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Ora, l'orizzonte dà l'idea di circonferenza massima intorno a chi lo guardi; idea avvalorata dai versi

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idea che si riscontra, con lieve modificazione, con quella delle tre ghirlande di spiriti che si mostrano all'Alighieri nel sole:

Ed ecco intorno (alle re due ghirl.) di chiarezza pari

nascere un lustro sopra quel che v'era,

a guisa d'orizzonte che rischiari.

(Par., XIV, 67-69).

L'imagine della natura, sempre viva nella mente del poeta, non si altera mai per nulla; sicché e' la ritrae, sia nel senso letterale sia nel senso allegorico, con piena verità e limpidezza. E se vogliamo vedere nella sua realtà l'allegorica rosa, non dobbiamo che richiamare i versi:

Cosi m'ha dilatata mia fidanza,

come il sol fa la rosa, quando aperta
tanto divien quant'ella ha di possanza;
(Par., XXII, 55-57).

e la candida rosa anch'essa si scalda ai raggi del Sol che sempre verna. Di modo che sembra si possa con sicurezza affermare che Dante imagina una rosa, la quale dalle foglie interne prossime al giallo si dilata e innalza verso l'estreme.

È da vedere, ora, se essa stia nella sua posizione naturale, o se capovolta. Veramente par che ogni cosa sostenga la prima posizione contrastando alla seconda. Il che si potrebbe in certo modo rilevare da quanto si è detto di sopra; ma sonvi ben altre prove da aggiungere. Mi gioverò sopra tutto de' paragoni, cui il poeta ricorre sempre per figurare al vivo il suo pensiero, e pur in questo egli è maestro sovrano. Gran numero d'angeli,

Si come schiera d' api che s'infiora
una fiata, ed una si ritorna

là dove suo lavoro s'insapora,
nel gran fior discendeva....

(Par., XXXI, 7-10).

L'entrar degli angeli (che scendono da Dio, sito in alto) nella rosa capovolta non avrebbe alcuna somiglianza con l'infiorarsi (l'entrar nel fiore) delle api; poiché queste sogliono procedere in tal lavoro dalla corolla in giú; non dal basso alla corolla. È vero che lassú

La legge natural nulla rilieva;

(Par., XXX, 123).

ma ognun vede come questo principio non si possa in verun modo riferire alle similitudini, che in tanto rischiarano il concetto in quanto convengono

con esso,

E ben anche lo scendere e il salire degli angeli a traverso la circonferenza minore della rosa, presenterebbe alquante difficoltà di logica e d'estetica; non che il volgersi degli occhi de' beati al trono di Dio, che sta, come s'è notato, in alto, al di sopra della rosa.

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ma i beati non s'appagano solo nel ricevere e riflettere la luce divina, bensi ancora nel figger gli occhi in Dio:

Questo sicuro e gaudioso regno,

frequente in gente antica ed in novella,
viso ed amore avea tutto ad un segno.
(Par., XXXI, 25-27).

Qui segno vale sicuramente il punto ov'è Dio, non già la luce da Lui proveniente. Dato adunque che la rosa fosse capovolta, ciò seguirebbe a disagio, massime pe' beati de' cerchi piú ampî, che sarebbero i piú bassi; né si avrebbe una bella imagine. E pure è da considerare che l'Alighieri, sempre fedele alla regolarità del concetto e alla bellezza dell'idea, in tutto il Paradiso ha finezze artistiche veramente divine.

Oltre a ciò, ove si tenga presente che i beati son disposti in piú di mille soglie, al di sopra del circolo luminoso, ch'è il più stretto (Par., XXX, 112-117), si deve concludere che la rosa capovolta non può aver luogo.

Ma evvi altro ancora: è riconosciuto che con la lezione comune, giallo, a quest'ultima posizione s'oppone la parola del poeta ; di guisa che, per sostenerla, occorrerebbe sostituirne un'altra: ciglio; e con questa lo scanno di Maria sarebbe posto ne' cerchi più stretti, prossimi al giallo, e però nei piú alti: cosí si assegnerebbe agli esseri più perfetti minore spazio, mentreché la perfezione veramente è rara; ma anche con la rosa nella posizione naturale, questo concetto giustissimo può esser ben rispettato, come si vedrà appresso.

