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Pier delle Vigne

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CERCHIO VII

(Violenti)

Lucifero

CERCHII VIII IX (Malebolge)

Monforte

Folo Chirone Nesso

Pirro Sesto

Ruina

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rando sempre a sinistra, quella linea spirale che ha il suo punto terminale in A, sulla ripa sinistra di Flegetonte. Allora Dante non è ancor volto per tutto il cerchio; manca per finirlo, il varco del fiume stesso, che non si fa. In A, viene Gerione e i poeti, imbarcatisi sulle spalle del mostro, fanno, sempre secondo la legge dell'Altro, vari giri, il cui numero e la cui grandezza rimane nell' indeterminazione. Così si giunge in B sul primo ripiano di Malebolge, e poi, percorrendo vari archi in senso contrario dei precedenti, e camminando verso il centro, Dante e Virgilio vengono a presentarsi di fronte a Lucifero, che tien le tre faccie rivolte verso Roma. Quindi, senza girare in nessun luogo ritornano alla superficie della terra, nell'isola del purgatorio, sempre da quella parte che è rivolta verso Roma, e vedono l'angelo che viene colle anime, dalle foci del Tevere, seguendo, com'è naturale, il cammino più breve.

Esaminiamo il dettaglio di quel viaggio, nella parte dell'inferno che risponde ai cerchi superiori, poichè, dal punto A in giù, non v'è più difficoltà di nessun genere.

Prima di tutto, è d'uopo considerare il giro che si fa intorno alla riviera di sangue. Virgilio e Dante scendono dalla ruina (si veda la gran figura) e contemplano i Centauri schierati come nel nostro disegno, di modo che per indirizzarsi a Nesso, Chirone dovrà volgersi in sulla destra poppa. Nesso, che è guida dei poeti, osserva come i primi dannati che stanno in fronte della ruina, sono immersi nel sangue fino alle ciglia; quindi si giunge in parte dove il sangue ricopre la parte inferiore della persona, e lascia libero tutto il resto. Finalmente, il liquido bollente cuoce pur li piedi e in quel luogo si passa al fiume. Nesso dice che dall' altro canto la profondità del sangue va crescendo e spiega che i dannati vi stanno rinchiusi, come nel primo recinto, che Dante e Virgilio costeggiarono per venire al varco. I tiranni si schierano simmetricamente, e sono, in certo modo, i medesimi da una parte e dall'altra. Di qua abbiamo due italiani: Obizzo e Ezzelino, e due antichi, Dionisio e Alessandro; di là, due antichi: Pirro e Sesto, e due italiani: Rinier da Corneto e Rinier Pazzo. Simmetrico di Monforte è Attila, e che questa simmetria non sia vana, lo dichiara apertissimamente il libro dell' Eloquenza Volgare.

Tutto dunque dimostra che i poeti fecero intorno al fiume un cammino eguale ai 180 gradi. Si vede poi che girarono ancora, sull'orlo della selva, prima di giungere sulla ripa di Flegetonte. Ma questo tratto non può esser lunghissimo; quindi si argomenta che la ruina era in parte quasi opposta al monte Ida, e rispondeva alla verticale di qualche luogo dell' Asia centrale, la cui longitudine orientale era molto maggiore di quella di Gerusalemme.

Queste circostanze ci permettono d' intender bene le parole di Virgilio, quando i poeti sono in atto di scender verso il settimo cerchio:

che i Pesci guizzan su per l'orizzonta,

e il Carro tutto sovra il Coro giace.

Giunto alla bolgia dei barattieri, Virgilio dice che la luna tiene il confine d'ambedue emisferi, e il conto di Malacoda segna poi con esattezza assoluta l'ora di Gerusalemme, che sarà per noi quella che si chiama oggidì le sette antimeridiane. L'epoca in cui i Pesci si alzano sull'orizzonte risponderebbe alle cinque e mezza. Dunque, se fosse ora di Gerusalemme, i poeti, in un'ora e mezza, dovrebbero passare tutto il settimo cerchio, scendere alla Malebolge, e vedere le prime bolgie, fino a quella dei barattieri. L'ora e mezza non basta per leggere i nove canti del poema, che narrano quella lunghissima concatenazione di avvenimenti. Il fatto si spiega, per altro, in modo soddisfacente, se l'orizzonte sul quale spuntano i Pesci è quello d'un luogo situato a una ventina di gradi di longitudine a levante di Gerusalemme, poichè in quel caso abbiamo, all'incirca, un'ora e mezza di più.

