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Quanti si tengono or lassù gran regi,
che qui staranno come porci in brago,
di sé lasciando orribili dispregi !

(Ivi, 49-51).

E cosí avverrà di tanti altri superbi ed orgogliosi, che, tuttora viventi, si tengono in conto di sovrani d'alta possanza; e qui guazzeranno, invece, come porci in una fogna o sentina, non lasciando di sé che ignominia, e quindi disprezzo.

Ed io: Maestro, molto sarei vago

di vederlo attuffare in questa broda,
prima che noi uscissimo del lago.

(Ivi, 52-54).

Com'è chiaro, Dante ancor non è pago, e vorrebbe una soddisfazione maggiore: cioè, vorrebbe che gli altri iracondi or facessero all'Adimari quel che quest' anima rea intendeva di fare a lui, rituffandola nel pantano, e cosí castigandola della sua stessa perversa idea: e ciò Dante desidera che avvenga subito, prima ch'egli esca da quell' acqua putrida, perché possa godere di sí miserando spettacolo.

Ed egli a me: Avanti che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disio converrà che tu goda.

(Ivi, 55-57).

È anche giusto che tu ne goda, e 'l tuo desiderio si adempia, risponde Virgilio: prima di approdare all'opposto lido, tu sarai, di fatto, appagato e con piena soddisfazione.

Dopo ciò poco, vidi quello strazio

far di costui alle fangose genti,

che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

(Ivi, 58-66).

Indi a poco, Dante vede come un insorgere di tutti gli altri dannati contro esso Adimari, ed, a sfogo d'ira, farne strazio tremendo. Cosí è punito un iracondo, un prepotente, un tiranno! Cosí le disparità, tra la vita e la morte, si appianano, si compensano! E l'anima del giusto, nel concetto etico della legge, si esulta in Dio, legislatore

supremo.

Tutti gridavano: A Filippo Argenti!
E 'I fiorentino spirito bizzarro

in sé medesmo si volgea co' denti.

(Ivi, 61-63).

Tutti, in una voce, gridavano : Ecco Filippo degli Adimari!... il famoso Filippo Argenti!.... diamogli dunque addosso; e sconti in un momento, le ribalderie di tanti anni. Ed egli, assalito da tutti i lati, né potendosi difendere simultaneamente da tanti, dalla stizza o dalla rabbia, si mordeva le mani.

Quivi lasciammo, ché piú non ne narro;
ma negli occhi mi percosse un duolo,
per ch'io avanti intento l'occhio sbarro.

(Ivi, 64-66).

In mezzo a questa zuffa straziante, lasciarono il peccatore; talché, passando oltre, or piú non ne parlo. Però, allontanandoci con la navi cella, io da lungi ne sentiva le grida, i lamenti. Fini con l'averne pietà; onde, da ultimo, quell'orecchio intento e quel guardo ebarrato.

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Che cosa risulta da tutto ciò? Il sangue, e con esso la vita, già rifluisce al cuore; ma non è piú amore, è odio, è insania, è ferocia. Si sente che, di grado in grado, scendiamo sempre più nel cupo della voragine o dell'abisso. Ed invero; non è forse il volto la parte più bella e nobile dell'uomo? Inspiravit in faciem eius spiraculum vitae: "Iddio, cioé, dopo aver formato l'uomo dal limo della terra, gl'inspirò in volto lo spiro della vita,; e quel volto, plasmato da Dio medesimo, e in cui perciò "tanta parte di cielo arde e sfavilla è già bruttato di melma, o è già tornato ad essere fango, e non altro che fango, qual era in origine. Non è forse la fronte dell'uomo il lucido specchio, da cui si riflette un raggio della divinità? Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine: "È segnato su di noi il lume del tuo volto, o Signore,,; e quel lume divino è già spento in fronte alla umana creatura. Il bello, quindi, anche in arte si estingue; e sottentra il brutto. Questo sarà pur sublime; ma è il sublime negativo, immagine della negazione assoluta, ossia di Satana ch'è nel centro di essi abissi: e questo sublime negativo andrà sempre crescendo, come piú ci avvicineremo a lui, Monstrum ingens, orribile dictu!

