Slike stranica
PDF
ePub

della dottrina o scienza (autore), dell' ispirazione poetica (maestro), e dell'arte (stile). Qui è chiaro che Dante attesta che nel 1300, quando al sacro poema non aveva posto ancor mano, egli s'era già nell'arte del dire acquistato onore; ma con quali opere? Se attendasi che nel canto seguente è dichiarato ch'egli usci della vulgare schiera per merito di Beatrice (Inf., II, 105); e si badi che nel c. IV (100-102) viene tanto onorato da' sommi poeti (però senza ancora esser divenuto famoso, Purg., XIV, 21), parmi doversi conchiudere, che lo stile, che prima del 1300 gli ha fatto onore, non possono per verun conto essere, come si affermò, le Egloghe o la Monarchia (e prima del 1300 erano esse scritte?), sibbene gli scritti giovanili, sovrattutto le canzoni, delle quali cosí si compiaceva, da allegarne tre nella Commedia (Purg., II, 112; XXIV, 51; Parad., VIII, 37). Però bene avverte il Casini, che nelle opere giovanili non essendo palese alcuna imitazione virgiliana (e pur questa dovendosi qui intendere), stile devesi qui prendere non già pel particolar modo di foggiare e di rendere il fantasma poetico, ma come l'intima corrispondenza ch'è tra la forma e il pensiero; corrispondenza che è precipua dote delle opere virgiliane e delle dantesche, pur serbando le une e le altre i proprii caratteri differenti, e inerenti al diverso ingegno dei due poeti. Per quanto risguarda Dante, di tale affermazione abbiamo una prova irrepugnabile nel Purg., XXIV, 52-54. Ma pure ammettendo in largo una certa imitazione di Virgilio, da lui prendendo il parlare ornato ed onesto (Inf., II, 67 e 113), Dante la seppe fare cosí, da mettersi vittoriosamente a capo della nuova letteratura, affermandone la forza e la futura grandezza (Conv., I, 13), dichiarando il supremo intento della poetica arte (Vita Nova, XXV), e, pur imitando, serbandosi altamente originale, cosí da trar fuori le nuove rime e il dolce stil nuovo (Purg., XXIV, 50-57), e della lingua e dell'arte scrivendo la Volg. eloq., (cfr. La div. Commedia di D. A., con commento del prof. G. Poletto vol. I, pag. 20-21, in nota: ediz. Desclée, Lefebvre e c., Roma, 1894). Dunque, secondo il Poletto e gli altri commentatori della stessa opinione, stile qui devesi prendere non già pel particolar modo di foggiare e di rendere il fantasma poetico, ma come l'intima corrispondenza che è tra la forma e il pensiero, dunque, secondo costoro, le opere, in cui sentesi lo stile tolto da Virgilio, non possono per verun conto essere.... le Egloghe o la Monarchia..., sibbene gli scritti giovanili, sovrattutto le canzoni,,; e questo perché fingendosi dal poeta essere avvenuta l'azione del suo poema nel 1300 e dovendosi quindi esso riferire a quell'epoca, prima di tal data solo furon composti la Vita Nova e il Canzoniere, mentre sappiamo che la Monarchia e le Egloghe furono indubbiamente dettate dopo. Se eglino si fossero ricordati di ciò che giustamente già esposero G. Todeschini (Scritti su Dante, vol. I, pag. 129 e segg.) e A. Bartoli (Storia della lett. ital. vol. VI, par. 2a, pag. 256), non avrebbero fatto gran caso del contrasto che v'è tra il tempo di composizione delle Egloghe (cui noi crediamo alludere principalmente i soliti versi) e il tempo in cui si finse accadere l'azione della Commedia, perché di tali anacronismi e contradizioni non è questo l'unico da osservarsi, avendosene purtroppo degli altri in quel poema, notati già da quei dotti scrittori. Ammettendo tal anacronismo (del resto parziale, secondo quanto già sopra esponemmo), e quindi ritenendo che i versi in quistione, conforme il già detto, o sono una interpolazione o un rifaci mento di altri, per cui il poeta non badò piú all'epoca fittizia del poema, se parrà lo stesso che tacciar lui d'incoerenza a sé medesimo in simil caso, però sarà sempre meglio questo che il cre dere le parole sue, quando sono chiare e spontanee (almeno qui), posseggano un senso diverso da quello che per la loro chiarezza e spontaneità appunto non hanno e né possono avere per piú di una ragione. Senza voler dire altro su quanto sopra espose il Poletto (e pur vi sarebbe motivo), terminiamo questa nota già abbastanza lunga, col dichiarare che Dante non è si sovente oscuro come si vorrebbe, ma sono i commentatori che vi trovano ad ogni pié sospinto delle forme enigmatiche. Il commento di molti fra loro ai versi in parola, a noi sembra stia a dimostrarlo.

