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Al canto III, v. 10, giustamente critica quei che intendono le parole di colore oscuro, scritte con inchiostro negro: ma perché poi tradurre, di apparenza lugubre, anziché di suono lugubre; con metafora opposta a quella del canto I, 60 là dove il sol tace?

Al v. I riesce un po' duro da digerire che la epigrafe infernale Per me si va, l'abbiano scritta i diavoli per spaventare Dante. Che poi il Lasciate ogni speranza non possa applicarsi ai salvati del Limbo, vorrà dire, o che ogni regola ha la sua eccezione, o che la scritta dati dalla discesa di Cristo.

Nella nota ai v. 22 a 69 e al v. 66 ha vespi per vespe. Eppure` al XXXII, 133 del Purg. scrisse, vespa.

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Al v. 31 combatte la lez. error, perché questo non è ignoranza: ma error può stare benissimo per confusione.

Al v. 60 esclude che chi fece il gran rifiuto possa essere papa Celestino, perché Dante non potea averlo conosciuto. Ma non usava allora disegnar ritratti? e non è supponibile se ne facessero di un papa novo, di cui a tutta la cristianità avrà certo interessato aver sott'occhio le fattezze? Di Pilato, Esaú, Augustolo o Diocleziano, com'altri vuole, non crederei davvero, ché questi sí, Dante non potea conoscerli: e però avrebbe, come le altre volte, dovuto presentarglieli Virgilio.

Al v. 101 cangiàr colore, non par davvero difficile a figurarsi, sol che si legga il XXV di Purg. che mostra le anime riprodurre tutti gli aspetti dei corpi viventi.

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Al v. 106 nel ritrarsi tutte quante insieme trova antitesi coll'essersi colà raccolte alla spicciolata: ma esse già son descritte riunite assieme, anche prima di trarsi tutte assieme alla riva.

Al v. 114 esclude la lez. Rende alla terra, perché il ramo non ha tolto in imprestito dalla terra le sue foglie, le ha prodotte. — Ma come le ha prodotte? Appunto trasformando i succhi della terra, che ora alla terra restituisce: ov'è pure il concetto della eterna vicenda, per cui la pianta prende dalla terra i succhi, e le restituisce poi le foglie, le quali, macerandosi, contribuiscono a formare altri succhi: vicenda analoga a quella che Dante nota e sviluppa al V del Purg. sul fine, della piova che forma i fiumi, e i fiumi che formano la piova. Al v. 123, d'ogni paese, Meglio della virgola, il punte virgola.

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Suppone il comento che Dante passasse bravamente sulla barca di Caronte. O a che pro allora tutto quel tramenío di terremoto e di baleno ? Ma perché lasciar supporre che sia un Angelo, senza dirlo? Il perché è agevole indovinarlo: Dante non era ancor degno di vedere di siffatti ufficiali; e molti indizi della venuta dell'Angelo al canto IX lasciano ben supporre che anche qui si tratti di simile intervento soprannaturale di un Deus ex machina.

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Al canto IV, 16 Ed io che del color mi fui accorto, annota che l'oscurità impediva il veder chiaro. Ma tutt'altro, mi pare, se si accorse persino dell'impallidire di un'ombra, come Virgilio. Al v. 25 Quivi, secondo che per ascoltare "per quel che si poteva giudicare all'udito. Vedere non si poteva, essendo troppo oscuro,, Ma se distinguono le turbe D'infanti e di femine e di viri, poteva ben vederli anche a sospirare. Ma dicasi piuttosto che, in tèma di sospiri, anche dove ci si vede bene, giudica sempre l'udito a preferenza della vista.

È curioso poi che l'autore classifichi quelle tre categorie delle turbe fra le molte che Dante enuncia. O forse che l'altre potean contenere persone diverse da infanti, femine e viri?

Al v. 53 un possente, dice che non lo conosceva quando discese agl'inferi. O come mai non dovette riconoscere il Dio da tutti i fenomeni meravigliosi che certo precedettero e accompagnarono la sua venuta, il tremoto, fra gli altri, onde si scoscese gran parte d'inferno, e lo scardinamento delle sue porte contro l'opposizione dei diavoli ivi riuniti alle difese?

