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ce ne offre novella prova il Petrarca l'amore del quale per Laura donna mortale nessuno oramai mette piú in dubbio. Anzi tutti convengono nel vedere Laura piú veramente donna che non Beatrice. Eppure anche Laura è perfettissima tra le donne, anche Laura è angelo e piú che angelo: difatti all'udirne la morte, l'amante scrisse:

In dea non credev' io regnasse morte.

E prima del suo ultimo giorno, e quantunque fiducioso che una Dea non potesse morire, fisso nel pensiero che in questo mondo

Cosa bella e mortal passa e non dura,

meno violenti che non in Dante, pure tristi presentimenti lo assalgono: Chi vuol veder quantunque può natura

e 'l ciel tra noi, venga a mirar costei,

che è sola un sol, non pure agli occhi miei,

ma al mondo cieco che virtú non cura.

E venga tosto, poiché morte fura

prima i migliori e lascia stare i rei. Questa aspettata al regno degli dei, cosa bella e mortal, passa e non dura. Vedrà, se arriva a tempo, ogni virtute, ogni bellezza, ogni real costume,

giunti in un corpo con mirabil tempre. Allor dirà che mie rime son mute,

l'ingegno offeso dal soverchio lume.

Ma se più tarda avrà da pianger sempre. 1

Anche il soggiorno di Laura sulla terra fu, secondo il poeta, un'ap. parizione, anch'ella venne a mostrare un miracolo della natura e del cielo insiem congiunti a formarla, e il suo morire, o, meglio, quello che gli sciocchi chiamano morire, fu il naturale ritorno alla sua sede celeste :

L'alto e novo miracol che a' dí nostri
apparve al mondo, e star seco non volse,
che sol ne mostrò il ciel, poi sel ritolse
per adornare i suoi stellanti chiostri. 2

Giovanni Boccaccio scrivendo la vita di Dante e commentando il poema affermò essere stata la donna amata da Dante figliuola di Folco Portinari, che fu moglie di un cavaliere dei Bardi chiamato messer Simone, secondo la relazione di fede degna di persona la quale la conobbe e fu per consanguineità strettissima a lei. Al Boccaccio, nonostante l'allegazione di un testimonio, forse uno dei minori fratelli di Beatrice allora fatto adulto, come a reo di avere scritto novelle non fu

1 Canzoniere, p. I, Sonetto 190.

2 Ibid., p. II, Sonetto 41.

creduto, e fu per conseguenza imputato d'aver recata falsa testimonianza. La medesima sorte toccò a Benvenuto da Imola ed agli altri che dal Boccaccio trassero la notizia: ma il Bartoli, che non attribuisce molta importanza al libro del Boccaccio, pure stima eccessivo il volergliela tòrre tutta, ed oggi, nonostante le amplificazioni cui si lasciò andare l'artista sommo pel grande amore che e' nutriva allo Allighieri, e qualche svista in cui cadde, si incomincia a giudicare piú favorevolmente il Boccaccio avendo i documenti dimostrate vere alcune parti del suo racconto e provata la esistenza di persone da lui citate, come, ad esempio, quella di ser Piero Giardini e di altri che conobbero Dante negli ultimi anni di sua vita. 1

Né minori dubbi, dal Dionisi in poi, furono sollevati contro il commento di Pietro di Dante; se non che oggi pare che si vadano dileguando, grazie ad una recente scoperta di una nuova redazione di quella opera dello stesso Pietro. Il commento è contenuto nel codice Ashburnham 841, e da certi accenni pare che sia stato scritto a Verona, dove appunto, dopo la morte del padre, Pietro stabilí la sua dimora, ed è prezioso per le notizie storiche non solo riguardanti Firenze, ma Verona e tutti quei luoghi nei quali visse il figliuolo di Dante. Di Beatrice cosí parla il commento: "Et quia modo hic primo de Beatrice fit mentio, de qua tantus est sermo maxime infra in tertio libro paradisi, premictendum est quod revera quedum domina nomine Beatrix, insignis valde moribus et pulcritudine tempore auctoris viguit in civitate Florentie, nata da domo quorundam civium florentinorum qui dicuntur Portinarii, de qua Dantes auctor procus fuit et amator in vita dicte domine, at in eius laudem fecit multas cantilenas: qua mortua ut in (sic) eius nomen in famam levaret in hoc suo poemate sub allegoria et typo theologie eam ut plurimum accipere voilut ,,,

Speriamo dunque che, secondo tutto ci fa credere certo, il signor Luigi Rocca riesca a provare il commento veramente di Pietro e anteriore al 1374. E ciò non per noi, ma per gli ostinati contradditori della Beatrice reale, e per cessare una quistione che oggimai ha noiato tutti.

