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poi trapungendo.... e diede ai pedanti, che dovean venire dopo di lui, l'esempio di travisare le sue più belle idee poetiche, riducendole a luoghi comuni d'allegoria e di simbolo. 1 Il Todeschini citandone le parole, sembra accettarle per vere. Il Klaczko scrive che Dante scrisse per la Donna Gentile i sonetti forse più belli e commoventi della Vita Nuova, e basta leggerli coll' animo libero da formule per convincersi che questa Donna Pietosa era proprio una donna in carne ed ossa, e non un' allegoria della filosofia, come credono molti eruditi su la fede d'un oscuro passo del Convivio. Nemmeno i costruttori di storie psichiche, osano di prendere in Dante tutto alla lettera. E allorché il poeta afferma che Beatrice è un nove si ricordano a un tratto che quello era linguaggio del tempo. Riconosciuta adunque la rettorica in un punto, perché non riconoscerla anche in tant' altri? Perché giurare col Convivio che la donna pietosa era la matrona filosofia, e non credere piuttosto colla Vita Nuova che ella era una buona e bella donna che lo riguardava da una finestra?

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Le parole oscure del Convivio probabilmente sono queste. vemi timore d'infamia e desiderio di dottrina dare, la quale altri veramente dare non può. Temo l'infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate canzoni (del Convivio) in me avere signoreggiato, la quale infamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente; lo quale mostrai che non passione, ma virtú sia stata la movente ragione,." Dico che pensai che da molti di retro da me forse sarei stato ripreso di levezza d'animo, udendo me essere del primo amore mutato. Perché a tòrre via questa riprensione, nullo migliore argomento era che dire qual era quella donna che m' avea mutato Cacciato di Firenze, peregrino e quasi mendicante era andato mostrando la piaga della fortuna, era apparso vile a molti, che fosse per alcuna fama in altra forma lo aveano immaginato. Ed al povero esule escon dal cuore queste afflitte parole: "Ahi, piaciuto fosse al Dispensatore dell'universo, che la cagione della mia scusa non fosse stata; ché né altri contro a me avria fallato, né io sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, dell'esilio e di povertà

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Questi passi del Convivio, dai quali apparisce che Dante con quell'opera, pur non derogando in parte alcuna alla Vita Nuova, voleva difendersi dalle accuse fattegli di levezza d'animo nell'amore e dall' infamia provenutagli dall'esilio, hanno dato e daranno ancora luogo a dubbi ed a nuove interpretazioni, onde non sono chiari quanto qualcuno vorrebbe.

1 Dante, ecc.: vol. I, 306, 315.

2 Causeries cit., pag. 86, 137.

3 Convivio, I, 2; III, 1, 3, 5.

TODESCHINI, op. cit., vol. II, pag. 112.

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Anche il D'Ovidio1 osservò che: "Dante volle dare ad intendere nel Convivio, che fosse puramente un simbolo quella gentildonna di cui nella Vita Nuova disse di essersi un po' invaghito dopo la morte di Beatrice.... per non parere, egli ormai uomo politico, d'essere stato troppo proclive agli amori È questa la stessa opinione già manifestata dal Carducci, e combattuta dal Bartoli e dal Lubin, nello scritto più volte citato, e che il D' Ovidio rincalza con un altro argomento di molta verità storica: "Nella mente di quegli uomini, non sarà ridetto mai abbastanza, le cose piú concrete e palpabili prendevano facilmente senso e natura di simbolo, senza per questo smettere la lor natura di cose reali „. Il che non vuol dire, come pretende il Lubin, che il simbolismo sia un ritrovato degli uomini del medio evo, sibbene il D'Ovidio ha detto, ed altri prima di lui e molto bene, che gli scrittori di quel tempo allargarono questa applicazione del simbolismo e dell' allegoria, né si può, credo, omai piú dubitare che a poesie e prose scritte con tutt' altra intenzione sovrapponessero l' allegoria. Il dire che ciò non può addursi nel caso di Dante, perché nel commento alle sue canzoni non c'è frase o parola che in tutto non convenga alla filosofia, non prova altro se non che il poeta mostrò il suo grandissimo ingegno, tanto che riuscí a persuadere molto.

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E perchè questa tendenza all' allegoria di quei poeti non si può ragionevolmente negare, come nessuno la nega, né il Carducci né il D' Ancona né altri hanno potuto chiamare Dante mentitore per un fine politico, e destramente mentitore come giudicò il Bartoli, cui l'accusa pare enormemente grave. Pel Gaspary non può esser dubbio sulla realtà originaria della Donna Gentile, e di questo piccolo inganno che si permise il poeta coi suoi lettori, non gli si può fare un delitto, perché l'amor che a lui sembrò colpevole, non fu che una inclinazione innocente e di poca durata. Ed anche pel Fornaciari, è un errore capitale il voler vedere nell' amore della Donna Pietosa qualche cosa di malvagio o di lascivo, e credere che il poeta lo condanni come tale. Anzi dal contesto si ricava il contrario, "e se poi lo dice vilissimo, contrario alla costanza della ragione, malvagio, e vana tentazione, ciò non tocca menomamente la donna, ma lui stesso, che si credeva obbligato a raccogliere tutti i suoi affetti nella morta Beatrice .

