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E se natura od arte fe' pasture

da pigliare occhi, per aver la mente,
in carne umana, o nelle sue pinture,
tutte adunate parrebber niente

vèr lo piacer divin che mi rifulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.

E quel riso fa che Dante s'inalzi velocissimo d'uno in altro cielo. Quel riso che pur nel fuoco d'inferno renderebbe un uomo felice, e che Dante poco a poco riesce a sostenere, non può essere ritratto dalla più alta poesia:

Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polinnia colle suore fero
del latte lor dolcissimo piú pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso,
e quanto il santo aspetto facea mero.

Concetto poi ripetuto; ma ampliato:

Se quanto infino a qui di lei si dice
fosse conchiuso tutto in una loda,
poco sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza ch'io vidi si trasmoda

non pur di là da noi, ma certo io credo
che solo il suo Fattor tutta la goda.

Da questo passo vinto mi concedo,

piú che giammai da punto di sua tèma

soprato fosse, comico o tragedo;

ché, come sole in viso che piú trema,
cosí lo rimembrar del dolce riso
la mente mia di sé medesma scema.
Dal primo giorno ch'io vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
non m'è il seguire al mio cantar preciso;
ma or convien che il mio seguir desista
piú dietro a sua bellezza, poetando,
come all'ultimo suo ciascuno artista.1

Ricordata colla Beatrice beata la fanciulla terrestre, quasi a rammentarci che ella è sempre quella, lascia a miglior cantore di compiere la sua lode. E qui ne piace conchiudere questo qualsiasi scritto, col De Sanctis, che la forza che tira Dante a Dio è l'amore, è Beatrice, ch'egli, nonostante le sue infedeltà, ebbe sempre in cima del suo pensiero : sí che lo vinse e trionfò. Ma: "Dante che nel Purgatorio sentí il tremore dell'antica fiamma, qui ode Beatrice con un sentimento vicino

'Parad: XXVII, 91: XXIII, 55: XXX, 16: XXXI, 79. Sul riso di Beatrice: PIER GIACINTO GIOZZA. Il sorriso di Beatrice, studio estetico critico. Cremona, tip. Sociale, 1879.

alla riverenza. Quando ella si allontana, ei non manda un lamento: ogni parte terrestre è in lui arsa e consumata. Le sue parole sono affettuose; ma è affetto di riverente gratitudine, siccome nel piccolo cenno che gli fa Beetrice, l'amore dell'uomo come ombra si dilegua nell'amore di Dio, ella lo ama in Dio.

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1

Cosí orai, e quella sí lontana

come parea, sorrise e riguardommi

poi si tornò all'eterna fontana.

Storia della lett. ital., Vol. I, pag. 256.

APOLLO LUMINI.

CHIOSE DANTESCHE

"CAMPO PICEN.

(Inf., XXIV, 148.)

Nella divina Commedia c'è una serie di luoghi, i quali godono per cosí dire della prerogativa di essere sempre e poi sempre oggetto d'interpretazione; e spiegati già cento e cento volte stimolano sempre da capo il genio dei commentatori, ed in essi vien spesa e profusa ognora di bel nuovo arguzia sopra arguzia, e ciò spessissimo senza che si riesca a approfondare essenzialmente l'intendimento delle parole del poema.

E oltre a questi ci sono altri luoghi, i quali esigerebbero non meno di quelli un esame accurato, sui quali però i commentatori, l'uno dopo l'altro, passano senza curarsene contentandosi con strana modestia ripetere semplicemente la spiegazione da altri già data.

Fra questi luoghi trascurati è da annoverare quello alla fine del canto XXIV dell'Inferno, ove fa Vanni Fucci il pistolese la profezia, che la sconfitta decisiva dei bianchi avrà luogo "sopra campo Picen,.

Finora la quistione, che cosa significhi questo campo Piceno, sta "sub judice „; merita però al pari di tante altre di essere risoluta. E per passare in rivista prima di tutto quel che è già fatto, dirò che in due modi diversi i commentatori hanno risposto al quesito.

