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tutto il resto, cioè la maggior parte d'inferno. Non sarebbe forse una proposta disprezzabile, l'interpretare, in generale, venendo dalla terra, la quale, se al XXII, 151 poté esser chiamata aiuola in relazione al poco spazio abitato, ben potrebbe chiamarsi lacuna in rapporto al maggiore spazio occupato dalle acque, e richiamerebbe in parte il XXXI, 73, Da quella region che più su tuona Occhio mortale alcun tanto non dista, Qualunque in mare più giù s'abbandona. Al v. 25 legge Supplica a te, per grazia, di virtute Tanto...., ma poi spiega, per ottenere la grazia di tanta virtú. Ma se anche si sopprimessero le virgole, non sarebbe mai questa la traduzion letterale, bensí, ti supplica per ottenere grazia di virtú, tanto che, ecc. È appunto nei luoghi poco importanti che i comenti dimenticano l'esattezza, che dovrebbe esser buona da per

tutto.

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31 in nota, ha un permetterebbero che, riferendosi a ogni impedimento, dovrebb'essere permetterebbe.

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- 40 Gli occhi da Dio diletti e venerati, Fissi nell'orator. Egli esclude, come la escludo io pure, la lez. negli orator, ma per una ragione non giusta, ché non a san Bernardo e Dante avrebbe essa potuto riferirsi (e con Dante allora dovean mettersi tutti i beati, oranti al pari di lui; e come poteva allora Maria fissarli tutti assieme ?), bensí al sottinteso occhi del verso precedente.

- Al v. 44 vuol leggere Nel qual non si de' creder che s'inii Per creatura l'occhio tanto chiaro, spiegando, entri nell'io, penetri, e chiamando s'invii lez. troppo sprovvista di autorità. Innanzi tutto a leggere inii credo siano ben pochi cod., il Caet., S. Cr., f. Stef., Buti, l'Anonimo, forse gli stessi pochi veduti dagli Accademici: e Dante del resto anche al IX, 109 dell'Inferno usa l'espressione l'occhio intorno invio. In ogni caso poi non sarebbe mai quella la etimologia di inii, ché Dante per penetrare in me usa immiarsi; né qui poi tratterebbesi di penetrare in me, ma in altri, onde la etimologia dovrebbe piuttosto, con la Minerva, ricavarsi dal lat. inire, se pure non si facesse sinonimo di inluiarsi, lui in lat. dicendosi eum. Ma il meglio, lo ripeto, in una edizione ad usum scholarum, sarebbe stato attenersi alla Volgata.

- V. 58 a 75 "... che gli conceda la grazia di dare una benché pallida imagine del quale essa gli si mostrò Non si capisce, e dev'essere saltato via qualche cosa.

- Al v. 58 rifiuta la lez. Qual'è colui che sognando vede, e sta bene, ma non per la ragione

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da lui addotta, esser 66 lezione che guasta il verso facendolo mancante di un piede che a ciò basterebbe la dieresi sulla i di colui.

- Al v. 74 ch'io sarei smarrito, Se gli occhi miei da lui fossero aversi traduce, Smarrito, per abbagliato; ma come mai abbagliarsi, evitando la luce?

Al v. 94 Un punto solo m'è maggior letargo Che venticinque secoli a l'impresa Che fe' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo non so come possa sostenersi la interpretazione di letargo per ammirazione (?), tanto piú a fronte di quella sí naturale di dimenticanza, che viene a esprimere il concetto cosí logico che un istante solo a partir della sua visione lo allontanò tanto dalla medesima, facendogliene dimenticare il contenuto, come venticinque secoli trascorsi dall'impresa d'Argo ne han fatto andare in oblio o in trascuranza i particolari. Che quaranta secoli contemplino dalle piramidi i guerrieri di Napoleone, lo ammetto, ma che i secoli durino tanto a perdersi in estasi davanti un'impresa ormai dimenticata, non mi vuole andar giú

Al v. 114 a me sı travagliava, ammetto la interpretazione, mutava, ma conveniva darne la etimologia, che i piú prendono da transvallava, e meglio sarebbe forse da travalcava.