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Il Todeschini è d'opinione che i tre o trenta mesi, quanti stette Dante a penetrare nei segreti della filosofia, hanno tanto che fare col tempo dell' innamoramento di lui in una seconda donna, quanto gli abitatori della luna colla questione d'oriente. E, molto a proposito, os

1 La Vita Nuova di Dante ed una recente edizione di essa. FRANCESCO D'OVIDIO, in Nuova Antologia, fasc. VI, 15 marzo 1884, pag. 238 e segg.

2 A. LUBIN, Dante spiegato con Dante e polemiche dantesche. Trieste, Balestra, 1884. 3 A. GASPARY: St. della lett. ital. I: pag. 230. FORNACIARI: Studi, pag. 159.

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serva che nello esporre la lettera e l'allegoria della canzone Voi che intendendo il terzo ciel movete, il poeta ci narra due storie diverse, l'una amorosa, l'altra letteraria, che sono ambedue verissime, che nella vita di lui si compenetrarono in un solo corso di eventi, ma che nella forma in cui ci vengono da esso presentate rimangono scompagnate e distinte per modo, che i fatti ed i tempi dell' una si staccano compiutamente da' fatti e da' tempi dell'altra. Non dirò del D' Ancona, di cui la certezza della realtà reale della Donna Gentile è nota agli studiosi di Dante, e dello Scartazzini basterà il ricordare che si sforzò a tutto potere per far nuovamente riconoscere in quella la Gemma Donati, sebbene con risultato non felice. Ma del Tommaséo, che nell'analizzare gli amori di Dante è rimasto insuperabile, è pregio del discorso riferire queste parole, che il D'Ancona e il Carducci approvano pienamente come quelle che esprimono il vero. "Quel cercare di vedere la donna cara, e maledire gli occhi suoi che in essa si pascono quel voler piangere la Beatrice estinta, pur sospirando alla viva, e fremere quasi di non poter piangere, e far suo dovere del lutto, e guardare con terrore la speranza, questa vittoria delle memorie sul senso, d' un' idea sugli affetti: questa morta rivale della viva. ... questo amore insomma del quale la donna è manifestatrice e quasi istigatrice, senza punto perdere della sua dignità: non vi par egli cosa che valga per cinquanta sonetti di Francesco Petrarca? Solo colui che in sua vita sperimentò alcuna cosa di simile, può sentire quanta poesia si nasconda in questa particella della vita di Dante, può conoscere come in questa battaglia amorosa sia rivelato al cuore dell' uomo uno de' suoi piú cari segreti e tremendi." - E altrove, del Convivio: Vorrebbe il poeta darci ad intendere che per un amore allegorico egli sospirò e pianse tanto; ma sarà lecito in ciò non credere a Dante. La canzone (Le dolci rime) d'una donna vestita d'umana carne: il Convito composto da Dante, esule filosofo e politico teologante, vuol trarre ad allegoria le cantate rime d'amore, sí, per secondare l'umor del tempo, che di simili avvolgimenti si dilettava, onde la scienza e l'arte talvolta parevano enimmi: poi per nobilitare con arcane interpretazioni i giovanili concetti d'amore, e far pompa di dottrina, affettazione a que' tempi comunissima, e cara a Dante; da ultimo, perché veramente, come dalla Vita Nuova apparisce, nelle perfezioni di Beatrice, ancor viva, e' riconosceva il simbolo del bello e del vero ideale. Un germe simbolico si trovava già nella canzone, ma nel comento il poeta ne fece una grande pianta ehe cela l'imagine viva della sua donna. Perocché dice che in lei è tutta ragione, che gli occhi di lei sono le dimostrazioni della filosofia e che il tramutargli che ella faceva i suoi dolci sembianti, significa la scienza ritrosa a certe sue indagini sulla prima

1 Scritti cit., Vol. I, pag. 318, 319.

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materia degli elementi. Questa menzogna filosofica, che corrompe e distrugge la poetica verità, non è punto bellezza, e giova notarlo. Il simbolo a tempo è cosa altamente poetica, filosofica, religiosa; ma senza misura adoperato, fa della religione e della scienza un lungo vaneggiamento, e trasmuta la viva luce poetica in nuvola opaca. Anche il D' Ancona, nota che la canzone Voi che intendendo, non è compresa nella Vita Nuova, e spiegata la ragione perché Dante identificasse le due gentili donne, dice il Convito un' opera provvidamente interrotta, forse perché, cosí il Carducci, ben presto le dottrine filosofiche parvero al poeta troppo ritrose a contenersi entro i limiti del simbolo d'amore, o piuttosto la sua intelligenza si sentí gravata e stanca del seguitare cosí sottilmente un sistema allegorico per tutte quelle forme sensibili e per tutte le modificazioni d' un sentimento reale e naturale.2 All' ingegno acuto non risponde piú l'arte e la materia non vi risponde; dalle poesie filosofiche, morali e dottrinali, dal Convivio, preparazione scientifica alla glorificazione di Beatrice, s' intende che, senza un grande avvenimento nella vita del poeta, non avremmo potuto avere la Commedia quale noi l'abbiamo. Di questa noi siamo debitori a un turpe satellite di messer Carlo di Valois e di Bonifazio VIII, il conte dei Gabbrielli.

