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lo crediamo: egli veniva da quel luogo del primo cerchio che, di tutto l'Inferno, è il solo illuminato, perchè l'«onrata nominanza» degli spiriti eletti che lo abitano

grazia acquista nel ciel che sì gli avanza:

[Inf., IV, 78]

mentre invece le altre anime, com'è noto, sono dannate eternamente nella

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giunto poi infino alla lumiera ed entrato nel nobile castello, ei si trarrà, con gli altri cinque poeti,

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o, come dirà tosto appresso [per far anche meglio spiccar quivi il contrasto con di fresca verdura », lieto di viva luce], giungerà

... in loco d'ogni luce muto.

[ib., V, 28]

« il prato

Lo scialbo colore dei sepolti vivi nelle tetre carceri d'un tempo» [Bertana] non poteva aver dunque reso fioca l'ombra di Virgilio, la quale, per giunta, di breve soltanto s'era dipartita da quella privilegiata regione infernale.

Nè l'accennata frase dell'entusiastico:

Onorate l'altissimo poeta!

l'ombra sua torna, ch' era dipartita,

[ib. IV, 80]

può toglier valore all'affermazione che soltanto di breve Virgilio avesse lasciato la compagnia de' quattro poeti; essa attesta semplicemente la gentilezza d'animo onde tardava loro il ritorno dell'eletto collega.

Si ricordi infatti la premurosa fretta con la quale Virgilio promise a Beatrice di muovere in aiuto dello sventurato amico di lei:

Tanto m'aggrada il tuo comandamento

che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi:
più non t'è uo' che aprirmi il tuo talento;

[ib. II, 77]

si ripensi quella sollecitudine, non ritardata che dal desiderio di Virgilio d'udire la cagione. onde Beatrice non s'era fatta riguardo di scender dall' empireo nell'inferno; quella solleci tudine che l'anima cortese mantovana credette anche opportuno dichiarar tosto a Dante stesso, quando, riferita la preghiera di Beatrice, soggiunse:

Poscia che m'ebbe ragionato questo,
gli occhi lucenti lagrimando volse;
perchè mi fece del venir più presto;
e venni a te, così com'ella volse:

[ib. II, 115]

si ripensi, dico, tutto questo e si ficonoscerà che la successione, evidentemente rapidissima de'fatti, esclude quel lungo spazio di tempo che sarebbe durata l'assenza di Virgilio dal limbo. Ma la successione rapida dei fatti, anzi che interrotta, è meglio dimostrata dal breve [ib. II, 86] racconto di Beatrice, il quale dà appunto la misura del ritardo frapposto da Virgilio all'esecuzione de' voleri di lei.

La donna gentile chiese Lucia e le raccomandò il suo fedele; Lucia si mosse e venne a dimandar a Beatrice perchè non soccorresse lui che l'aveva tanto amata e che per lei era uscito della volgare schiera; Beatrice poi, temendo già il proprio amico sì smarrito che il soccorso non gli giungesse omai tardo, così efficacemente esprime a Virgilio nel limbo la sollecitudine propria:

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Dante stesso infine riconferma la prontezza di Virgilio nell'accorrere a lui, quando, per ringraziarnelo, esclama:

O pietosa colei che mi soccorse,

e tu cortese, che ubbidisti tosto

alle vere parole che ti porse.

[Inf., II, 133]

Codesta sollecitudine di Virgilio del resto appare tanto chiara e singolare da offrir ar

gomento ad un' altra e men studiata spiegazione letterale del nostro verso: Virgilio cioè si sarebbe rimasto a lungo in silenzio per riprender la favella che l'ambascia della grande fretta gli avea tolta, rendendolo così fioco da non poter proferir verbo; non altrimenti Dante nel salire sull'argine settimo di Malebolge perdette la lena e, volendo pur mostrarsene meglio fornito che non fosse,

parlando andava per non parer fievole (1);

[Inf., XXIV, 64]

dove si vede che anche tacendo, uno può parer fievole o fioco che si voglia dire.

Ma senza notare che non sarebbe conveniente presentare per la prima volta il personaggio in quella fretta

che l'onestate ad ogni atto dismaga»,

ed a tacere inoltre che « Virgilio supera [quasi sempre] senza pena tutte le difficoltà del viaggio, mentre la persona di Dante è tanto affannata», io non contraddirò qui a quanto scrissi altra volta sull'argomento: Virgilio, cioè, fin dal primo apparire, è veduto e immediatamente richiesto di soccorso da Dante, cui, rivelandosi, egli immediatamente rassecura! Ed anche questo appar chiaro dalla narrazione dantesca (2).

