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fondamenta della "Villa arnina La storia de' tempi andati or tutta mi si spiega davanti. Puoi, quindi, ben gloriarti de' tuoi maggiori; ma furono tutti guelfi, e, come tali, "fieramente avversi a me,, (che fui sempre ghibellino) "ed a' miei primi,, (che propugnarono sempre la causa dell'impero) "ed a mia parte,, (ch'ebbe sempre in odio le somme chiavi). Ed ultimo di tua progenie fu quel Brunetto Aldighieri, tuo zio, che nella giornata di Montaperti era schierato contro di me, e stava a guardia del Carroccio. Ma che valsero loro le benedizioni del papa? Per ben" duo fiate gli dispersi, obbligandoli ad esulare: la prima nel 1248, al tempo di Federigo d'Antiochia, figlio dell'imperator Federico II; e la seconda nel 1260, dopo la sconfitta di Montaperti. Con che compiacenza, con che superbo sorriso d'ironia, Farinata dice a un discendente degli Alighieri: per duo fiate li dispersi. „

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Io sento calcar la voce " duo fiate su quelle due parole: Io vedo Farinata " sdegnosamente, guatar Dante dall'alto in basso come fa il nemico che vede l'ultimo rampollo d'una schiatta abbominata. E Dante, tuttoché fosse già passato nel campo ghibellino, ed avesse anch'egli l'animo rigonfio di bile contro la parte guelfa; pure, nel sentire sí fieramente oltraggiata la memoria de' suoi, e forse ripensando che negli anni primi di sua giovinezza anch'egli era stato guelfo, se ne adonta, sente in sé rigoglire l'antico 10, e cosí rimbecca quelle due parole atroci :

S'ei fur cacciati ei tornár d'ogni parte,

.... l'una e l'altra fïata;

ma i vostri non appreser ben quell'arte.

(Ivi, 49-51).

Se i miei insieme a tutti gli altri di parte guelfa furono cacciati in bando ben ei trovarono la via di riedere in patria: e vi tornarono, di fatto, d'ogni parte, la prima volta nel gennaio del 1251 (in seguito alla rotta di Figline), e la seconda nel 1266 dopo la sconfitta e la morte di re Manfredi presso a Benevento. Ma i vostri (Dante risponde, atteggiandosi anch'egli ad ironia superba ed amara) non appresero bene quell'arte, battagliera o strategica, di rimpatriare, e tuttora vanno profughi e raminghi.

A questa tremenda rivelazione, Farinata rimane come fulminato. Quel che ora gli cuoce, non è più l'arca infuocata, ossia il fuoco materiale; ma la idea che i suoi sieno stati vinti e dispersi. Ed ecco il vero tipo del fazioso o, meglio, del capo di una saetta,

.IV

GUIDO CAVALCANTI.

La quinta figura che s'interpone, è Cavalcante Cavalcanti, padre del celebre Guido Cavalcanti emulo in poesia di Guido Guinicelli ed amicissimo di Dante Alighieri; e qui, per andare con sicurezza avanti, fa di mestieri tornare un po' indietro,

Strano e bizzarro secolo il '300! Da una parte, fazioni di guerra e sangue a fiumi; dall'altra, corti d'amore e canzoni idilliche. Queste corti d'amore le quali (come scrive il Raina in un recente lavoro pubblicato dall' editore Hoepli di Milano), altre erano divine (parto di fervide immaginazioni), ed altre umane (frutto di riposta erudizione), ben si possono rassomigliare a tante aiuole d'un giardino, o, meglio, a tante fresche oasi fra le arene del deserto; dappoiché, mentre d'intorno sentesi il sibilar de' serpenti e 'l ruggir de' leoni, nel bel mezzo, al rezzo d'un palmizio, odesi l'accordo d'un liuto o il suono d'una mandòla, cui si disposa la voce de' trovieri o de' trovatori, per lo piú occitanici, che qui traevano dalla vicina Provenza.

