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Appena Dante giunge nell'Empireo, un lume vivissimo gli balena attorno, e lo circonda cosí ch'ei nulla piú distingue; ma in breve quello crescc vigore agli occhi di lui, e li rende forti a sostenere qualsiasi splendore. Intanto un fiume di luce si distende fra due rive fiorite, e da esso vengono fuori faville vive, che si posano su i fiori in modo da esserne circoscritte, come rubini dall'oro; indi, quasi inebbriate dagli odori, si levano su e ritornano al miro gurge, mentre altre vanno alle fiorite rive. Beatrice fa intendere a Dante, desideroso d'aver notizia di quanto vede, che per tal fine gli converrà bere di quella luce, la quale con le faville e i fiori è ombra della verità; ed e' vi ficca gli occhi per entro, e ne beve. A un tratto la fascia luminosa ripiega intorno a sé, e si fa tonda; e le faville e i fiori si trasmutano in angeli ed anime beate, sicché

L'alto trionfo del regno verace,

(Par., XXX, 98).

è tutto manifesto a Dante nella disposizione che segue.
Un immenso circolo luminoso, tal che la sua circonferenza

Sarebbe al sol troppo larga cintura,

(Par., XXX, 105).

raggiando tutto quanto, si riflette al sommo del primo mobile, che da esso riceve vita e potenza. In giro in giro, al di sopra di quello, stanno tutte le anime elette, che divise in più di mille soglie, vi si specchiano. Il circolo luminoso, dunque, sta al basso, ed è circoscritto dalla soglia inferiore; e poiché le anime, che in esso mirano, formano più di mille soglie, piú di mille gradi, segue che, dovendo questi dare in largo, il cerchio massimo, ossia la soglia superiore estrema, dev'essere maravigliosamente grande :

E se l'infimo grado in sé raccoglie
sí grande lume, quant'è la larghezza
di questa rosa nell'estreme foglie ?
(Par., XXX, 115-117).

Essa, mirabilmente larga, in pari tempo è assai profonda; di fatto dal suo punto inferiore mediano al terzo grado, dal sommo, corre una distanza maggiore di quella che va dal mare piú profondo al limite superiore dell'atmosfera (Par., XXXI, 73-76).

Di modo che la città celeste rende l'imagine d'una immensa rosa, che l'Alighieri dice candida, per la bianchezza delle stole e per la purità delle anime. Essa poi è dominata dall'eterno Sole (Dio, la s. Triade), il quale, dall'alto, l'avviva co' suoi raggi, che si diffondono da per tutto e formano il circolo splendente, ossia il giallo della rosa, compreso entro l'infima soglia. E intanto, come schiera d'api che s'infiora, la milizia angelica discende nel gran fiore, e quindi risale

Là, dove il suo amor sempre soggiorna.

(Par., XXXI,12).

Iddio, dunque, sta in alto, al di sopra della rosa, quasi sole meridiano. (V. anche Par., XXX, 26-27).

Ma le rose son di varie forme; alcune ve n'ha che, molto strette in cima, vengono dilatandosi all'esterno, di guisa che i loro petali scendano via via, digradino al di fuori; altre invece, accanto accanto al giallo, mandano alquante foglioline, e, sempre risalendo con petali maggiori, si dilatano fino alle foglie estreme. Ora, la rosa imaginata da Dante somiglia alle prime o alle seconde? La risposta sarà presto trovata, poiché tutto il contesto si oppone recisamente alla prima imagine, dimostrando a chiare note verissima la seconda, di modo che sebbene con la prima potremmo veder collocati gli spiriti migliori nei cerchi piú stretti e piú elevati, dobbiamo assolutamente escluderla, per seguire addirittura la seconda.

Osserviamo di fatto: i beati si specchiano nella luce circolare sottostante come clivo in acqua di suo imo;

....

(Par., XXX, 109).

Dante, sito nel basso della rosa, per guardare in alto leva gli occhi

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ciò vuol dire che la faccia interna del fiore viene restringendosi dalla sommità al basso.