Per ora si supponga un po' Dante sul ciglio della rosa capovolta, e seguirà necessariamente, stando col testo, che pur il poeta dev'essere capovolto; ora, in tal posizione per guardare gli scanni de' beati e il trono di Dio, e` dovrebbe, rispetto a sé, pur guardando in alto, abbassar gli occhi; invece piú luoghi dicono diversamente:

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Io levai gli occhi; e come da mattina

la parte oriental dell' orizzonte

soverchia quella dove il sol declina, ecc.

(Par., XXXI, 118-120).

Dov'è pur da notare che con la rosa capovolta, stando Maria nel grado prossimo al giallo, e Dante sul ciglio, l'imagine dell' orizzonte non avrebbe nulla di simigliante al vero.

E come mai potrebbe il poeta chiamar fondo il vuoto della circonferenza massima tracciata dai petali, sui quali e' si troverebbe?:

Figliuol di grazia, questo esser giocondo,

cominciò egli, non ti sarà noto

tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo.

(Par., XXXI, 112-114).

Ond'e' pare che la lezione ciglio non si possa punto sostenere; laddove l'altra, giallo, oltre ch'è avvalorata dai passi su riferiti contrarî alla prima, trova analogia e spiegazione in molti altri luoghi. Dante nel paradiso terrestre vien circondato dalle quattro belle (le virtú cardinali) (Purg., XXXI, 103-104); e' visitando i pianeti, è più volte in essi tolto in mezzo da' beati; s. Pietro gira intorno a Dante (Par., XXIV, 152-153), compiacendosi nel merito di lui; le tre corone di spiriti del sole (Par., X-XII-XIV) tolgono in mezzo Beatrice e Dante (Par., X, 64-65); l'aquila formata dagli spiriti che sono in Giove (Par., XIX, 91-96) s'innalza e s'aggira intorno a Dante. Ora, ove si consideri che le apparizioni e molti fatti dei cieli sono imagini sensibili di quanto avverrà nella candida rosa, si dovrà riconoscere che pur v'è rispondenza tra la posizione che prende Dante in mezzo ai beati nei cieli, e quella che prenderà in mezzo ai beati sul giallo, nella candida rosa. Si ponga mente anche a quanto segue: Dante dice di sé:

Sí, per la viva luce passeggiando,
menava io gli occhi per li gradi,
or su, or giú, ed or ricirculando.

(Par., XXXI, 46-48).

Qui è da premettere un'osservazione: molti commentatori, forse tutti, riferiscono quel passeggiando agli occhi; e spiegano: io, scorrendo con gli occhi, ecc.; ma per intender cosí, si ha da forzare la sintassi al proprio intendimento, e si viene a ripetere due volte lo stesso pensiero, derogando alla concisione dello stile dantesco. Il senso naturale ivi porta: io, passeggiando per la viva luce (a traverso la viva luce, o anche sul circolo di luce, sul giallo) menava gli occhi per li gradi or su, or giú ed ora in giro. L'idea del movimento degli occhi è compresa nel verbo menare; e non avrebbe regolarità il dire: io, passeggiando, ossia scorrendo, con gli occhi, menava gli occhi. Quel passeggiare è detto propriamente di Dante medesimo.

Il che conferma com'egli stesse sul giallo, donde avea la vista di tutti i beati. E chi ben riguardi, quel ricirculando per Dante, situato nel mezzo della

rosa, risponde esattamente alla proprietà, ond'è mirabile il linguaggio del poeta: ricirculare vale: girare a misura di compasso intorno a un centro.

Ed ora, determinata la figura della città celeste secondo la descrive l'autore, è da vedere quali e quanti sieno gli abitanti di essa, e come disposti. Quanto a ciò in vero ben poco si potrebbe rilevare dai commentatori, i quali ivi nelle loro spiegazioni parecchie volte errano. Pare intanto che l'Alighieri presenti ben chiara la disposizione de' beati nei varî gradi della lor gloria, e assai piú personaggi che non nomini nella città celeste, ci dia nominata. mente altrove come dimoranti in essa.

Ma a ciò convien tenere altro viaggio.