Ad una di queste corti d'amore, trapiantate su l'Arno e cui appartenevano Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante da Maiano, Buonagiunta degli Urbiciani da Lucca, Cecco Angiolieri e Guido Orlandi, ch'è quanto dire tutta una schiera di giovini poeti o di lirici italiani, che andavano trovando forme nuove ed elette da esprimere nel " dolce stil nuovo Dante Alighieri, in su' 18 o i 19 anni, mandava un suo sonetto (divulgato soltanto nel 1283, secondo lo Scherillo, Saggio critico sopra Alcune fonti provenzali della Vita nuova di Dante); ed è propriamente il primo di quel romanzetto psicologico: "A ciascun'alma presa e gentil core a fine di averne un giudizio: "Acciò che mi rescrivan lor parvente. „

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Erano solleciti a rispondergli Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia e Dante da Maiano (sebbene il Borgognoni ritenga che 'l sonetto, attri buito a quest'ultimo e concepito in una forma piuttosto rozza e villana, sia una contraffazione del '500). Primo fra tutti però, fu Guido; e, bene a ragione, Dante, nella stessa Vita nuova, al cap. III, lo chiama " primo de' miei amici. Le prove autentiche, o i manoscritti preziosi, esi

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stono tuttora; e 'l sonetto di Guido a Dante si vuole sia quello che comincia: "Se io fossi quello che d'amor fu degno.

Nasceva cosí l'amicizia di Dante pel suo Guido; onde quell'intitolare a lui il primo sonetto del suo canzoniere: "Guido vorrei che tu e Lapo ed io, ecc., Chi si era questo Lapo? Il D'Ancona ritiene che al sonetto di Dante "risponde o, certo, corrisponde un componimento di Lapo Gianni, nel quale egli pure ci dice qual sia, secondo lui, la massima felicità, quale il sogno prediletto della sua giovanile fantasia. Ei non vorrebbe soltanto possedere la donna amata, ma avere la bellezza di Assalonne e la forza di Sansone; vorrebbe che Arno corresse balsamo, le mura di Firenze fossero inargentate, le vie lastricate di cristallo, in pace tutto il mondo, piena sicurezza per ogni contrada, l'aria temperata egualmente di state e di verno, e migliaia di donne e di donzelle adorne cantassero intorno a lui sera e mattina, entro giardini pieni di frutta e di augelli, rinfrescati da

acque correnti e risuonanti della musica di chitarre e violini; e la vita durasse sempre giovane, sempre sana e senza cure, finchè a lui si schiudessero le porte del Cielo.

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Dal tutto spira un sentimento idillico, voluttuoso, divino: proprio della primavera dell'arte e della vita. Ma (come bene osserva lo stesso D'Ancona) in tutto quell'effondersi predomina una nota " di sensualità e di mollezza orientale. Esso è come il sogno di un' anima, tocca la prima volta d'amore; d'una fantasia, non ancora turbata dalle amarezze della vita; è l'anelito di un'anima, assetata di gioie misteriose, d'indefiniti e infiniti piaceri. „

E la fantasia di Dante qual è? Presso a poco la stessa. Egli, di fatto, vorrebbe che, insieme al suo Guido e al suo Lapo, fossero, per opera di magia, trasportati in una navicella, che ubbidisse non a' remi o alle vele, ma alla volontà sua e al desiderio degli amici; sicché, carezzata dalle aurette marine, trascorresse placidamente su le onde, senza che mai la turbassero venti o bu ere. Guido gli parlerebbe della sua Vanna (o Giovanna, detta anche Primavera); Lapo gli favellerebbe della sua amorosa "ch'è sul numero del trenta, (alludendo all'epistola o serventise in onore delle più belle donne fiorentine, al numero di sessanta come in Salomone), ed egli ragionerebbe loro della sua Bice (o Beatrice, la bella figlia di Folco Portinari). Cosí le ore trascorrerebbero felici; e tutta la vita sarebbe un idillio. "E quivi sempre ragionar d'amore. „

"Divina ebrietà della mente (esclama il Carducci), nella quale il giovine sfugge alla vita per meglio sentirla! Divino sogno di Dante quello di sperdersi con l'amore e la felicità su l'oceano immenso, sempre avanti, sempre avanti, e per il sereno e per la tempesta, fuori dalle vicende della natura e della società umana, nell'oblio del tempo, in immortal gioventú!,