Al v. 117 non so perché preferisca continenza, latinismo del solo Vat., a contenenza del piú dei testi, che ha anche il vantaggio di non richiamare altre idee estranee.

Al v. 121 Oh quanto è corto il dire e come fioco Al mio concetto! e questo, a quel ch'io vidi È tanto che non basta a dicer poco. È una terzina che mi pare non ben capita dai piú. Nella prima parte spiegano, come il nostro che senza citarlo la trae dal Tommasèo "insufficiente quanto alla sostanza delle cose e debole quanto alla forma del dire,,: ma dimenticano che Dante null'altro appunto vuole esprimere se non che la forma del dire era impari alla sostanza delle cose, e lo fa con la solita dualità del quanto e del quale, non può es primer tutto, non lo può esprimere compiutamente. Nella seconda parte traduce, e il concetto alla visione è meno che poco; che ognun vede quanto sia fiacco, slombato, prosaico. E sí che al precedente v. 106

spiegò esattamente Omai sarà più corta mia favella Pure a quel ch'io ricordo "si ricorda di poco ed anche quel poco si confessa incapace di esprimerlo,,. Ora qui è lo stesso; questo concetto rimastomi della visione è già di per sé sí debole che pur non mi basta a dirne una millesima parte. In una parola: il concetto rispetto alla visione non basterebbe a dir poco; la parola rispetto al concetto resta addietro anche lei; onde un doppio motivo d'insufficienza a dare ai lettori idea adeguata di quanto allora egli vide.

Nell'ultimo verso converrebbe correggere in nota, L'Amor che volge in L'Amor che мUove. Ma a parte queste osservazioni di dettaglio, dalle quali del resto (essendo impossibile andar d'accordo con tutti) nessun comento forse andrebbe immune, si può ben concludere che abbiamo un comento che se non rende inutili i vecchi e i nostrali, e non si presenta come l'ultima parola della dottrina dantesca, non cessa dall'imporre ammirazione per la mole del lavoro, e le difficoltà superate da un uomo solo, e la erudizione che abbraccia, si può dire, tutto quanto su Dante si è scritto. Ha bisognu, è vero, di essere completato dai prolegomeni e dalle tavole; ma è sperabile che in una prossima edizione si possa, ne la loro forma piú semplice, farvi luogo, sfrondando il comento di tutta quella parte d'apparato critico che non giovi direttamente alla comprensione del gran poema, e arricchendolo di quanto basti a far sì che in un volume solo il principiante abbia il minimo almeno di quello che a tal comprensione può abbisognargli. Roma, 1894.

FERDINANDO Ronchetti.

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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

Il dolore di Cavalcante. (In Nuova Antologia. Anno XXIX, terza serie,

Cavalcante è senza dubbio conscio della funesta efficacia ch'ebbe il suo esempio su le dottrine filosofiche del figliuolo, che per quelle sarà pur esso anima da inferno; inoltre vede, sebbene indistintamente, nel futuro, siccome poi a Dante spiegherà Farinata; e che mai potrà scorgere il misero padre se non suo figlio dannato? Quale altra cosa potrà più straziarlo che sapere eternamente perduto quel suo ingegnoso e gentile Guido, il quale è tutto il suo orgoglio? E, in parte, per colpa sua! Morto il figliuolo, ma salvo, secondo il sentimento religioso, converrebbe ringraziare Iddio che si sarebbe degnato illuminarlo e riceverlo nella sua grazia; tanto piú dopo averlo saputo per cosí gran parte della vita in quello, che ora egli ben comprende essere stato fatalissimo errore; nel quale ricadere per un vivo non era impossibile. Ma no: Cavalcante conosce che Guido non cangerà il pensare; che, morto senza fede, non potrà evitare l'eterno martirio. L'indeterminatezza per altro con cui egli può legger ciò nel futuro, la mancata successione dei fatti, poiché le cose che s'appressano (come la morte di Guido che doveva avvenire nel 27 0 28 di agosto di quello stesso anno) gli sono ignote, possono dargli un momento di speranza che Dio abbia concessa anche a suo figlio la grazia di salvarsi insieme a Dante, in modo sí straordinario. Se per altezza d'ingegno, pensava giú nell'avello, intanto che udiva il vivo concittadino parlare di sé e de' suoi maggiori a Farinata, va in salvazione Dante degli Alighieri, come non dovrebbe andarvi Guido de' Cavalcanti? E nella mente, turbata sî che la non chiara visione del futuro è in questo momento al tutto vana, balena un sospetto quasi incredibilmente caro: che Guido sia lí fuori, vivo? In quel cotto volto, che s'affaccia improvviso su dall'arca, sfolgorano nella súbita, indicibile ansia, gli occhi; ma quel lampo, ahimè !, a un tratto è spento nelle lacrime, naturale sfogo di tante emozioni terminate col disinganno. Come mai poté pensarlo, sperarlo? E la mente, nell'agitazione di un'ostinata speranza, ridiscende a quel primo pensiero, che provocò il palpito del povero cuore. Di questo pensiero, quasi