Il poeta inoltre, per indicare il sito dello scanno di Maria, nel cerchio superiore estremo, ricorre al paragone del sole in sull'apparire:

...... come da mattina

la parte oriental dell' orizzonte
soverchia quella dove il sol declina, ecc.

(Par., XXXI, 118-120).

Ora, l'orizzonte dà l'idea di circonferenza massima intorno a chi lo guardi; idea avvalorata dai versi

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idea che si riscontra, con lieve modificazione, con quella delle tre ghirlande di spiriti che si mostrano all' Alighieri nel sole:

Ed ecco intorno (alle re due ghirl.) di chiarezza pari

nascere un lustro sopra quel che v'era,

a guisa d'orizzonte che rischiari.

(Par., XIV, 67-69).

L'imagine della natura, sempre viva nella mente del poeta, non si altera mai per nulla; sicché e' la ritrae, sia nel senso letterale sia nel senso allegorico, con piena verità e limpidezza. E se vogliamo vedere nella sua realtà l'allegorica rosa, non dobbiamo che richiamare i versi:

Cosí m'ha dilatata mia fidanza,

come il sol fa la rosa, quando aperta
tanto divien quant'ella ha di possanza;
(Par., XXII, 55-57).

e la candida rosa anch'essa si scalda ai raggi del Sol che sempre verna. Di modo che sembra si possa con sicurezza affermare che Dante imagina una rosa, la quale dalle foglie interne prossime al giallo si dilata e innalza verso l'estreme.

È da vedere, ora, se essa stia nella sua posizione naturale, o se capovolta. Veramente par che ogni cosa sostenga la prima posizione contrastando alla seconda. Il che si potrebbe in certo modo rilevare da quanto si è detto di sopra; ma sonvi ben altre prove da aggiungere. Mi gioverò sopra tutto de' paragoni, cui il poeta ricorre sempre per figurare al vivo il suo pensiero, e pur in questo egli è maestro sovrano. Gran numero d'angeli,

Si come schiera d' api che s'infiora
una fiata, ed una si ritorna

là dove suo lavoro s'insapora,
nel gran fior discendeva....

(Par., XXXI, 7-10).

L'entrar degli angeli (che scendono da Dio, sito in alto) nella rosa capovolta non avrebbe alcuna somiglianza con l'infiorarsi (l'entrar nel fiore) delle api; poiché queste sogliono procedere in tal lavoro dalla corolla in giú; non dal basso alla corolla. È vero che lassú

La legge natural nulla rilieva;

(Par., XXX, 123).

ma ognun vede come questo principio non si possa in verun modo riferire alle similitudini, che in tanto rischiarano il concetto in quanto convengono

con esso,

E ben anche lo scendere e il salire degli angeli a traverso la circonferenza minore della rosa, presenterebbe alquante difficoltà di logica e d'estetica; non che il volgersi degli occhi de' beati al trono di Dio, che sta, come s'è notato, in alto, al di sopra della rosa.

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ma i beati non s'appagano solo nel ricevere e riflettere la luce divina, bensí ancora nel figger gli occhi in Dio:

Questo sicuro e gaudioso regno,

frequente in gente antica ed in novella,
viso ed amore avea tutto ad un segno.
(Par., XXXI, 25-27).

Qui segno vale sicuramente il punto ov'è Dio, non già la luce da Lui proveniente. Dato adunque che la rosa fosse capovolta, ciò seguirebbe a disagio, massime pe' beati de' cerchi piú ampî, che sarebbero i piú bassi; né si avrebbe una bella imagine. E pure è da considerare che l'Alighieri, sempre fedele alla regolarità del concetto e alla bellezza dell'idea, in tutto il Paradiso ha finezze artistiche veramente divine.

Oltre a ciò, ove si tenga presente che i beati son disposti in piú di mille soglie, al di sopra del circolo luminoso, ch'è il più stretto (Par., XXX, 112-117), si deve concludere che la rosa capovolta non può aver luogo.

