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"nel pozzo, e forse Navio padre degli augurî non ne caverebbe il significato. „ A me veramente non par di trovarci tutta questa difficoltà: è certo, ad ogni modo, che, se appena qualcuno de' commentatori interpetrò rettamente il primo verso, nessuno, ch'io sappia, riuscí a dar degli altri due un'interpetrazione letterale precisa. E poiché, nell'interpetrazione di qualsiasi sentenza, se non si prendano le mosse da una precisa interpetrazione letterale, anche il senso riesce quasi sempre o incompleto, o vaporoso, o non in tutto corrispondente al concetto dell'autore; credo di poter affermare, che de' versi 71 e 72 nessun commentatore, ch'io sappia, è riuscito a dare la vera interpetrazione. Senza parlare delle più strane, le interpetrazioni, che mette conto di prendere in esame, si riducono a due. La prima è del Buti: "Ecco che parla secondo l'esemplo posto, cioè secondo che a Dio piacque di dare piú grazia a Iacob, che fu nero ed ebbe li capelli neri, che ad Esaú, che fu rosso ed ebbe li capelli rossi; cioè secondo che a Dio piacque di dare all'uno li capelli neri, ed all'altro rossi, cosí gli piacque di dare all'uno piú grazia che all'altro; e però dice l'altissimo lume, cioè di paradiso, che è lo lume che beatifica li beati, che sta nel fondo della rosa, convien che s'incappelli, cioè abbia intorno a sé su per le sedie a modo di cappello, Degnamente, Di cotal grazia, cioè di siffatta grazia chente Iddio hae voluto donare all'anima., La seconda interpetrazione è di Brunone Bianchi: anch'egli premette che " quella idea dei capelli a significare il dono della grazia infuso sul pargolo è stata suggerita a Dante dal fatto biblico dei figli di Rebecca, Esaú e Giacobbe; „ e continua "La diversità della gloria celeste ne' fanciulli, non potendo aver ragione nei meriti, è effetto del diverso grado di grazia, di che Dio è libero e gratuito distributore. Però si dice esser conveniente che il lume beatifico s'incappelli degnamente, cioè si sovrapponga al capo dell'eletto secondo la misura della grazia, di cui con ardita metafora, e per piú corrispondenza coll'idea del cappello (ghirlanda, corona), si vuol significare la maggiore o minor bellezza coll'imagine del color dei capelli. Di queste due interpetrazioni lo Scartazzini scrive: " buona quella del Buti, e migliore quella di Brunone Bianchi;, e il Casini: "l'interpetrazione che è la sola accettabile, fu meglio dichiarata dal Bianchi e confermata dallo Scartazzini. Ma l'interpetrazione del Buti e quella di Brunone Bianchi non sono punto la stessa cosa; se non fosse per altro, per le parole di cotal grazia, che il Buti riferisce a s'incappelli, il Bianchi a capelli. Meglio dunque si sarebbe detto: non buona l'imperpetrazione del Buti, ma peggio assai quella del Bianchi: ché l'uno interpetra, almeno, rettamente il primo verso; e, quanto agli altri due, si contenta di qualche innocua sostituzione di parole; onde, se non chiarisce il testo, neanche può dirsi che lo imbrogli; mentre l'altro, riunendo il complemento di cotal grazia al primo verso, non solo non dà nel segno neppur per questo: ma tronca ogni via alla vera interpetrazione degli altri due. “E però pria Tratterò quella che più ha di felle. „

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1 Cf. SCARTAZZINI, loc. cit., e BETTI, Postille alla d. C. pubb, dal CUGNONI, nella Collezione di opuscoli danteschi di G. L. PASSERINI, Città di Castello, Lapi, 1893, parte III, pag. 112-113.

Giornale dantesco.

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Brunone Bianchi punteggia cosí la terzina:

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Però secondo il color de' capelli

di cotal grazia, l'altissimo lume, ecc.;

