eccezionali, come saranno quelli nei quali Dante accenna a avvenimenti storici poco conosciuti. Ma oltre al senso letterale, è forza che ve ne sia un' altro, allegorico e mistico, e forse più d'uno solo, giacchè il poeta parla in ogni luogo di giri a destra e a sinistra, delle ore e dei giorni precisi, del suo viaggio, delle posizioni di Virgilio, Beatrice, Folo, Nesso, Fialte, Aletto, Stazio, che gli si mettono a destra o innanzi o indietro, e di Beatrice che è un quadrato che ha per radice la santissima Trinità, e via discorrendo. Ed egli sarebbe un indegno e spregevolissimo buffone, se dicesse tutte quelle cose senza voler rinchiudervi qualche senso determinato, che non sia però cosa frivolissima, e cosa bambinesca, come il senso augurarle che alcuni vollero ritrovar nelle voltate della Malebolge e dell' inferno superiore. Chi legge il divino poema si accorge subito che la visione si svolge in una settimana, e che quella settimana risponde al plenilunio, e che quel plenilunio vien dopo l'equinozio di primavera. Quindi è forza ammettere che nel concetto di Dante, gli avvenimenti del poema rispondano a certe cose che si fanno nella settimana pasquale. Si prenda poi il passo del Purgatorio, nel quale il poeta si ritrova innanzi all'angelo, che apre la porta del regno della penitenza. Qui l'allegoria diviene evidente, e evidente in tal modo che forse fra i chiosatori antichi e moderni non ve ne sarà uno solo che si rifiuti a dichiarar l'angelo per figura simbolica del prete confessore. Ma il poeta si limita a inginocchiarsi, a percuotersi il petto tre volte; dopo quelle azioni sacramentali, egli non dice quali sono i suoi pcccati, e l'angelo, invece d'assolverlo, gli dipinge in fronte i sette P che sono segni di colpe, che opprimono la coscienza, che lasciano la via aperta al rimordimento e al dolore. Dunque la confessione è imperfetta, e dovrà continuarsi nel rimanente del poema. Veramente il discepolo si dichiara colpevole di superbia, d'invidia, di lussuria. Quest' ultimo peccato è il più grave, e mentre i sei primi P vengono cancellati nei rispettivi gironi, il settimo rimane fino all'epoca in cui Dante s'incontra con Beatrice. Beatrice gli rimprovera aspramente i suoi delitti, esige un amarissimo pentimento, e poi concede il perdono, e conferisce la purificazione perfetta. In somma Beatrice è quella che dà l'assoluzione. Che sarà dunque Beatrice? Sarà simbolo del prete? Di certo no. Ma il prete non può assolvere altrimenti che in virtù della potenza ch' egli riceve dalla Chiesa. E quella potenza medesima, chi la diede a la Chiesa? Iddio. Non v'è dunque altro rimedio che considerar Beatrice come simbolo della Chiesa cristiana, poichè non può esser nè Iddio, nè il prete. Veramente, in tutto il poema del Paradiso, Beatrice spiega al discepolo i misterii religiosi. Veramente gli angeli cantano, quando Beatrice si avvicina: Veni, sponsa de Libano. E chi è quella sposa del Cantico biblico? La Chiesa, la Chiesa, e la Chiesa. Beatrice è miracolo, è quadrato che ha per radice Iddio medesimo. Per tutti i padri, per tutti gli apologisti, l' esistenza della Chiesa è un miracolo, che procede della sola potenza divina. Beatrice è tale che non può mal finir chi le ha parlato: e tale che sola per lei l'umana specie eccede ogni contento del cielo inferiore; dunque per lei sola la specie umana s'innalza alla vita divina. Beatrice si adora in vita e in morte; cosi si considerano in lei i due aspetti della Chiesa, la Chiesa militante, e la Chiesa trionfante. Tralascio altre prove, che sono innumerevoli. Siamo nella settimana pasquale. La Chiesa conferisce al fedele il sacramento della penitenza, del quale è simbolo tutto il poema del Purgatorio. Che farà il cristiano pentito, puro e disposto a salire a le stelle? È vano il voler resistere all' evidenza. Dopo la confessione, verrà l'Eucaristia. E nelle regioni stellate, Beatrice aspetta Gesù Cristo, che scende dall'Empireo per unirsi col fedele, lo aspetta come l'uccello aspetta l'alba matutina per dar l'alimento ai pargoletti. L'anima di Dante si fa più grande, s'innalza al di sopra di sè stessa, e anelante tra quella dape, cede alla virtù da cui nulla si ripara. Chi non è cieco apra gli occhi, e guardi; per i ciechi non scrivo e non voglio scrivere. Se il Purgatorio risponde alla confessione e il Paradiso all'Eucaristia, l'Inferno che sarà? Deve esser cosa che, nel sistema dei sacramenti, e nel principio del tempo pasquale, vien prima della confessione; sarà dunque l'esame di coscienza. Sarà quella contemplazione metodica, lunga, terribile, rischiarata