Ma evvi altro ancora: è riconosciuto che con la lezione comune, giallo, a quest'ultima posizione s'oppone la parola del poeta ; di guisa che, per sostenerla, occorrerebbe sostituirne un'altra: ciglio; e con questa lo scanno di Maria sarebbe posto ne' cerchi piú stretti, prossimi al giallo, e però nei piú alti: cosí si assegnerebbe agli esseri più perfetti minore spazio, mentreché la perfezione veramente è rara; ma anche con la rosa nella posizione naturale, questo concetto giustissimo può esser ben rispettato, come si vedrà appresso.

Per ora si supponga un po' Dante sul ciglio della rosa capovolta, e seguirà necessariamente, stando col testo, che pur il poeta dev'essere capovolto; ora, in tal posizione per guardare gli scanni de' beati e il trono di Dio, e' dovrebbe, rispetto a sé, pur guardando in alto, abbassar gli occhi; invece piú luoghi dicono diversamente:

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Io levai gli occhi; e come da mattina

la parte oriental dell' orizzonte

soverchia quella dove il sol declina, ecc.

(Par., XXXI, 118-120).

Dov'è pur da notare che con la rosa capovolta, stando Maria nel grado prossimo al giallo, e Dante sul ciglio, l'imagine dell'orizzonte non avrebbe nulla di simigliante al vero.

E come mai potrebbe il poeta chiamar fondo il vuoto della circonferenza massima tracciata dai petali, sui quali e' si troverebbe?:

Figliuol di grazia, questo esser giocondo,

cominciò egli, non ti sarà noto

tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo.

(Par., XXXI, 112-114).

Ond'e' pare che la lezione ciglio non si possa punto sostenere; laddove l'altra, giallo, oltre ch'è avvalorata dai passi su riferiti contrarî alla prima, trova analogia e spiegazione in molti altri luoghi. Dante nel paradiso terrestre vien circondato dalle quattro belle (le virtú cardinali) (Purg., XXXI, 103-104); e' visitando i pianeti, è più volte in essi tolto in mezzo da' beati; s. Pietro gira intorno a Dante (Par., XXIV, 152-153), compiacendosi nel merito di lui; le tre corone di spiriti del sole (Par., X-XII-XIV) tolgono in mezzo Beatrice e Dante (Par., X, 64-65); l'aquila formata dagli spiriti che sono in Giove (Par., XIX, 91-96) s'innalza e s'aggira intorno a Dante. Ora, ove si consideri che le apparizioni e molti fatti dei cieli sono imagini sensibili di quanto avverrà nella candida rosa, si dovrà riconoscere che pur v'è rispondenza tra la posizione che prende Dante in mezzo ai beati nei cieli, e quella che prenderà in mezzo ai beati sul giallo, nella candida rosa. Si ponga mente anche a quanto segue: Dante dice di sé:

Sí, per la viva luce passeggiando,
menava io gli occhi per li gradi,
or su, or giú, ed or ricirculando.

(Par., XXXI, 46-48).

Qui è da premettere un'osservazione: molti commentatori, forse tutti, riferiscono quel passeggiando agli occhi; e spiegano: io, scorrendo con gli occhi, ecc.; ma per intender cosí, si ha da forzare la sintassi al proprio intendimento, e si viene a ripetere due volte lo stesso pensiero, derogando alla concisione dello stile dantesco. Il senso naturale ivi porta: io, passeggiando per la viva luce (a traverso la viva luce, o anche sul circolo di luce, sul giallo) menava gli occhi per li gradi or su, or giú ed ora in giro. L'idea del movimento degli occhi è compresa nel verbo menare; e non avrebbe regolarità il dire: io, passeggiando, ossia scorrendo, con gli occhi, menava gli occhi. Quel passeggiare è detto propriamente di Dante medesimo.

Il che conferma com'egli stesse sul giallo, donde avea la vista di tutti i beati. E chi ben riguardi, quel ricirculando per Dante, situato nel mezzo della

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