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V. 71 Ma non si ch'io non discernessi in parte, Ch'orrevol gente possedea quel loco. A quall contrassegni? si domanda. Ma al loro contegno, all'aspetto, al tutt'assieme, mi pare. A scrivere Di quei signor al v. 94 in luogo che Di quel signor, adduce ragione, che Orazio ed Ovidio non appartenevano alla scuola di Omero, né questi alla scuola di Virgilio. — O che ragione di supporre che Omero si faccia appartenere alla scuola di Virgilio? Ma è ben naturale che tutti appartenessero a quella di Omero, come il padre e il maestro di tutti i poeti venuti dopo di lui, e come quegli il cui poema contiene in embrione tutti i generi di poesia.

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V. 104 che il tacere è bello Si com'era il parlar COLÀ DOV'Era. O perché mette un interrogativo alla interpretazione: dove io mi ritrovava? Forse che non si capisce? O non è anzi

mille volte piú naturale della sua: dove il parlar si faceva?

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- V. 150 nell'aura che trema a motivo della bufera.

Ma prima di arrivare nella bufera, devono attraversare di nuovo il restante del limbo, ove già prima udirono i sospiri Che l'aura eterna facevan tremare (28).

Canto V, 15 Dicono e odono “la loro sentenza, proferita nello strano modo già descritto „,. Ma se a ciò si limitasse, l'udire non avrebbe luogo, un volger di coda cadendo sotto l'occhio e non sotto l'udito; ma s'intenda che quel volger di coda non è che il suggello, l'epilogo, la chiusa sacramentale; tanto vero che per Guido da Montefeltro, Minosse, oltre al volger la coda, soggiunge altresí, Questi è de' rei del foco furo.

Al v. 34, a escludere la lez. ERAN dannati, dice che sventuratamente lo sono in eterno; ma se io, reduce da una visita, poniamo, allo Scartazzini, di cui avessi visto il ritratto, dicessi: conobbi che era lo Scartazzini, forse che lo Scartazzini non ci sarebbe piú? o per evitar questo pericolo io dovrei dire: conobbi che è lo Scartazzini? Benedetta grammatica! Nuoce forse all'autore, in questo come in altri luoghi, l'essere straniero, giacché tutta la dottrina del mondo non potrà mai dare (e lo si vide anche nel Blanc, l'autore del Vocabolario dantesco) quella cognizione intima e sicura della lingua che possiede invece senza saperlo colui che la maneggia quotidianamente.

- Al v. 42 gli spiriti mali “malnati,. (che col v. 7 l'anima mal nata, tradurrebbesi, nati per loro sventura) แ e travagliati da mal perverso „. O non è più liscio e naturale, malvagi? che

può ben dirsi del resto, anche trattandosi di semplici incontinenti.

- Al v. 46 il comentatore si mostra di quelli che dividono i lussuriosi in due schiere, i carnali, schiera di Semiramide, e gli amanti, schiera di Didone; ma lo credo tutto un lavoro di fantasia, ché Dante nulla ne dice. E se parla della schiera ov'è Dido, si può ritenere lo faccia per riparare alla omissione, di quella tanto celebre e da Virgilio celebrata amante, nella sua precedente enumerazione. O forse che Tristano non è al tutto simile al Paolo della Francesca? Dante adunque ci mostra, sull'esempio di quei di Virgilio, Eneide, VI, 442 quos durus amor crudeli tabe peredit, un'unica schiera Ch'amor di nostra vita dipartille (v. 69).

È curioso al v. 64, non il senso di vedi applicato a vidi (che se così usarono gli antichi non c'è che dire), ma l'attribuire a ignoranza di lingua, se alcuni leggono vedi: o non scrisse anche Dante al canto I, 88: Vedi la bestia, e chi sa in quanti altri luoghi? Io poi, se per autorità di codici dovrò pur leggere vidi, non troverei nulla di male a intenderlo vidi.

Al v. 72 legge Pietà mi giunse, invece di vinse. È quistione di gusti, e sta bene. Ma perché non citare la variante, che pure è della Crusca? In una edizione per le scuole, io varianti non ne allegherei; e in una completa ne farei una colonna apposita raffrontante verso a verso col testo: ma se lo Scartazzini ne mette, era ben il caso di mettere anche questa.

