Slike stranica
PDF
ePub

mento e stava perciò concentrata nel cuore, ora è scesa nel ventre: lo spirito già si va dileguando, e sottentra la materia: e, se la forma deve corrispondere al concetto che incarna, essa non poteva essere grandiosa (come il Bartoli avrebbe desiderato), ma bassa, ributtante, schifosa. E, con sublime inconseguenza, il Bartoli stesso, indi a poco, cosí si emenda: "Il poeta ha voluto presentarci un luogo dove tutto è schifoso. L'acqua tinta, la sozza mistura dell'ombre e della pioggia, quegli spiriti graffiati, scuoiati, squartati, che urlano come cani, rotolandosi nel fango, sono immagini della viltà del peccato, dell'abiezione in cui cade colui che vive per il ventre. „

Non piú mangiare per vivere, ma vivere per mangiare; il fine della vita è, dunque, invertito. Sicché ripeterò anch'io col Bartoli: Non mi pare si debba cercare di piú. Furono bestie; e la loro qualità di bestie è meravigliosamente rappresentata nella pittura del poeta. „, (Ivi, pag. 112-113).

Dall'individuo, ch'è Ciacco, estendete lo stesso concetto alle repubbliche, pur sì fastose, di Atene, di Sparta, di Roma, (antiche), nonché de' Comuni; e troverete che tutti terminarono al modo stesso, cioè col ventre o con la crapula; onde, poi, la dissoluzione degli ordini sociali. L'apparizione di Bacco nella storia ideale dell'arte, ha pure il profondo significato; e chi ne voglia una recente prova, un ultimo documento umano, legga Il ventre di Parigi di Emilio Zola (il gran verista moderno !)

II.

FILIPPO ARGENTI.

La terza figura, che, nella palude stigia, ci si para d'avanti, è quella di Filippo degli Adimari, ricco e potente signore fiorentino, cognominato Argenti, perché faceva, per orgoglio e bizzarría, ferrare d'argento il superbo destriero ch'ei cavalcava. Alto, bruno, nerboruto, era dotato di forza straordinaria, meravigliosa. Iracondo all'eccesso, per un nonnulla montava in furia. Fu proprio questo Filippo Argenti degli Adimari quel facinoroso, che tanto si adoperò per fare che da Firenze fosse, e per sempre, espulso Dante insieme a tutti que' di parte bianca; e 'l fratello di lui già godevasi i beni, confiscati al povero poeta: (in Camerata, in San Martino a Pagnolle e in Piano di Ripoli,

luoghi tutti deliziosi e vicini a Firenze): notizie pur tanto peregrine, dobbiamo allo stesso Boccaccio (V. il suo Decamerone, IX, 8). Ognuno potrà, quindi, immaginar di leggieri qual fosse l'animo di Dante per uno che l'avea privato di ogni cosa "piú caramente diletta e l'avea gittato in fondo d'ogni miseria.

[ocr errors]

Il poeta immagina che stesse già traghettando lo Stige per approdare alla Città di Dite; e notevole è la descrizione della navicella:

[merged small][ocr errors]

(Inf., VIII, 13-18). Ma che ragione v'era, di correr tanto? Siamo nella palude stigia, dove sono sommersi gl'iracondi; e questi, sempre dissennati e furibondi, s'avventano alla navicella per trascinarla seco ne' gorghi del panPer Dante v'era, dunque, l'imminente pericolo d'affogare. Ed

tano.

oh! la stupenda dipintura, che, ora, segue:

Mentre noi correvam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,

e disse: chi se' tu che vieni anzi ora?

(Ivi, 31-33).

Come avea fatto il dannato a sapere che Dante era ancor vivo? La barca, sotto il peso del corpo, s'era affondata: "E sol quand' i' fui dentro, parve carca. " (Ivi, 27.) Non viaggiava, dunque, uno spirito; ma un uomo in carne ed ossa.

Ed io a lui: S'i' vegno, non rimango;

ma tu chi se', che si se' fatto brutto?
Rispose: Vedi che son un che piango.

(Ivi, 34-36).

Una prima frecciata, la bruttezza; e una prima soddisfazione, le lagrime. Dove sono piú l'oro e l'argento? dove, i palagi ed i cavalli? dove, la superbia e la bizzarria? Non resta che 'l pianto: e chi visse nel fango, ossia nella turpitudine, è giusto che or sia tutto deturpato di melma, effetto della colpa.

Ed io a lui: Con piangere e con lutto,
spirito maledetto, ti rimani;

ch'io ti conosco ancor sie lordo tutto.

[merged small][ocr errors]

Benché, sotto quella maschera di lordura, tu fossi divenuto irriconoscibile, ben io, dalla gigantesca corporatura e dal ferreo suono della voce, ti ravviso, o Adimari. Sii per sempre maledetto, nemico della tua patria e mio! Pur v'ha una giustizia eterna; io stesso, ora, ne sono spettatore. E ben è di ragione che tu rimanga qui a piangere ed a sospirare eternamente, mentre io guardo e passo.

Allora stese al legno ambo le mani;

per che 'l maestro, accorto, lo sospinse,
dicendo: Via costà, con gli altri cani.

(Ivi, 40-42).

L'odio anch'esso, non si estingue nell'inferno; e quindi l'Adimari, a sí aspra imprecazione, più non risponde a parole, ma slanciasi alla navicella con ambedue le mani, nella perversa idea di capovolgerla o di ribaltarla per fare che Dante, caduto in quella pozzanghera o "morta gora vi perisse annegato, ed egli potessse ferocemente gioire della miseranda fine del suo acerrimo nemico: sarebbe stata una vendetta postuma, degna di un dannato. Ma, come Virgilio se ne accorge, s'interpone respingendolo e gridando: Via di qua, con gli altri iracondi Per tal modo, all'Adimari non

al par di te rabbiosi, e quindi cani.

