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incerto tuttora del perdono papale; ma si decise al viaggio e alla penitenza solo quando, per trattative intervenute, fu sicuro dell' assoluzione del pontefice. Ora questa versione attenua di molto l'umiliazione dell'imperatore al papa, e tempera il valore di un atto contro il quale la storia si è mostrata tanto severa. (338) La cetra di Dante. (In Poesie di F. Canger d. C. d. G. Prato, tip. (339)

Canger Ferdinando.

Giachetti, 1894).

Capacci-Zarlatti Luigia.

Dalla Verna. (In Fanfulla della domenica. An. XVI, no. 40.) Descrive la salita del sacro monte della Verna, e parla di san Francesco poeta, filosofo, pensatore e sognatore, la cui vita potrebbe dirsi un poema di amore. La Verna è l'apoteosi di questo grande uomo pel quale ogni angolo di terra è patria, e ogni uomo un fratello. (340)

-

Capranica Lu. Re Manfredi: storia del secolo XIII. Seconda edizione. Milano, fratelli Treves tip. edit., 1894, voll. tre in-16o, di pagg. xvi-354, 355, 356.

(341)

Carloni Romolo. Esercizi di versioni in latino di alcuni brani della divina Commedia e degl Inni sacri di Alessandro Manzoni. Bologna, tipografia pontificia Mareggiani, 1894, in-8°, di pagg. 63. (342)

Casorati Enea. Bonifazio Fieschi di Lavagna, arcivescovo di Ravenna e conte d'Argenta: commento storico ad un passo della divina Commedia. Argenta, tip. della società operaia, 1894, in-8°, di pagg. 22.

Col verso Che pasturò col ròcco molte genti Dante allude alla generosa beneficenza dell'arcivescovo di Ravenna. (343)

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La divina Commedia in inglese. (In Le curiosità dell'erudizione. An. III,

Nota alcune traduzioni inglesi, relativamente moderne, di tutto il poema dantesco o di parte di esso. (344)

Discendente (II) di Dante Alighieri: monologo, per L. L. Torino, tip. Collegio degli artigianelli, 1894, in-16o, di pagg. 34.

(345)

(346)

Gardner E. G. Giotto 's allegories at Assisi. (In Month., sett. 1893).

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Germani Licinio. Una visita a s. Croce in Firenze. (In Vita giovane: appunti e sfoghi di L. Germani. Castiglione del Lago, tip. del Trasimeno, 1894).

(347)

Graf Arturo. Le origini del papato e del comune di Roma. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. II).

Il papato e il suo dominio temporale, come ogni grande istituzione umana, è venuto su da umili principî, svolgendosi con l'aiuto di molte vicende e per il senno profondo di alcune forti volontà. Vediamo le prime comunità cristiane crescere e invigorirsi egualmente: alcun poco primeggiar Gerusalemme: sorgerle però presto di fronte Antiochia e Roma: a Roma volgersi, poco a poco, tutte le sparse forze della nuova religione. E il vescovo, che piú da vicino tien testa agli imperatori e ne sfida le persecuzioni, acquista perciò un diritto di preminenza sugli altri, e, quando gl'imperatori divengon cristiani, ingigantisce d'autorità. Ma questi imperatori, specie i bizantini, s'intromettono in questioni di fede; goti e greci si arrogheranno il diritto di creare e di deporre i papi, e la chiesa pagherà cosí l'officialità datale da Teodosio e i vantaggi