la quale punteggiatura è seguita da quasi tutte le moderne edizioni, non escluse le più recenti. Ora, ha un bel dire Br. Bianchi, che non si danno i capelli alla grazia, ma i capelli e il loro colore si pongono come simbolo e figura dei bellissimi e varî doni di questa grazia medesima. Ma come non si danno i capelli alla grazia se si riferiscono a color de' capelli le parole di cotal grazia? È inutile giocar di sofismi: i capelli della grazia non sono soltanto un'ardita metafora, come riconosce lo stesso Bianchi: ma la piú strana metafora che mai si possa immaginare. Ma, seguita il Bianchi "secondo il color de' capelli di cotal grazia deve ritenersi come un modo ellittico intendendo: secondo il color dei capelli rappresentativo del grado di cotal grazia. E che perciò? attenua forse l'ellissi, la stranezza della metafora? E dato anche che la attenuasse, l'importante è, che, riferite a capelli, le parole di cotal grazia diventano inutili; infatti, se col primo verso della terzina che esaminiamo si accenna ai gemelli della terzina precedente (ed è ormai fuor di dubbio), esso solo basta a significare il concetto che Brunone Bianchi vede incluso e in esso primo verso, e nel primo emistichio del secondo: prova ne sia. se prova occorre, che il Buti, il quale sembra sia stato il primo a dar la vera interpetrazione di quel verso, non ebbe bisogno di riferire a capelli le parole di cotal grazia. Inoltre, affatto arbitraria è la interpetrazione del verbo incappellarsi per sovrapporsi al capo di qualcuno: come scappellarsi vale togliersi il cappello, così incappellarsi, nel suo senso proprio, etimologico, vale mettersi il cappello: ed è questo, infatti, il significato, che oggi, parlando per celia, o, figuratamente, per stizzirsi, ha il verbo incappellarsi: che se cappello s'interpetri per corona, incappellarsi varrà mettersi la corona, coronarsi. Ma dato pure che incappellarsi valga sovrapporsi al capo, l'altissimo lume che s'incappella degnamente varrà, per questo, l'altissimo lume che si sovrappone al capo dell'eletto? se riferisce a cappelli le parole di cotal grazia, donde trae il Bianchi questo complemento dell'eletto, ch'ei riferisce a s'incappelli? o qui pure si tira in campo l'ellissi?

A mio parere, adunque, l'interpetrazione di Brunone Bianchi, per quanto accettata in sostanza da tutti i commentatori moderni, come afferma lo Scartazzini,' è, senz'alcun dubbio, da rigettare. E naturalmente va rigettata anche la sua punteggiatura.

Ed ora veniamo all'interpetrazione che ha men veleno, quella del Buti. In quanto al primo verso della terzina, ho già detto che il Buti lo interpetrò rettamente: in quanto agli altri due osservo: 1o è inesatto il dire che l'altis

La accetta anche il Poletto, recentissimo. Cfr. La d. C. di Dante Alighieri con commento del prof. GIACOMO POLETTO. Roma-Tournay, Tip. liturgica di s. Giov., Desclée, Lefebvre e C., 1894, vol. III, pag. 673.

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simo lumesta nel fondo della rosa, esso sta al disopra, quindi, in cima della rosa, se mai: stando in fondo della rosa, come sarebbe altissimo?; 2° il verbo s'incappelli è interpetrato per abbia intorno a sé su per le sedie a modo di cappello: ma con questo non si chiarisce punto il concetto del poeta; quantunque sia giusto il notare che il Buti, trecentista, può non aver sentito il bisogno di dichiarare che cappello valesse corona; 3° di cotal grazia è spiegato dal Buti: "di siffatta grazia chente Dio hae voluto donare all'anima: „ ma il buon commentatore poteva risparmiarsi questa sostituzione di siffatta a cotale; ché certo non è qui la difficoltà del passo ch'esaminiamo. Del resto, anche per l'interpetrazione del secondo e terzo verso, il Buti merita lode: ha saputo esser cauto, e, se non altro, non ci ha menati altrove dal concetto del poeta.

n

Io metto la virgola dopo capelli, invece che dopo grazia, accordandomi in ciò col minor numero delle edizioni moderne; ed interpetro: in Esaú e in Giacobbe, de' quali l'uno ebbe i capelli rossi, l'altro neri, la scrittura c'insegna che Dio, nell'atto di crearle, dota le anime di minore o maggior copia di grazia: però (perciò), secondo il color de' capelli (secondo la maggiore o minor copia di grazia che ciascun'anima ha ricevuta), conviene (è giusto) che l'altissimo lume (Dio) s'incappelli (si coroni, si circondi) degnamente (proporzionatamente) di cotal grazia (delle anime, a cui tal grazia è stata largita). Come si vede, trattasi d'un'interpetrazione strettamente letterale, e nondimeno chiarissima: nessuna parola aggiunta arbitrariamente; nessuna frase, il cui senso non si giustifichi; come brevemente dimostrerò. Interpetro l'altissimo lume per Dio, piuttosto che per il lume beatifico, la gloria celeste, ecc.; non perché, in sostanza, non sieno la stessa cosa; ma per ragion di chiarezza; infatti, evito cosí quella "strana confusione d'idee, di grazia e di gloria,, che Brunone Bianchi rimprovera a chi, "non capacitandosi del color dei capelli della grazia, riferisce a s'incappelli le parole di cotal grazia. E in appoggio di tale interpetrazione, ricordo, per non citar altro, i versi 43, 54, 67, 100-103, 110-111, 116 e 124 del canto XXXIII del Paradiso, ove l'eterno lume, Palta luce, la somma luce, quella luce dalla quale è impossibile volgersi per altra vista, il vivo lume, che tale è sempre qual'era davante, l'alto lume, la luce eterna non sono che perifrasi di Dio. Interpetro incappellarsi per coronarsi, circondarsi, come cappello del verso 9 del canto XXV del Paradiso s'interpetra (e tale interpetrazione è incontestabile)' per corona. È bensì vero che nel canto XXV cappello è corona da cingersi alla testa; mentre qui, nel canto XXXII, incappellarsi non può intendersi per cingersi di corona la testa, giacché l'altissimo lume, Dio, è sopra la mistica rosa, di cui fan parte le anime de' bambini, dotate di più o meno grazia: ma come corona vale, per similitudine, qualsiasi cerchio, circondamento o circonferenza; e come coronare vale anche