Gli uni, attenendosi, strettamente alla lettera, dicono francamente:

I neri di Pistoja comandati dal marchese Malaspina, sconfissero il partito bianco sopra campo Piceno, e questo campo Piceno si trova vicino a Pistoja. Il Vellutello, che vuol essere più preciso, aggiunge " sotto il castel di

Fucecchio

Altri lo suppongono situato "tra Serravalle e Montecatini Ora però un campo Piceno non esiste né nella contrada di Fucecchio né in quella tra Serravalle e Montecatini. Anzi, come attesta il Tigri (Pistoja e il suo territorio, pag. 352), in tutto il territorio di Pistoja non c'è nessuna località che porti questo nome.

Questo fatto, di cui non si potea non tener conto, indusse altri a prendere un'altra strada e a trasformare addirittura il nome del campo. Se

condo loro Piceno equivale a Pisceno e questo a Piscenese, il che non sarebbe altro che Pesciatino. E con questo giro si torna a quella medesima pianura di Fucecchio, in cui la Pescia s'impaluda.

Ma girare e storcere cosí le parole e confessare che si dispera di spiegare il vero senso del poeta è tutt'uno, e secondo me la seconda spiegazione vale quanto la prima.

A tutt'e due, come del resto a tutti gli altri tentativi fatti nella stessa direzione, si oppone inoltre il fatto importantissimo e decisivo, che nei combattimenti, i quali soli possono essere l'argomento della profezia di Vanni Fucci (vale a dire nelle spedizioni dei Lucchesi e Fiorentini riuniti contro ai bianchi di Pistoja negli anni 1302 e 1305-6) non ebbe luogo mai una battaglia in campo aperto. Il che nessuno dei commentatori ha preso in giusta considerazione. Sennonché il solo Scartazzini fa chiaramente menzione di questa circostanza, ma né anche lui ne tien conto in seguito. Altri, invece, si mettono in aperta contraddizione coi fatti storici riferitici colla massima precisione, ciò che non saprei affatto spiegarmi. Fra essi il Fraticelli, per esempio, dice: "La battaglia, come può vedersi nelle storie pistolesi, avvenne l'anno 1302 nel piano, che è tra Serravalle e Montecatini, vale a dire nell' agro o campo pesciatino o piscenese „.

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Ora l'anonimo autore di queste Istorie pistolesi (Muratori, Rer. Ital. Script., XI), citate dal Fraticelli, è proprio per noi íl testimone piú importante dei fatti in questione. Ma dal suo racconto, minuto e chiaro, il quale manifesta che il cronista abbia visto ciò che descrive, risulta, tutto al contrario, che nell'anno 1302, quando tutti gli sforzi dei confederati si riunirono a impadronirsi del castello di Serravalle, strettissimamente serrato da tutte le parti, non avvenne nessuna battaglia nel piano tra Serravalle e Montecatini Inoltre egli sarebbe stranissimo, che Vanni Fucci volesse fare argomento della sua profezia la presa di un castelluccio di poco rilievo, mentre si prestava subito la caduta tremenda, avvenuta a distanza di pochi anni, della città intera, la quale catastrofe, per la grandezza e la forza delle passioni, rassomiglia alla rovina di Cartagine. Nello stesso modo però come nell'anno 1302 Serravalle, anche Pistoja nel 1305 dal principio della guerra fu strettamente serrata con battifolli e fosse e steccati e bertesche "acciocché nessuna persona ne potesse uscire che non fosse presa o morta né per tutto questo tempo fino all'aprile del 1306, quando la città per la fame fu costretta a rendersi, mai avvenne un combattimento fuori della circonvallazione.

