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tutta la Città siano puniti, sotto forme derivate, i due peccati ultimi,,, cioè la superbia e l'invidia : Dante ne fa come un complesso peccaminoso, e lo dirama in tante specialità. Che in una di tali specialità, presa in sé medesima, come p. e. il lenocinio, non si possa subito toccar con mano né la superbia, né l'invidia, non vuol dir nulla; e chi si sgomentasse di ciò mo strerebbe d'ignorare affatto il metodo teologico in simil materia, e tutte le filiazioni indirette e ulteriori, attenuate e degenerate che esso sa dedurre da un primo prototipo o disposizione peccaminosa Bellissime parole; ma molto meglio sarebbe stato il dirci secondo qual "metodo teologico, il lenocinio derivi dalla superbia o dall' invidia, e dimostrare che Aristotile, Isidoro, s. Gregorio e s. Tommaso vaneggiarono, insegnando che il pasci de meretricio, come scrive Aristotile, o l'appetitus turpis lucri, come scrive Isidoro, il lenocinio, insomma, appartiene all'avarizia, non all' invidia, né alla superbia; e dimostrare altresí che l'avaro seno de' Bolognesi, di cui parla Dante, a proposito del ruffiano Venedico, sia tutt' uno che superbo o invido seno. Perciò a un dato punto il poeta "muta maniera, abbandona la falsariga teologica, e.... s'attacca alla classificazione etica d' Aristotile.... A non tenersi stretto stretto al settemplice colore dell' iride criminale ecclesiastico, egli aveva, anche fuor de' motivi schiettamente estetici, ottimi pretesti d' indole storica e filosofica, Quanto ai motivi estetici, cioè al non prestarsi la classificazione della Chiesa a rinfrangersi in molte sfumature,,, ho già dimostrato non esser esatto: quanto ai pretesti d'indole storica e filosofica, i pretesti, anche se ottimi, son sempre pretesti, e non s'ha diritto di credere che Dante se ne facesse guidare nella costruzione morale del suo inferno. "L'inferno, preesistente al Cristianesimo, era cosa già nota ai pagani, e benissimo gli s'affaceva una spartizione non meno filosofica, che teologica, non men desunta dalla morale classica, che dal catechismo cattolico,,. Ma quel tanto della morale classica, che era conciliabile col cattolicesimo, Dante, cattolico e teologo, lo trovava già ne' teologi, e segnatamente in san Tommaso non c'era quindi ragione che dagli uni, e, segnatamente, dall'altro avesse a discostarsi: dirò meglio, avrà potuto discostarsene in qualche questione accessoria, ma non fino al punto, p. es., di considerare il lenocinio come derivante dalla superbia e dall' invidia, e non dall'avarizia; anzi, addirittura, fino al punto "di addossare tutti i veri e proprii delitti „ alla superbia e all'invidia, quando è evidente che molti, la maggior parte di essi, derivano dagli altri vizii capitali. Nè mancano, nello scritto del D'Ovidio, altre inesattezze teologiche. Per es., "nel purgatorio, almeno in quello di Dante, che altro si purga, di grazia, se non peccati mortali?, Forse il D'Ovidio deve quest' inesattezza al Balbo (che ricorda ad altro proposito col titolo di magnanimo): nel Purgatorio, scrive il Balbo, “sono purgati i sette peccati mortali, superbia, invidia, ira», ecc. Ma se il peccato mortale è quello che "damnationem moeretur,,, come scrive santo Agostino, esso non può trovarsi che nell'inferno; e dovrà invece trovarsi nel purgatorio il peccato veniale, che, come scrive lo stesso sant'Agostino, "non moeretur damnationem,, .3 Al qual proposito giova ricordare, che "omne peccatum per poenitentiam fit veniale Benissimo dunque aveva scritto il Landino:5 "Al purgatorio vanno quelli che sono rimasi in peccati veniali Parimenti, è inesatto il dire, che "nei cerchi anteriori a Dite l'aristotilismo fa appena capolino in quell'accozzo, nel medesimo cerchio, dell'accidia con l'opposto peccato dell' ira„. Dov'è l'aristotelismo in questo che il D'Ovidio chiama accozzo, se l'ira e l'accidia si trovano riunite in uno stesso cerchio, per essere tutt'e due, secondo i teologi, peccati di tristitia? dov'è l'aristotelismo, se l'accidia è "tristitia de bono spirituali divino,,, e questo bene non è da Aristotile compreso tra le cose, intorno a cui si può peccare d'incontinenza? Inoltre, il D'Ovidio scrive, che l'ira è peccato opposto all'accidia: ma ciò non l'insegnano né Aristotile, né san Tommaso: non l'insegna Aristotile, che d'accidia non fa motto; e non l'insegna san Tommaso, che, scrivendo "defectus irae absque dubio est peccatum ed แ etiam defectus passionis irae est

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1 Cf. S. Tomm., Summa, II, II, Q. CXVIII, art. 8°. Vita di Dante, Firenze, Le Monnier, 1853, pag. 362.