a giustificare l'apparizione e il pianto, egli formerà la domanda; è l'ultimo filo a cui può attenersi. La spietata recisa risposta che Dante dà alle domande di Cavalcante è spietata conferma di quanto egli ha già visto con gli occhi suoi: l'atto del suo levarsi è come di naufrago che sorge a respirare ancora una volta; è l'estremo sforzo di chi, prima di precipitar nell'abisso s'aggrappa disperato anche al più debole stelo; poi ricade supino, senza speranza, per sempre (315)

nel suo letto rovente.

Bacci Vittorio. Castruccio: scene storiche (1314-1328). Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1894, in-8o, di pagg. X-318.

Sommario: I. Da Pisa a Lucca II. Il convegno dei Ghibellini III. Primo amore IV. Lo stregone V. Dante alla corte di Uguccione della Faggiuola VI. Attanagliato vivo VII. La presa di Lucca VIII. Il saccheggio IX. Pazza

Pina XII. Addio

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Dal carcere al trionfo

XIII. Battaglia di Montecatini

X. Firenze XI. Madonna XIV. La cavalcata dei pisani XVI. Nell'opificio XVII. II rapimento XVIII. Sogni di gloria XIX. Alterezza di cavaliere e fede d'innamorato XX. Moriturus XXI. Non ha madre costui? XXII. Eroe popolano

XV.

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XXIII. Lotte segrete XXIV. Azzo Visconti XXV. Battaglia di Altopascio XXVI. La torre di Matraia XXVII. Il trionfo XXVIII. Monaca prima di esserlo XXIX. Salvare lei sola! XXX. I ventidue propagginati XXXI. Lodovico il bavaro XXXII. Fatalità XXXIII. Presentimento XXXIV. Durante l'assedio XXXV. Non perdonato. Precede una introduzione di Angelo De Gubernatis.

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Betti Salvatore. Postille alla divina Commedia qui per la prima volta edite di su il manoscritto dell'autore da Giuseppe Cugnoni. Città di Castello, S. Lapi tipografo editore, 1893, voll. tre in-16o, di pagg. XIII-156, 128, 116.

Il primo volume contiene le postille all'Inferno, il secondo quelle al Purgatorio e il terzo quelle al Paradiso lasciate manoscritte dal Betti sopra un esemplare della edizione della divina Commedia stampata a Roma dal De Romanis negli anni dal 1820 al 1822. Precede una breve introduzione di Giuseppe Cugnoni, (317) Scritti danteschi in appendice alle postille del medesimo autore alla divina Commedia, raccolti da Giuseppe Cugnoni. Città di Castello, S. Lapi tipografo editore, 1893, in-16,° di pagg. 183. Sommario: I. Sul tomo primo della edizione della divina Commedia publicata dal De Romanis [Roma, 1820] e spiegata dal p. B. Lombardi II. Intorno ad alcuni passi della divina Com

