RIVISTA CRITICA E BIBLIOGRAFICA RECENSIONI Dante Alighieri. La divina Commedia con Commento del prof. Giacomo Poletto. Roma-Tournay, tip. liturgica di san Giovanni, Desclée, Lefebvre e compagni, 1894, voll. tre, in-8° gr. Nella prima metà dello scorso luglio venne alla luce questo nuovo commento del poema dantesco. Anni sono S. S. Leone XIII istituiva in Roma una cattedra dantesca nominandovi professore il Poletto: era quindi naturale che il Poletto dedicasse all'augusto Mecenate il nuovo lavoro, e non meno naturale che Leone XIII ne accettasse la dedica. Dal Poletto, già noto per altri pregevoli lavori di letteratura dantesca, non si poteva non attendere con viva curiosità il nuovo commento, nella fondata speranza che esso sarebbe stato pari al merito dell'autore e degno del Mecenate. E qui sul principio trovo doveroso constatare che la speranza non può dirsi delusa. La materia del commento è desunta in gran parte dagli antecedenti studi, e dalle lezioni tenute dalla cattedra. Perciò l'autore nella prefazione fa avvertiti i lettori di non essersi costantemente occupato di certe chiose di pura forma, perché il suo insegnamento non è insegnamento elementare, e, per la qualità de' suoi alunni, in gran parte ecclesiastici, ha dovuto abbondare "piú che in altre scuole non si soglia, di cose filosofiche e teologiche,,. E nel dare esecuzione a questo particolare intento vuole sincerità che si riconosca essersi mostrato il Poletto assai piú oggettivo e scevro da pregiudizi di scuola che non il padre gesuita Cornoldi. Né credo di andar lungi dal vero che il Poletto fosse ben conscio di tale difetto per parte del p. Cornoldi dal vedere che, pur avendolo nominato nella dedica al regnante Pontefice, nemmeno una volta, se non erro, ricorre al commento cornoldiano in materia filosofico-teologica. Il Poletto, scolaro del Giuliani, ne continua, con larghezza di idee e d'applicazione, il metodo: e quindi il nuovo commento abbonda nelle citazioni delle altre opere del poeta e delle fonti alle quali Dante ha massimamente attinto. Né a questo si limitano le ricerche del Nostro, ma pel suo commento trae, come è ben giusto, profitto dei lavori di altri commentatori sí antichi che moderni di maggior valore, dandone quasi sempre fondato e favorevole giudizio e mostrandosi sobrio e modesto nel rilevarne gli errori. 2 Ereditato dal Giuliani un esemplare della divina Commedia sul quale l'esimio dantista fece varie e preziose aggiunte al commento di Brunone Bianchi, e note e richiami alle diverse opere minori di Dante, il Poletto ha creduto di "porre nei margini del suo Commento al preciso luogo che occupano nel volume del Giuliani, tutte le citazioni, nessuna eccettuata, che si riferiscono ad altri punti del Poema e a tutte le altre opere di Dante, Quant'è poi delle postille riferisce quelle che gli parvero avere una qualche importanza, notando sempre con religiosa fe 1 Questo non parrà un grande elogio; ché l'opera del gesuita sarà sempre tenuta per una miserevolissima cosa, da quanti hanno cultura, buon gusto, e una certa dose di buon senso. IL DIRETTORE. 2 Inf., pag. 646, dopo il mezzo; 648, alla fine; 656, alla fine; Purg., IV, 100-102; V. 22-24; 85-87; XXX, 76-78; XXXI, 91-93; 136-138, e II° 94-99; XXIX, 73-75; XXXII, 100-102; Par., VI, 94-96; XI, nel Prologo; XIII, 139; XV, 7-9. deltà il nome dell'autore. Così pure alla fine di ogni canto il Poletto segna quelle terzine che per istile, per bellezza, per novità, o per forza d'immagine e d'espressione parvero al Tommasèo le meglio notabili; e perché l'attenzione dello studioso vieppiù si fermi sopra quei versi che l'Alfieri nel suo Estratto di Dante, ha segnati come i più rimarchevoli, o per l'armonia, o per il pensiero, o per l'espressione o per la stravaganza, ne fa ogni singola volta un richiamo a fine di invitare il