"Non

1 "Prenderò il cappello, sarò incoronato; cappello è qui nel senso del francese chapeau e del prov. capelis (Zing., 120), che valgono ghirlanda, corona; cfr. BOCCACCIO, Dec., I, 1: sappiendo li francischi che si volesse dire Cepparello, credendo che cappello, cioè ghirlanda, secondo il loro volgare, a dir venisse. ecc. CASINI, Commento alla d. C.

1

circondare, così mi pare indiscutibile che anche incappellarsi possa valere circondarsi. E certo con siffatto significato adoperarono il verbo incappellarsi il Poliziano, a proposito della rosa (" Questa di verdi gemme s'incappella,, Stanze, I, 78), e il Firenzuola, a proposito del cedro ("quel d'oro e di smeraldi s'incappella, Rime, vol. 4° delle Opere. Milano, Soc. tip. de class. it., 1802, pag. 74). A proposito dei quali esempî, si noti pure che anche il Poliziano e il Firenzuola accompagnano il verbo incappellarsi con un complemento di specificazione (di verdi gemme d'oro e di smeraldi), come, secondo la mia interpetrazione, il nostro poeta (di cotal grazia). Infine, interpe. tro cotal grazia per le anime dotate di cotal grazia, prendendo l'astratto per il concreto; figura di metonimia, la quale ognun sa quanto fosse a Dante familiare.

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Popoli, agosto del 1894.

DR. LORENZO FILOMUSI-GUELFI.

VARIETÀ

DANTE A OXFORD.

E da esilio venne a questa pace.
Par., X, 129.

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Gli studiosi di Dante avran per certo letto nel fasc. VI del Bullettino della Società dantesca italiana la critica del valente Vittorio Rossi sull'ultimo lavoro del dott. Antonio Rossi "I viaggi danteschi oltr'Alpe Il critico questa volta è un po' severo. Se l'autore non ha detto verbo del presunto viaggio di Dante a Oxford,, è perché forse lo ritiene addirittura una fola. A me senibra che per quell' "oltr'Alpe, debbansi intendere le peregrinazioni che Dante può aver compiute in Francia e in Germania; nulla piú.

Vittorio Rossi intanto prende occasione dal libro per fare una digressione, importante quanto mai, circa la possibilità dell'andata di Dante a Oxford onde gli si vuol dar vanto; sulla scorta del Gladstone ne traccia l'itinerario, ed avvisando che "documento esplicito del viaggio di Dante ad Oxford non resta se non la tradizione conservata dal carme boccaccesco, e da Giovanni da Serravalle,,, chiede: "Possiamo accontentarcene e tenere quel viaggio per un fatto sicuro? „,

Mi si conceda dire brevi parole. Per mia parte sto col Bartoli, col Gladstone e col conte Passerini che vogliono non si debba prestar troppa fede a certe asserzioni boccaccesche; all'asserzione di Giovanni da Serravalle peraltro, si deve, io credo, dare maggior peso. Quel dotto prelato adunque al concilio di Costanza fu richiesto dai vescovi di Salisbury e Bath di tradurre in latino la divina Commedia. Nella prefazione al suo lavoro si legge: "Dante dilexit theologiam sacram in qua diu studuit, tam in Oxoniis, in regno Angliae, quam in Parisiis, in regno Franciae.„,

1 Cfr. i vocabolarî così dell'uso antico, come del moderno, e specialmente i seguenti esempî: Io vidi più fulgor vivi e vincenti Far di noi centro e di sé far corona,„, Par., X, 64 e 65; "li vaghi giovani di sé intorno a noi accumulati quasi facevano una corona,,, Bocc., Fiamm., 4, 79; Sotto, folta corona al seggio fanno Con fedel guardia i suoi Circassi astati, Ger. Lib., XVII, 13; แ come in sulla cerchia tonda Montereggion di torri si corona 40 e 41; “Al professore fanno bella corona i discepoli RIG. e FANF., Diz., ecc. 239

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"

TASSO, Inf., XXXI,

Che Dante nel suo lungo esilio di anni ventuno fosse andato a Parigi non deve maravigliare molto quantunque il Butler creda che vi si recasse nella prima gioventù. Per chi muova da Firenze, la distanza che separa Parigi da Oxford deve apparire relativamente breve. Ben dice l'illustre Gladstone che Dante "aborriva dall'incompleto,,, ed il poeta avrà deciso a spingersi fino ad Oxon attrattovi dalla fama di quell'università.