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III. Sui versi 30-35 del XIX del Paradiso V. Sopra un passo del VI del Paradiso una lettera del Vaccolini sopra un luogo di Dante nel I del Purgatorio VIII. Gli ultimi terzetti del XIV del Paradiso IX. Della lettera del Muzzi sul verso di Dante Poscia più che il dolor poté il digiuno X. Nota di Gius. I. Montanari ad una sua lettera al Biondi intitolata: Dichiarazione di alcuni luoghi della divina Commedia

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XIV. Di colui che fece per viltade il gran rifiuto XV. La (318)

Matelda della divina Commedia. Bonardi Antonio. "Della vita et gesti di Ezzelino terzo da Romano, scritta da Pietro Gerardo: studio. (In Miscellanea di storia veneta. Serie II, vol. 2o).

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Per un diligente raffronto fra i libri del Gerardo e le altre fonti storiche ezzeliniane, l'autore afferma che abbiamo in quei libri una fonte preziosa per l'età degli Ezzelini specialmente perché Gerardo ci dà i nomi, sinora ignorati, di molte persone che preser parte ai casi narrati, e riduce a piú verosimili proporzioni certi racconti di fatti che furono esagerati da Rolandino e da altri contemporanei. Recensione nella Nuova Antologia. Anno XXIX, terza serie, vol. LII, fasc. XIV. (319)

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Bullettino della Società dantesca italiana. Rassegna critica degli studi danteschi diretta da M. Barbi: nuova serie. Firenze, tip. di S. Landi, 1893-94, in-16o.