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Dal comento ai v. 73 a 142 si deduce ch'egli intese il verso: E paion si al vento esser leggeri, perché mossi con maggior rapidità che gli altri. Ma se la bufera è la pena, questo sarebbe un aggravamento, che non credo quei due amanti abbiano meritato.

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Al v. 83 contro la lez. Con l'ali aperte, oppone: sarebbe forse possibile di volare con le ali chiuse? Ma non ha capito la forza di quell'aperte, che non è già opposto a chiuse, ma sino. nimo di distese, a dipingere il volo delle colombe quando lentamente discendono verso il nido. Al v. 93 par quasi concludere la inutilità della variante del nostro AMOR perverso, osservando che l'amore illecito dei due cognati fu veramente non pure un amore, ma un male perMa è un fuor d'opera, ché Dante è della loro pena, non del loro delitto che ancora non conosce, che ha pietà.

verso.

nenza?

V. 104 Mi prese del costui piacer. Com'è che non avverte che piacer sta qui per avve-
Altro degl'inconvenienti dei comenti a note, anziché a parafrasi.

V. 107 Caina attende chi vita ci spense.

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Non mi pare troppo giusta la sua censura, che

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qui Dante è "troppo duro e spietato verso l'offeso, che "certo i tribunali d'oggi assolverebbero I tribunali non so; forse i giurati; sebbene anche qui sia nata una certa resipiscenza non troppo a favore di questi difensori, a colpi di coltello, dell'onore, e degli articoli del codice. Ma rifletta che qui è Francesca (o meglio forse Paolo) che parla; ed è ben il meno ch'essi possano fare, di chiamare il loro omicida un traditore.

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Ed ora dai primi cinque canti, passiamo agli ultimi cinque del poema.

Di Dio parlando, al XXIX di Paradiso, verso 14, dice Dante ch'Egli cred perché suo splendore Potesse, risplendendo, dir: Sussisto. Il comentatore lo spiega "affinché ogni creatura godesse della coscienza della propria esistenza ... Coscienza anche nelle creature irragionevoli? nelle inanimate? Molto meglio i piú applicano a Dio stesso quale motivo della creazione questo bisogno della estrinsecazione per avere più completa affermazione di sè.

- Al v. 50 la terra è chiamata il suggetto de' vostri elementi, ma non perché sopra essa si alzano gli altri elementi, acqua, aria e fuoco, ché l'acqua è più bassa e non piú alta della terra. e la caduta di Lucifero del resto non turbò solo l'elemento terra, ma anche l'elemento acqua, ma bensí perché il globo terrestre è il composto dei quattro elementi; come altrove Dante chiama il soggetto della neve quello che la fa esser neve (Parad., II, 107).

Al v. 61 Perché le viste lor.... traduce "perciò. perloché „; ma il, perciò, è di piú. E a mio credere non sarebbe stato male, quando il perché, significa per lo che, scriverlo per che. Al canto XXX, 26 Cosí lo rimembrar del dolce riso La mente mia da sé medesma scema "lo allontana da sé, non consentendo che lo rammenti ... Non è traduzione letterale, benché ne abbia l'aria: letteralmente dovrebbe dirsi, rende la mia mente minore di sé medesima, inetta cioè a ricordare quello che poco stante pur ebbe a percepire.