[ocr errors]

VARIETA'

IL CONCETTO DELL'UNITÀ POLITICA

IN DANTE ALIGHIERI.

Mon cher professeur,

D'abord Vous savez

Pourquoi me demandez-Vous d'écrire subito un article sur Dante? très bien que je ne suis pas trop intelligente; ensuite que je ne suis pas un écrivain de profession: et tertio que je ne fais rien subitement. Sachant toutes ces choses, pourquoi avez-vous promis à Mr. Passerini, sans me consulter, un article de moi? Quand il s'agit du Giornale dantesco, auquel collaborent les plus éminents dantophiles, il faut naturellement être sur ses gardes, et n'écrire que des choses tout-à-fait parfaites, par exemple comme votre article sur la Matelda. 1

Je remercie donc Mr. Passerini de l'honneur qu'il m'a fait en voulant me compter parmi ses illustres collaborateurs, et je ne Lui enverrai un article sur Dante que seulement alors que je le jugerai tout-à-fait digne de figurer dans une feuille dont il a la direction. Je suis très ambibitieuse.

Je dois Vous dire, mon cher Professeur, qu'en ce moment-ci j'étudie avec toutes les fibres de mon intelligence sur des plus grands poètes modernes : le portugais Anthiro do Quintal que je désire de toute mon âme présenter à mes compatriotes. Je suis plongée jusqu'aux oreilles dans la littérature lusitanienne, et mon pauvre Dante en souffre, bien que chaque matin en ouvrant les yeux je dois relire en guise de prière un des chants de l'immortelle Comédie.

A propos de Dante, j'ai eu dernièrement un long entretien avec un des avocats les plus distingués de Bucarest et professeur de droit à la faculté, M. Dixescu. Entre autres, il m'a dit avoir lu que Dante, dans un de ses écrits a exprimé l'idée de l'unité nationale de l'Italie. Vous qui connaissez Dante sur le tout des doigts ne sauriez Vous pas me dire quell' est l'oeuvre où le divin poète exprime l'idée de l'unité nationale, réalisée en notre siècle par le roi Galantuomo? Je sais que Dante dans son livre de la Monarchie établit que le développement du genre humain, dans l'ordre spirituel et dans l'ordre temporel, dépendant de la tranquillité que maintient la justice, la paix universelle est le premier des biens ordonnés pour notre béatitude. D'où il conclut que l'unité, étant la condition nécessaire de la paix, Dieu a préposé un chef unique à chacun de ces ordres; à l'ordre spirituel, le Pape, dont la fonction est de gouverner souverainement les âmes; à l'ordre temporel, l'Empereur, dont la fonction est de gouverner souverainement la société politique et civile, laquelle toutefois peut se diviser sous la juridiction en divers Etats constitués sous différentes formes. Est-ce, mon cher professeur, ce passage du rer

1 Accenna alla nota del prof. Mandalari su Matelda, edita a pag. 593 del vol. Purgatorinlú, traductiune cu note dupe principalii comentatori, de DOMNA MARIA P. CHITIU. Craiova, tipo-litografia nationale, Ralian si Ignat Samitca, 1888. Questa nota fu poi pubblicata in italiano (Roma, Pallotta, 1892).

Giornale dantesco.

30

livre de la monarchie qui a fait croire et dire que Dante a eu l'idée de l'unité nationale telle que nous la comprenons aujourd'hui ?

Ou bien est-ce une des mille aberrations auxquelles a donné lieu la connaissance superficielle du grand penseur florentin. Il y a eu qui soutiennent que cet archicatholique est un précurseur de Luther! Quoi qu'il en soit ce cas m'intrigue, et j'attends de Vous des éclaircissements sur les croyances politiques du "divino poeta.,, Vous m'écrirez, n'est-ce pas, longuement à ce sujet et immédiatement, car j'ai promis à mr. Disescu quelques notes sur Dante....

Craiova, 9/21 février, 1894

MARIA P. CHITIU.

Ella mi fa troppo onore, amabile Signora, ed io La ringrazio sinceramente non solo dell'amore vivissimo, che porta a Dante, come appare dalla sua versione; ma anche del dubbio che move, intorno al quale molto si potrebbe scrivere, perché non poche sono state in proposito come al solito, le audacie de' comentatori.

A me pare, del resto, che il punto, sul quale Ella desidera de' chiarimenti positivi, non possa dirsi, in verità, controverso. Credo, in conseguenza, che Ella sia interamente nel vero.