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Sommario dei primi sei fascicoli dell'annata prima (ott. 1893-mar. 1894): M. Barbi: G. Lajolo, Indagini storico-politiche sulla vita e sulle opere di Dante Allighieri (Favorevole, con alcune osservazioni). V. Rossi: O. Antognoni, Saggio di studi sopra la Commedia di Dante (Recens. espositiva con qualche osservazione). R. Fornaciari: T. Tornelli, La dottrina dantesca della ge. nerazione umana (Non può negarsi che lo studio del Tornelli è condotto con ingegno, con solidità di ragioni, e con dottrina non meno biblica che dantesca). F. X. Kraus, Gli ultimi lavori sulla Monarchia di Dante (Vi si parla dei seguenti libri: Adolf Tobler, Dante und vier deutsche Kaiser [non crede il Tobler che il De Monarchia, trattato importantissimo per lo svolgimento dell'idea dello stato moderno, sia stato scritto prima del 1313]; G. A. Scartazzini, Prolegomeni della divina Commedia, ecc. [Esamina con piena oggettività le tre opinioni divulgate sulla ori. gine della Monarchia: quella del Witte che la vuole scritta prima del 1300, quella di coloro che la ritengono composta tra il '18 e il '21, e quella di chi la crede dettata per la discesa di Enrico. L'esposizione dello Scartazzini, che conclude pronunciando un non liquet, ma inclinando ad accettare la terza opinione, è chiara, lucida e piena]; W. C. Schirmer, Dante Alighieri 's Stellung zu Kirche und Staat, Kaisertum und Papsttum [trattato piuttosto popolare che scientifico]; A. Maass, Dante 's Monarchie [La monarchia non è un'opera di Dante. L'argomento principale per sostener questa tesi che il Wegele ha combattuta con un articolo sulla Deutsche Zeitschrift für Geschichtswissenschaft, VI, 78, - è il famoso titolo della prima edizione della Monarchia, del 1559, nel quale il trattato è attribuito a un filosofo amico del Poliziano]; Dr. Prompt, Les œuvres latines apocryphes du Dante, etc. [Sono apocrife, a senno del Prompt, la Monarchia, la Lettera a Cangrande, la Quaestio de aqua et terra e le Ecloghe: ma chi vorrà ammettere con lui che la Monarchia è un libro barbaro e abbominevole, pieno di tendenze criminose, opera di un miserabile, ecc. ecc.? Né il Maas né il Prompt hanno avuto un'idea giusta dell'estensione e della grandezza del soggetto sul quale hanno emesse opinioni così strane]; Carlo Cipolla, Il trattato De Monarchia di Dante Allighieri e l'opuscolo De Potestate regia et Papali di Gio. da Parigi [Lavoro di molto valore e utilità]). M. Barbi: C. Gioia, L'edizione Nidobeatina della divina Commedia (Sfavorevole). G. Mazzoni: G. Crescimanno, Figure dantesche. (Favorevole). O. Bacci: S. Cipolla, Or sei giunta anima fella!. F. Flamini: G. A. Mastella, Intorno a quel Nicolò a cui Folgore da Sangemignano dedicò la sua corona di sonetti dei mesi (Favorevole). M. Barbi: U. Nottola, Una canzone inedita di Cino da Pistoia (Non in tutto favorevole). A. Fiammazzo: L. Frati, Graziolo Bambaglioli esiliato a Napoli (Preziosi riescono i quattro documenti relativi all'esilio del Bambaglioli a Napoli trovati dal dottor Orioli e resi publici nel Giornale dantesco dal dottor L. Frati). F. Flamini: N. Zingarelli, Gli sciagurati ed i malvagi nell' Inferno dantesco. F. Pellegrini: C. Cipolla, Di alcuni luoghi autobiografici nella divina Commedia (Non tutto quanto, nei casi singoli, si sostiene in questo scritto, riesce del pari dimostrato ; ché anzi certe deduzioni sembreranno piuttosto frutti di un modo di vedere personale, che altro. Per altro, chi consideri, nel suo intero insieme, il breve scritto del Cipolla, dovrà riconoscerlo degno di molta considerazione, e per quello che dice, e per quello che fa pensare). R. Fornaciari: A. Mazzoleni, La ruina nel cerchio dei lussuriosi (È lodevole, in questo scritto, la disposizione generale, ma il tèma non è esaurito. La lingua e lo stile sono alquanto negletti). M. Barbi: A. Lisini, Nuovo documento della Pia de' Tolomei, ecc. e P. Spagnotti, La Pia de' Tolomei: saggio storico-critico. F. Novati: L. Rossi-Casè, Ancora di maestro Benvenuto da Imola commentatore dantesco (Favorevole, con utili osservazioni). M. Barbi: V. Russo, Nell' Inferno di Dante: nuove osservazioni, ecc. R. Fornaciari: G. Agnelli, Il principato civile dei papi secondo le dottrine politico-religiose di Dante Allighieri, e A. Buscaino-Campo, Dante e il potere temporale dei papi (Favorevole). F. Pellegrini: G. Brognoligo, Montecchi e Cappelletti nella divina Commedia (Questo scritto, non ricco di nuove idee, è bensí coerente e persuasivo). R. Fornaciari: A. Ghignoni, Nuova costruzione d'un passo del Paradiso [XX, 73-78] (L'interpretazione qui esposta è ingegnosa, ma non in tutto accettabile). F. Pellegrini: G. Trenta, La tomba di Arrigo VII, imperatore (Favorevole). N. Zingarelli:

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ilomusi-Guelfi, Il contrappasso in Dante (Le gravi conclusioni alle quali giunge l'autore

Sto scritto non sono punto accettabili). A. Fiammazzo: E. Bertana e C. Posocco, Per pretazione letterale del verso Chi per lungo silenzio parea fioco (Le conclusioni, in quescritti, non sono accettabili). F. Pellegrini: L. Filomusi-Guelfi e A. Moschetti, Il verso el dinanzi a quel di retro gitta [Par., XII, 117] (La lettura degli articoli Filomusi-Mocontribuisce a mantenere il lettore in uno stato di incertezza facile a intendersi, se si

Pong a mente all'ambiguità innegabile del passo controverso). N. Zingarelli: Il libro della memoria.

V. Rossi: A. Rossi, I viaggi danteschi oltr'Alpe. R. Fornaciari: G. G. Gizzi: Penetra e risplende
(Favorevole). N. Zingarelli: Su alcune varianti nel testo della Commedia, proposte da F. Ron-
chetti, A. Borgognoni e G. Franciosi.
(320)
Dante e la psichiatria: lettera a Cesare Lombroso. (In Gazzetta letteraria.

Chiara Bernardo.