venutile dal decadere dell'impero d'occidente. Gregorio Magno le assicura una forte indipendenza, ma dopo di lui si venera spesso il papa in astratto malmenandone la persona, finché Leone III riedifica nei Carolingi l'impero d'occidente. Sotto gli Ottoni abbiamo i piú tristi tempi del passato e la famosa pornocrazia: tuttavia scomunica ed interdetto sono armi di già terribili. Di piú, l'elezione del pontefice è trasferita dal popolo ai cardinali, e, salito sulla cattedra Gregorio VII, ecco il concetto del dominio del papa su tutti i re, la cui potenza emana da quello, che sulla terra è Dio: ed assistiamo al dramma di Canossa. Impero e papato son già i due soli di Dante: or l'uno, or l'altro predomina: nasce una commistione che è anche una lotta tremenda. Han cominciato ad affluire alla chiesa ricchezze e territorî, ma senza frodi né grandi donazioni. I papi riunirono in sé, sotto i langobardi, piú cariche civili, che poi, nell'universale scadimento, furono dalle stesse potestà laiche loro accresciute. A Pipino, un papa fa, con la sua parola, por mano, senza scrupoli, a instaurar quella sua grande dinastía: papi, dipoi, trasferiranno l'impero come già dai greci ai franchi, da questi a' tedeschi, e le terre avute in custodia terranno, col tempo, per proprie. S'aggiungono quelle via via donate: nasce, sotto Niccolò I forse, la favola della donazione costantiniana; ed ecco il dominio temporale, che, naturalmente, s' accentra in Roma. Ma Roma ai papi non dette mai pace: li perseguitava e uccideva; non tollerava imperatore e papa come signori assoluti. La storia del comune di Roma è oscura. Il Graf la tratteggia rapidamente disegnando le fazioni della nobiltà superba, la corruzione crescente tra le violenze e il sangue; e i vani e rari tentativi di ripristinar la republica; quetati`i quali, l'autorità papale cresceva su Roma e diminuiva intanto sul mondo. Crf. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894. (348)

Labanca Baldassarre.

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Francesco d'Assisi e i francescani dal 1226 al 1328. Roma, tip. dell'Unione cooperativa editrice, 1894, in-16o, di pagg. 46.

Labande H.

(349)

Ceremonial du cardinal Caetani. (In Bibliothèque des chartes, fasc. 1-2 del 1803.)

In un manoscritto della biblioteca di Avignone, contenente una versione del cerimoniale del cardinale Iacopo Caetani, il Labande ha pure trovati e posti in rilievo ragguagli storici di grande importanza. Notiamo tra questi alcuni che si riferiscono alla canonizzazione di san Pier Celestino (1313). (350)

Lusini D. V. Storia della basilica di s. Francesco in Siena. Siena, tip. S. Bernardino, 1894, in-8°, di pagg. 300. (351)

Panzacchi Enrico. Le origini dell'arte nuova. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. III).

Con l'ascetismo di fronte alla violenza feudale, con la scolastica da una parte e le fazioni dall'altra, con l'idea che non iscendeva mai dall' astratto all' umano e la materia che non si elevava né si affinava, troppo idealista e troppo materiale nello stesso tempo, il medioevo ebbe un'arte gracile insieme e pesante. Quindi in architettura moli massicce e sottigliezze aride di guglie e d'ornamenti: in pittura figure enormi indeterminate e sforzate, e il simbolo invece dell'espressione. S'aggiunga il predominio voluto del brutto e del grottesco e il diavolo tiranno di tutte le fantasie, e tenuto in abiezione il corpo umano perché nemico dell'anima e della sua felicità. Ma il ricordo dell'antica bellezza classica, vivo ancora qua e là nelle menti, si fa innanzi e vince la causa della bellezza tradizionale di Cristo e questo tutti raffigurano coi piú squisiti caratteri. Ma anche le creature, allora, da Dio formate a propria imagine, dovevano partecipare di quella bellezza. E Niccolò pisano evoca anche per esse il fantasma dell'antica pura forma pagana. Uomo privilegiato e artista singolare, nessuna evoluzione avendo preparata l'opera sua, ebbe tecnica inesperta, ma le sue sculture, per classicità, inchiudono i germi di tutti i capolavori futuri. Le opere che di lui rimangono a Pis.oja, a Groppolo, a Lucca ed a Pisa, rivelano aver l'arte fatto un salto prodigioso. Non ebbe tuttavia degni allievi e la scul

tura sosterà un poco. Ecco invece innanzi la pittura, Giotto e Firenze, che piena d'una vita gioconda atteggia il divino nelle forme piú vivaci dell'umano e trova quell'accordo onde l'arte nasce, divina simmetria. Cfr. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894. (352)

Passerini Giuseppe Lando. Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari. (Recensione di A. G. in Fanfulla della domenica, Anno XVI, n. 13, e di M. in La biblioteca delle scuole classiche italiane, Anno XI, serie 2, n. 12).

Favorevoli. Cfr. ni. 293 e 334.

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(353)

Pavissich (De) L. C. Delle glorie di san Francesco d'Assisi nel suo VII centenario. (In Atti dell'i. e r. Accademia degli Agiati di Rovereto, anno 1891). (354)

Rajna Pio. Le origini della lingua italiana. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. III).