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Al v. 34 Cotal, qual io la lascio a maggior bando Che quel della mia tuba, ha una nuova Interpretazione, che cioè la bellezza qui raggiunta da Beatrice "non si può descrivere da lingua umana, ma la si vedrà nel gran dí del giudizio universale,.. E perché questa novità? Perché, Osserva la bellezza di Beatrice è suneriore non pure all'umano intendimento, ma e all'angelico (v. 13 e seg.), E sta bene: ma ciò non avrebbe impedito. p. es., a un angelo, di dirne piú di quello, che non fosse concesso di fare a un semplice mortale come Dante. E non è poi che egli qui insinuasse "che un poeta di maggior ingegno sorgesse a cantare la bellezza di Beatrice,,, ma è la stessa forma rettorica, per cui al canto I, 35 uscí a dire: Forse, diretro a me, con miglior voci Si pregherà, per che Cirra risponda: se un altro poeta, vuol dire in conclusione, dovesse sorgere a cantare di Beatrice, la sua tromba dovrebbe esser dotata di assai maggior robustezza che non la mia. E non sarebbe poi supremamente incongruo e irriverente che Dante paragonasse lo squillo delle trombe angeliche nel giudizio universale, col suono della sua epica tromba? E poi che le trombe angeliche dovean forse mettersi a cantare le lodi di Beatrice? E quando nel suo Paradiso Dante vuol esprimere il concetto che a ciò cui siamo inetti nella vita presente, potremo arrivare nella futura, parla forse egli mai di giudizio universale, o non si vale piuttosto di espressioni al tutto generiche? Cfr. i canti I, 72; X, 45 e 74; XIV, 106. Al v. 43 non crederei che l'una e l'altra milizia alluda all'avere tanto gli angeli quanto i beati combattuto, ché ciò è cosa ormai passata; e darei col Cesari a milizia lo stesso significato di corte nel v. 96 Ambo le corti del ciel manifeste. Che poi la milizia veduta in quegli aspetti Che tu vedrai a l'ultima giustizia, sia la terrestre, benché tutti lo ripetano, mi pare assurdo perché ciò supporrebbe seguita la riassunzione dei corpi, colla quale soltanto la luce dei beati può acquistare tutta la sua interezza (v. 13 canto XIV). Né giova all'assunto l'allegazione del canto XXII, 58: là Dante chiede a san Benedetto, se avrebbe potuto vederlo a viso svelato, mentre nell'apparizione ch'esso gli fa nel settimo cielo, di Saturno o dei contemplanti, il suo aspetto, come quello di tutti gli altri beati (meno per la loro minor santità quelli del primo cielo lunare) era offuscato dalla gran luce celeste che lo copriva; e san Benedetto risponde, ch'egli avrebbe potuto vederlo a viso svelato (e lo vede infatti) nell'Empireo, ove troverà riuniti i beati che vide sparsamente, discesi apposta per lui, nei diversi corpi celesti. E ciò av

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verrà perché, salito nell'Empireo, la vista di Dante si sarà perfezionata al punto che la luce celeste non lo offuscherà piú, anzi lo avviverà. Ma da questo, all'assumere i beati lo stesso aspetto che non potrebbero avere che dopo la risurrezione dei corpi, ci corre e il supporlo mi parrebbe più da pantomima che da divina Commedia.

— Al v. 52 Sempre l'Amor che queta questo cielo, citando la var. Vat. l'Amore che quieta il cielo, si contenta designarla con le sole parole, il cielo; ma in verità è troppo poco: e anche in tema di varianti, o non darne, o quel che ci vuole ci vuole.

Al v. 79 Non che da se sien queste cose acerbe, anziché intendere oscure, sarebbe piú conforme alla metafora, intendere inadeguate, giacché le cose, in sé, sono quello che sono, ma se si trasformano agli occhi di Dante, ciò dipende non dalle cose, ma dagli occhi che ne scorgono di mano in mano gli aspetti anche meno appariscenti: non sono le cose che si avviano verso il vero, e di acerbe diventin mature, ma è la vista di Dante che va maturandosi a mano a mano. È lo stesso concetto che vediam ripetuto a l'ultimo canto, a proposito della visione divina: 109 Non perché più che un semplice sembiante, etc. Ed è poi una sublime figura del progresso che anche qui in terra l'uomo va sempre facendo verso la verità.

Al v. 85 Come fec'io per far migliori spegli Ancor degli occhi, chinandomi a l'onda Che si deriva perché vi s'immegli “affinché si faccia piú perfetta la vista di chi sta per guardare in Dio "1" Ma non mi par naturale che lo scopo di quello scorrer dell'onda sia cosí ristretto e subiettivo; né tutto quel sottinteso "la vista di chi, ecc. mi persuade. Questi inconvenienti si evitano, con far virgola a deriva, riferire il perché a chinandomi; e spiegarlo affinché la mia vista (equivalente a senso, degli occhi del v. precedente) vi si migliorasse, del che mi avea fatto cenno Beatrice.