Cosí racconta il cronista pistolese, e con lui va interamente d'accordo il suo grande collega e contemporaneo fiorentino Giovanni Villani (VIII, 51 § 82). Ed anche gli storiografi più recenti, come il Manetti (1446) e il Salvi (1656), descrivono gli avvenimenti nello stesso modo. Un combattimento sopra campo Piceno, come lo intende l'ovvia interpretazione dantesca, non viene menzionato proprio da nessuno.

Ma che cosa dunque Dante intese dire con questo campo Piceno?

La strada ce la insegna qui, come nella spiegazione del veltro, Giovanni

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Villani, i di cui misteriosi rapporti col nostro poeta sono degni di studî attenti e continuati. '

"

Anche il Villani fa menzione del campo Piceno, non però dove parla degli avvenimenti degli anni 1302 e 1305-6, ma in occasione della sconfitta di Catilina. Egli descrive, come, fallita la congiura per opera di Cicerone, Catilina deliberò per suo consiglio.... d'andarsene in Francia,, come tentò a schifare Metello, che era già in Lombardia con l'oste sua di tre legioni, che venía di Francia,,, e come poi da questo e dagli altri due capi Antonio e Petrejo venne costretto al combattimento fatale di là ove è oggi la città di Pistoja nel luogo detto campo Piceno, cioè disotto ove è oggi il castello di Fucechio, (I, 32).

Ma questa dunque sarebbe una prova, che presso Pistoja veramente esiste un campo Piceno, servendosi il Villani perfino quasi delle stesse parole come il Vellutello? No davvero. È possibilissimo che il Vellutello abbia tratto la sua annotazione semplicemente da questo passo del Villani, e le parole di questo vogliamo esaminarle ancor un po' più minutamente prima di accertarle come testimonio irrefragabile.

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Il Villani, per il racconto della congiura di Catilina, indica due volte espressamente Salustio come fonte ("Siccome racconta ordinatamente Salustio „ I, 30, e chi questa istoria piú appieno vuole trovare, legga il libro di Salustio detto Catilinario, I, 32). Salustio però cosí descrive la situazione di Catilina:

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"Reliquas Catilina per montis asperas magnis itineribus in agrum Pisto"riensem abducit, eo consilio, uti per tramites occulte perfugeret in Galliam Transalpinam. At Q. Metellus Celer cum tribus legionibus in agro Piceno "praesidebat, ex difficultate rerum eadem illa existumans, quae supra dicimus, 2 Catilinam agitare. Igitur ubi iter ejus ex perfugis cognovit, castra propere "movit ac sub ipsis radicibus montium consedit, qua illi descensus erat in "Galliam properanti, (Sal. Cat., cap. 57).

Ora non c'è dubbio, che l'ager Picenus qui menzionato da Salustio non è altro che quella parte conosciutissima dell'Italia antica situata sulla riva Adriatica, dove, per la leva di truppe, era stato mandato Metello (Sal. Cat., cap. 30). È vero, che da li fino al teatro della catastrofe catilinaria la strada sarebbe stata piuttosto lunga. Ma dalla seconda orazione catilinaria di Cicerone sappiamo, che per la leva a Metello venne assegnato non soltanto l'agro Piceno, ma pure l'agro Gallico, il quale comprese il litorale da Sena Gallica fino a Ravenna, e da colà non c'era da percorrere una distanza

1

Nella mia traduzione dell'Inferno, dove tratto del veltro, accennai (pagg. 21 e 22) già al sorprendente accordo, in parte letterale, che corre tra la profezia enimmatica di Dante e un luogo della Cronica del Villani. La spiegazione, che lí diedi del veltro, ed alla quale questo fatto mi indusse, venne accolta molto freddamente dalla critica. Ora Carlo Cipolla nel suo argutissimo opuscolo Di alcuni luoghi autobiografici nella d. C., ha nuovamente intavolato la questione del rapporto tra Dante e il Villani, e quando si sarà riuscito a risolverla, la critica forse dovrà degnarsi di prendere ancor una volta in considerazione un po' piú minuta, che non sia stato fatto finora, la mia interpretazione del veltro.

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