All'unità politica della «dolce terra latina» Dante non poté pensare. Se fu precursore e cooperatore dell'unità italiana, dando al volgare il sussidio del più grande monumento letterario moderno, non può dirsi ch'egli abbia voluto ridurre tutte le regioni ad unità politica, tale quale abbiamo noi ora; quale avremo, senza dubbio, un giorno, quando tutte le sparse membra saranno sottoposte allo stesso reggimento politico.

Dante volle, come tanti altri scrittori medioevali, l'integrità del Sacro Romano Impero; le due maggiori Autorità, come due grandissimi astri, Soli, assolutamente separate, indipendenti e concordi; onde, non preoccupandosi punto della varietà degli Stati e de' reggimenti politici italiani, volle nondimeno che lo Stato fosse autonomo e laico, secondo il concetto moderno. In quest'ultimo ideale, che è il carattere di Dante statista, credo stia appunto la grandezza e l'origi. nalità dello scrittore. Il quale, pure rimanendo attaccato al vecchio pregiudizio del Sacro Romano Impero, pregiudizio che fu per tanti secoli di ostacolo allo svolgimento del nostro pensiero nazionale; rimanendo anche attaccato al vecchio concetto della necessità storica del Papa e dell'Imperatore, che dovevano essere i due soli nell'orizzonte politico, rivela nondimeno un concetto nuovo e fecondo, che più tardi ebbe, in Italia e fuori, piena ed intera esecuzione nella nostra politica.

Sotto questo punto di vista può dirsi che veramente Dante abbia inspirato Lutero ed anche pensato, se piace, al re Vittorio Emmanuele; ché solo con l'affrancamento del laicato poté l'Italia avere finalmente Roma e porre entro i suoi giusti limiti, con una legge memoranda, l'esercizio della potestà spirituale del Sommo Pontefice.

L'unità italiana per le conseguenze religiose, ch'essa ha prodotto, se è stata l'ultima a costituirsi, è la più notevole di tutte, e dev'essere considerata ed esaminata con argomenti e ragioni interamente speciali. Lo storico del nostro risorgimento dev'essere in conseguenza pari alla grandezza dell'argomento, e non è ancora nato, sebbene l'unità politica sia oramai un fatto compiuto.

Il concetto dell'unità politica quale noi intendiamo ora; quale esso è veramente, deriva da una lunga e desiderata unificazione degli animi; da un affratellamento generato de' vari popoli inegualmente oppressi, ma sempre oppressi, e desiderosi, in ogni modo, d'indipendenza. E molto han giovato lo studio della lingua comune, le oppressioni de' dominatori, le tradizioni, sempre vive, di Roma, gli errori grandissimi del clero dominante dappertutto, tanto sulla reggia, che nelle campagne, ove il parroco aiutava la polizia ed indicava i colpevoli di patriottismo. Questa è pure storia vera, che non teme smentite.

Aggiungo che quasi tutte le regioni mostrarono abnegazione e disinteresse e grandissimo spirito di patriottismo. Ma il concetto dell'unità politica non è stato della maggioranza del popolo, di tutto il popolo italiano; esso è un prodotto letterario e non è più antico del Machiavelli, e non pare che siano stati monarchi, che vi abbiano aspirato, prima di Gioacchino Murat!

Tutto questo a me non pare che possa essere ragionevolmente discusso e negato. E se è vero che la rivoluzione italiana sia un prodotto letterario, come io penso, Dante che die' forma stabile e sicura alla lingua volgare comune, è, sotto questo aspetto, il più grande. se non il più antico cooperatore del nostro risorgimento. Ma non bisogna dimenticare che l'unità d'Italia era per Dante nell' unità dell'Impero restaurato, come afferma da par șuo Alessandro d'Ancona: unità di giurisdizione suprema, più che materiale e di unico stato. Lo stesso illustre professore aggiunse: ... Se tal concetto poteva mai avverarsi, e, avverandosi giovare all' Italia, non cercheremo; ben diremo come Dante ebbe a credere un momento che dall'altezza della filosofica disputazione questo concetto potesse essere recato in atto quando Arrigo di Lussemburgo scese giù dalle Alpi... È a notarsi però che questo Arrigo, nel quale Dante pose tant'impeto di speranza politica, non venne in Italia per fare l'unità d'Italia; sibbene per affermare in Italia l'autorità imperiale.