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Al v. 101 Lo creatore a quella creatura Che solo in lui vedere ha la sua pace a qualunque creatura la quale non si appaghi d'altıo che della visione beatifica di Dio Vuol dire

in breve, alla creatura beata, ma non è la traduzione piú rispondente.

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Al v. 138 Verrà in prima ch'ella sia disposta "troppo presto. Altrove dice che Arrigo VII sarebbe giunto troppo tardi, Purg., VII, 96 „ Non v'ha però contradizione. Là è Sordello che dice di Rodolfo che potea Sanar le piaghe ch'hanno Italia morta Si che tardi per altri si ricrea; e sia che questo ricrea lo s'intenda di Rodolfo o de l'Italia, sempre significa che curata in tempo avrebbe in breve potuto esser salvata, mentre ora, prima che lo possa, ci vorrà ancora del tempo. E a ciò non contraddice, anzi lo conferma, se infatti non lo poté nemmeno Arrigo.

Al canto XXXI, 16 Quando scendean nel fior, di banco in banco Porgevan della pace e dell'ardore Ch'egli aquistavan, ventilando il fianco. Cosí interpunge lo Scartazzini, ma poi riferisce il ventilando non a Porgevan, ma ad aquistavan. E allora conveniva omettere a questo la virgola. Ma il meglio sarebbe lasciarla, e riferire a Porgevan, ché quello che occorreva spiegare non era già come gli angeli attingessero la pace e l'ardore, che troppo ben si capisce, li prendevano da Dio, ma come li diffondessero nei banchi dei beati, che cosí si spiegherebbe, effettuarsi mediante la ventilazione de l'ali angeliche, che anche al Purg., si vide cancellare da Dante il marchio in fronte dei sette P man mano che di ciascun peccato ei si purga. Non pare però, come fa il Cornoldi, che il ventilando possa grammaticalmente riferirsi a tutte due le operazioni. Al v. 28 Viso ed amore avea tutto ad un segno, spiega tutto, il viso e l'amore, quasi fosse, tutti. Assai meglio in senso avverbiale, per totalmente; pel quale anzi dovrebbe intendersi, se anche Dante avesse scritto, tutti.

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Al v. 56 Per domandar la mia donna di cose Di che la mente mia era sospesa "intende forse dei particolari della rosa celeste; ma non avendo detto di quali cose volea domandare Beatrice, è inutile il volerle indovinare C'è poco da indovinare. Se Dante dee portar piene. tutte le voglie che son nate in paradiso (IX, по), dee appunto trattarsi dei particolari della rosa celeste, che leggendo il suo pensiero, e prevenendo la sua dimanda, gli vengono poi infatti spiegati, se non da Beatrice, da san Bernardo da lei precisamente inviatogli A terminar lo suo disiro (65). Al v. 97 Vola con gli occhi per questo giardino "Non gli resta che poco tempo al viaggio mistico Ma il vola non credo implichi rapidità, bensí accenni al grande spazio che la sua vista dovea superare.

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al v. 103 Qual è colui che forse di Croazia. Non per un paese lontano in genere, ché all'Italia la Croazia è quasi confinante, e quando Dante volle alludere alla lontananza dei barbari da Roma usò diversa espressione, accennando alla plaga Che ciascun giorno d'Elice si co pra (XXI, 32): ma si vede che fin d'allora la Croazia era celebre per il fanatismo delle sue plebi. V. 104 Veronica "dal greco, vera icon, cioè vera imagine Ma in greco, vero è xàysq3. La parola greca credo sia feron icona, portante l'imagine.

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Al v. 116 in nota, credo error di stampa, la VERGINA Maria. Se pure non fosse vezzo dell'autore, come la MARTIRA di Siracusa per la martire al II, 97 dell'Inferno.