dalla fantasia ardente del poeta, che ci mette innanzi agli occhi, sotto forma di tormenti, ogni vizio umano, ogni passione cattiva, dimostrando a chi legge come la massima pena del delitto sia di vivere nel delitto medesimo. Ma quale è dunque, fra quei peccati d'ogni genere, il peccato massimo del poeta, del visionario, dell' uomo ideale, del mistico amante di Beatrice? Nella Vita Nuova e nel Convito si risponde a quell' interrogazione con chiarezza maravigliosa e impareggiabile eloquenza. Il visionario fu infedele. Si dimenticò dell' amore di Beatrice, e seguendo false immagini del bene e del vero, volle ritrovar la felicità nelle antiche lezioni della Filosofia. Fu errore, errore crudelissimo; la donna gloriosa ma fredda e insensibile degli Stoici, degli Epicurei, e degli Eleati, non si degnò di rispondere a quell'amore. Ma fu questo veramente errore di Dante? Di certo no. Fu errore del l'umanità medesima, e il poeta fiorentino, schivo di parlar di sè, prese la propria persona per simbolo delle nazioni che dopo lunghi raggiri nelle tenebre del paganesimo, si slanciano finalmente, colla Chiesa per guida e per maestra, e per vera donna d'amore, nelle vie immortali della felicità. Che sarà quella felicità? Lo dice nel suo più bel capitolo, il bellissimo libro del Convito. Nella vita di quaggiù sarà imperfetta, poichè consiste sulla perfezione d'ogni virtù. E nel nostro mondo, possono bensì esser quasi perfette le virtú della vita attiva; ma quelle della vita contemplativa saranno imperfettissime, e non possono esser altrimenti, prima dell' ora in cui l'Atene celestiale apre al fedele le sue porte mistiche. Se Beatrice è quella che conferisce i sacramenti, e concede al cristiano la felicità in questa vita e nell' altra, il poema del Paradiso sarà il quadro in cui si contempla quella perfezione delle virtù. È inutile dimostrare che la visione di Giove risponde alla giustizia, quella di Marte alla Forza, e quella del sole alla Sapienza. Son principii evidenti. In Saturno la gloria della vita monacale è simbolo della Tempe ranza. Nei pianeti inferiori, si osserva l'imperfetta Carità in Venere, la Speranza imperfetta in Mercurio, la Fede imperfetta nella Luna. Finalmente, nel cielo stellato, l'esame apostolico del cristiano ci dimostra le tre virtù senza maccchie, e senza difetti. Volendo percorrere, nei suoi giri, questo spazio immenso, l'uomo può, fino a certo istante, andare innanzi, da sé stesso, e colle proprie forze. Egli ha la scienza del bene e del male. Non l'avrà perfetta, senza gli ammaestramenti della Chiesa, e perciò noi lo vedremo seguire, al principio del viaggio infernale, la legge dell'Altro, e poi sul fine di quel viaggio, uniformarsi alla legge del Medesimo, che si osserverà allora in tutto il rimanente della visione. La chiave di quei misterii è appunto quella che Dante ci mette in mano, quando spiega, nel Convito, chi sia la Donna pietosa della Vita Nuova. Fra i massimi nemici delle verità dantesche primeggia lo Scartazzini, per i suoi lunghi e indefessi lavori, e per il grande amore ch' egli dimostra per le chiose. Egli si accorse, meglio d'ogni altro, del pericolo al quale veniva esposto il vecchio edifizio dei comenti, e fece sforzi grandissimi per dimostrare che la donna del Convito non fosse persona simbolica, ma vera fanciulla viva, materialmente amata da Dante. In quella guerra, ch' egli fece alle dichiarazioni del poeta, era forza che il poeta medesimo fosse il vittorioso. Ma non si può negare che le difese del chiosatore furono esposte veramente per il meglio, e che quel capitolo dell'antica scienza dantesca, è degno d'investigazione filosofica, come esempio bellissimo delle aberrazioni dell'ingegno umano. Noi abbiamo dunque, nell'opera di Dante, due opere diverse, il cui andamento si svolge in modo che non è sempre identico, nè sempre il medesimo, come vorrebbe l'Agnelli, che mi rimprovera di vedere nell' interno. superiore il simbolo letterale e determinatissimo dell'esame di coscienza imperfetto, nel quale non si vuole introdurre l'ammaestramento della Chiesa, con tutto che il cerchio degli Eresiarchi faccia parte di quel regno dell' altra vita. Quando due opere d'arte hanno intime connessioni e intimi legami l'una coll'altra, può essere che, in certi casi, ammettano diversità d'ogni genere, e anche, dev'esser così, poichè il procedimento della prima è talvolta più generale di quello dell'altra. Questo si osserva continuamente nell' arte del canto. La medesima frase musicale si adatta con bellezza ed esattezza maravigliosa ai pensieri diversi, e anche