lettore a scrutare il perché il grand' uomo li abbia annotati. Però, ad evitare la frequente ripetizione della medesima frase. "L'Alfieri nota, etc.,, sarebbe stato meglio indicare, come fece pel Tommasèo, alla fine di ogni canto, i versi segnalati dall'Astigiano. Nel commentare i passi del poema che suppongono cognizioni matematiche o astronomiche il Nostro riporta a preferenza le note dell'Antonelli, già pubblicate dal Tommasèo. Ad illustrare graficamente la materia della Commedia il Poletto riproduce cinque tavole del duca Caetani di Sermoneta. Alla fine di alcuni canti pone delle note speciali che aiutano opportunatamente anche il lettore meno dotto a penetrare nella mente di Dante e dargli la intelligenza di svariate dottrine che qua e là ricorrono nel divino poema. — Di grande comodità riescono poi un rimario ed un copioso indice delle persone, dei miti e dei luoghi, in fondo al terzo volume. Queste le osservazioni d'indole generale intorno al nuovo commento. Ora scendo a quelle particolarità che mi sembrano piú degne di attenzione. Credo notevoli le chiose alla prima cantica I, c. I, vv. 37-42; 49-51; 52-54; 56-60; 61-66; 70-72; 8S-92; 94-95; 117; A seconda morte devesi dare il senso di inferno o di eterna dannazione: ma sarebbe mestieri al grida dare il significato di impreca„ (pag. 26). C. III, 7; "Qui surge una difficoltà che si riduce ad una vera contraddizione, forse la sola in cui Dante sia caduto. Se la terra non era ancora formata, e l'autore, in quanto alla creazione dell' Inferno, puossi tuttavia spiegare senza manifesta discordia tra un luogo e l'altro del poema, nessuno può salvarlo da questa discordia rispetto all'Inf., XXXIV, 121-124, circa al precipitare di Lucifero dal cielo nel profondo dell' Inferno: la cosa è grave e rincresciosa, ma il vero è vero. (pag. 55) „ 10, 49, 53, 59, 65; crede che tutti i dannati sieno nudi ad eccezione degli ipocriti il cui faticoso manto è parte del loro tormento; dubita sugli abitatori del Limbo (p. 65). III: trova "notabile che Dante faccia bastonare chi s'adagia o cerca riposo o comodità; com'è notabile del pari che il poeta d'ogni civile operosità non mai usasse la voce adagio. Vorrebbe “che i giovani avessero la pazienza di studiare e raffrontare in ogni parola dell'Autore i due nocchieri dell'Acheronte e della foce del Tevere „. (p. 71) C. V, 34: nella ruina ravvisa "un vero e proprio scoscendimento della roccia, contro il quale sono dalla bufera scaraventati que' miseri, onde ad ogni nuovo giro della rapina in loro si rinnova il dolore, le urla e la disperazione bestemmiante la virtú divina. „ (p. 103), 96. Si tace: "Si deve pensare che Dio, quando dall' uomo vuole un fine, dà i mezzi necessari; e siccome Dante doveva trar profitto per sé e per i suoi lettori del colloquio con Francesca, per divina disposizione il vento, pur continuando per le altre anime, momentaneamente si tace, sta queto, si ferma, sospende la sua rapina pei due cognati...., (p. 114) 138. Questo verso, che il poeta milanese traduce tanto magnificamente nel Per tutt quel di gh'emm miss el segn e s'ciavo! * pel Poletto è creazione michelangiolesca: non trova altro sí potente riscontro a questo punto che l'altro potente del pari in bocca di Ugolino Poscia più che il dolor poté il digiuno. XXXIII, 75; tempo felice è espressione bastevole per intendere che la cosa ebbe una durata, un periodo di tempo, per quanto resti indeterminato „. (p. 122). C. VI, 58, Vede “in Ciacco un goloso bensí, ma non ghiottone plebeo, che gli uomini di cittadine virtú avrebbero avuto in obbrobrio e respintolo, non mai chiamato e tenuto in conto.... un uomo non estraneo ai pubblici affari e all'andamento politico di Firenze, e alla conoscenza piena delle persone e dei partiti (p. 130) e C. VII, 46-48: papi e cardinali sono i prodighi, perché "chi voglia spassionatemente considerare i luoghi almeno più celebri del poema, dove il poeta riprende negli ecclesiastici l'amor dell' avere, si persuaderà facilmente che piú che all'avarizia Dante tende l'arco alla loro prodi แ galità,,. (p. 148). Secondo il commentatore quindi mal dare è peccato più grave che mal tenere, essendo i prodighi alla sinistra. Secondo san Tommaso la prodigalità per sé è meno grave dell'avarizia (P. IIa, della IIa, Quist. 