In fine, un altro giudice severo il Convivio ha trovato nel Trezza, e colle parole di lui ne piace conchiudere intorno a questa parte. "Quel Convivio di Dante, in cui la prosa va cosí dilombata, cosí tarda, cosí contorta di metafore strane, in cui le dottrine medioevali diventano ancelle di un amore simbolico, non mi pare che riveli tutto il sentimento del poeta. Vero è ben ch'ei confessa il nuovo amore per la filosofia come per una donna che lo redime e lo salva dall' altro che gli siede profondamente nell' anima piagata: ch' ei ci parla di battaglie lunghe e dolorose sofferte per vincerlo. Ma io credo che gli studi filosofici a cui Dante s'era dato dopo la morte di Beatrice non avessero tanta virtú d'esaltarlo in quelle fiamme divine ch'ei dice. La donna che lo guardò pietosamente e gli destò nuovi amori, nuove battaglie e nuovi disinganni; la donna contro la quale ei scaglia parole cosí roventi, cosí superbe, cosí acri, era qualcosa di più della filosofia: se dopo, per nascondere agli altri i nuovi misteri del cuore, convertí quella donna nella filosofia, come convertí Beatrice nella teologia, ciò non toglie che sotto alle astrazioni recenti e postume ci sia spesso il grido di un'anima offesa, la confessione di battaglie e di peccati arcani che mal s'addirebbero ad una donna simbolica.

La donna in cui peccai

1 Op. cit., pag. LIV, LXVII.

2 D'ANCONA, V. N., pag. LIV - LXXVIII CARDUCCI: Studi, pag. 198.

non avrebbe senso in quel caso, o ne avrebbe uno contrario agli intendimenti del poeta.1„

Pel Fornaciari gli alquanti giorni di malvagio desiderio sarebbero un breve periodo dei trenta mesi, venendo cosí a trovarsi d'accordo col Todeschini, di cui lo scritto più tardi conobbe, e tra l'azione della Vita Nuova e la divina Commedia, in quella chiaramente accennata, sarebbe una lacuna di molti anni (almeno otto) nei quali s'interpongono la vita politica e la debolezza morale di Dante. Anche pel D'Ancona, pel quale la Vita Nuova è opera del 1300, i rimproveri di Beatrice, oltre che ai vizi, si rivolgono sopratutto a qualche appassionata partecipazione nelle pubbliche faccende, e un terzo deviamento di Dante sarebbe questo verso la scienza per sé medesima, insufficiente e vana nel caso di Dante. Poiché dei vizi, o meglio della vita dissipata in cui Dante cadde abbiamo detto assai, poche osservazioni rimangono. Dato che la Vita Nuova fosse scritta, come non par dubbio, verso il 1295, da qui al 1300 abbiamo l'amore nuovo per Gemma Donati ed il matrimonio di Dante, gli studi filosofici e teologici cui si diede, con un probabile viaggio a Parigi, e la parte presa nei consigli del Comune. Come si può conciliare tutto questo con un ricadimento nel vizio, e tale che per risorgere altro modo non restava a Dante e altra via che quella dell'eternità? In quei consigli sappiamo che Dante parlò e votò contro le pretensioni papali di Bonifacio VIII, prima cagione del suo esilio. Forse volle egli nel Convivio scusarsi dalla taccia di anticattolico datagli per questo colle altre piú terribili e false accuse? Chi lo sa! Certo è che sentendosi puro di coscienza per avere bene operato in pro della patria, dello esilio si gloria in una canzone veramente allegorica, allorché l'uomo scappa fuori dall' agghiacciato cappuccio del dottore scolastico: nella canzone Tre donne, ei dice:

L'esilio che m'è dato onor mi tegno:

e se giudizio, o forza di destino,

vuol pur che il mondo versi

i bianchi fiori in persi,

cader tra' buoni è pur di lode degno.

Qui è proprio il Dante della Commedia nella quale aveva già cominciato a dannare i nemici suoi e della patria accanto a Beatrice glorificata. E nella Commedia condanna Bonifacio, e Corso Donati, e persegue d'odio chi fu cagione dei mali suoi e del mondo, in presenza di Beatrice che gli sorride e dei santi che dopo confermatolo nelle sue opinioni circa alla malaugurata congiunzione della spada col pastorale, rimangono sodisfatti delle sue confessioni religiose e lo incitano

1 G. TREZZA, Dante, Shakespeare, Göthe nella rinascenza europea. Verona, Tedeschi, 1888, pag. 38.

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