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è la stessa primavera che fiorisce nelle belle immaginazioni del randagio pastorello di Vespignano, educato prima dalle albe e dai meriggi e dai tramonti limpidissimi delle sue valli, che non dalle fresche tavole del suo maestro. Tutto è ritorno alla natura. La bella vergine d'onestà vestuta, che l'innamorato Dante indica nei suoi versi, sale ai gradi del trono celeste nelle pitture dell'amico Giotto ed allieta il mondo coi primi sorrisi della madonna.

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Molti degli amici di Dante, erano di già saliti in bella fama di filosofi e di poeti e per maestri gli riveriva, allorquando, incontratosi la seconda volta con Beatrice ed avendo già veduto per sé medesimo l'arte del dire parole per rima, si attentò di proporre ai fedeli d'amore una sua quistione pubblicando per la prima volta i suoi versi.

2

A ciascun'alma presa e gentil core,
nel cui cospetto viene il dir presente,
a ciò che mi riscrivan suo parvente,
salute in lor signor, cioè Amore.
Già eran quasi che atterzate l'ore

del tempo ch' ogni stella n'è lucente,
quando m'apparve Amor subitamente,
cui essenza membrar mi da orrore.
Allegro mi sembrava Amor, tenendo

mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna, involta in un drappo, dormendo.
Poi la svegliava, e d'esto core ardendo
lei paventosa umilmente pascea:
appresso gir ne lo vedea piangendo.3

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"A questo sonetto, scrive Dante, fu risposto da molti e di diverse sentenzie ma "Lo verace giudicio del detto sogno non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifesto alli piú semplici „. Questo sonetto, che rassomiglia alle tante quistioni che a quei tempi si proponevano in versi quasi sempre brutti, è davvero una freddura e ce ne ha parecchi altri di simili. Ma già fiutate quella possanza di forma, a cui dovea alzare la poesia. 4 Fra i risponditori fu quello che poi divenne il primo amico di Dante, Guido Cavalcanti, ed un altro il sonetto del quale ci è stato tramandato come opera di Cino da Pistoia, 5 Quanto allo sporco sonetto che va sotto il nome di un

1 T. MASSARANI: L'arte a Parigi. Roma, tip. del Senato, 1879, pag. 213.

2 Dante ci avverte che questo non fu, come i piú ripeterono, il primo sonetto o poesia ch'egli scrivesse, quantunque sino allora probabilmente i suoi non furono che esercizî di principiante. Cfr. G. CARDUCCI, Studi letterari. (Delle rime di Dante Allighieri). Livorno, Vigo, 1874, pag. 141.

3 La Vita Nova, illustrata con note e preceduta da uno studio su Beatrice per ALESSANDRO D'ANCONA. 2 ediz., Pisa, Lib. Galileo, 1884, pag. 27. L'ultimo verso riferisco secondo la lezione di G. B. GIULIANI: La Vita Nova e il Canzoniere, Firenze, Le Monnier, 1868.

Ma tutti i co

4 F. DE SANCTIS, Saggio critico sul Petrarca. Napoli, Morano, 1869, pag. 44. 5 Se Cino nacque nel 1270, ed il sonetto responsivo non può essere di lui. dici, meno il Magl. VII, 10, 1040 che lo dà a Terino da Castelfiorentino, paiono concordi nel

Dante da Maiano, poeta e capo scuola notissimo ai suoi tempi da nessuno dei contemporanei ricordato, senza voler toglier addirittura il nome di lui dalla lista de' nostri poeti, io credo quei versacci nient'altro che una parodia, una canzonatura di qualche poeta burlesco. E se fu scritto sul serio, ed autore ne fu il maianese nella risposta inurbana di questo, dettata colla burbanza propria ai conservatori di tutti i tempi e di tutti i luoghi,1 in quella ostentazione di disprezzo, appare piuttosto il timore ed il dispetto mal celato di un vecchio intollerante, il quale nei versi del giovine Dante dovette intravedere qualche cosa che col tempo avrebbe indirizzata l'arte per nuovo cammino, e presentiva forse l'oblio che avrebbe ricoperto il suo nome. Ma, ripeto, anche a me come al Borgognoni, pare strano che d'un poeta il quale secondo il Nannucci fu a' suoi tempi tenuto in conto di non ignobile2 nulla ci venga detto dai contemporanei né dai vecchi manoscritti.

In questo sonetto in cui sono immagini che ci appaiono grottesche, ma che sono piene di significazione, ricche d'idee, parve al Gaspary di ritrovare la maniera di poetare della nuova scuola fiorentina, di qui la mala accoglienza del rappresentante l'antica maniera provenzalesca, e le cordiali congratulazioni di Guido Cavalcanti, maggiore di Dante una diecina d'anni circa e già in fama di gentile poeta. Eppure nessuno ne intese il significato, poiché nel sonetto era adombrato un presentimento di morte, e questo presentimento a gran meraviglia di molti, domina in tutta la Vita Nova, ond' è che il Tommasèo ebbe a scrivere:

3

"Nessuna letteratura può mostrare altro dove a tanta serenità d'immagini sia congiunta tanta mestizia e tanta ombra di morte. L'amor di quest'uomo è simile a cenobita penitente che si tiene continuo dinanzi agli occhi la vista d'un teschio ignudo. Ogni pensiero all'aspetto di lei non si dilegua, ma muore, il viso tramortisce; morta è la vista Degli occhi ch'anno di lor morte voglia. E per l'ebrietà del gran timore Le pietre par che gridino: Muoia, muoia. Ma quello che nieglio d'ogni altra cosa fa riconoscere nell'amante il cantore della gente morta, e nelle significazioni del suo affetto un preludio dell'Inferno, è

l'attribuirglielo, onde è da credere con L. Chiappelli che Cino nascesse un po' prima del 1270, data piuttosto tradizionale che suffragata da prove di fatto. Il Fauriel tolse a Cino il sonetto. - L. CHIAPPELLI, Vita e opere giuridiche di Cino da Pistoia. Pistoia, 1881.

«Non a tutti,

G. CARDUCCI. Studi let., loc. cit. Del resto scrive altrove il Carducci: anzi a pochissimi è dato divinare i grandi e originali ingegni, e del senno di poi son piene le fosse ». Ciò a proposito del Bembo cui falsamente si attribuí di aver consigliato l'Ariosto a scrivere l'Orlando in latino. La gioventù di Lodovico Ariosto e la sua poesia latina. Bologna, Zanichelli, 1881, pag. 184. Intorno a Dante da Maiano: A. BORGOGNONI, Dante da Maiano. Ravenna, David, 1892. La Quistione maianesca o Dante da Maiano. Città di Castello, Lapi, 1885. Non ho letto F. NOVATI: Dante da Maiano, a Adolfo Borgognoni. Ancona, Morelli, 1883, ché non potei averlo.

2 Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana. Firenze, Barbèra, 1874, vol. I, pag. 307.

3 ADOLFO GASPARY, Storia della letteratura italiana. Trad. dal tedesco di Niccola Zingarelli. Torino, Loescher,. 1887, vol. I, pag. 196. PIETRO ERCOLE, Guido Cavalcanti e le sue rime, etc. In Livorno, Vigo, 1885, pag. 9.

la fantasia che gli viene quand'egli si creda morire, e immagina morta la donna sua.... Vedete come pieno di morte fosse l'amor in quell'anima; come dal sepolcro gli sorgesse più pura e piú lieta che mai l'imagine d'una immarcescibile bellezza. Forte, ben dice la Bibbia,, come la morte, è l'amore: e nessun uomo lo sentí piú che Dante. Amore, morte, immortalità erano nella sua mente una triade generatrice di sé, creatrice di nuovo universo. A questi tre nomi noi dobbiamo le tre cantiche

1

Quello che Dante negli anni piú maturi pensasse dell'arte e dei poeti del suo tempo, noi sappiamo da lui stesso:

Credette Cimabue ne la pittura

tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido

sí che la fama di colui è oscura.

Cosí ha tolto l'uno all'altro Guido

la gloria della lingua: e forse è nato

chi l'uno e l'altro caccerà di nido. 2

E altrove, dopo alcune parole molto tormentate dai commentatori, da Bonaggiunta da Lucca, poeta di transizione, viene domandato:

Ma di' s'io veggio qui colui che fuore

trasse le nuove rime cominciando:
Donne che avete intelletto d'amore?

A cui Dante:

E l'altro:

.... Io mi son un che quando
amore spira, noto, ed a quel modo
che detta dentro vo significando.

O frate, issa vegg' io. diss' egli, il nodo
che il Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil nuovo ch'i'odo.
Io veggio ben come le vostre penne
diretro al dittator sen vanno strette,
che delle nostre certo non avvenne.
E qual piú a riguardare oltre si mette
non vede piú dall' uno all' altro stilo. 3

Con ciò Dante non volle dire che egli fosse inventore del nuovo stile, ché altri in quella via avevalo preceduto, e non fu il primo a rappre sentare la donna simile ad angelo, e l'amore verso di lei quasi un'adorazione. 1 Ma in quei poeti la donna prima che angelo fu donna, e

4

La divina Commedia di Dante Allighieri con ragionamento e note di N. TOMMASÉO. P. I, XLI e XLII. Milano, Pagnoni, 1869.

2 Purgatorio, XI, 64. Testo Witte. Milano, Daelli, 1866.

3 Ibid., XXIV, 49.

4 ADOLFO BARTOLI: Storia della letteratura italiana. Firenze, Sansoni, 1881, vol. IV, pag. 207. Per i poeti dello stile nuovo vedasi tutto il volume. FRANCESCO PEREZ spiega amore per studio, scienza che mancava appunto a Bonaggiunta ed un nominato da lui. La Beatrice sve

l'amore un sentimento vero, ché altrimenti non sapremmo vedere che cosa essi e Dante innovassero passando dal gergo convenzionale dei provenzaleggianti ad un altro. Dante afferma chiaramente che essi cantano solamente inspirati dall'amore, che qui non è studio o sapienza, ma affetto, e se dopo le splendide pagine del Bartoli non si può negare che i poeti del dolce stile nuovo creassero anch'essi una specie di maniera di scuola, e convenissero tutti nell'indicamento delle loro donne, pur tuttavia, nonostante la somiglianza del soggetto e del modo di rappresentarlo, l'arte di ciascuno ha una impronta cosí individuale, che in nessun modo si può confondere l'un d'essi coll'altro. Ed anzi spingendomi più oltre, io credo che, se non tutti, molti almeno de' poeti siciliani illustri e bolognesi filosofi, pur adoperando forme convenzionali e artificiose imitate dai provenzali e volute dalla retorica del tempo, cantassero non di rado affetti veri; poiché pur restando vero il fatto, anche di questa imitazione provenzale, specialmente rispetto ai siciliani, pare che siasi di molto esagerato.