III.

FARINATA.

La quarta figura che ci sofferma, è Farinata degli Uberti, uno de' più "gravi cittadini, che popolano “la città, c'ha nome Dite.,, (VIII, 78-79.)

Chi tra gli studiosi ignora il nome di Farinata della nobile famiglia degli Uberti, uomo di grande animo, capo di parte ghibellina a Firenze e fautore di re Manfredi in Toscana? E chi non sa la sua pagina gloriosa ad Empoli?

Nella battaglia di Montaperti, combattuta nel settembre del 1260, "Che fece l'Arbia, (fiume presso Siena) colorata in rosso, (Inf. X, 86), per l'esterminio dell'esercito guelfo, Farinata fu, di fatto, l'eroe della giornata; ed, espulso, rientrò trionfante a Firenze.

I ghibellini, nell' ebbrezza della vittoria, avevano preso ad Empoli il partito di abbattere Firenze per distruggere in essa il covo del guelfismo e, quindi, delle male arti della teocrazia. Farinata però, con fermezza romana, si oppose; e l'autorità della sua parola fu tanta, che la patria fu salva: sia sempre plauso ed onore al magnanimo! Le sue ceneri riposano in luogo onorevole della città: tra la torre di Giotto e la chiesa di santa Maria del Fiore: il simbolico fiore, da lui protetto e difeso "a viso aperto. „, (Ivi, 93.) E più che meritata la statura, che la patria riconoscente gli sacrò nelle logge degli Uffizi, dalla parte che prospetta l'Arno; e ben degna di stare a lato di Pier Capponi e di Giovanni delle Bande nere e Ferruccio.

Se non che, mi si potrebbe qui dire: Se dunque trattavasi di sí benemerito cittadino, che, al di sopra di tutte le gare municipali o settarie, metteva la patria comune, la sua nobile Fiorenza, qual pensiero mai spinse il divino poeta di gittarne l'anima all' inferno insieme a tanti scellerati ed assassini?

Non isfugga mai dalla mente che Dante è il poeta dell'Uno eterno, il principio suo protologico ed universale; e Farinata non l'ammetteva. Il poeta, quindi, s'inchina all'eroe, rende giustizia al cittadino; ma non perdona al miscredente, né fa grazia all'ateo. Dante, perciò, è logico sempre; e tutta l'opera sua è un sillogismo inesorato, senza il benché menomo riguardo per alcuno, chiunque ei siasi, o comunque. E di qui la vera immortalità del poema, codice sublime di morale eterna: Unicuique suum.

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Però Farinata, anche per Dante, è una delle più grandi figure della storia, a lui contemporanea. Ne avea l'anima piena; talché, fin da quando s'era incontrato con Ciacco, era stato premuroso di domandargli : "Farinata dov'è? (Inf., VI, 79).

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Tanta era l'ansia che lo struggea di sapere se il cielo l'addolcisse, ossia lo riempisse di gaudï; o se l'inferno l'attoscasse, cioè lo col

Giornale dantesco

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masse di amarezze. Dante, com'è chiaro, mostravasi perplesso nel giudicare; ma ogni dubbio fu tronco, allorché sentí che, giú giú calando, lo avrebbe trovato tra l'anime più nere, (Vl, 85). Ed a queste parole di Ciacco si riannette l'apostrofe di Virgilio, allorché questi cosí dice a Dante:

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Le arche infuocate sono, di fatto, il supplizio serbato a' seguaci di quella empia scuola: "Che l'anima col corpo morta fanno (Ivi, 15), la scuola cioè di Epicuro o del naturalismo, che fa tutto dipendere dall'attività delle forze fisiche; onde la psiche e non più l'anima immortale, creatura di Dio.

Ma non turbiamo con qualche considerazione, sia pure opportuna, il naturale andamento di un episodio davvero ammirando.

O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai cosí parlando onesto,
piacciati di ristare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natío,

alla qual forse fui troppo funesto.

