si incominciava avanti che i poeti discendessero al Limbo, non terminava, per Virgilio, al centro della terra, ma sulla vetta del sacro monte; e, per Dante, che aveva contate le carte e le ore del suo viaggio, la lunga via aveva capo molto più in là, nell'Empireo. La strada era ancora immensamente lunga anche quando, passato il centro della terra, si prendeva viaggio per gli altri mondi. Che valore possono avere i nove decimi del raggio terrestre in confronto a quanto rimaneva da percorrere per arrivare all'altro emisfero, alla cima del monte e alla visione di Dio attraverso l'immensità dello spazio ? Questo pel Galilei.

All'argomento che il dottor Russo crede ancor piú formidabile, perché fondato sulla proporzione tra il tempo e lo spazio percorso, da lui stabilita, si può rispondere avanti tutto che la durata di quarantotto ore attribuita alla discesa dell'abisso è affatto problematica, e, quindi, fino a prove piú convincenti, da mettersi in quarantena. In conseguenza di ciò le ore otto impiegate per arrivare al quarto cerchio, secondo il dottor Russo, non corrispondono ad un sesto di tutto il tempo richiesto per la discesa, ma solamente ad un terzo. E quando si pensi che solamente dopo la porta infernale si accenna a fermate piú o meno lunghe, a difficoltà di cammino, ed a tante altre circostanze che contribuiscono al ritardo, non sarà poi un errore cosí madornale, come ritiene il dott. Russo, se per discendere l'inferno del Vellutello, avente la profondità di un decimo del raggio terrestre, si è impiegato un tempo doppio di quello occorso per la discesa degli altri nove decimi, fatti senza cura aver d'alcun riposo, sopra un declivio facilissimo, in condizioni, sotto ogni aspetto, assai propizie.

C'è poi un'altra circostanza che contribuisce ad aumentare il tempo impiegato nell'inferno, alla quale il dottor Russo non ha badato, sebbene dichiari (p. 15) di essersi recato sul posto ed aver osservato e confrontato tutto coi suoi propri occhi. Il viaggio infernale, come, del resto, anche quello del purgatorio, non si compie solo collo scendere di cerchio in cerchio, guadagnando unicamente sul raggio terrestre, sul profilo, ed a cui si limitano i conti del dottor Russo, ma anche col girare sugli archi, acquistando terreno nel senso della periferia del vasto abisso. Questo io dico non tanto per difendere il disegno del Vellutello, che pure ha i suoi difetti, ma unicamente per rispondere alle obbiezioni messe in campo dal dottor Russo contro un disegno che, con tutte le sue magagne, ha meriti tutt'altro che da disprezzare.

Fondando l'autore l'altezza delle ripe principali sul principio di proporzionalità fra il tempo e lo spazio, la misura di queste ripe riesce affatto indeterminata per l'impossibilità di tenere un giusto conto delle fermate, delle difficoltà del cammino, parte del quale fu percorso con aiuti straordinarî: se poi a questa difficoltà si aggiunge l'erronea opinione dall'autore sostenuta che il viaggio dell'inferno duri quarantotto ore invece che ventiquattro, allora le misure da lui applicate alle varie coste riescono affatto arbitrarie ed insostenibili. In quanto poi alla misura dei traversi che il dottor Russo dà ai vari cerchi, ci sarebbe molto da ridire: altri già ne hanno parlato tutt'altro che fa

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vorevolmente. Anche a me quel dare a ciascun cerchio, o, per dir meglio, a diverse gradazioni di pena, una traversa di miglia 1,75 non sembra conforme all'economia di spazio voluta dal poeta. Dal momento che al terzo gi. rone del settimo cerchio l'autore ha dato tre larghezze di una bolgia, avrebbe dovuto fare altrettanto degli altri cerchi, ove pure sono diversità di pene e di peccatori. Pare che i lussuriosi volino per l'aere in ischiere distinte; che anche nel sesto cerchio sianvi peccatori di diversa specie; cosí pure anche nel secondo girone del settimo cerchio. Che si dirà poi di Cocito che tiene fissi in gelatina quattro gradazioni di traditori, ed invece di avere per traverso quattro volte miglia 1,75 non arriva ad averne la metà di uno? Nell'orribil sabbione, se ben si leggono le parole del poeta, non è posto luogo certo ai dannati che corrono : cosí dirassi degli scialacquatori nella selva dei suicidi ed anche delle diverse schiere di lussuriosi che vengono più o meno sbattute dalla bufera infernal che mai non resta.

Coscienza m'assicura che gli appunti e le obiezioni mosse da me allo studio del dottor Russo non mi furono per nulla inspirate dall'amor proprio, che secondo Dante l'intelletto lega (Par., XII, 120); ma dal desiderio vivissimo di chiarire, secondo le deboli mie forze, le importanti quistioni riflettenti il divino poema sollevate dal dottor Russo nel suo pregevole studio, che non può a meno di cattivarsi la seria attenzione degli studiosi.

Lodi, febbraio 1894.

GIOVANNI AGNELLI.

LA PUNTEGGIATURA E L'INTERPETRAZIONE

dei vv. 70-72 del c. XXXII del "Paradiso di Dante

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Lo rege, per cui questo regno pausa
in tanto amore ed in tanto diletto,
che nulla volontà è di piú ausa,
le menti tutte nel suo lieto aspetto,

creando, a suo piacer di grazia dota
diversamente; e qui basti l'effetto.

E ciò espresso e chiaro vi si nota

nella scrittura santa in quei gemelli,

che nella madre ebber l'ira commota.

Però, secondo il color de' capelli

di cotal grazia, l'altissimo lume
degnamente convien che s'incappelli.

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Quest'ultima terzina fu giudicata da un espositore di Dante, il Mercuri, ' di così difficile interpetrazione, " che la sibilla cumea vi getterebbe gli occhiali

1 Bullettino della Società dantesca italiana, p. 78.

2 Lez. seconda sulla d. C., Roma, 1843, cit. dallo SCARTAZZINI, Commento lips., vol. 3o, pag. 850, n. 70.

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