Tolte così, per materiali ragioni di tempo, la lunghezza del silenzio, cioè la qualità [per le conseguenze che qui se ne vorrebbero trarre] essenziale di esso, ci pare ozioso l' esaminare il resto della nuova interpretazione. A me sembra, per esempio, che Dante avrebbe meglio determinata quella relazione fra le due metonimie dal Bertana ravvicinate; che cioè vi avrebbe detto almeno per il lungo silenzio, o meglio: per quel lungo silenzio, quasi sottintendo: di che toccai or ora; poichè insomma, quanto poeticamente bella e chiara è la prima metafora là dove il sol tace, altrettanto oscura e diciam pure strana appare la seconda, quel silenzio cioè in luogo di tenebra. Quant' al fioco poi, se « nessun esempio tratto dalla divina Commedia - come scrive il Bertana ci licenzia a credere che ai morti, con la persona, sia tolta o solo affievolita la voce », nessun esempio tratto dalla d. C., soggiungerei, ci licenzia nemmeno a credere che la tenebra abbia mai, di per sè sola, munta via la tinta della faccia ai trapassati: eppure tutt'e due i fenomeni sarebbero o parrebbero egualmente evidenti e naturali.

:

Concludiamo. Il nostro contraddittore, se ne abbiam bene compresa e bene esaminata la nuova interpretazione, non sembra dunque che nel martoriato verso abbia veduto un senso letterale meglio sodisfacente di quello che altri s'ingegnò d'escogitare: è necessario quindi, e per il senso letterale, chi ne vegga alcuno, e per l'allegorico, starci sempre contenti alla prolessi. Il Casini perciò riferirà quivi semplicemente la bella chiosa allegorica dello Scartazzini e questi poi, nel recentissimo suo commento non troverà di meglio, per il senso letterale, che rifarsi addirittura al 1324, e ripetere col più antico interprete di Dante essere Virgilio quasi deletum ex longa taciturnitate et tenuis ac modice sonoritatis quia dudum fuerat ex vita sublatus» [Ediz. minore, Mil. Hoepli, 1893].

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(1) 0. Antognoni., Saggio di studi sopra la Commedia di Dante, Livorno, 1893; pag. 4 e segg. Cfr. il Giornale dantesco, an. I, quad. III, pag. 130 e segg. Le varie questioni sull'argomento sono quivi riprese in largo esame dal ch. prof. G. Maruffi.

(2) Di una terzina dantesca, Udine, 1885. Cfr. G. Finzi, Saggi danteschi, Torino, 1888; pag. 142 e segg. Il mio scritto sull'argomento, già apparso in limitato numero di copie, riapparirà forse, per gentile invito del direttore, nel Giornale dantesco: non prima però ch'io l'abbia sostanzialmente rifatto.

Cotesto lungo silenzio, anzi che del sole, è adunque ancor sempre, finora, quello di Virgilio (*),

A. FIAMMAZZO.

IL PASSAGGIO DELL' ACHERONTE

Nel 1887 fu estesamente trattata la questione sul passaggio acheronteo da diversi egregi letterati, tra i quali primeggiarono il Puccianti e il Fornaciari. L'uno però fu di parere contrario all' altro. Il primo, basandosi sull'asserzione di Francesco da Buti, cioè che Dante fu portato da un angelo all'altra sponda del fiume infernale sostenne che la luce vermiglia balenata fu il lampo percursore del tuono che ruppe [canto IV] l'alto sonno nella testa del poeta; e che questi fu messo sull'orlo del primo cerchio che l'abisso cigne nell'intervallo di tempo scorso dal lampo al tuono (1). Il secondo invece, con un certo acume critico, confrontando i versi del terzo canto dell'Inferno con quelli del nono del Purgatorio, tentò dimostrare che Lucia fu quella che trasportò Dante mentre dormiva, e che il greve tuono è un sogno miracoloso in cui gli si prenunziano le grida infernali, le quali egli sentirà realmente nel viaggio pel regno della morte » (2).

L'interpretazione di un passo dantesco può esser vera allora che, messa in confronto con un'altra, acquisti tanto valore quanto ne fa perdere. All' opposto nessuna delle sovrac