Beatrice scorta Dante nel paradiso, perché egli, secondo l'ufficio cui si prepara, sia poi in tutto idoneo ad attuare il suo disegno, che, del resto, è fatale.' Dante deve avere del paradiso, come ha avuto dell'inferno e del purgatorio, visione chiarissima e cognizione profonda; pure le bellezze sovrumane, celestiali, sfuggono all'occhio umano; o meglio questo non resiste all'immensità di quella luce, e abbarbagliato volge via da essa; e cosí l'umano intelletto si smarrisce e non penetra le divine maraviglie. E pure d'uopo che Dante le penetri, perché possa compiere la sua missione tra i vivi

Del viver ch'è un correre alla morte.

(Purg., XXXIII, 54).

Iddio quindi vuole ammettere al suo cospetto questo animal grazioso e benigno, cui, dopo averlo ammonito e purificato, trasumanerà di cielo in cielo. E poiché Dante nella qualità d'uomo

solo da sensato apprende

ciò che fa poscia d'intelletto degno,

(Par., IV, 41-42).

Iddio consente che i beati, secondo il grado che i meriti lor sortirono, si mostrino a Dante di cielo in cielo, dove son le imagini sensibili della Verità che questi è per vedere nell' Empireo.

La relazione tra quanto apparisce al poeta nelle sfere e quanto gli si mostra nella candida rosa è manifesta per quello che vien dicendo egli medesimo. Soglie e' chiama i pianeti ai quali successivamente ascende, soglie le sezioni graduali della rosa.

Piccarda nel cielo della luna:

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Gravi considerazioni fatte sulle tre cantiche, e specialmente sul Paradiso, valgono ad avvalorare e, sto per dire, accertare, il concetto del Poeta-veltro del chiarissimo prof. Ruggero della Torre.

L'idea della gloria graduale, dunque, in ambo i luoghi è significata dalla voce soglia; sebbene le soglie rappresentate dalle sfere sieno piú estese che quelle della candida rosa, e comprendano i beati di parecchie soglie di

essa.

Gradi diversi di gloria segnano le diverse sfere:

Ma non so chi tu se', né perché aggi,
anima degna, il grado della spera, ecc.

(Par., V, 127-128).

Gradi diversi, i cerchi della rosa:

Locati son per gradi differenti.

(Par., XXXII, 74).

Più in alto sono le sfere, maggior beatitudine esse tributano:

vidimi traslato

sol con mia Donna a piú alta salute.

(Par., XIV, 83-84).

Cosí dai cerchi piú bassi ai più elevati della rosa, e più in alto ancora, al di sopra di essa, la beatitudine cresce sempre piú:

Supplica a te per grazia di virtute,

tanto che possa con gli occhi levarsi

più alto verso l'ultima salute.

(Par., XXXIII, 25-27).

E Beatrice significa bellamente all'alunno quanto segue:

Qui (nella Luna) si mostraron (Picc. Cost.), non perché sortita

sia questa spera lor, ma per far segno

della celestial ch'ha men salita.

(Par., IV, 37-39).

Tutto invero mostra esatta rispondenza tra la diversa altezza dei pianeti, e quella dei cerchi della città celeste.

Con questa norma diamo ora uno sguardo alla candida rosa. Voglia il lettore richiamarne la figura, secondo l'abbiam divisata di sopra, aggiungendo le seguenti notizie che ne dà il poeta. Essa quanto all'altezza è divisa dal cerchio mediano in due parti, in modo che dall'estremità del giallo fino a codesto cerchio, sia pari distanza che da esso al sommo. È poi divisa nell'ampiezza in due metà da due serie di scanni che dal sommo vanno fin giú al limite del giallo. Negli scanni dell' una divisione siedono ebree nell'ordine seguente dall'alto al basso: Maria, Eva, Rachele, Sara, Rebecca, Giuditta, Rut ed altre. Esse dirimono tutte le chiome del fiore, scendono vuol dire fino al giallo; non già per soli quattordici gradi, come intendono molti commentatori, bensí per piú di mille gradi quanti sono quelli della rosa. Di contro a questa linea divisoria vi ha l'altra su' cui seggi stanno successivamente dall'alto al basso, Giovanni Battista, che riesce di rimpetto a Maria, e poi giú Francesco di rimpetto ad Eva, Benedetto di fronte a Rachele, Agostino di fronte a Sara, ed altri.

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