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Anno XVIII, no. 15).
Dante

come osservò il Fardel dovette certo soffrire accessi epilettici seguíti da incoscienza, come provano le frequenti descrizioni di cadute con assenze psichiche e con incoscienza che si trovano nel suo poema. L'indole passionale e visionaria e la straordinaria sensibilità del poeta si manifestano fin dalla sua puerizia. Ne abbiamo esempi palesi nella Vita nuova (II, III, IV, IX, XI, XLI). Che sarebbe avvenuto di Dante se non si fosse sfogato colla poesia, e se, perduta Beatrice, non avesse egli sognato di immortalarla in un'opera grandiosa? L'arte, negli ingegni pletorici e passionati come quello dell'Alighieri, fa l'ufficio d'una valvola di sicurezza e li scampa dalla ruina. Sull'erotismo di Dante non occorre discutere. Il Lombroso lo accerta nello studio su La nevrosi in Dante e Michelangelo: ed ha con sé i migliori biografi e chiosatori. D'altra parte, Dante stesso confessa che tutti i suoi pensieri parlano d'amore, e che non chiuse gli orecchi alle sirene né in patria né in esilio. Niun dubbio neppure sulla megalomanía di Dante. In politica egli vuol far parte da sé stesso, e si crede chiamato a fondare o a far fondare l'impero, geniale utopía; in religione s'atteggia a riformatore dei costumi della chiesa, che intende richiamare alla sua primitiva virtú, disconoscendo la legge storica per cui nessuna istituzione può camminare a ritroso (?!); in morale si erige giudice e punitore dell'umanità peccatrice; in letteratura, si mette nella schiera di Omero e Vergilio e si fa dare la gloria della lingua. Per lui si muovono l'inferno, il purgatorio e il paradiso; cielo e terra operano a suo benefizio. Ma la megalomanía di Dante si converte in un fenomeno normale, dacché gli effetti che ne nacquero rispondono pienamente a' suoi grandiosi divisamenti; e megalomani furono tutti quelli che compierono maravigliose imprese o promossero rivoluzioni di pensiero. Fondamento del carattere di Dante è la melanconia: ma egli era anche superbo, irascibile e vendicativo. La sua Commedia è un libello, e si ha un bel dire ch'egli amava il vero e la giustizia, e operava animato da un sacro santo amore per l'umanità errante. L'imparzialità punitiva dell'Alighieri è una di quelle mezze bugie che ebbero, hanno ed avranno sempre corso libero nelle accademie, là dove si suol fare del sommo poeta il modello degli uomini. Dante era violento e tenace nell'amore e nell'odio: talora delicato e tenero come fanciulla, altre volte duro, brutale, spietato. La sventura e la nequizia degli uomini fecero dell'amante di Beatrice un violento cittadino ed un libellista implacabile (!?). Passionalità precoce e sensibilità eccessiva; erotismo durevole; tendenza al simbolo; melanconia ingenita; irascibilità estrema; vendetta letteraria e politica; superbia idiosincratica; megalomania; astrazione frequente e completa, (!!!) ecco le principali facce del poliedro psichico di Dante sulle quali può fermarsi l'occhio della psichiatria. In Dante son frequenti contraddizioni di pensiero e di sentimento: e la psicologia dantesca devolventesi in grandi e costanti correnti a traverso l'opera sua, sembra nompertanto chiara e semplice. In certi punti bensí si complica ed aggroviglia talché si presta a molteplici interpretazioni. L'Alighieri conosce tutti gli intrighi e le capziosità della coscienza: e in tutte e tre le cantiche del poema fa uso delle piú sottili arti per strappare il segreto alle anime: non v'è reagente psichico ch'egli non conosca. Sarà bene che il Lombroso, o qualche altro suo collega in psichiatria, si pongano seriamente a studiare, per rilevarle e commentarle, le contraddizioni, le fluttuazioni, le battaglie intime del sensibilissimo e mutabilissimo poeta. Per suo conto, l'autore di questo scritto confessa che qualunque siano per essere i responsi della scienza, l'opera di Dante avrà sempre un'ef

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