è dato neppure di toccare un lembo del poeta.

Lo collo poi con le braccia m'avvinse,
baciommi 'l volto, e disse: Alma sdegnosa,
benedetta colei, che in te s'incinse.

(Ivi, 43-45).

Virgilio poi, sorridendo, mi abbraccia, mi bacia ed esclama: O anima, piena di magnanimo disdegno, (la virtú de' grandi artisti), benedetta colei che ti generò!

Quel fu al mondo persona orgogliosa;
bontà non è, che sua memoria fregi,
cosi s'è l'ombra sua qui furiosa.

(Ivi, 46-48).

Quell'Adimari che tu vedesti, fu, nel mondo di là, come ben sai, un impasto di vanità, di superbia, d'insania. La sentenza di morte e di proscrizione, fulminata contro di te e contro i tuoi, fu principalmente opera sua. Egli, quindi, dopo morte, non ha di sé lasciato che una memoria detestevole, e abbominata. Talché l'ombra sua tuttora ne freme ed è furiosa.

Quanti si tengono or lassù gran regi,
che qui staranno come porci in brago,
di sé lasciando orribili dispregi !

(Ivi, 49-51).

E cosí avverrà di tanti altri superbi ed orgogliosi, che, tuttora viventi, si tengono in conto di sovrani d'alta possanza; e qui guazzeranno, invece, come porci in una fogna o sentina, non lasciando di sé che ignominia, e quindi disprezzo.

Ed io: Maestro, molto sarei vago

di vederlo attuffare in questa broda,
prima che noi uscissimo del lago.

(Ivi, 52-54).

Com'è chiaro, Dante ancor non è pago, e vorrebbe una soddisfazione maggiore: cioè, vorrebbe che gli altri iracondi or facessero all'Adimari quel che quest' anima rea intendeva di fare a lui, rituffandola nel pantano, e cosí castigandola della sua stessa perversa idea: e ciò Dante desidera che avvenga subito, prima ch'egli esca da quell' acqua putrida, perché possa godere di sí miserando spettacolo.

Ed egli a me: Avanti che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disio converrà che tu goda.

(Ivi, 55-57).

È anche giusto che tu ne goda, e 'l tuo desiderio si adempia, risponde Virgilio: prima di approdare all'opposto lido, tu sarai, di fatto, appagato e con piena soddisfazione.

Dopo ciò poco, vidi quello strazio

far di costui alle fangose genti,

che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

(Ivi, 58-66).

Indi a poco, Dante vede come un insorgere di tutti gli altri dannati contro esso Adimari, ed, a sfogo d'ira, farne strazio tremendo. Cosí è punito un iracondo, un prepotente, un tiranno! Cosí le disparità, tra la vita e la morte, si appianano, si compensano! E l'anima del giusto, nel concetto etico della legge, si esulta in Dio, legislatore supremo.

Tutti gridavano: A Filippo Argenti!
E 'I fiorentino spirito bizzarro

in sé medesmo si volgea co' denti.

(Ivi, 61-63).

[merged small][ocr errors][merged small]
[ocr errors]

il famoso Filippo Argenti!.... diamogli dunque addosso; e sconti in un momento, le ribalderie di tanti anni. Ed egli, assalito da tutti i lati, né potendosi difendere simultaneamente da tanti, dalla stizza o dalla rabbia, si mordeva le mani.

Quivi lasciammo, ché piú non ne narro;

ma negli occhi mi percosse un duolo,
per ch'io avanti intento l'occhio sbarro.

(Ivi, 64-66).

In mezzo a questa zuffa straziante, lasciarono il peccatore; talché, passando oltre, or piú non ne parlo. Però, allontanandoci con la navicella, io da lungi ne sentiva le grida, i lamenti. Finii con l'averne pietà; onde, da ultimo, quell'orecchio intento e quel guardo ebarrato.

66

[ocr errors]

Che cosa risulta da tutto ciò? Il sangue, e con esso la vita, già rifluisce al cuore; ma non è più amore, è odio, è insania, è ferocia. Si sente che, di grado in grado, scendiamo sempre più nel cupo della voragine o dell'abisso. Ed invero; non è forse il volto la parte più bella e nobile dell'uomo? Inspiravit in faciem eius spiraculum vitae: “ Iddio, cioé, dopo aver formato l'uomo dal limo della terra, gl'inspirò in volto lo spiro della vita,; e quel volto, plasmato da Dio medesimo, e in cui perciò tanta parte di cielo arde e sfavilla è già bruttato di melma, o è già tornato ad essere fango, e non altro che fango, qual era in origine. Non è forse la fronte dell'uomo il lucido specchio, da cui si riflette un raggio della divinità? Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine: "È segnato su di noi il lume del tuo volto, o Signore „; e quel lume divino è già spento in fronte alla umana creatura. Il bello, quindi, anche in arte si estingue; e sottentra il brutto. Questo sarà pur sublime; ma è il sublime negativo, immagine della negazione assoluta, ossia di Satana ch'è nel centro di essi abissi: e questo sublime negativo andrà sempre crescendo, come piú ci avvicineremo a lui, Monstrum ingens, orribile dictu!

III.

FARINATA.

La quarta figura che ci sofferma, è Farinata degli Uberti, uno de' piú * gravi cittadini „, che popolano "la città, c'ha nome Dite.,, (VIII, 78-79.)

« PrethodnaNastavi »