119, art. 3) onde conviene ritenere che circostanze speciali rendessero a giudizio di Dante la prodigalità dei papi e dei cardinali piú grave di quello che non sia considerata da sé sola. Nota, "Superbia ed invidia, in quanto si mantennero passive, hanno punizione nella palude Stige; ma in quanto si svolsero in atto essendo cagione dei più gravi eccessi sono punite nel Pozzo „,. (p. 162) C. VIII, 120. E nella nota ai versi 61-63 del C. IX, vede nella Medusa "l'allettamento ai beni terreni, ai mondani diletti, a quella che genericamente il nostrɔ autore chiama false immagini di bene Per lui Medusa "vale l'antica strega o donna seducente che il poeta sogna nel Purgatorio (XIX, 7 e 58), p. 206. C. X, 28-30 "cimitero, piú che tomba, significa luogo seminato di tombe; se per tutti gli epicurei ammettasi una sola tomba, di necessità una sola tomba bisogna ammettere per ogni altra singola eresia, e non piú: e allora si domanda: quante poi possono essere codeste eresie da aver bisogno di sí grande campagna, e cosí fitta di tombe da non lasciarvi che qualche angustissimo sentiero? dunque per cimitero io intendo uno scompartimento di tombe, un tratto di terreno sparso d'avelli, onde divido la campagna in tante sezioni quante sono o possono essere le eresie; ogni eresia ha il suo scompartimento e molte tombe, quante possono essere le varie gradazioni di maggiore o minore reità nei professanti l'eresia stessa; per ogni gradazione una tomba...„. (p. 213) 45; ond ei levò le ciglia un poco.... atto di chi cerca risovvenirsi di qualche cosa, dicono i chiosatori; e a me pare invece che sia atto del tutto contrario, di chi cioè, avendo troppo ben capito, né avendo bisogno d'altre ricordanze, sente vivo cruccio di quanto ha inteso e si prepara al ripicco „. (p. 217). 63 Il disdegno di Guido è “punto assai grave e per ora indecifrabile,, (p. 221) C. XI, 8-9. Nella scritta di papa Anastagio il Poletto non vede "altro che un'opposizione diabolica, come se i diavoli, che tutto avevano infruttuosamente messo in opera per impedire al poeta l'ingresso nella città di Dite, volessero, scornati, fare un altro, ma piú coperto ed astuto tentativo, per render vano il mistico viaggio, facendo titubare la fede di lui nella verace ed infallibile guida del papa come organo dello Spirito santo (Par., XI, 98) a tutto il mondo cattolico (Par., VI, 16-21) p. 237. C. XIII, 73. Al Poletto le nuove radici " non pare che siano quelle del tronco sibbene quelle della cima (v. 44) che Dante si lasciò cadere di mano: che questa cima, caduta a terra, mettesse radici, e col metterne si crescesse dolore al dannato basta leggere la preghiera d'altro dannato (vv. 139-142) fatta apposta per quello ch'egli spiega, e l'avervi assentito Dante chiama Carità del natio loco; perché carità? perché toglieva a quello sventurato cagione di nuovo tormento n. (p. 281). Nota. Secondo il Poletto colui che si fe giubbetto delle proprie case non sarebbe un suicida ma un violento taccagno, che si è consumato a morte sulla sua mal vagheggiata e nelle sue case nascosta ricchezza.... Pertanto la selva conterebbe : 1o) suicidi, come Pier delle Vigne; 2°) scialaquatori, come Lano e Jacopo di Sant'Andrea; 3°) avari spilorci, come Rocco de Mozzi; i primi violenti contro sé stessi; gli altri, violenti, in opposto modo, colle loro sostanze. (p. 293). Notabilissima la chiosa ai versi 