Ma, al contatto del reale, l'idillio svaní. Dante si vide come travolto da un turbine fra gli orrori dell' anarchia, e, quando fa dire a Ciacco: Giusti son duo, ma non vi sono intesi „ (Inf., VI, 73), allude, per lo appunto, a sé stesso e al suo Guido. Ciò non per tanto, allorché fu suprema necessità politica mandar via da Firenze tutti i capi delle sette, fossero bianchi o neri, guelfi o ghibellini: a solo fine di troncare le cento teste dell' idra e di ridonare alla repubblica un po' di pace e di tranquillità, Dante (e chi sa quanto ne avrà sofferto!) non risparmiò neppure il suo Guido e lo confinò in Maremma (sacrifizio di cui la storia or bisogna che tenga il debito conto). Ivi il povero uomo ammalò, e, tornato a Firenze allorché Dante n'era stato espulso, morí. Ed, ora, sarà lieve intendere il soliloquio del padre, nel sentire che di lí passava Dante ancor ❝ vivo

Ei dovette, fra sé, dire:

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Dante è qui? Con lui, dunque, esser deve anche Guido, mio figlio, dappoiché s' amavano tanto, erano sempre insieme. Con ansia ei, quindi, si leva inginocchioni, e sporge il capo fuori del sepolcro, per assicurarsene; ma non vede che un' ombra, lontana. Allora prorompe in lagrime.

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Piangendo disse: Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
mio figlio ov'è? e perché non è teco?
Ed io a lui: Da me stesso non vegno:
colui che attende là per qui mi mena,
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
(Inf., X, 58-63).

Ecco un altro verso, tormentato da' commentatori; e 'l garbuglio, secondo me, è nato da un presupposto: nel dare per fermo, cioè, che Guido Cavalcanti (su l'autorità del Fraticelli) fosse stato ghibellino, quando invece (come afferma il Camerini) egli era guelfo. E questa seconda opinione persuade di piú; dappoiché, se Dante e Guido erano amicissimi, professavano dunque la stessa opinione, combattevano sotto la stessa bandiera: e qual era il grande ideale, se non di Dante, al

meno del guelfismo in genere? Non la grande idea della unità latina o dell'impero, cantata da Virgilio; ma la piú vasta idea d'una monarchia universale, in cui re, principi ed imperatori si adeguassero tutti sotto lo scettro d'un solo, il papa: Rex regum et Dominator dominan tium, secondo l'Apocalisse. Ecco perché i guelfi avevano "a disdegno, Virgilio e la sua Eneide. Lo potevano, tutto al piú, pregiare come poeta di forma o di gusto o di scuola; ma non come pagano, né come precursore di un' era nuova nel cosmo delle nazioni. Se Dante, nella sua prima età, fosse stato guelfo, e Guido ghibellino, anziché amarsi, si sarebbero odiati a morte; doppoiché non si conosceva, allora, che cosa fosse temperanza o moderazione. Dente per dente, e sangue per sangue!... ecco qual era la teorica inesorata, dominante a que' tempi. L'idolo de' guelfi era, quindi, Ildebrando; il vate de' ghibellini, Virgilio. Ora, si può intendere, altresí, perché questi se ne rimanga a rispettosa distanza; e Dante, per delicatezza, non lo presenti neppure: Virgilio era l'antitesi manifesta o la contraddizione assoluta del guelfismo fiorentino. E, dopo questa piccola digressione, torniamo subito all'argomento.

Dante, nel rispondere, adopera il verbo al passato remoto: ebbe; e Cavalcante (mi pare di vederlo con ansio petto e con occhi sbarrati) lo interroga di nuovo: - Come! Ebbe dicesti? Mio figlio, dunque, non è più? La luce del sole non vivifica più le sue pupille? E anela una seconda risposta; ma Dante si tace, neppure una parola si lascia piú sfuggire di bocca, davvero si chiude in un silenzio di tomba, E quegli, trovando in quell'aria di mistero la tacita conferma della morte di Guido, dal duolo ricade supino nel sepolcro, né più ricomparisce :

Supin ricadde, e piú non parve fuora.

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il silenzio di Dante? - Si spiega, senza tanti arzigogoli, nel modo più semplice e naturale. Dante, di fatto, senza punto mentire a sé stesso, avrebbe dovuto rispondere, almeno nel concetto, presso a poco cosí : È pur vero: Io e Guido, fino a poco tempo fa, ci amammo come due fratelli: ovunque io andassi, egli era sempre con me, compagno indivisibile al mio fianco. La nostra amicizia, che poi divenne

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