1A VITTORIO IMBRIANI, che al suo solito negò (in Quando nacque Dante? Napoli, Marghieri, 1879, pag. 22,) rispose con prova affermativa O. GUERRINI (in Studi e polemiche dantesche di OLINDO GUERRINI e CORRADO RICCI, Bologna, Zanichelli, 1880, pag. 19 e segg.).

2 LUIGI ROCCA, Del Commento di Pietro di Dante alla divina Commedia ecc.: in Giornale storico della letteratura italiana, anno IV, vol. VII, fasc. 21 Il Bartoli diede cavallerescamente contezza al D'Ancona della scoperta nel giornale fiorentino La Nazione, Anno XXVIII, n. 92, 2 aprile 1886. Il Bartoli crede che il ms. fu sicuramente composto tra il 1313 e il 1360, mentre il commento a stampa è, come è noto, del 1340. Circa a Beatrice egli scrive: "Intento sempre e

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solo a cercare la verità, se mi vedrò sconfitto in una delle mie ipotesi, non me ne affliggerò certa mente. Tanto più che mi resterà sempre la persuasione profonda dell'idealizzazione di Beatrice, anche quando essa fosse, in origine, una fanciulla di carne e d'ossa, la figliuola di Folco Portinari, la moglie di Simone dei Bardi. Così il mio amato maestro, cui il D'ancona rispose "Siamo meno discordi che non paia a prima vista. Io almeno non ho mai negato l'idealizzazione di Beatrice, anzi ho scritto apertamente che incomincia già prima della morte, colle rime del dolce stil nuovo, e si compie per la morte e dopo di questa. „

nella stessa Nazione, n. 97, 7 aprile 1886.

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Frattanto Dante ritorna alle lodi della sua donna, e per mostrare vie meglio come la signoria d'amore l'avea disposto a ricevere degnamente i benefici influssi che procedeano dalla sua donna incominciò una canzone, che rimase interrotta pel subito sopravvenire della morte di Beatrice. Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n'avea questa soprascritta stanza, quando lo Signore della giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella reina benedetta, Virgo Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenza nelle parole di questa Beatrice beata E ciò avvenne il 9 di giugno del 1290. Lasciamo stare l'indovinello del biasimo che ne verrebbe a Dante dal parlare di sé per dire più a lungo di questa morte, indovinello disgraziatamente non solo nel libretto; ma nessuno vorrà mettere in dubbio la naturalezza di questa situazione, la lode cioè incominciata e interrotta da morte: sorvoliamo sulla stranezza delle combinazioni vere o casuali del numero nove, aggiunte dal poeta quando avvolto nelle nebbie scolastiche erasi straniato dalla sua donna e dall'arte, e sentiamo invece com'egli nei versi sapesse tutto esprimer sé stesso. Egli che si era vòlto alle donne che hanno intelletto d'amore, cosí ora ad esse sole torna a parlare. Non dispiaccia rileggere questa canzone:

Gli occhi dolenti per pietà del core
hanno di lagrimar sofferta pena,
sí che per vinti son rimasi omai.

Ora s'io voglio sfogar lo dolore,
che a poco a poco alla morte mi mena,
convenemi parlar traendo guai,

E perché mi ricorda ch'io parlai
della mia donna, mentre che vivìa,
donne gentili, volentier con vui,
non vo' parlare altrui,

se non a cor gentil che 'n donna sia;

e dicerò di lei piangendo, pui

che se n'è gita in ciel subitamente,
ed ha lasciato Amor meco dolente.

Ita n'è Beatrice in alto cielo,

nel reame ove gli angeli hanno pace,

e sta con loro; e voi, donne, ha lasciate.

Non la ci tolse qualità di gelo,

né di calor, sí come l'altre face;
ma sola fu sua gran benignitate:
che luce della sua umilitate
passò li cieli con tanta virtute,
che fé maravigliar l'eterno Sire,
sí che dolce disire

1 Vita Nova, XXIX, XXX, XXXII.

lo giunse di chiamar tanta salute,
e félla di quaggiuso a sé venire;
perché vedea ch'esta vita noiosa
non era degna di sí gentil cosa.
Partissi della sua bella persona
piena di grazie l'anima gentile,
ed èssi gloriosa in loco degno.
Chi non la piange quando ne ragiona
core ha di pietra sí malvagio e vile,
ch'entrar non vi può spirito benegno.
Non è di cor villan sí alto ingegno,
che possa imaginar di lei alquanto,
e però non gli vien di pianger voglia:
ma vien tristizia e doglia

di sospirare e di morir di pianto;
e d'ogni consolar l'anima spoglia
chi vede nel pensiero alcuna volta
qualella fu, e com'ella n'è tolta.
Dannomi angoscia li sospiri forte,

quando il pensiero nella mente grave
mi reca quella che m' ha il cor diviso:
e spesse fiate pensando alla morte,
me ne viene un disio tanto soave,

che mi tramuta lo color nel viso;

e quando 'l maginar mi tien ben fiso,

giugnemi tanta pena d'ogni parte,

ch' i' mi riscuoto per dolor ch'i' sento;

e sí fatto divento,

che dalle genti vergogna mi parte.
Poscia piangendo, sol nel mio lamento
chiamo Beatrice; e dico: Or se' tu morta?
E mentre ch' io la chiamo, mi conforta.