Quello però che Dante credeva, ove non a Cino ma a sé allude nei versi su riferiti, si era d'aver cacciato di nido i due Guidi, sebbene possa parere strano che egli pecchi di superbia là dove appunto quel peccato è punito. E non a caso ci si fece ricordare da Bonaggiunta il principio di quella canzone, la quale, al dire del Giuliani, quando altri argomenti mancassero, basterebbe da per sé sola a provare che Beatrice fu donna vera. A questi versi, che il Bartoli chiama mirabili, fanno commento queste parole che ne spiegano il momento della ispirazione. "Avvenne poi che, passando per un cammino, lungo il quale correva un rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontà di dire, che cominciai a pensare il modo che io tenessi; e pensai che parlare di lei non si conveniva, se non che io parlassi a donne in seconda persona; e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili; e non sono pur femine. Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa e disse... La ridente natura commosse il poeta, che con grande letizia riposta nella mente la parola dettagli da Amore, ritornato in città dopo alquanti giorni diede cominciamento con quella alla sua canzona

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Donne, ch' avete intelletto d'amore,

2

io vo' con voi della mia donna dire;
non perch'io creda sua laude finire,

lata, preparazione all'intelligenza di tutte le opere di Dante Allighieri. Palermo, Lao, 1865, pagine 65 e segg.

1 ADOLFO BORGOGNONI, Studi d'erudizione e d'arte. Bologna, Romagnoli, 1878, vol, II, pag. 159 e segg. ERNESTO MONACI, Da Bologna a Palermo: Primordi della scuola poetica siciliana, in Antologia della nostra critica letteraria moderna compilata da LUIGI MORANDI, Città di Castello, Lapi, 1885, pag. 205-223. ADOLFO GASPARY. La scuola poetica siciliana del sec. XIII. Trad. del D. S. Friedmann con prefazione di A. D'Ancona. Livorno, Vigo, 1882, cap. III. 2 Vita Nova, XIX.

1

di gentilezza, d'amore e di fede.
ma ragionar per isfogar la mente. 1
Io dico che pensando il suo valore,
Amor sí dolce mi si fa sentire
che, s'io allora non perdessi ardire,
farei, parlando, innamorar la gente;
ed io non vo' pariar sí altamente,
che divenissi per temenza vile:
ma tratterò del suo stato gentile,
a rispetto di lei leggeramente,
donne e donzelle amorose, con vui,
ché non è cosa da parlarne altrui.
Angelo chiama in divino intelletto,
e dice: Sire, nel mondo si vede
meraviglia nell'atto, che procede
da un'anima, che fin quassú risplende.

Lo cielo che non have altro difetto

che d'aver lei, al suo Signor la chiede,

e ciascun santo ne grida mercede.

Sola Pietà nostra parte difende :

ché parla Iddio, che di madonna intende:

diletti miei, or sofferite in pace,

che vostra speme sie quanto mi piace,

là, ov'è alcun che perder lei s'attende,

e che dirà nell'inferno ai malnati:

io vidi la speranza dei beati.
Madonna è disiata in l'alto cielo:
or vo' di sua virtú farvi sapere,
dico: qual vuol gentil donna parere
vada con lei; ché quando va per via,
gitta ne' cor villani Amore un gelo,
per che ogni lor pensiero agghiaccia e père
e qual soffrisse di starla a vedere
diverría nobil cosa, o si morría:

e quando trova alcun che degno sia

di veder lei, quei prova sua virtute,
ché gli avvien ciò che gli dona salute,
e sí l'umilia, che ogni offesa oblia.
Ancor le ha Dio per maggior grazia dato,
che non può mal finir chi le ha parlato.
Dice di lei Amor: Cosa mortale

come esser può sí adorna e sí pura?
Poi la riguarda, e fra sé stesso giura
che Dio ne 'ntende di far cosa nuova.
Color di perla ha quasi in forma, quale
conviene a donna aver, non fuor misura;
ella è quanto di ben può far natura,
per esemplo di lei beltà si prova;

<< Perché nella mente non meno che nel cuore è il suo fuoco», TOMMASÉO, op. e loc. cit., pag. XXIII. « La donna della mente è l'essere vagheggiato dal pensiero del poeta, visto da lui cogli occhi dell' immaginazione ». BARTOLI, Storia della letteratura italiana, IV, 188. Dei significati della parola mente secondo il Renier vedi La Vita Nuova e la Fiammetta citata più sotto.

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