3 Cf. S. Tomm., Summa, I, II, Q. LXXXVIII, art. 1o. 4 S. Tomm., ivi, art, 2o.

Nel Prologo sopra el "Purgatorio „.

S. Tomm., Summa, II, II, Q. XXXV, art. 1o-3o.

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vitiosus,,, il defectus irae, e non l'accidia, dové ritenere che fosse il peccato opposto all'ira. - E a proposito di peccati opposti, il D'Ovidio, in una nota, dopo riferiti i versi 49-54 del c. XXII del Purg.,

(E sappi che la colpa che rimbecca, ecc.)

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scrive: "qual potrebb'essere il peccato opposto alla gola o alla lussuria? È chiaro che il poeta diè forma generica al principio, ma colla restrizion mentale che in un caso solo avesse applicazione. Or sentiamo san Tommaso: "Peccatum proprie nominat actum inordinatum '........ Habet actus humanus quod sit malus ex eo, quod caret debita commensuratione,, 3: d'altra parte, “passiones secundum se non sunt peccata,, ; dunque esse diventano peccato quando trasgrediscono l'ordine e la misura naturale. E poiché quest'ordine e questa misura possono trasgredirsi cosí per eccesso, come per difetto, ne segue che anche la lussuria e la gola debbano avere la loro antitesi tra i peccati. Infatti, lo stesso san Tommaso scrive: "omne illud, quod contrariatur ordini naturali, est vitiosum. Natura autem delectationem apposuit operationibus necessariis ad vitam hominis. Et ideo naturalis ordo requirit, ut homo in tantum delectationibus utetur, quantum necessariam est saluti humanae, vel quantum ad conservationem individui, vel quantum ad conservationem speciei. Si quis ergo in tantum delectationem refugeret, quod praetermitterat ea, quae sunt necessaria ad conservationem naturae, peccaret, quasi ordini naturali repugnans. Et hoc pertinet ad vitium insensibilitatis „.5 Quanto poi alla restrizione mentale, di cui parla il D'Ovidio, a dir la cosa in buon volgare (tanto più che la restrizione mentale si riferisce a una promessa o a un giuramento; e qui non è il caso), si riesce a questo: Dante una cosa scrisse, un'altra ne pensò. Ed è mai possibile? Che, se alcuno obiettasse: o perché dunque solo a proposito dell'avarizia fa menzione del peccato opposto? risponderei, che, d'ordinario, circa le passioni, si pecca assai piú per eccesso, che non per difetto; e che solo nel caso dell'avarizia e della prodigalità i due peccati opposti sono egualmente comuni: anche san Tommaso, là dove scrive che "vitia, quae differunt secundum superabundantiam et defectum, sunt contraria „,, l'esempio piú segnalato: sicut illiberalitas prodigalitati „ .“

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cita

Per non varcare di troppo i limiti concessi a una recensione, riassumerò con la maggiore brevità e senza commenti il resto dello scritto del D'Ovidio. Premesso che "la malizia dev'esser davvero nell' un verso in senso generico, nell'altro in senso tecnico che "la violenza corrisponde alla bestialità, secondo Aristotile la specifica„, e che “la vera malizia è giusto la frode„,, il D'Ovidio passa ad esaminare lo scritto del Fraccaroli, Il cerchio degli eresiarchi, pubblicato nella Biblioteca delle scuole classiche italiane (fasc. del 1° giugno 1894). Il Fraccaroli concludeva che nella partizione dell'XI canto dell' Inferno il poeta omise il Limbo, perché "quella partizione compendia solo la morale umana mentre il Limbo e il 6° cerchio "li aggiunge la morale divina. Queste di per sé sole non sono, direi quasi, vere e proprie colpe, ma sono difetti dei presupposti necessarii per salvarsi, l'uno involontario, e perciò non punito con tormenti, l'altro deliberato, e perciò gravemente punito,,. Il D'Ovidio giudica sottile quest'argomentazione; ma non vi s'accorda completamente; ed aggiunge:,, Un tanto di bestialità, il Boccaccio avrà ragione, il poeta dové avergliela, (agli eretici) “tacitamente aggiudicata; e il silenzio si potrebbe forse coonestare con ciò, che presi cosí in mezzo tra gl' incontinenti già finiti fuor della città, e i prossimi cittadini certamente bestiali, doveva parer facile il classificarli. Forse, non saputosi risolvere che anche del peccato ereticale sia fine l'ingiuria, lasciò la cosa in penombra, facendo che il lettore argomentasse alla meglio da sé, e collocò la discussione teorica alla estremità del cerchio, appunto per lasciarselo alle spalle, e non parlarne piú. Ma ardua cosa è chiosare il silenzio, e la chiosa mia non pretende di surrogarsi all'altrui, ma solo di mostrarne la

