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dirlo con figurato, parlare, l'unghie illividiscono, impallidiscono, si fanno smorte. 1

"E qui mi rimango parendomi quanto è detto sufficiente a bene intendere e spiegar questo passo, il quale sebbene di squisita bontà e bellezza pure a dir vero è uno di quelli che meno allettano ed invaghiscono, anzi di quelli che sfuggono, in quanto racchiude cose di non comune intelligenza, e in apparenza di niuno interesse. Buon per me se oltre il mio pro e diletto in spiegarlo e dilucidarlo avrò procurato l'altrui, e fornita una novella e non dubbia prova della verità della sentenza che Dante giusto estimator di se stesso fa all'avo suo Cacciaguida proferire intorno alla Divina Commedia.

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CHI È "L'AVVOCATO DE' TEMPI CRISTIANI,, ?

(Paradiso, X, 119)

Nel cielo del Sole, san Tommaso d'Aquino, uno dei beati, per soddisfare al giusto desiderio di Dante, di conoscere gli spiriti santi, che in forma di ghirlanda roteando, deliziosamente cantano e danzano, glieli mostra ad uno ad uno; e, dopo avergli indicato le anime del beato Alberto Magno, di Graziano, di Pier Lombardo, di Salomone, di san Dionigi Areopagita, prima di mostrargli le altre di Boezio, di san Isidoro, del venerabile Beda, di Riccardo da san Vittore, di Sigieri, gli dice:

Nell'altra piccioletta luce ride
quell'avvocato de' tempi cristiani
del cui latino Augustin si provvide.

(x. 118-120)

Chi sia quest'avvocato dei tempi cristiani, non vanno d'accordo gl'interpreti; l'opinione più antica è che si tratti di sant'Ambrogio, la piú diffusa di Paolo Orosio; pochi moderni solo credono si accenni qui a Lattanzio; taluni poi stanno incerti fra i primi due; altri fra Orosio e Lattanzio. Che la vecchia

FRANCK, loc. cit.

2 Parad., canto XVII, v. 130-132.

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3 Cfr. SCARTAZZINI, Comm, al Paradiso, X, v. 119, Leipzig, 1892, pag. 264-25.

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opinione sia addirittura da escludersi è stato già dimostrato; 1 resta adunque quistione fra Orosio e Lattanzio.

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Nel 1829 il dott. Carlo Fea pubblicò a Roma un opuscolo, nel quale combattendo strenuamente l'opinione che l'avvocato dei tempi cristiani fosse Paolo Orosio, per il primo propose che per esso fosse da intender Lattanzio. Sebbene il Fea trovasse pochi decisi fautori ed i piú degl'interpreti siano rimasti fedeli ad Orosio, pure noi crediamo giusta l'opinione del Fea e crediamo ancora di poterla rafforzare con nuovi e validi argomenti. Dante difficilmente può parlare di Orosio: 1°perché ad ammettere ciò si oppone il verso 119. L'interpretazione piú ovvia di questo verso è che sant'Agostino si serví nelle sue delle opere di quell'avvocato de' tempi cristiani. Orbene, non s. Agostino si è valso di Orosio, come a torto fu creduto da molti, 'sibbene Orosio fu mosso a scrivere le sue storie da sant'Agostino medesimo, come Orosio confessa nell'opera sua (già nel proemio ad Agostino egli osserva Praeceperas ergo, ut ex omnibus, qui haberi ad praesens possunt, historiarum atque annalium fastis, quaecumque aut bellis gravia, aut corrupta morbis...... per transacta retro secula reperissem, ordinato breviter voluminis textu explicarem,; 5 Orosio profittò delle opere di sant'Agostino, in particolare del De Civitate Dei, sempre a sua confessione: "quamvis reverentia sanctitatis vestrae multa fortissime verissimeque disseruerit; tamen et mihi locus exigit, ut pauca subiciam (VI, I) Si aggiunga poi come argomento definitivo e incostrastabile, che sant'Agostino non poté valersi nel De Civitate Dei dell'opera di Orosio, il fatto che, quando Orosio pubblicò l'opera sua, sant'Agostino aveva già pubblicato i primi dieci libri del De Civitate Dei, come resulta dal seguente passo del proemio di Orosio al maestro, in cui modestamente l'autore dichiara il poco valore dell'opera sua: "maxime cum reverentiam tuam perficiendo adversum hos ipsos Paganos undecimo libro insistentem (quorum iam decem orientes radii, mox ut de specula ecclesiasticae claritatis elati sunt, toto orbe fulserunt) levi opuscolo occupari non oporteret, e quindi il terzo, col quale ha stretto rapporto l'opera di Orosio, era già noto prima che questi ne svolgesse l'argomento in modo più ampio e generale. Questi argomenti bastano a dimostrare che sant'Agostino non si è valso di Orosio. Cosicché due ipotesi sole possono farsi: o Dante accenna ad altro personaggio colle parole avvocato de' tempi cristiani, etc., o il verso 119 dev'essere diversamente interpretato. Si potrebbe di fatto obiettare, che il passo di Dante alluda qui non già ad uno sfruttamento di Orosio per parte di sant'Agostino, che è, come abbiamo provato, del tutto inammissibile, ma al