opposti, che vengono dichiarati nel poema. Gli esempii sono frequentissimi. Volendo addurre un esempio unico, prenderò il duetto di Linda e del Marchese, nella Linda di Chamounix. Le offerte indegne, e l'ipocrisia sprezzante del vecchio drúdo si cantano colle medesime note che il rifiuto glorioso della Linda, e qui non si può dire che si tratti d'arte inferiore: si tratta forse del più bel pezzo di musica buffa del teatro italiano, e si tratta di recitativi obbligati, cioè del genere nel quale il legame del canto colla poesia è il più stretto possibile. Lo stesso avviene nelle cose della vita umana. Il Cesare, il filosofo, il poeta, sono individui che hanno due vite diverse. Hanno la vita umana semplice, che è quella degli uomini volgari, hanno la vita gloriosa e immortale che è cosa mistica, ideale, e divina. Giulio trionfatore di Roma. soggiace all'amore immondo di Nicomede; il Galileo che spezza con mano invitta e forte le macchine celesti di Tolomeo dichiara innanzi ai giudici del tribunale, di rinunziare alle opinioni pittagoriche. L'opera di Dante non sarebbe nè artistica, nè umana, nè vera, se quella medesima indipendenza non vi si dovesse ritrovare fra il poema volgare, letterale, semplice, che tutti possono intendere e vagheggiare, e il sistema teologico profondo che si nasconde nelle portentose allegorie del massimo maestro. I due sensi possono in certi luoghi unirsi e vincolarsi con tale e tanta forza che vengono a confondersi in uno solo, come nell'esame degli apostoli nel cielo stellato. Ma in generale sono separati e diversi, e, se non lo fossero, allora invece delle tre divine canzoni, si avrebbe qualche romanzo freddo e intollerabile, come la Clelia della Scudéry colle immagini del viaggio d'Amore che si fa dal viaggio di Petits Soins al fiume del Tendre. Riprendiamo dunque la comparazione del canto. Non sempre sarà unica la melodia che si adatta sulle parole. Talora accade che la voce si riposa,. Giornale dantesco 3 e che i violini vengono a introdurre anch'essi un sistema di melodia affatto nuovo, e differentissimo di quello che si forma sulle labbra dell'uomo. Così, nel poema di Dante, vedremo di quando in quando, mentre l'allegoria generale tace, e in certo modo sparisce agli sguardi del contemplante, altre allegorie, diverse daila prima, che verranno a unirsi col senso letterale. Fra queste, la più gloriosa è l'allegoria astronomica, nella quale il poeta si dichiara per avversario del sistema tolemaico. Abbiamo ancora l'allegoria politica, tanto vagheggiata nelle chiose, e considerata fin qui come cosa di prim'ordine, mentre i fatti dimostrano che quei cenni sono di pochissima importanza per l'intendimento generale delle tre canzoni. Ora vengo agli Eretici. L'Agnelli dice che «a esaminare le colpe d' eresia non basta la sola ragione, nè la filosofia morale..... che i peccati d'eresia non possono » appartenere se non a chi è o fu una volta tra i fedeli, ecc. »> Va benissimo, e anche per me l'eretico è quel cristiano che non vuole obbedire alla Chiesa, e fa per esempio quel che fecero Ario, e Sabellio, che vengono menzionati nel poema, e sono egregii esempii di tal peccato. Ma Dante non giudica opportuno di metter Sabellio, nè Ario nelle arche del suo sesto cerchio. In primo luogo abbiamo Epicuro. Che razza d'eretico è costui? Poi tutti i suoi seguaci. Ma pare che vi siano eccezioni, poichè Orazio disse di sè medesimo: Cum ridere voles Epicuri de grege porcum, ed egli fa il suo soggiorno nel castello del Limbo, invece di essere abbruciato con Farinata degli Uberti, e con Federigo. E Federigo? Fu veramente seguace d'Epicuro quell' imperatore? Ma allora non fu eretico, fu pagano, fu uomo che del domma cristiano nonammetteva niente. E come và che di questo rimprovero non si fa parola negli atti del Concilio di Lione? Sarebbe forse per isquisitissima delicatezza del papa? Quanto a Farinata, egli medesimo spiega il suo peccato con parola di tale e tanta eloquenza, e in versi così belli e ardenti, che il dubbio non può esistere. Quel peccato è lo spirito di parte. Farinata è dannato perchè ghibellino, e lo stesso si dirà del Cardinale e di Federigo; e di Cavalcante si dirà che è dannato perchè guelfo, fin al giorno in cui la storia ci rechi documenti per dimostrare come un vecchio nobile fiorentino del duecento potesse vagheggiare le dottrine filosofiche d'Epicuro, del quale è probabile ch' egli non sapeva nemmeno il nome. Poi abbiamo papa Anastasio. Qui sarebbe lungo l'elenco delle bestialità e sciocchezze che vennero infilzate dai chiosatori. Sarebbe anche affatto |