146-150 dello stesso canto. Nota al C. XIV; il Veglio del Monte Ida: “ma la creazione di Dante... non può comprendere che il simbolo del processo morale in genere dell'umanità, quale lo abbiamo dalla tradizione per gli antichi poeti, specialmente in Ovidio, ma piú ancora della Rivelazione; onde fa duopo distinguere l'umanità in due grandi periodi rinnovantisi, da Adamo a Cristo, da Cristo in giú, (P. 313) C. XV, 97-98 Virgilio volendo volgere un'occhiata a Dante per meglio stampargli nella mente le sue parole d'encomio, si volge in su la gota destra non tanto perché parte più fausta, quanto per non volgere il dosso al povero dannato, e non mostrarsi sgarbato ad uomo di tanto valore e merito quanto ne poté capire dalle parole di Dante „. (p. 334). C. XVI Nota. La corda onde Dante pensò di prender la lonza alla pelle dipinta, significa la "magnanimità che da ogni frode rifugge e che s'identifica colla carità, fonte di ogni giustizia „,. (p. 358) Notevoli le chiose ai vv. 43-45. (pag. 345). C. XIX, 85-93; 106-111; C. XXI, 1-6; C. XXIV, 70-75; C. XXVI, 132: Alto passo: Il Poletto intende non le colonne d'Ercole, ma bensí la linea equinoziale, perché "in tal guisa, e solo cosí il viaggio di Ulisse dall' equatore alle vicinanze della montagna del purgatorio, diventa, per la distanza, possibile; perché solo ammettendo che per alto passo s' intenda l' equatore, il viaggio da quel punto al purgatorio si poteva fare in cinque mesi, calcolando un quindici miglia al giorno, ma torna affatto impossibile se per alto passo แ แ „. (p. 573). Nuovo e pre si voglia intendere il punto dell'Atlantico dopo usciti di Gibilterra „ gevolissimo il commento ai vv. 112-114 del C. XXVII: "siccome son nove gli ordini angelici, ogn' uno de' quali è movitore d'uno de' nove Cieli, secondo la mutua corrispondenza; e siccome udimmo che degli Angeli ne caddero d'ogni ordine, è notabile che qui, che siamo nell'ottavo de' nove Cerchi infernali, si parli de' Cherubini, che formano appunto l'ottavo ordine angelico, a minori ad majus. Questo fatto vorrebbe dunque significare che in quella guisa che gli Angeli Santi hanno in custodia un cielo (corrispondente per numero a quello del loro Ordine) gli Angeli rei hanno in custodia un cerchio infernale che corrisponde per numero a quello dell'ordine angelico onde furono cacciati? Qui nel cerchio ottavo, abbiamo i neri Cherubini, dell'ottavo Ordine, che dell' altissimo intelletto abusarono.... Cosí Lucifero sarebbe stato dell'Ordine piú alto; e delle Dominazioni, sesto Ordine, i diavoli che con tanta vigoria e resistenza s'oppongono all'entrata dei Poeti sulla porta di Dite, dove comincia il sesto Cerchio. La cosa parmi degna di serio esame „. (p. 593). C. XXVIII, 7-12; 112-114; al 107: Capo ha cosa fatta “Le parole del Mosca, passate oramai in proverbio, rinchiudono la politica dei fatti compiuti,, (p. 612). C. XXX, 61. Maestro Adamo non sarebbe di Brescia: Mons. Farabulini scrive al Poletto d'avere un documento sincrono, rogato in Bologna il 28 ottobre 1277 in cui tra i testimoni registra eziandio maestro Adamo, e lo dice appunto famigliare dei conti di Romena, ma nol fa bresciano, né altrimenti italiano, bensí inglese. Ecco le testuali parole: Actum Bononie in palatio Episcopatus bonon. praesentibus.... Magistro Adam de Anglia familiare Comitum de Romena„. (p. 658). C. XXXII, 125: non è del parere, giustamente, di que' commentatori che della buca ove sono sepolti il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggeri fanno il confine tra l'Antenora e la Tolomea; giacché i dannati della Tolomea invece di essere in posizione verticale e colla fronte piegata in giú, come quei dell'Antenora e della Caina, erano colla persona non volta in giù, ma tutta riversata, cioè supinamente stesa e coperta di ghiaccio, salvo la faccia (XXXIII, 109) “dunque