1 S' intende, con le debite distinzioni. Cf. S. Tomm., ivi, Q. CLVIII, art. 8o.

S. Tomm., Summa, I, II, Q. LXXI, art. 1o.

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necessaria incertezza Infine il D'Ovidio giudica felice il sospetto del Fraccaroli, che la pena del 6o cerchio possa aver relazione con l'aneddoto che il Boccaccio, nella 59a delle sue novelle, riferisce di Guido Cavalcanti, 1

L. FILOMUSI-Guelfi.

Canon. Ferdinando Savini. Saggio di una guida dichiarativa della divina Commedia Ravenna, tip. Calderini, 1894, in-4o, di pagg. X-54.

Il canon. Ferdinando Savini, autore di un libro dal titolo I papi, i cardinali, i chierici, etc. a giudizio di Dante Alighieri (Ravenna, tip. s. Apollinare, 1890), e di buoni articoli danteschi editi in questo ed altri giornali, in mezzo alle sue gravi occupazioni educative ha trovato campo di dare sfogo al suo amore pel divino poeta, pubblicando il Saggio di una guida dichiarativa della divina Commedia. In questo lavoro, prendendo di mira i punti più difficili del primo canto, del quale premette pure un sunto, e quelli presentando a parte ai principianti, credo abbia fatta opera utilissima, permettendo loro di affrontare la lettura del canto con la mente già sgombra delle principali difficoltà. Non sarà questa forse la forma di comento che molti preferiranno, ma è certo ch'essa tornerà a non pochi gradita ed opportuna; ond'è a desiderare che l'opera sia dal pubblico favorita, e dall'autore condotta a termine.

E nel far ciò sarebbero qui a luogo due avvertenze, una di forma, l'altra di sostanza. La prima consiglierebbe forse, in luogo di far procedere di seguito tutte le domande per le note dichiarative, e poi le note dichiarative medesime, che ad ogni domanda la risposta seguisse immediatamente; con che si avrebbe sí una certa apparenza catechistica, ma il lettore troverebbe anche più presto il fatto suo. Ed altra cosa mi parrebbe opportuna, trattandosi appunto di opera rivolta a principianti; che cioè, con meno modestia, l'autore non li lasciasse troppo spesso nell'imbarazzo della scelta fra diverse opinioni, ma mettesse sempre fuori bravamente la sua decisiva, che si può scommettere sarebbe volontieri dal principiante accettata.

E cosí dico perché il più delle volte vedo che la opinione da lui abbracciata viene pure divisa da un dilettante qual io sono; e anche dove non lo è, le ragioni da lui addotte appaiono però singolarmente stimabili.

Dove p. es. sostiene la lonza essere la lussuria (intorno a che io veramente, avendo sempre preferito all' allegorico il lato estetico del poema, non ho ancora una opinione ben formata), egli mi avrebbe quasi persuaso; salvo dove dice a p. 34 che intendendo la invidia, Dante si sarebbe allontanato dalla Scrittura e dai ss. PP.; e a p. 52, che nella Bibbia si parli delle tre fiere, come dei tre vizii sommi dei quali egli intende. Ma nella sua Guida il preciso luogo della Bibbia non mi è riescito trovarlo; mentre nel passo di san Giovanni citato a p. 29, si parlerebbe sí della concupiscenza della carne, della concupiscenza degli occhi, e della superbia della vita, ma non so se a dare alla concupiscenza degli occhi il significato dell' avarizia bastino gli àrgani di Cornelio a Lapide: e a p. 44 si citerebbero bensí le tre fiere di Geremia, identiche a quelle di Dante, ma con ciò non sarebbe ancor dimostrato esserne pure identico il significato allegorico.

Ho trovato assai fine a p. 31 il pensiero che anche la similitudine di quei che volontieri acquista valga di rincalzo al significato della lupa per l'avarizia. E già, questo delle associazioni di idee è per me un criterio di prima importanza, benché ancora poco adoperato nella interpretazione degli autori, Una simile, p. es., ne troverei a conferma della intelligenza del leone per la superbia, in quel di Dante, Parad., VI, 107 tema degli artigli Ch'a più alto leon tras · ser lo vello; che non si può, lo ammetto, intendere del vero leone allegorico, ma mostra però che la mente di Dante era solita a vedere sotto quella forma le superbie dei re.

Una inesattezza da potersi facilmente eliminare è quella a p. 31 che sia della prodigalità che Stazio dice che Toglie il penter vivendo e negli stremi, mentre egli parla invece della ignoranza la quale toglie di pentirsi della prodigalità in vita ed in morte.