Il Manetti, e molti altri, vollero assegnare certi valori arbitrarii alla lunghezza degli archi percorsi in qualunque cerchio o cerchietto. Di questi valori Dante non dice niente; l'unico punto in cui il suo testo determina la lunghezza dell'arco è quello della riviera del sangue, e qui abbiamò un mezzo cerchio intero, invece dell'arco stabilito dal Manetti, che è uguale a gradi 36. Del resto il Manetti si rese colpevole di varie assurdità geografiche, le quali sono veramente incredibili, e si slanciò, come anche il Vellutello e il Landino, in calcoli più ridicoli che mai.

Volendo sapere esattamente quanti furono i gradi degli archi percorsi - dai poeti nei primi cerchi, mi pare indispensabile di chiedere informazioni a chi vive in inferno, e conosce i luoghi meglio di noi. E giacchè abbiamo, al tempo presente, delle società dantesche in Italia, in Germania, in Inghilterra e in America, non v'è dubbio che anche nella città di Dite ve ne sarà un'altra. Tocca ai benemeriti accademici stigiani di farci sapere la verità su quel punto particolare di dantologia.

Quando Virgilio e Dante sono sulla ripa di Flegetonte, il maestro dice all'alunno: È tutto che tu sii venuto molto, ecc. In quelle parole abbiamo una regola generale che si stende a tutto il cammino percorso; se vi fossero delle eccezioni, Virgilio dovrebbe dirlo; non dicendolo, si dichiarerebbe per buffone, baggiano e imbecille, che vuol mistificare il discepolo invece di fargli imparar cose vere.

Ora, l'unico luogo in cui si determina, con senso preciso e schiettissimo, il modo che tennero i poeti nelle volte e nei giri, è il cerchio VI, e in quello, si gira senza dubbio secondo la legge dell' Altro.

Del resto, nel settimo cerchio, i poeti, dopo l'istante in cui Virgilio parla così, camminano sempre verso il centro, fuorchè sulla ripa dell'abisso,

quando fecero i dieci passi a destra, e nel vano immenso dove gli condusse Gerione. E in quelle circostanze si segue il movimento dell' Altro. È dunque ovvio che quel movimento si osserva in tutto il viaggio, fino alla Malebolge. L'Agnelli fa a quei principî varie obbiezioni alle quali è facile rispondere.

a) Dice che la terzina E tutto che tu sii si riferisce, non ai giri, ma alle voltate.

Quest'idea è affatto contraria a quella di Dante, che spiega, al canto XIII del Purgatorio, come il sole si prenda sempre per guida, e come le rivoluzioni solari siano modelli dei giri nel viaggio mistico. Il sole non fa voltate; non fa altro che giri. Gira secondo la legge del Medesimo nelle ventiquattr' ore, e gira secondo quella dell' Altro, sul piano dell' eclittica in un anno. Appunto per osservare quella legge, si è fissato per l'angolo del cono infernale quello che esiste fra le verticali di Gerusalemme e dell'isola di Creta.

Veramente, se noi esaminiamo il movimento del sole nel giorno e sul nostro orizzonte, esso si farà sempre a destra. Ma fra i tropici, vi son dei casi in cui il giro si fa a sinistra. All'epoca del viaggio, la declinazione boreale del sole era uguale a 12 gradi. Ne segue che il suo centro percorreva in cielo il parallelo situato a 12 gradi dell' equatore. Dunque i poeti, camminando in terra in luoghi compresi fra quel parallelo di 12 gradi e la linea equinoziale, dovrebbero, per seguire la legge del Medesimo, girare a sinistra, e per seguire quella dell' Altro, girare a destra. Lo stesso si osserverebbe nel cammino infernale, nel quale, per tener conto della posizione del sole, si vuol considerare il punto della superficie del globo che giace sulla verticale dei viaggiatori mistici.

Per isbrigarsi da quella confusione, Dante fece il suo cono piccolo, e lo fece di tal modo che tutte le sue parti sieno al disopra del parallelo di dodici gradi. È facile dimostrare che non sarebbe così, se il cono dovesse stendersi fino a Cuma, come vogliono i chiosatori antichi.

I fiumi infernali segnano un punto della circonferenza del cono, e per questo dice Virgilio che Flegetonte è cosa notabilissima. Che Flegetonte cada veramente a perpendicolo, e, per conseguenza, secondo la generatrice del cono, lo dimostra il verbo dirocciare, che esiste in varie lingue latine, e particolarmente nel dialetto dei nostri alpigiani del Delfinato, i quali dicono se dérocher per esprimer la disgrazia di chi viene a precipitare in qualche abisso di quei monti.

b) Dice ancor l'Agnelli che se Dante e. Virgilio camminano sulla ripa sinistra di Flegetonte, Virgilio, volgendosi a destra, come narra il testo del poema, non vedrebbe l'alunno. E il motivo è questo. Dante cammina dietro Virgilio e Virgilio, secondo l'Agnelli, è nel mezzo dell' argine, mentre Dante, conversando con Brunetto Latini, deve rimaner sull' orlo. Si

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