Quanto a me, prova maggiore forse d'ogni altra, che passa di continuo inosservata, l'ho per la bocca di Dante stesso. Nel Convito, (trattato primo, capitolo III), l'Allighieri, toccando del suo esilio, dice: “veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti "e foci e LITI che vapora la dolorosa povertà..., Forse potrà dirsi che questo è sfoggio di retorica; a me non pare. Poche linee prima il poeta amaramente si lagna che Fiorenza, la famosissima figlia di Roma, abbia voluto gettarlo fuori del suo dolcissimo seno. È poi significante il fatto che Dante, secondo opina il Fraticelli, avrebbe scritto il primo trattato del Convito allo a scorcio del 1313, tredicesimo anno d'esilio.

Da quei pochi accenni sulla storia inglese nella Commedia si vuol venire talora a conclusioni troppo avventate. In quanto al verso famoso, Inf., c. XII, citato dal Gladstone, "Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola,,, se posso arrischiare una mia opinione, è in quell' ancor che io trovo la forza dell'argomento; ancora (hanc horam), come a dire: "culto che tuttora si presta al core d'Enrico, giusta io stesso potei vedere co' miei occhi., Ma, dall'altro lato, come ben mi osservava il sig. Collmann, valente dantofilo, quella notizia, Dante, e il Villani con lui, può averla avuta da' Bardi che venivano di frequente in queste isole per riscuotere i cánoni dei benefizî.

Di un autore, vero gigante degli studî danteschi, non si è parlato abbastanza in Italia. Vo' dire del Plumptre, decano della cattedrale di Wells, il traduttore in terza rima della divina Commedia, rapito non ha guari all'ammirazione e all'affetto de' suoi connazionali. Anche lui, al pari di Gladstone, sulla scorta del divino poema segue Dante nel suo pellegrinaggio.

Il Plumptre (e in questa sua idea fa riflettere) in quei versi del Purgatorio, VIII: “Era già l'ora, ecc.,, scuopre una reminiscenza di emozioni provate, vede Dante in un veliero, diretto per lontani lidi.

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Ben si sa, dice il Plumptre nel suo stupendo saggio "Dante as an Observer and Traveller. vol. II, pag. 504, che nel XIII e XIV secolo i "libri,, eran scarsi e gli studiosi che volevano approfondirsi in una data scienza o disciplina convenivano principalmente a Bologna, Parigi,Oxford. E, si ricordi, nota il Plumptre, che al tempo di Dante, dava pubbliche lezioni in Oxford Ruggero Bacone, la cui fama era sparsa in tutta Europa. Il grand'uomo aveva scritto trattati d'enciclopedia, e li aveva umiliati a papa Clemente XIV "maestro di quei che sanno in tutte le scienze nelle quali Dante maggiormente si dilettava.,, Il Plumptre nella Contemporary Review del decembre 1881 aveva dimostrato l'analogia tra Ruggero Bacone e Dante Alighieri.

mo.

Dean Plumptre dà molto peso alla testimonianza di Giovanni da Serravalle, vescovo di FerDice aver veduto il manoscritto della versione latina di quel dotto prelato, e, curioso fatto, in una nota sta scritto che Dante nella sua dimora a Londra ebbe lodgigns a Cheapside, quartiere che tuttora porta quel nome. 1

Al passo seguente il Plumptre annette grand' importanza.

Nel Par., X (v. 139-148) si ha: "Indi come orologio, ecc.... Cosi vidio la gloriosa ruota (de' dodici spiriti lucenti) muoversi...„

Orbene; in tale orologio il Plumptre vi riconosce quello di Glastonbury, giacché era l'unico di quei tempi in Europa che possedesse sí poderoso e sorprendente meccanismo. Il Plumptre consultò al riguardo varie autorità, primo lord Grimthorpe, il quale asserisce che tra gli orologi pubblici del tempo in Europa, niun altro aveva le figure autome come quelle cui Dante riferisce. L'orologio meccanico in questione si trovava nella famosa abbazia benedettina di Glastonbury. Può vedersi adesso nella cattedrale di Wells (stupendo edificio che come scrivo ho sotto gli

1 Vedi in proposito: Di una nuova interpretazione (dall'anglo-sassone) del verso "Pape satan, Pape satan aleppe!" Fanfulla della domenica, del 6 di novembre 1892.

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