1

[ocr errors]

Non erra dunque colui che, in considerazione dell'unità letteraria compiuta da Dante specialmente nel Volgare eloquio, pone l'Alighieri tra' più antichi cooperatori ed iniziatori dell'Unità italiana: ma, a scanso d'ogni equivoco, deve in proposito affermare il senso ch'egli dà a questo concetto, e come Dante non poté averlo intero nella mente, tale e quale esso si è svolto miracolosamente di poi e compiuto dopo tanti secoli. E questa spiegazione a me pare che debbano avere quelle parole scritte dal compianto prof. Francesco Fiorentino, e che forse han tratto in errore l'egregio avvocato di Bucarest, Monsieur Disescu: "... Dante fu volonteroso di comporre la penisola ad unità politica, né potendovi adoperare le armi, ei ch'era nato privato e popolano, prescelse una via piú lunga, ma più sicura, e diessi ad unificare la lingua...„,

Roma.

2

MARIO MANDALARI.

1 Cfr. D'ANCONA, Il concetto dell'unità politica ne' poeti italiani. Pisa, Nistri, 1876.

2 Cfr. FIORENTINO, Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli, Morano, 1876, pag. 214.

RIVISTA CRITICA E BIBLIOGRAFICA

RECENSIONI.

Dott. Lorenzo Filomusi-Guelfi

[ocr errors]

Colui che dimostra a Dante il primo amore di tutte le sustanzie sempiterne (Par. 26° 38, 39) Estratto dalla Biblioteca delle Scuole italiane (Vol. V, N. Io) Verona, Donato Tedeschi e figlio, editori in-16o, di pagg. 13.

Veniamo un poco in ritardo a parlare di questo lavoro, perché avremmo amato trattarne di proposito, come esso si merita: ma poiché la scarsezza del tempo ce lo impedisce, vediamo di dirne quel tanto che possa almeno invogliare alcuno ad approfondire l'argomento, e togliere cosí, se ciò è possibile, un altro dei campi aperti ai dissensi e alle disputazioni tra la falange dei commentatori.

Io convengo per prima cosa coll'autore nell' escludere a Colui che mi dimostra il primo amore Di tutte le sustanzie sempiterne i significati più comunemente attribuitigli di Platone o di Aristotele: ma non per le ragioni da lui addotte, le quali non mi sembrano troppo esaurienti, A pag. 8 egli dice che Dante non avrebbe mai fatta precedere l'autorità di alcuno di questi filosofi alla stessa autorità di Dio. A me pare al contrario che ciò facendo egli non avrebbe che proceduto con tutte le regole di una giusta gradazione a minori ad maius: prima i filosofi, poi il vecchio Testamento, poi il nuovo.

.

L'autore accenna pure che avendo il poeta esplicitamente dichiarato che intende parlare Di tutte le sustanzie sempiterne, che, come si sa, sono gli angeli, i cieli e le anime umane, nessuno degli autori citati può essere colui al quale Dante si riferisce, perché nessuno parla dei cieli. Ma sta poi a vedere se Dante certamente ve li comprese: forse che è bello mettere sullo stesso piede gli angeli e le anime umane? le anime umane e i cieli? e si può dire poi che anche i cieli amino Dio? Lo dice l'autore, ma per me stento un poco a capacitarmene.

Né piú valide mi sembrano altre delle opposizioni che l'autore fa ai sostenitori di quei due filosofi. Dice a pag. 7 che questi mostrano, non dimostrano, essere Dio il primo amore di tutte le sustanzie sempiterne. Ammettiamolo pure; ma chi non sa quante volte questi due verbi, anzi queste due forme di uno stesso verbo, si scambiano tra di loro? Quante volte infatti non vediamo in Dante dimostrare per mostrare, e, reciprocamente (come nel dialetto piemontese), mostrare per insegnare! Esempî di quest' ultimo: XXIX, 115 Volle ch' io gli mostrassi l'arte: XXXV, 107 Lo Sol vi mostrerà.... Prendere il monte....: XVI, 62 Sí ch'io la vegga e ch' io la mostri altrui. Del dimostrare poi per mostrare sono anzi in Dante più frequenti i luoghi, che non siano quelli ove esso ha il senso attuale: basta aprire il Vocabolario del Blanc. E chi non ricorda, p. es.: Che ne dimostri là dove si guada al XII, 94 Inf., o La spera ottava vi dimostra molti Lumi del II, 64 di Paradiso?

Al Costa, che, seguendo il Lombardi, chiosò "tal verità me la fa conoscere Platone il quale dimostra nel suo Simposio, Amore essere il primo di tutti gli Dei. Noi per le sustanzie sempiterne intenderemo gli Angeli e le anime umane egli oppone a pag. 4 n. 2 "sicché anche le anime umane son Dei?,, quasiché anche Dante fosse obbligato a intender Platone ad literam;

[ocr errors]
« PrethodnaNastavi »