Alla conquista politica di Roma tenne dietro la conquista linguistica e come quella non era che un immenso dilatarsi della città, cosí questa fu l'accomunarsi a moltissime terre, facendo ammutire infinite parlate, d'una parte del linguaggio dell'Urbs. Il Rajna enumera, in questo studio, gli idiomi romanzi, accenna alle fantastiche derivazioni di alcuno di essi, discute le varie opinioni sui modi della loro formazione, ribatte quella che vi sia stato un periodo di caotica confusione tra volgare e latino. Anche il piú incolto linguaggio è regolare, tranne per chi lo vuol diverso da quel che è: e regolari erano i linguaggi parlati dal VI all' VIII secolo, dove lo sforzo di scrivere ancora latino ce lo dà fantasticamente reintegrato. Poiché c'era, oltre la tradizione, quella stessa ripugnanza che anche oggi le classi incolte provano a scrivere nella lingua davvero parlata. Dimostrato che le origini di questa non risalgono a un'epoca, ma spaziano in un periodo, parla della distinzione tra latino scritto e parlato ch'era in Roma già sul finire della republica; e di quella tra il parlare delle classi colte e delle non colte, che in Roma furono in lotta perpetua. Le lingue romanze sono la continuazione non interrotta del latino parlato dal medio popolo di Roma e che, trasportato tra popoli diversi, si svolse in diversi linguaggi, secondo le locali attitudini fonetiche. Venendo all'italiano e sorvolando sulle tracce di volgare ancora inconscienti, si giunge al 960, quando ne abbiamo la prima espressione voluta con una formula di giuramento in un atto legale di Capua, seguíta da altri documenti che il Rajna passa in rassegna finché ci arriva la voce di Firenze nei frammenti d'un libro di banchieri del 1211. Infiniti altri scritti dialettali incontriamo sempre più numerosi via via che discendiamo i tempi: ma d'una lingua unica non c'è ancora sentore, finché la mescolanza d' ogni genere tra le varie regioni, l'attenersi dovunque molto i dialetti al latino, la scuola poetica sicula infine, dov' eran tutti accomunati negli stessi pensieri, contribuirono all'uniformità d'espressione. Ma ecco che nel dugento la Toscana prende un rigoglio di vita grandissimo. Appare Dante e dichiara il volgare luce nuova, sole nuovo che sorgerà dove l'usato tramonterà. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894.

Romano G.

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(355)

Cfr.

L'espressione proverbiale di " vespro siciliano. Pavia, tipo-fotot. frat. Fusi, 1893, in-8°, di pagg. 16.

In una relazione di Bartolommeo Bonatto, oratore di Ludovico Gonzaga presso il papa, sui tumulti scoppiati in Roma alla fine di luglio 1461 dopo la partenza di Pio II per la villeggiatura di Tivoli, relazione che si conserva nell'archivio dei Gonzaga, si leggono queste parole: Dubito che uno di non si faza il vespero de' Ciciliani. Cosí un' espressione che l'Amari supponeva nata tra le commozioni popolari di Firenze nel 1494 si ritrova trentatré anni prima e in una forma compiuta ed energica di modo proverbiale che accusa la sua forte ed antica vitalità. Il fatto poi che il Bonatto era a Roma, e di là scriveva alla corte di Mantova, ripetendo forse le voci che correvano in mezzo al popolo, è una prova evidente che quell' espressione era intesa e diffusa in tutta l'Italia. (356)

Sauerland H. V. Documenti relativi alla contesa fra le famiglia Colonna e Gaetani sotto Bonifazio VIII e suoi successori. (In Archivio della r. Società rom, di storia patria. Vol. XVI, fasc. 1o e 2o).

Schupfer Francesco.