Pianger di doglia e sospirar d'angoscia

mi strugge il core ovunque sol mi trovo,
sí che ne increscerebbe a chi 'l vedesse:

e qual è stata la mia vita, poscia

che la mia donna andò nel secol novo,

lingua non è che dicer lo sapesse:

e però, donne mie, perch'io volesse,

non vi saprei ben dicer quel ch' io sono,

sí mi fa travagliar l'acuta vita :

la quale è sí invilita,

che ogn' uom par che mi dica: Io t'abbandono,

vedendo la mia labbia tramortita.

Ma qual ch' io sia, la mia donna sel vede,

ed io ne spero ancor da lei mercede.

Pietosa mia Canzone, or va piangendo;

e ritrova le donne e le donzelle,

a cui le tue sorelle

erano usate di portar letizia ;

e tu che sei figliuola di tristizia,

vattene sconsolata a star con elle.

Giornale dantesco.

20

Beatrice è morta e Dante pigliando il cominciamento di Geremia profeta scrive ai principali cittadini di Firenze, rimasta come deserta per tanta perdita. Un amico a lui immediatamente dopo il primo e tanto distretto in sanguinità con questa gloriosa, che nullo più presso l'era lo prega che voglia dirgli alcuna cosa per una donna ch'era morta, ed egli accortosi che il fratello di Beatrice, giacché altri non può esser costui, copertamente intendeva di quella benedetta, egli in suo nome scrisse i sonetto Venite a intender li sospiri miei, e due stanze di una canzone, l'una per lui e l'altra per sé. Nell'annuale della sua dipartita, alcuni uomini d'alto affare lo sorprendono che disegnava un angelo su certe tavolette. Dopo di ciò apparisce la gentil donna consolatrice, e incominciano i traviamenti del poeta.

Uno sguardo, un saluto è tutta la storia d'amore narrata nella Vita Nova, ond'è che la negazione del saluto, per parte di lei offesa dalle dicerie sparse sul conto della donna dello schermo, costituisce il maggior dolore di Dante, ed è forse uno dei momenti in cui la realtà dell'amore di Dante si manifesta interamente. Qui è la donna offesa, è la donna gelosa che si vendica e toglie allo infedele il saluto in che tutta stava la sua beatitudine. Ma Dante per certo, non ci ha voluto svelare in questo libro tutte le gioie e i dolori dell'amore suo; e detto del gabbo che si prese di lui Beatrice coll'altre donne, quand'egli scolorí nel viso e tremò, al trovarsi alla presenza di lei per inganno di un amico, non si prende cura di notare se allor si pentí di quel riso, tanto sincera e sí poco timida dello scherno (che all'anime piccole è gastigo insopportabile) era la sdegnosa anima del poeta. Lo stesso dicasi del matrimonio di Beatrice, di cui Dante non fa chiaro accenno ma forse colla radunanza di donne ad una festa nuziale vi allude, poiché è anche oggi costume dell'Italia meridionale che le fanciulle non intervengano ai matrimoni, ed altri usi domestici di questi paesi trovano perfetto riscontro in quei di Firenze del secolo decimoterzo e quarto, secondo ci attestano i novellieri e Dante medesimo. Egli è per ciò che gli argomenti addotti dallo Scartazzini per provare Beatrice non dei Portinari, e morta nubile, non ne sembrano molto convincenti. Riamata amante forse fu sino al matrimonio, e lo credettero il gesuita Venturi, che chiamando civettina Beatrice protestò con falsa pudicizia di non intendersi di queste cose, e Niccolò Tommasèo; e il saluto negato a Dante mi sembra una prova; ma anche prova piú convincente parmi che sia la nuova forma di affetto che da qui innanzi incomincia, e la

1 TOMMASÈO, Op. cit., pag. XXXVII. I TODESCHINI spiega benissimo con un di un suo amicò la scena che narrata da Dante parve tanto strana ed inverosimile. pag. 35. Vita Nova: XIV.

2 Vedi i miei Studi calabresi: (Le reputatrici in Calabria.) Cosenza, Aprea, 1890. Nova: XIV.

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