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veda il nostro disegno. È ovvio che in quel caso Virgilio, per veder Dante, dovrebbe volgersi a sinistra e non a destra. L'Agnelli, dunque, ha mille volte ragione. Manca però certa dichiarazione, ch' egli non vuol fare. Egli dovrebbe dimostrare che Virgilio sceglie il mezzo dell'argine per fare il suo cammino. Di questo Dante non dice niente. Ecco dunque il motivo per il quale mi parve di dover distinguer due Virgilii differentissimi l'un dall'altro: il primo è il Virgilio di Dante, e l'altro è quello che, con buona pace del mio critico, mi ostinerò a chiamare agnelliano.

c) L'Agnelli vorrebbe che Dante, dopo i suoi dieci passi, ch' egli fa a destra, dovesse continuare il suo cammino, e a destra ancora, per esaminare gli usurai. E giacchè nel mio concetto questo è impossibile, ne segue che gli usurai sono nemici acerrimi di me.

Io, invece, li tengo per ottimi alleati e amici.

Giunto sull'orlo di Malebolge, Dante, che è sempre sull'argine di Flegetonte, si volge alla destra mamella, e cammina verso il fiume, sempre trattenendosi nell'argine, ove non cade la pioggia infuocata, e allontanandosi dal sabbione per ben cessar l'arena e la fiammella. Che l'argine sia largo assai per farvi dieci passi, è un punto che ogni Fiammingo mi concederà agevolmente, poichè nei Paesi Bassi, sia a Cazzante, sia altrove, in tali argini, se ne possono far venti e più; e guai se più; e guai se non fosse così, poichè l'Oceano, quando viene a infuriare, non fa scherzi, e bisogna resistere alla sua rabbia edificando piccoli monti di terra e di pietre.

Ma l'argine dantesco non s'innalza troppo al disopra della landa. È un marciapiede di un metro d'altezza al più, e se non fosse tale, Brunetto Latini, che cammina nel sabbione, non potrebbe prender Dante per il lembo della veste; io credo che l'Agnelli immagini le cose altrimenti, basandosi forse sulle fantasticherie del Doré, che dipinge i poeti sdrucciolando in un profondissimo burrone alpino, quando fanno i dieci passi alla destra mamella.

Dal marciapiede l'Alighieri vede il sabbione e poi lo vede anche quando si è fatta quella discesa a destra, poichè il marciapiede non ha l'altezza che dovrebbe avere per tagliar la vista a nessuno.

La pioggia di fuoco cessa sull' argine e cessa tuttavia sull'orlo dell'abisso. Su quell'orlo dunque s' incammina il poeta per osservare gli usurai (si veda il disegno), dei quali si può dire come del Tasso di Virgilio: Sedet, aeterumque sedebit Infelix.

Prima vede i due fiorentini, poi il Padovano dalla scrofa azzurra. Questi gli dice che il suo vicin Vitaliano avrà il soggiorno eterno di dannazione. dal suo sinistro fianco. È forza dunque che alla sinistra di quel dannato vi sia un luogo vuoto, come sul nostro disegno, mentre alla sua destra non v'è posto per Vitaliano, ritrovandovisi i fiorentini.

Si mettano gli usurai, come vuole l'Agnelli, sulla ripa destra del fiume, e si metta anche Dante su quella ripa. Egli allora, facendo la sua visita a quei signori, passa in primo luogo i fiorentini e poi ritrova il padovano, che gli ha a sinistra, in tal modo che il luogo per Vitaliano è occupato invece d'esser libero.

Così si vede come la parola un pò più oltre voglia dire: a distanza un pò maggiore, sia a destra, sia a sinistra. L'Agnelli vorrebbe che abbia per significato preciso: un pò più in là, sempre dalla medesima parte, cioè, camminando sempre a destra. Le espressioni del padovano dimostrano matematicamente che quel modo d'intender la frase è affatto contrario al concetto di Dante.

d) L'Agnelli dice che Chirone, invece di mandar Nesso a fare il giro coi poeti dovrebbe piuttosto mandar Folo, e che Nesso, ritrovandosi come. si vede nel nostro disegno, non può esser guida per girare a sinistra, poichè dovrebbe varcar Chirone e Folo, cosa che all' Agnelli pare impossibile.

Per questo potrei rimettermi a Chirone stesso che è il caporale di quei birri. Confesso che la difficoltà dell' Agnelli mi sembra piuttosto fanciullesca. Ma è d'uopo osservare che i centauri, cerchiando il fosso per volere divino, sono costretti a girare a destra, secondo la legge del Medesimo. Quindi, venendo da quella parte, il primo che vede i poeti, li minaccia. Poi si schierano di fronte a Virgilio e a Dante, ed è naturale che vengano a schierarsi come dice Dante, e nel modo raffigurato dal nostro disegno. Nesso, che venne in primo luogo, è a destra di Chirone, il quale è più prudente e più possente degli altri due. Dovendo dimostrar la sua forza all'alunno, è giusto che Virgilio lo metta nell'obbligo di dargli per guida appunto quel temerario che prima voleva tirargli delle frecciate.

e) Finalmebte vengo al sistema che l'Agnelli mi attribuisce, e che non si leggerà mai in nessuno degli scritti miei, poichè è cosa direttamente contraria alle mie idee e teorie, non solo sulle opere di Dante, ma sulla poesia, e sull'arte in generale, e forse anche su tutte le cose della vita e del mondo.