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In un tomo di regesti dell' Archivio Vaticano (Registr. Avenion. Blem. VII, anno I, tom. XVI) trovasi, fra diverse carte non appartenenti al primo anno del ponteficato di Clemente VII (13781379) anche un foglio (fol. 204 e 207), posto per errore nei registri del VII invece che del V Clemente. Le pagine seconda e terza del foglio (fol. 204 e 207) sono vuote: sulla quarta è scritto: Hec sunt due relaciones, una brevis et alia brevissima, super facto dominorum Columpnensium et dominorum Gaietanorum, facte per abbates Sancti Florencii Salmur, et de Montealbano et eorum sigillis sigillate, et debent reddi sanctissimo patri domino Clementi digna dei gracia summo pontifici. Sulla prima pagina si legge, scritto della stessa mano, il testo qui riprodotto dal Sauerland. (357) Delle università e del diritto. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. III). Anche nei secoli di barbarie accanto a quello degli invasori vige il diritto romano e s'insegna insieme con le arti del trivium, ed anche in scuole speciali, a Roma, a Pavia, a Ravenna, a Bologna. Di tutte queste scuole l'autore narra la storia, esamina l'opera giuridica; parla delle glosse avversate prima dagli imperatori, estendentisi nonostante, perché le scuole vogliono adattare la vecchia legge ai tempi nuovi. Discorre di Pietro Crasso che adoprò il diritto privato ad uso publico. Bologna raccoglie tutte le tradizioni; protetta dal Barbarossa e da Matilde, allegra popolosa e dotta, prende parte alle grandi lotte del secolo; mutando studî e metodi s' attenne in seguito al puro diritto giustinianeo; e tutto questo fa la sua gloria, non improvvisa, preparata dalle altre scuole, ma non perciò meno grande. Cfr. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894. (358)

Tocco Felice. Gli ordini religiosi e l'eresía. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. II).

Nel medioevo non regnava, come altri ancora crede, una rigida e salda unità di fede: quando infatti, i problemi religiosi affannavan tutte le anime, era necessaria la ricerca di molte e differenti soluzioni. Di qui le eresie. L'autore tratteggia il carattere delle eresíe medievali, tutte piú ascetiche dello stesso cattolicismo. I patarini, che in origine erano il basso clero milanese sollevatosi contro il clero alto infetto di concubinato e di simonía; gli arnaldisti, loro continuatori, che all'alto clero volevan togliere i lauti benefizî e le potestà secolari, i catari che predicavano doversi mortificar la carne anche a costo della estinzione del genere umano; i valdesi affini ai ghibellini quanto alle idee sul dominio temporale, ed altre sette contro le quali non valevano piú, nel secolo XIII, né scomuniche, né guerre, né inquisizione. Certo, erano anche eterodossi in fatto di dommi: ma anche questo proveniva dal credere indebolita d'autorità la chiesa, fuorviata da' suoi principi. Nascono cosí gli ordini de' mendicanti, principalissimo quello de' francescani, al quale presto altri ordini si conformano. Ma quando frate Elía, per alzare a san Francesco quel tempio, che fu detto dell'arte rinata, accettò le offerte di tutta cristianità, ciò gli fu acremente rimproverato dagli entusiasti della povera vita, e si formarono nel sodalizio francescano due partiti, dei moderati o conventuali, e degli intransigenti o spirituali. Questi abbracciarono le dottrine apocalittiche del calavrese abate Gioacchino e mossero alla Chiesa le stesse rampogne che già gli eretici. Dante condanna entrambi i partiti per bocca di san Bonaventura che ne fondò un altro, da cui si svolsero i fraticelli. Gli spiritualisti, poco a poco, scomparvero, lasciando qualche idea fra i terziarî. Qui l'autore, data una spiegazione storica dei vocaboli beghine, bigotti, pinzocheri e fraticelli, passa a parlare degli apostolici, di fra Dolcino, de' flagellanti, de' guglielmiti, unica setta medievale iniziata da una donna. Conchiude che tutte queste eresie e i rigidi ordini monacali sorti in parte col loro spirito dimostrarono ancor piú la profonda fede religiosa del medioevo. E se queste eresíe si spensero, fu perché il loro ascetismo intollerante osteggiava, piú che la chiesa, lo stato e la famiglia. Sopravvissero i valdesi, perché si ritemprarono piú umanamente poi nella Riforma. - Cfr. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894. (359)

Villari Pasquale- Le origini del comune di Firenze. (In Gli albori della vita italiana. Milano, Treves, 1890-91, vol. I).