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1 Cfr. SCARTAZZINI, Comm. al Paradiso, X, v. 119, Leipzig, 1892 pag. 264.

2 Nuova interpretazione di un verso di Dante Alighieri, Roma, 1829.

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3 A quelli nominati dallo SCARTAZZINI, op. cit. loc. cit. devesi aggiungere Paolo Costa: incerto fra Orosio e Lattanzio è il POLETTO, Dizionario dantesco, Siena, 1885, s. v. Avvocato.

4 Cfr. SCARTAZZINI, op. cit. pag. 265, al v. 120.

5 Secondo l'edizione dello ZANGEMEISTER, Vindobonae, MDCCCLXXXII.

6 Cfr. FEA, op. cit. pag. 458-459, 462-463.

7 Cfr. EBERT, Geschichte der christlich-lateinischen Literatur, Leipzig, 1874, I, pag. 324.

fatto che sant'Agostino, instigando Orosio a scrivere, del latino di lui si valesse non per sé ma per la Chiesa e per la religione; ma, ad ogni modo, pur se ne valesse. L'obiezione è senza dubbio sottile; ma non inconfutabile. L'espressione si provvide, si badi bene, incontrastabilmente allude al fatto, che sant'Agostino si valse delle opere dell' avvocato, sia in modo diretto per sé, sia per il bene generale della Chiesa; in ogni caso resta a vedere, se realmente sant'Agostino nell'una maniera o nell'altra se ne valse. Ora noi crediamo di potere affermare che sant'Agostino non tenne mai gran conto del l'opera di Orosio; nelle Retractationes, opera pubblicata verso il 427,1 dopoché Orosio già da qualche anno aveva pubblicata la sua Storia al capitolo 44 del lib. II si legge: "Inter haec Orosii cuiusdam hispani presbyteri consultationi de Priscillianistis, et de quibusdam Origenis sensibus, quos catholica fides improbat, quanta potui brevitate ac perspicuitate respondi„. Per sant'Agostino adunque Orosio era sempre quidam hispanus presbyter, quando egli già aveva pubblicata l'opera di cui sant'Agostino si sarebbe valso. Orosio si presentò a sant'Agostino, desiderando da sé medesimo di scrivere contro le eresie propagate nella Spagna sua patria; ed il santo, cui Orosio parve “vigil ingenio, paratus eloquio, flagrans studio, utile vas in domo Domini 2 di buon grado lo favorí e lo mandò in Palestina a san Girolamo; cose queste ben diverse dall'essersi valso sant'Agostino dell'opera di Orosio! 3

2o La ghirlanda del cielo del Sole è formata di dodici spiriti; dei quali gli undici sulla persona dei quali non v'ha dubbio, sono certamente teologi: se l'avvocato fosse Orosio, esclusivamente storico, si avrebbe la ghirlanda teologica non più perfetta; cosa del tutto inammissibile.