Su questo dunque mi stenderò con qualche dettaglio.

Il poema dantesco ha un senso letterale dei più chiari e dei più precisi, e quanto a me confesso che quando leggo le chiose colle quali si vuol spiegare quel primo senso che è base degli altri, non posso intenderle bene, °, per meglio dire, non posso intender come vi siano uomini che scrivono postille di quel genere, postille per esempio come questa:

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come la mosca cede alla zanzara

Zanzare, piccoli vermi alati, che hanno un acutissimo.

Dunque il senso letterale si spiega da sè stesso, fuor che in certi casi

eccezionali, come saranno quelli nei quali Dante accenna a avvenimenti storici poco conosciuti.

Ma oltre al senso letterale, è forza che ve ne sia un' altro, allegorico e mistico, e forse più d'uno solo, giacchè il poeta parla in ogni luogo di giri a destra e a sinistra, delle ore e dei giorni precisi, del suo viaggio, delle posizioni di Virgilio, Beatrice, Folo, Nesso, Fialte, Aletto, Stazio, che gli si mettono a destra o innanzi o indietro, e di Beatrice che è un quadrato che ha per radice la santissima Trinità, e via discorrendo. Ed egli sarebbe un indegno e spregevolissimo buffone, se dicesse tutte quelle cose senza voler rinchiudervi qualche senso determinato, che non sia però cosa frivolissima, e cosa bambinesca, come il senso augurarle che alcuni vollero ritrovar nelle voltate della Malebolge e dell' inferno superiore.

Chi legge il divino poema si accorge subito che la visione si svolge in una settimana, e che quella settimana risponde al plenilunio, e che quel plenilunio vien dopo l'equinozio di primavera. Quindi è forza ammettere che nel concetto di Dante, gli avvenimenti del poema rispondano a certe cose che si fanno nella settimana pasquale.

Si prenda poi il passo del Purgatorio, nel quale il poeta si ritrova innanzi all'angelo, che apre la porta del regno della penitenza. Qui l'allegoria diviene evidente, e evidente in tal modo che forse fra i chiosatori antichi e moderni non ve ne sarà uno solo che si rifiuti a dichiarar l'angelo per figura simbolica del prete confessore.

Ma il poeta si limita a inginocchiarsi, a percuotersi il petto tre volte; dopo quelle azioni sacramentali, egli non dice quali sono i suoi pcccati, e l'angelo, invece d'assolverlo, gli dipinge in fronte i sette P che sono segni di colpe, che opprimono la coscienza, che lasciano la via aperta al rimordimento e al dolore.

Dunque la confessione è imperfetta, e dovrà continuarsi nel rimanente del poema. Veramente il discepolo si dichiara colpevole di superbia, d'invidia, di lussuria. Quest' ultimo peccato è il più grave, e mentre i sei primi P vengono cancellati nei rispettivi gironi, il settimo rimane fino all'epoca in cui Dante s' incontra con Beatrice.

Beatrice gli rimprovera aspramente i suoi delitti, esige un amarissimo pentimento, e poi concede il perdono, e conferisce la purificazione perfetta. In somma Beatrice è quella che dà l'assoluzione.

Che sarà dunque Beatrice?

Sarà simbolo del prete? Di certo no. Ma il prete non può assolvere altrimenti che in virtù della potenza ch' egli riceve dalla Chiesa. E quella potenza medesima, chi la diede a la Chiesa? Iddio. Non v'è dunque altro rimedio che considerar Beatrice come simbolo della Chiesa cristiana, poichè non può esser nè Iddio, nè il prete.

Veramente, in tutto il poema del Paradiso, Beatrice spiega al discepolo i misterii religiosi. Veramente gli angeli cantano, quando Beatrice si avvicina: Veni, sponsa de Libano. E chi è quella sposa del Cantico biblico? La Chiesa, la Chiesa, e la Chiesa. Beatrice è miracolo, è quadrato che ha per radice Iddio medesimo. Per tutti i padri, per tutti gli apologisti, l' esistenza della Chiesa è un miracolo, che procede della sola potenza divina. Beatrice è tale che non può mal finir chi le ha parlato: e tale che sola per lei l'umana specie eccede ogni contento del cielo inferiore; dunque per lei sola la specie umana s'innalza alla vita divina. Beatrice si adora in vita e in morte; cosi si considerano in lei i due aspetti della Chiesa, la Chiesa militante, e la Chiesa trionfante. Tralascio altre prove, che sono innumerevoli.