(*) Alle osservazioni sulla chiosa del Bertana, già da me, quasi per incidenza, riassunte nella Bibliot. delle scuole class. ital. [15 mar. 1894, n. 12; cfr. anche Bullettino d. Soc. dant. ital., N. S., fasc. 5], rispose brevemente e cortesemente nel periodico stesso [15 apr., n. 14] l'antore. Osservato ch' egli non sa quale interpretazione quivi io preferisca e che della propria non s'appaga pienamente nemmen lui, il sig. Bertana si sofferma alla mia obbiezione principale e scrive: È un'ombra o non è un'ombra Virgilio? E gli spettri chi mai se li figura se non pallidi, smunti, scialbi appunto come Virgilio, secondo me, appare a Dante? Qui però il sig. F. ha creduto di scorgere il punto più debole della mia chiosa, la quale, a parer suo, manca assolutamente d'ogni fondamento» perchè Virgilio non viene da luogo d'ogni luce muto, ma da quel limbo, che fra tutti i luoghi dell'inferno è il solo privilegiato di luce». Orbene, se non vi fossero altre difficoltà che questa, quasi me ne potrei rallegrare; gli abi tatori del nobile castello, non ostante la luce che li circonda, non sono che de' morti; e la luce di laggiù non è quella del sole, ma è luce di sapere e di gloria, non può certo dare ad essi l'incarnato dei vivi ». Per debito di lealtà ho riferito la brevissima risposta. - Di questi giorni è uscito un altro saggio sull'argomento stesso [A. Mazzoleni, Chi parea fioco, Estr. d. Atti dell' Accad. di Arcireale, vol. V]. Ne riferisco le conclusioni: Senso letterale... Alighieri ha voluto in quel fioco significare gli effetti di flacidezza e macilenza.... prodotti in Virgilio dalla condizione sua di dannato al limbo, e così.... il suo verso sonerebbe: una persona la quale pareva isfralita.... come per lungo silenzio ;... Senso allegorico: . . . Virgilio è fioco, cioè debole, infiacchito, come fiacca e debole per sè stessa, senza l'aiuto della fede, appariva l'umana ragione nello sfacelo morale di quell'epoca . »; parafrasi, come la vuole anche il prof. Mazzoleni, della chiosa di Benvenuto: humana ratio est modica in usu hominum, et raro loquitur ». Lo studio è fatto bene; la conclusione però n'è sempre una prolessi, perchè Dante non sapeva ancora chi fosse e che simboleggiasse quell'ombra; senza di che il simbolo della ragione, che dovrà ritornare in sulla diritta via l'uomo e la società smarriti, non deve rappresentare la fiacca e debole, ma sì la sana ragione, che dovrebbe subito apparir tale per ispirar a' traviati fiducia di salute. Ma il nuovo saggio del M. merita certamente maggiore riguardo e miglior esame.

(1) Fanfulla della domenica, 1 febbraio 1887.

(2) Nuova Antologia, 1887 fasc. 16.

cennate spiegazioni guadagna o perde con l'altra; secondo quale di esse si legge, si è di un parere e poi si finisce col riconoscere che nessuno degli illustri espositori ha colto nel vero,

Senza curarmi di quanto fu detto pro e contro, la spiegazione del Puccianti io la ri tengo per una voluta e forzata sofisticheria. Esclami egli pure: Questa è poesia veramente sublime, veramente degna di Dante! Non fa in tal modo che maravigliarsi della sua trovata. Il voler ritenere un'interpretazione conforme al pensiero dell' Alighieri solo perchè essa è peregrina, è cosa del tutto contraria al senso comune. Il Puccianti poi trova stranissimo, assurdissimo a dire «che Dante potesse essere risvegliato dalle grida dei dannati, mentre tra i più vicini di questi e lui c'era niente meno che la distanza di tutto un cerchio, che è il primo, il limbo.» Ma non trova strano che Dante nell' attimo incalcolabile che scorre dal lampo al tuono, possa essere trasportato dalla sponda della palude al primo cerchio. Del resto non so che ci abbia a fare il greve tuono, che ruppe l'alto sonno nella testa al poeta, con la luce vermiglia che lo fece cadere, poichè il secondo verso del canto quarto dell' Inferno è in perfetta relazione con il nono dello stesso canto.

Ruppemi l'alto sonno nella testa

un greve tuono sì ch' io mi riscossi come persona che per forza è desta; e l'occhio riposato intorno mossi dritto levato, e fiso riguardai

per conoscer lo loco dove io fossi. Vero è che in sulla proda mi trovai della valle d'abisso dolorosa

che tuono accoglie d'infiniti guai.

Gli ultimi tre versi sono esplicita spiegazione dei primi sei; e maggiormente le parole vero è chiariscono tutto: dicendo vero è Dante dà piena dimostrazione del perchè gli si ruppe l'alto sonno nella testa. So che egli nel secondo cerchio esclama:

Ora incomincian le dolenti note

a farmisi sentir,

ma non per questo il poeta non prima di allora poteva sentire qualche suono confuso; ed anzi nel dodicesimo del Purgatorio nel salire al secondo cerchio esclama pure:

Ahi quanto son diverse quelle foci
dalle infernali; che quivi per canti
s' entra, e laggiù per lamenti feroci.

Il che significa che erano certamente bene assordanti gl' infiniti guai dell' inferno e tali da riscuoterlo come persona che per forza è desta.

Reso evidente che il greve tuono del quarto canto non ha niente di comune con la luce vermiglia del terzo, è chiaro che l' interpretazione del Puccianti non ha più luogo. (1) Passo ora a quella del Fornaciari.

Sembra essa di primo acchito profonda e nello stesso tempo vera, ma io se ben considero in essa vedo solo una volontà di piegare le cose come si vuole, non come sono in realtà. L'illustre letterato porta a convalidare la sua asserzione il riscontro che esiste fra i versi del

(1) Per maggior confutazione vedi Il greve tuono dántesco di C. Antona-Traversi, Città di Castello, S. Lapi, 1887.

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