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Al v. 127 Cosí quella pacifica orifiamma, Nel mezzo s'avvivava e d'ogni parte, ecc. dà la preferenza alla interpretazione più antica che l'orifiamma sia Maria. O dunque Maria era piú viva nel mezzo, e meno, in gradazione, dalle parti ? E gli angeli si recavano al mezzo di Maria? Se ne scorda infatti egli stesso, spiegando invece nel mezzo, nel punto medio del sommo cerchio. Canto XXXII, 4. La piaga che Maria richiuse ed unse Quella ch'è tanto bella da' suoi piedi È colei che l'aperse e che la punse "l'aperse, trasgredendo il divin precetto, la inasprí, seducendo Adamo, ecc. Non crederei, ché il trasgredire il divin precetto e il sedurre Adamo fu tutt'una cosa. Direi piuttosto, i due verbi aperse e punse alludere ai due aspetti della ferita, lacerazione dei tessuti e puntura ai nervi; e alla prima si riferisce il richiuse, alla seconda, l'unse. 25 Da l'altra parte onde sono intercisi Di vòto i semicircoli, si stanno Quei che a Cristo venuto ebber li visi. Si domanda, a proposito della var. Di vòti, in semicircoli “Son intercisi i beati o i semicircoli? Ma non so proprio come possa farsi la domanda. Sono intercisi i semicircoli colla lezione da lui adottata, lo sono invece i beati ne l'altra. E siccome sta sí l'una che l'altra espressione, l'interrogativo non vale nemmeno a dar ragione della sua preferenza. Al v. 35 Agostino, il citare che fa il X, 120 mi fece correre ivi, e vi trovai scritto Augustin; o perché questa forma diversa e tutta francese, che non è detto nemmeno di qual codice sia? 42 Per nullo proprio merito si siede Ma per l'altrui con certe condizioni “Altrui, non di Cristo, ché per i meriti di Cristo furono salvati tutti, bambini ed adulti; ma per i meriti dei loro parenti e congiunti I congiunti lasciamoli pur fuori: ma perché escludere i meriti di Cristo ? Si sa che questi si estendono a tutti, ma qui, come spesso altrove, si sottintende, ma solamente per l'altrui, mentre agli adulti occorrono, oltre ai meriti di Cristo, anche i proprî, Ovvero vuol dire, ma, e pei meriti di Cristo, e sotto determinate condizioni, mentre per gli adulti condizioni non ve ne sono. Infatti la fede dei parenti è da Dante indicata sí al v. 78,

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ma solo come una di quelle certe condizioni, date le quali i meriti di Cristo potevano applicarsi. O che forse adesso un bambino, per salvarsi, ha duopo, oltreché del battesimo, anche dei meriti dei parenti e congiunti ?

75 Sol differendo nel primiero acume. Non so davvero perché abbia voluto staccarsi dai consueti comenti, che pressapoco, come quel del Guigoni, portano chiarissimamente, nell'acutezza di vista, atta a mirar Dio più o meno dappresso, già loro dapprima comunicata da Dio stesso per mezzo della grazia.

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V. 85 a 89 dove scrive, alla beata VITA di Maria, è forse error di stampa per vista.
Al v. 93 cita il Convito, ma ci manca il capitolo.

Ai v. 139 a 151 cita Capri, ma dev'essere Capri.

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Al v. 139 Ma perché il tempo fugge che l'assonna, osserva che il poema dovea constare di 100 canti; quindi il poeta si vede costretto a volare verso la fine, né ci dà le ragioni del suo sistema rimunerativo, come ha fatto del penale „. Innanzi tutto se Dante volea darle queste ragioni, non avrebbe certo aspettato a l'ultimo canto, mentre nell'Inferno le dà all'XI. nel Purgatorio al XVII. Ma pare piuttosto non ve ne siano altre che quelle che ciascuno può trarre di per sé, sia dal fatto che ogni anima si mostra in quella stella di cui subí l'influenza, sia dalla comune nozion teologica che tanto si avanza in gloria, quanto fecesi in grazia, senza distinzione alcuna dei diversi modi con cui questa grazia si manifestò. E a queste nozioni del resto gli accenni non mancano qua e là nel poema.

Al canto XXXIII, 21 abbiamo andax per audax.

Al verso 22 Or questi che da l'infima lacuna De l'universo, intende coi piú il più basso inferno. Ma vi è un guaio; che cosí si verrebbe quasi a escludere dalle vite spiritali da lui vedute,

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