(Inf., X, 22-27).

Farinata, dall'accento inspirato, si era dunque accorto che di lí passava un toscano e, più propriamente, un fiorentino. Punto dalla curiosità, s'era sollevato, e, sorto fino alla cintola fuori dell'arca infuocata, aveva, dall'ombra lunga del corpo, facilmente argomentato che quel viatore era vivo. Nel sentire di nuovo, dopo tanti anni, il dolce eloquio del suo paese natio; preso da quello amore di patria, cui tutta avea sacrato la sua vita: di quella patria fiorentina, che ben poteva dirsi nobile, perché di romana origine; e cui forse, non volendo, era riuscito troppo funesto (sí per la sanguinosa rotta de' guelfi, de' quali perirono ben 10 000, sí per calamità delle guerre civili o fratricide, deplorevoli sempre) quell'eroe dal cuore leonino e dalla tempra di acciaio, si ritempera, si rammollisce. E di qui la loquela, che fluisce dolcissima; di qui il verso, che si rimpasta e si fa morbido, flessuoso; di qui la espressione che s'ingentilisce e si fa tenera, espansiva: tanto egli è vero che lo stile prende forma e colore dagl' interni affetti o da' moti che agitano l'animo umano.

Dante, che camminava tranquillamente, come sentesi, all' improvviso, chiamato, si spaventa, dappoiché gli pare che quella voce, comunque melliflua, gli venga di sotterra; e quindi fugge alla volta di Virgilio. E questi: Ma non ardevi tu del desiderio di vedere e di conoscere, personalmente, Farinata degli Uberti, l'eroe di Montaperti, la cui fama alta risuona in tutta Toscana, e delle cui gesta tu sentisti parlare fin da fanciullo? Ebbene, eccolo qui: Ei ti sta davanti: anzi ti prega di soffermarti un po' con lui. Accostati, non aver timore, accostati dunque a lui, per modo che tu possa intenderne le parole, e rispondergli.

Dante, benché con molta timidezza, pure avea già fiso il suo nello sguardo fulmineo di quel possente, quasi a scrutarne l'anima: e la prima impressione, che ne riceve, è grandiosa, dappoiché Farinata, fuori dell'arca s'ergea col petto largo e con la fronte imperterrita (e qui lo stile diventa scultorio). L'inferno nol doma: superiore ad ogni pena o tormento, ei non se ne cura: anzi par che tutto egli abbia in gran dispregio. Ne risulta, quindi, una coscienza demoniaca di forza immensa ed un concetto satanico d'un valore estetico, direi quasi, infinito. Ed invero: que' che, ora, ci sta presente, non è più un reprobo o dannato soltanto, ma un Titano dell'antica favola, che, benché fulminato, non piega la fronte neppure davanti a Dio; e lo stesso inferno, con tutti i suoi orrori, sparisce dagli occhi suoi:

Come avesse l'inferno in gran dispitto.

(Ivi, 36).

Dante ancor trepidava; ma Virgilio più e piú sempre lo incoraggia, fino a che lo sospinge fino al piè della tomba. Farinata lo guarda; ma nol riconosce (né lo poteva riconoscere, dappoiché al '264, quando Farinata morí, Dante non era ancor nato). Allora, non sapendo di fronte a chi si trovasse, sdegnosamente gli domanda: Chi furono i tuoi antenati? Ed io, che, trovandomi al cospetto d'un personaggio sí terribile e temuto, era perciò desideroso di dargli un segno di ossequio e però di ubbidienza, non gliene feci un mistero, ma dissi con tutta franchezza ed onestà: Sono Dante degli Alighieri. Ed ei: Degli Alighieri? E levò le ciglia un poco in alto, come fa colui che vuol richiamare alla mente idee già smarrite o confuse. Degli Alighieri! — poi soggiunse: Nobile e gloriosa è la tua stirpe; e 'l primo stipite forse risale ad uno di que' romani, che, a' tempi di Silla, colonizzarono l'Etruria gittando le

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