Il comune italiano creò la società moderna, il che né impero né chiesa avversi a indipendenza e ad eguaglianza, poterono. Il comune di Firenze è tra gli altri di Italia il più democratico: affronta i piú difficili problemi della vita civile: ha una storia notissima, ma che troppo spesso è un enigma. Perché tante rivoluzioni? e come in mezzo ad esse possono fiorir rigogliose le arti che piú si giovano della pace? Possono spiegarci questo enigma le origini del comune fiorentino? e quali sono queste origini? Abbiamo una leggenda che, per Cesare, le connette a Roma, pur derivando questa da Fiesole. I fiorentini avean la mente piena d'idee romane e del perpetuo antagonismo tra Firenze romana e Fiesole etrusca, che finisce con la distruzione di questa. Ma anche Dante accenna e il Machiavelli spiega come Firenze fosse un emporio fiesolano sul confluente di Mugnone e Arno: capanne poi divenute case: un municipio florido già sotto Silla, ingrandito da Augusto, da Totila oppresso, per la leggenda distrutto. Sotto Carlo Magno risorse: e la leggenda dice che egli ricostruí la città. Quando la Toscana, uno dei margraviati istituiti dai Franchi, fu tenuta da Matilde, cosí fida al papato, Firenze, a questo di già amica, cominciò a prosperare. La contessa, poco per volta, lasciò che un presidio municipale facesse, in nome di lei, quello che la città voleva. Il commercio intanto cresceva; ancora viva Matilde, combatton già i fiorentini contro i vicini castelli; e, semplici nei costumi, hanno già un'autorità che altre città toscane, messi imperiali, nunzî ponteficî riconoscono. Cosí che nel 115, quando la contessa morí, il comune, che già di fatto esisteva, si governò da sé, coi capi delle molte associazioni in che s'era diviso, senza bisogno d'un governo centrale. E si segnalò da allora sempre per profondo antagonismo tra i cittadini, tutti mercanti, di sangue latino, e i feudatarî germanici che avevano incastellato il territorio all'intorno. Questi furon via via debellati e forzati ad abitare in città di che, non già dal fatto dei Buondelmonti, nacquero le lunghe e feroci fazioni. Le torri sostituirono i castelli, e le strette vie si bagnaron di sangue, fino a che gli ordinamenti di Giano esclusero i nobili dal governo. Allora e' si collegarono col popolo grasso. Le guerre seguiteranno tra questa lega e il popolo minuto. S'inizia tuttavia, fin d'allora, quel contratto agrario che ha sempre resi i nostri contadini i piú felici e i piú queti d'Europa. Intanto, la sana libertà dentro e fuori, l' interezza schietta del sentimento, la lietezza giovanile di questo popolo svolgevano in esso quell' arte cosí mirabilmente serena. Cfr. Arch. stor. ital., serie V, vol. XIII, disp. 2a del 1894. (360)

Zirardini Claudio. Giubileo per la scoperta delle ossa di Dante Alighieri e sottoscrizione mondiale per erigere a Lui un mausoleo in Ravenna: frammenti di cronaca. Ravenna, Un. tip. editrice cooperativa, 1894, in-8°, fig., di pagg. 263.

Sommario: I. Giubilo per la scoperta delle ossa. II. Genesi della sottoscrizione (per un monumento a Dante in Ravenna). III. Come nacque l'idea di celebrare il giubileo. IV. Costituzione del comitato e della commissione (per festeggiare il giubileo). V. Profanazione delle ossa? e esperimento rimandato per una permanente esposizione di esse. (Fa voti perché le ossa del poeta siano esposte entro un'urna di cristallo in modo di renderle visibili sempre ai visitatori che cosi ce le invidieranno meglio [!!!]) VI. Rivelazione storica del dott. cav. Corrado Ricci intorno alle vicissitudini del sepolcro. VII. Celebrazione del giubileo. VIII. Concorsi e adesioni. IX. Lotte e vittorie nel nome del poeta. (Vi si parla della sottoscrizione mondiale per la erezione di un mausoleo a Dante, in Ravenna). X. Appendice. (Propone al municipio di Ravenna di erigere in ente morale il Comitato esecutivo pel maus oleo dantesco; di indire, con decreto del parlamento, una esposizione mondiale a Ravenna dei codici, dei commenti antichi della divina Commedia, e, contemporaneamente, un congresso di dantisti per collazionare tutti i testi e per avvisare ai modi di raccogliere all' erigendo mausoleo offerte per tutto il mondo; fondare un Archivio nazionale dantesco che dovrebbe raccogliere e conservare una biblioteca dantesca, tutti i codici e i manoscritti che potessero aversi sullo stesso argomento [sic], fac-simili di codici che sono all'estero o in mano ai privati, pitture, disegni, medaglie. Una cattedra dantesca dovrebb'essere annessa a questo archivio, al quale il governo dovrebbe assegnare una dote, e far man

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