1 Questa ipotesi è stata da me recentemente confutata nella Rassegna storica napoletana di lettere ed arti (Anno I, fasc. III, IV e V); ove ho pure espressa la mia opinione sulle tombe degli eretici in Dante.

Mi avea sedotto a tutta prima una sua nuova interpretazione del disputatissimo Chi per lungo silenzio parea fioco: chi per la lunga corsa affannosa appariva ansante; e veramente è ingegnosa; ma ripensandoci mi domandai: o perché Dante non avrebbe detto addirittura, chi per lungo cammino, etc.? Sta bene la metonimia di fioco per ansante, perché chi ansa veramente è fioco: ma sottintendere a silenzio il concetto: per lunga corsa, mi parrebbe troppo; e mancherebbe poi il nesso logico col fioco, giacché la fiocaggine di chi ansa non sarebbe già dovuta all'aver molto taciuto, ma a l'aver molto respirato.

Giustissime mi sembrano le considerazioni svolte a dimostrare quanto il poeta prese da Virgilio, e quanto dalla Bibbia. E tutta l'opera si palesa dettata in uno stile facile e piano, che ne rende gradevole la lettura e persuasivo il modo d'argomentare.

Ma mi accorgo, dopo tutto, che io non ho ancora parlato del merito principale dello scritto del canonico Savini, che per me consiste nell'aura tutta morale che, pur senza averne l'aria, ne spira, e che investe pure il lettore, persuadendolo, con la potente suggestione di un grande come Dante, ad abbandonare le vie del peccato per quelle della gloria e della virtú. È questo adunque un libro, che s'indirizza al cuore ancor più che alla mente: e chi non converrà meco che sia cento volte preferibile educare, che istruire, e che un' opera buona valga piú che cento bei libri?

FERDINANDO RONCHETTI,

NOTIZIE

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Tra le conferenze che avranno luogo a Parigi presso la Société d'études italiennes presieduta da Jules Simon, si annunzia quella di M. Durand-Fardel De l'amour dans la divine Comédie. Già Paul Millet ha parlato, lo scorso anno, dell'arte simbolica in Italia, e, specialmente, delle allegorie di Giotto.

L'articoletto intitolato Dante a Oxford che Azeglio Valgimigli publicò nel quaderno VI di questo periodico, ha procurato all'autore una molto cortese lettera di encomio dell'onor. Gladstone. Sabato 26 gennaio, nell'aula massima del Collegio romano, per invito del Comitato centrale fra gli studenti secondari per la difesa della lingua italiana nell'Istria, il prof. Giovanni Franciosi tenne una bella conferenza sopra L'Italia nell'anima di Dante.

Coi tipi Ferrari e Pellegrini di Parma, Edoardo Alvisi ha recentemente publicato, in edizione nitida ed elegante, Il libro delle origini di Fiesole e di Firenze sopra due testi del secolo XIII.

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Della Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari, diretta da G. L. Passerini, sono usciti i numeri 16 e 17, contenenti le Lettere dantesche del p. Bartolommeo Sorio e Il Farnetico savio, ovvero il Tasso, dialogo di Alessandro Guarini.

L'isola di Capraia: impressione di viaggio e cenni storici, è il titolo di un libro che il signor A. Cionini, tenente nel 60° regg. di fanteria, ha testé publicato coi tipi Cappelli di Rocca s. Casciano.

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La stessa tipografia ha pure eseguito, in edizione assai elegante, la stampa dello Statuts volgare dell'arte dei fabbri di Pisa, della seconda metà del secolo XIV, pubblicato, insieme ad una breve ma diligente storia dell'arte, dal dr. Gius. Simonetti.

In occasione di nozze l'egregio cav. A. Lisini ha posto a luce una Copia di alcune firme autografe di personaggi illustri ricavata da documenti originali dell'Archivio senese. In questa raccoltina, che va dal 995 al 1810, si ritrova, tra le altre, la sottoscrizione notarile di Brunetto Latini,

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È uscito il primo volume della Kulturgeschichte des Mittelalters del dr. G. Grupp (Stuttgart, 1894).

La casa editrice N. Zanichelli di Bologna ha pubblicato Le rappresaglie nei comuni medievali e specialmente in Firenze, a cura dei sigg. A. Del Vecchio ed E. Casanova.

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Intorno ai ruderi della chiesa ed ex convento dei minori conventuali di san Francesco in Giovinazzo, ha scritto una utile monografia storica il signor Giuseppe De Ninno. (Trani, tip. Vecchi).

Il giorno 26 di gennaio 1894 moriva in Roma, quasi improv visa mente, monsignore ISIDORO CARINI prefetto della Biblioteca Vaticana, e cultore insigne di studi storici.

G. L. PASSERINI, direttore.

Proprietà letteraria.

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LEO S. OLSCHкI, editore-proprietario, responsabile.
Città di Castello, Stab. tip. lit. S. Lapi, 31 di decembre 1894.

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