Mentre da un lato gravemente si può dubitare e quasi escludere che Dante accenni ad Orosio, dall'altro l'opinione che accenni a Lattanzio è saldissima e addirittura inconfutabile. Molti argomenti si possono addurre in favore di essa; basti ricordarne i principali: 1° L'espressione di avvocato dei tempi cristiani, sebbene riferibile anche a Paolo Orosio, si adatta cosí bene a Lattanzio, che meglio non potrebbe. Si ricordi l'occasione in cui questi scrisse le Institutiones. Infieriva in tutto l'impero la persecuzione di Diocleziano; non solo con la violenza delle armi e coi supplizî si combatteva la vera religione; ma eziandio con calunnie sparse a carico dei cristiani per mezzo di libelli offensivi; di simili libelli ne fu pubblicato uno anche a Nicome

1 Cfr. EBERT, ivi, pag. 230.

2 Così espone sant'Agostino a san Girolamo (De ratione animae hominis, ep. 166) come conobbe Orosio « Ecce venit ad me religiosus iuvenis, catholica pace frater, aetate filius, honore compresbyter nostres Orosius, vigil ingenio, paratus eloquio, flagrans studio, utile vas in domo Domini esse desiderans ad refellandas falsas perniciosasque doctrinas, quae animas Hispanorum, multo infelicius quam corpora barbaricus gladius trucidavit ». Citiamo secondo l'edizione parigina del 1571. 3 Non comprendiamo come lo SCARTAZZINI, op. cit., pag. 265 possa affermare che “ Agostino si provvide delle opere di Orosio a risparmio di fatica e di tempo; poiché se non l'avesse scritta Orosio, l'avrebbe dovuta scriver lui; tanto quella storia era necessaria ad arguir di menzogna i gentili, i quali de' mali d'allora ne incolparono la religione di Cristo Sant'Agostino aveva invece già fatto quel che fece Orosio più ampiamente e con metodo diverso nel De Civitate Dei; come avrebbe dovuto egli scrivere la storia, se la grave quistione egli aveva gistralmente trattata?

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dia: 1e Lattanzio, che ivi si trovava, si pose a difendere la religione intieramente dagli assalti degli avversarî con le Institutiones divinae; delle quali egli stesso dice: "suscepi hoc munus, ut omnibus ingenii mei viribus accusatores iustitiae refutarem, non ut contra hos (gli autori del libello) scriberem, qui paucis verbis obteri poterant, sed ut omnes qui ubique idem operis efficiunt aut effecerunt, uno semel impetu profligarem (Inst., V, 4, 1) „. Basta leggere questo passo per comprendere, che a niuno meglio conveniva l'espressione: avvocato dei tempi cristiani, che a Lattanzio. 2° Ed anche le parole tempi cristiani ci sembrano alludere piú direttamente ai tempi della maggior gloria cristiana, delle persecuzioni, all'êra dei martiri, ai tempi cristiani infine per eccellenza, che ai tempi di Orosio, in cui il cristianesimo era già definitivamente trionfante. 3° Si aggiunga, che Lattanzio fu tenuto in gran conto dai maggiori santi padri, quali san Girolamo e sant'Agostino; ché l'uno ne parla spesso con lode, in molti passi delle opere sue (De vir, ill., 80; Chronic. ad an. Abr., 2333; Epist. 48, 13; 58, 10; 60, 10; 70, 5, etc. Comm. in epist. ad Ephes. 1. II c. IV.) l'altro se n'è valso amplissimamente in varie opere, sopratutto nel lib. XVIII del De Civitate Dei, e lo cita (De Civ. Dei, XVIII, 23: inserit etiam Lactantius operi suo quaedam de Christo vaticinia Sibyllae....) come autore da cui egli ha attinto. Il fatto che sant'Agostino esplicitamente afferma di valersi di Lattanzio e le manifeste concordanze fra i due scrittori dovevano indurre Dante a porli ambedue in relazione fra loro. 4° Si aggiunga pure come non manchino traccie di tradizioni, per cui già in antico si riconosceva la stretta dipendenza fra Lattanzio e sant'Agostino. Il Petrarca nelle Epistole senili (I, 4, ad Io. Boccaccium) dice "Quid vero, si quid tale Lactantio dictum esset? Quid si dictum et creditum Augustino? Dicam quod in animo est: neque ille tam valide peregrinantium superstitionis fundamenta convelleret; neque iste Civitatis Dei muros tanta orte construeret, e nel De ocio religiosorum, cap. 2" Lactantius Firmianus, et ipse magnus vir, in eo libro, quo Gentilium erroribus exarmatis fidem nostram, quantum quivit, armavit; omnemque hanc Deorum scenam mira et laudabili curiositate detexit: inque hoc idem opus Augustino atque aliis sequacibus viam fecit., Noi abbiamo qui che fare con documenti posteriori, sebbene di non molto, all'Alighieri; ma da questo noi non dobbiamo dedurre, che la tradizione letteraria sorga solo nel tempo del Petrarca e che in particolare, come si potrebbe credere, il Petrarca stesso ne fosse l'autore. Un'altra tradizione, la tradizione bibliografica, ancora più tarda, ma di molto valore, perché non individuale, ma collettiva, ci attesta che le Institutiones furono stampate dal Sweynheim e dal Pannartz a Subiaco nel 1465 (furono la prima opera stampata in Italia); a Roma nel 1468 e che il De Civitate Dei fu pure edito per la prima volta