il Poeta, mettendo Ruggeri nella stessa buca d' Ugolino, né facendo punto distinzione fra le qualità della pena dell'uno e dell'altro, e risultando chiaro che la posizione di Ruggeri nella buca era identica a quella di Ugolino, ne deriva che la prefata opinione che l'un dannato sia nell'Antenora, e l'altro nella Tolomea, per quanto possa essere appariscente, non ha consistenza, e la si deve rifiutare come falsa del tutto,,. (pag. 697) Al verso terribile: Poscia, più che il dolor poté il digiuno, dà un'interpretazione altrettanto terribile: "Affermare ch' ei voglia dire che veramente abbia mangiato de' figliuoli, non va, ché un uomo, dopo tanta inedia e patimenti sí fisici che morali (e i morali troppo piú veementi che i fisici) non poteva avere, anche volendolo, la forza necessaria. Dire che Ugolino intenda, come s'ingegnò di mostrare il Galanti, (Lettera IV della seconda serie, Ripatransone, 1882) il digiuno tanto mi esinaní da impedirmi che io più li toccassi e li chiamassi; come estremo conforto, non mi risponde punto punto, perché, al trar dei conti, si risolve nella prima conclusione, cioè che morí di fame. Eppure in quel verso ci si sente un che di solenne, non so che indefinito, che sgomenta; ci si sente un pensato lavorio mentale del Poeta, a dare con quello l'ultima, la suprema pennellata alla tragica scena: se drammatica è tutta la narrazione, vieppiú drammatica deve dunque essere la sua catastrofe. E l'istinto della propria conservazione è poco potente negli uomini? e in quello sciagurato, reso quasi pazzo dal dolore, sfibrato e l'intelletto e il corpo dallo sgomento e dalla fame, direste fuor del possibile, non già che abbia mangiato la carne de' suoi, ma che tratto dall'istinto e come fuor di sé, n'abbia fatto come un tentativo? Inorridite? ed egli in quel verso, com'io lo sento pare inorridito ancor più di voi: Poscia più che il dolor poté il digiuno; e se le braccia non fossero state serrate dal ghiaccio in ch'era fitto, ci parrebbe di vederlo con uno di que' gesti potenti, che ha l'umana natura, potenti perché non preparati per convenzione, dare espressione alle parole, alzando la mano al disopra della fronte, questa abbassando vigorosamente di fianco e quasi impaurito, come quell'alzata e quella piegatura fossero per iscancellare sí truce memoria „. (pag. 712) Il Poletto è il primo, credo, che afferri potentemente l'idea dantesca circa la positura dei due traditori nella ghiaccia. Serva questa chiosa di norma ai disegnatori che alle parole del conte Ugolino aggiungono anche gesto delle mani e delle braccia. Purgatorio, 1, 89 — Quella legge, ecc. non può essere che quella che in eterrno separa i due mondi, quello dei dannati da quelio dei salvi,, (p. 18). Ottima la Nota in fine del canto su Ca .... quanto di tone (p. 24). C. II, 49-51; 55-57; 79-81, Ombre vane, ecc. "sulla vanità de' morti.... è mestieri andare a rilento.... dichiaro candidamente che io non so, e credo anche vano lambiccarsi il cervello per tentare una spiegazione della diversa ponderabilità e palpabilità delle ombre e della loro sembianza corporea. (p. 41) C. III.o 112-117; Manfredi, (p. 66) 121 “l'orribilità dei peccati di Manfredi non devesi guardare in quanto all'essere di persona privata, e come peccati interni; ma in quanto peccati pubblici, che gli attirarono la scomunica, per la quale e non per altro Manfredi è qui. (p. 69) 129 "Grave mora: (p. 71) Il costume di gettare una zolla nella tomba vige anche in Lombardia, specialmente nelle campagne: i primi a compiere quest'atto sono i dolenti stessi. 