Siamo nella settimana pasquale. La Chiesa conferisce al fedele il sacramento della penitenza, del quale è simbolo tutto il poema del Purgatorio. Che farà il cristiano pentito, puro e disposto a salire a le stelle? È vano il voler resistere all' evidenza. Dopo la confessione, verrà l'Eucaristia.

E nelle regioni stellate, Beatrice aspetta Gesù Cristo, che scende dall'Empireo per unirsi col fedele, lo aspetta come l'uccello aspetta l'alba matutina per dar l'alimento ai pargoletti. L'anima di Dante si fa più grande, s'innalza al di sopra di sè stessa, e anelante tra quella dape, cede alla virtù da cui nulla si ripara. Chi non è cieco apra gli occhi, e guardi; per i ciechi non scrivo e non voglio scrivere.

Se il Purgatorio risponde alla confessione e il Paradiso all'Eucaristia, l'Inferno che sarà? Deve esser cosa che, nel sistema dei sacramenti, e nel principio del tempo pasquale, vien prima della confessione; sarà dunque l'esame di coscienza. Sarà quella contemplazione metodica, lunga, terribile, rischiarata dalla fantasia ardente del poeta, che ci mette innanzi agli occhi, sotto forma di tormenti, ogni vizio umano, ogni passione cattiva, dimostrando a chi legge come la massima pena del delitto sia di vivere nel delitto medesimo.

Ma quale è dunque, fra quei peccati d'ogni genere, il peccato massimo del poeta, del visionario, dell' uomo ideale, del mistico amante di Beatrice?

Nella Vita Nuova e nel Convito si risponde a quell' interrogazione con chiarezza maravigliosa e impareggiabile eloquenza.

Il visionario fu infedele. Si dimenticò dell'amore di Beatrice, e seguendo false immagini del bene e del vero, volle ritrovar la felicità nelle antiche lezioni della Filosofia. Fu errore, errore crudelissimo; la donna gloriosa ma fredda e insensibile degli Stoici, degli Epicurei, e degli Eleati, non si degnò di rispondere a quell'amore.

Ma fu questo veramente errore di Dante? Di certo no. Fu errore del

l'umanità medesima, e il poeta fiorentino, schivo di parlar di sè, prese la propria persona per simbolo delle nazioni che dopo lunghi raggiri nelle tenebre del paganesimo, si slanciano finalmente, colla Chiesa per guida e per maestra, e per vera donna d'amore, nelle vie immortali della felicità. Che sarà quella felicità? Lo dice nel suo più bel capitolo, il bellissimo libro del Convito. Nella vita di quaggiù sarà imperfetta, poichè consiste sulla perfezione d'ogni virtù. E nel nostro mondo, possono bensì esser quasi perfette le virtú della vita attiva; ma quelle della vita contemplativa saranno imperfettissime, e non possono esser altrimenti, prima dell' ora in cui l'Atene celestiale apre al fedele le sue porte mistiche.

Se Beatrice è quella che conferisce i sacramenti, e concede al cristiano la felicità in questa vita e nell' altra, il poema del Paradiso sarà il quadro in cui si contempla quella perfezione delle virtù.

È inutile dimostrare che la visione di Giove risponde alla giustizia, quella di Marte alla Forza, e quella del sole alla Sapienza. Son principii evidenti. In Saturno la gloria della vita monacale è simbolo della Tempe

ranza.

Nei pianeti inferiori, si osserva l'imperfetta Carità in Venere, la Speranza imperfetta in Mercurio, la Fede imperfetta nella Luna. Finalmente, nel cielo stellato, l'esame apostolico del cristiano ci dimostra le tre virtù senza maccchie, e senza difetti.

Volendo percorrere, nei suoi giri, questo spazio immenso, l'uomo può, fino a certo istante, andare innanzi, da sé stesso, e colle proprie forze. Egli ha la scienza del bene e del male. Non l'avrà perfetta, senza gli ammaestramenti della Chiesa, e perciò noi lo vedremo seguire, al principio del viaggio infernale, la legge dell'Altro, e poi sul fine di quel viaggio, uniformarsi alla legge del Medesimo, che si osserverà allora in tutto il rimanente della visione.

La chiave di quei misterii è appunto quella che Dante ci mette in mano, quando spiega, nel Convito, chi sia la Donna pietosa della Vita Nuova.

Fra i massimi nemici delle verità dantesche primeggia lo Scartazzini, per i suoi lunghi e indefessi lavori, e per il grande amore ch' egli dimostra per le chiose. Egli si accorse, meglio d'ogni altro, del pericolo al quale veniva esposto il vecchio edifizio dei comenti, e fece sforzi grandissimi per dimostrare che la donna del Convito non fosse persona simbolica, ma vera fanciulla viva, materialmente amata da Dante. In quella guerra, ch' egli fece alle dichiarazioni del poeta, era forza che il poeta medesimo fosse il vittorioso. Ma non si può negare che le difese del chiosatore furono esposte veramente per il meglio, e che quel capitolo dell'antica scienza dantesca, è degno d'investigazione filosofica, come esempio bellissimo delle aberrazioni dell'ingegno umano.

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