1 Cfr. Instit., V, 2 segg. (ed. Brandt).

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2 I numerosi passi in cui sant'Agostino dipende da Lattanzio sono notati diligentemente dal BRANDT, nelle note alla sua edizione delle Institutiones, Milano, 1890.

3 Cfr. FEA, op. cit., pag. 457.

4 Cfr. BRANDT, Historia critica editionum Lactantii (nei Prolegomena al II volume delle opere di Lattanzio, Vindobonae, 1893), pag. XLII-XLIV.

a Roma nel 1468 medesimo. Il fatto che Lattanzio e sant'Agostino furono editi insieme, nota acutamente il Fea, dimostra che essi erano uniti nella tradizione letteraria comune; tradizione comune, notiamo noi, che già ci è attestata nel '300 dal Petrarca, che a questa tradizione comune non sorta per certo d'un tratto, ma forse sin da quando sant'Agostino sfruttava le opere del Cicerone cristiano, si riconnette; tradizione più antica quindi del Petrarca e del tempo di Dante, che la conosce e se ne vale opportunamente.

Secondo noi, non v'ha dubbio l'avvocato dei tempi cristiani, cui Dante accenna, è Celio Firmiano Lattanzio.

Qualche osservazione ancora: posto in sodo che Dante intenda parlare di Lattanzio, come deve spiegarsi il primo verso della nostra terzina? Il Fea, che ha nel suo opuscolo talune giuste osservazioni, ma anche taluni spropositi, dice che Dante uni Lattanzio e sant'Agostino e indusse Lattanzio a compiacersene col ride (?!), per aver balenato il primo, dato lume e aperto la strada coll'opera sua, non tanto voluminosa, però piccioletta (?!) n Naturalmente non c'è bisogno di confutare il Fea: Lattanzio ride come anima beata; non sta in luce piccioletta, perché la sua opera è poco voluminosa, perché invece le Institutiones sono l'apologia del cristianesimo piú completa e più ampia (in ben sette lunghi libri) che fosse stata scritta contro i pagani fino a sant'Agostino; e nemmeno ci pare giusta l'opinione dello Scartazzini," che Lattanzio sia posto in piccioletta luce, avendo il poeta riguardo alla sua povertà, testificataci da un passo di san Girolamo (Chronic. ad ann. Abr. 2333); perché sarebbe questa proporzione della beatitudine alla ricchezza una incongruenza in Dante. Secondo noi Lattanzio sta in piccioletta luce, perché è inferiore a Salomone, a san Dionigi che lo precedono, perché né sommo fra i sapienti, né santo; come è inferiore a Boezio, anima santa, che lo segue. Ad un altro passo di san Girolamo (Epist., LVIII, 10) si potrebbe piuttosto pensare, in cui si dice che Lattanzio fu sommo nel distruggere gli avversarî non però nel fondare su salde basi la dottrina cristiana: "Lactantius, quasi quidam fluvius eloquentiae tullianae, utinam tam nostra adfirmare potuisset quam facile aliena destruxit! Forse a questo passo pensava Dante3 o, per lo meno, non sappiamo da quali fonti, attingeva e volgeva in mente un identico e diffuso concetto?

Pisa, giugno 1894.

AUGUSTO MANCINI.

1 Op. cit., pag. 457-458.

2 Op. cit., pag. 264.

3 Anche nel passo surriferito del PETRARCA (De ocio religiosorum, 2) si può trovare un accenno allo stesso concetto nelle parole "Lactantius.... Gentilium erroribus exarmatis Fidem nostram, quantum quivit, armavit.,, Si ricordino anche le quistioni sulla maggiore o minore or todossia di Lattanzio, che già sono accennate nel passo surriferito di san Girolamo.

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