133135 "Il Poeta qui non altro dice che una grande verità, la quale non può far onta a nessuno, né prestare argomento di compatire l'autore, né di menar chiasso nella propria persidia quasi avesse bestemmiato la Chiesa e le sue censure.... ci dice solo: per le scomuniche, per le maledizioni dei Pastori della chiesa finché s'è in vita non si perde la possibilità di riamicarsi a Dio. 1 (p. 72) 140 In sua presunzion: "bisogna dire che la presunzione di Manfredi consistesse in questo di non tanto persistere ne' suoi errori, troppo confidando nella misericordia di Dio, troppo credere alla propria innocenza... ovvero che troppo abbia confidato nella misericordia di Dio, senza venire a propositi efficaci di emenda.,, (p. 74). C. V, 22-24; C. VI, 49-51; 66, a guisa di leon... "L'illustre poeta Giacomo Zanella,.... ricordo che spiegando a' suoi scolari dell'Università di Padova questa terzina, disse loro cosí: Non lo vedete queste leone? se non lo vedete, io non so come mostrarvelo; e passò alla terzina seguente. Parrebbe un'arguzia insulsa, e non era invece che un'osservazione profonda. „, (p. 129) C. VIII, Nota. Aguzza qui, lettor.... "intendo che il Poeta, conscio che lo scernere a prima giunta certe verità nascoste sotto il velame dell'allegoria, non è da tutti, avverte con serietà il suo lettore a starsene bene attento, perché la cosa importa, dacché facilmente, per la sua sottigliezza, potrebbe essere non ravvisata, e il lettore potrebbe passar oltre senza badarvi.„, (p. 193). C. IX, 1 La concubina.... Il Poletto scarta l'opinione che si tratti dell'aurora lunare, e di quella che precede il giorno: intende invece di quella che sorge all'orizzonte razionale od astronomico della montagna del Purgatorio, che egli calcola avvenire alle ore undici pom. Perciò il poeta si addormenterebbe a quest'ora per sognare l'aquila all'alba che precede il giorno, cioè a quella sensibile ed apparente del Purgatorio, che sorge sei ore dopo, verso le cinque antimeridiane. (p. 98) C. XI, 25., Ramogna l'intesi da uno delle Balze, luogo di sotto la Verna, e in significato di moltitudine di rami, ciò che in montagna si dice ramillia. Quindi buona ramogna verrebbe a dire un esito felice, buona uscita di rami, buona fine ventura,, (p. 250). 105, fama. "Dante nella sua modestia s'ingannò per bene; la sua fama sarà eterna,, dice il Poletto: (p. 264) ma D. però temeva di perder vita tra coloro che questo tempo chiameranno antico. Nella Nota pei due Guidi il Poletto "intende Guido delle Colonne superato in eccellenza da Guido Guinicelli,,. (p. 270). C. XII, 56 "La superbia di Ciro consistette in ciò che egli fu un di coloro che nel giro dei secoli anelarono ad avere in mano l'impero universale del mondo, da Dio riservato a debito tempo ai soli Romani.,, (p. 280) C. XIII, 90: l'ingegnosa congettura del Blanc, accettata dallo Scartazzini e dal Casini, che fiume della mente non sia altro che la memoria, pare al Poletto che abbia troppo dello sforzo. Egli chiede: Che cosa hanno unicamente quest'anime in sua cura di vedere? per affermazione del Poeta non hanno altro che l'Alto lume, cioè Dio; ma dunque l'augurio di Dante a quell'anime non può riguardare che questo, unicamente questo, cioè la visione di Dio. (p. 307). 133-135). Si corregge la nota dello Scartazzini circa la confessione di superbia fatta dal poeta: "l'esser caduto qualche volta in un difetto impedisce forse di sentire onestamente e francamente di dire che quel difetto è biasimevole? Se fosse altrimenti, non dovrebbe parer piú sorprendente ancora che or qui tosto s'accusi di superbia, e in forma grave, e dia alla superbia la pe 1 Ma questa, come altre chiose del Poletto, nulla ci dice di nuovo, di non già notato. Lo Scartazzini, per citare un solo de' più recenti commentatori, dichiara: per le scomuniche ecclesiastiche non si perde il divino amore in modo tale da non poterlo mai più ricuperare „: e reca un passo di Fra Giordano (Predica II) dove, appunto, si legge, che "la scomunicazione dà pur pene temporali, non altro; non lega a inferno e non ti può tôrre paradiso „ IL DIRETTore. |