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accettando questa sua opinione l'autore stima si possa giungere a capire perchè camminando su quella tal piaggia Dante avesse il piè fermo sempre più basso.

Celani Enrico. Cfr. no. 249.

(246

Cenni storici del Volto santo di Lucca. Quinta edizione. Lucca, tipografia arciv. s. Paolino, 1893, in 16° picc., di pagg. 14.

Notizie del Volto santo tratte dalla Storia del Volto santo del canonico Almerico Guerra. [Cfr. anche il Ragionamento sopra il Volto santo di Lucca dell' abate Barsocchini, Lucca, 1844]. (247 Cerasoli F. Ricerche storiche intorno agli alberghi di Roma dal secolo XIV al XIX. [In Studi e documenti di storia e diritto. An. XIV, fasc. 3-4].

Degli alberghi di Roma nel trecento si hanno poche notizie e di due soli si sa il nome. Di quello della Luna, che nel 1357 albergò Francesco da Carrara signore di Padova, e di quello dell'Orso nel quale la leggenda vuole che alloggiasse, nel 1360, Dante Alighieri. (248) Bibliografia di Roma medievale e moderna: opera postuma accresciuta a cura di E. Celani. Roma, 1893, vol. I, in 80° gr., di pagg. XI-603.

Cerroti Francesoo.

L'opera è stata divisa in quattro parti, la prima delle quali comprende la storia ecclesiastica; la seconda e la terza la topografia, la storia artistica, i monumenti; la quarta l'istoria civile e municipale, la storia fisica del suolo, del Tevere, dell' agro romano. Le opere descritte in questo primo volume sono 9292 e riguardano la storia ecclesiastica divisa nelle seguenti classi Storia ecclesiastica; Conventi, monasteri, seminari e confraternite; Biografie generali e singolari dei pontefici; Conclavi; Corte e curia. (249

(Continua).

G. L. Passerini.

NOTIZIE.

Con lettera del 19 di maggio il ministro dell'istruzione ha invitato l' on. Giovanni Bovio a tenere, in questo residuo dell'anno scolastico, una serie di discorsi nella Università romana intorno all'opera del nostro maggiore poeta.

Sappiamo che il deputato Bovio ha accettato di fare queste conferenze per l'anno venturo gratuitamente.

Nella notte dal 15 al 16 di maggio, in seguito a lunga e penosa malattia, cessava di vivere a Genova il commendatore

ADOLFO BARTOLI

professore ordinario di lettere italiane nell' Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. La morte dell' illustre uomo è una grave sventura per l'Italia e per gli studi nostri.

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Tutti i commentatori della divina Commedia sono d'accordo nell' ammettere che Dante, allorquando parla della morte, talora si riferisca alla morte, che segna il fine della vita in questo mondo (1), talora ad un'altra morte successiva a questa, che troviamo. rammentata soltanto per gli spiriti dell' Inferno. Ma non tutti sono d'accordo nel riconoscere in quali casi egli intenda parlare dell' una, in quali dell' altra, e discordando anche sul significato, che si deve dare alla seconda, non sempre propongono il medesimo ne' vari passi in cui viene rammentata. L'incertezza e l'incoerenza che si riscontrano in loro m'inducono a riprendere in esame tutti i luoghi del poema, ne' quali si accenna alle due morti; perchè parmi che dal confronto tra questi luoghi e dal confronto di essi con altri luoghi del poema stesso possa risultare quell'accordo, che manca, e che pur credo necessario.

Non tedierò il lettore con la citazione di passi che tutti ammettono riferirsi alla morte terrena. Egli potrà riscontrarli là dove il poeta parla del numero immenso degl' ignavi (Inf., III, 57), nell'episodio di Paolo e Francesca (Inf., V, 106), in quello di Pier

(1) Son costretto ricorrere a questa perifrasi, per non anticipare con altre definizioni il giudizio che dovrò manifestare in seguito.

Giornale dantesco

Delle Vigne (Inf., XIII, 71), nell'incontro con Brunetto Latini (Inf., XV, 58), nel racconto di Guido di Montefeltro (Inf., XXVII, 112), nelle parole di Virgilio a Maometto (Inf., XXVIII, 46 e 49), nel ricordo di Geri Del Bello (Inf., XXIX, 31), nell' episodio del conte Ugolino (Inf., XXXIII, 20), nella risposta di Frate Alberigo (Inf., XXXIII, 121), nella domanda di Guido Del Duca (Purg., XIV, 2), nella preghiera a Marco Lombardo (Purg., XVI, 38 e 43), nel vaticinio di Beatrice (Purg., XXXIII, 54). Citerò invece due passi, sul significato dei quali tutti i commentatori sono pure d'accordo, ma che non possono in nessun modo riferirsi alla morte. terrena. Li citerò, perchè da essi risulti intanto il significato, che almeno per due volte il poeta dà chiaramente alla seconda delle morti. Il primo è nel colloquio con Forese Donati, ove il poeta dice a Forese:

Costui (Virgilio) per la profonda
notte menato m'ha da' veri morti,
con questa vera carne che il seconda

(Purg., XXIII, 121-123);

l'altro è nelle parole di Beatrice agli angeli, a proposito della vita condotta da Dante :

Tanto giù cadde, che tutti argomenti
alla salute sua eran già corti,

fuorchè mostrargli le perdute genti.

Fer questo visitai l'uscio de' morti (Purg., XXX, 136-139).

I morti in questi due casi sono, come non è mai stato messo in dubbio da nessuno e come non può mettersi in dubbio, i dannati.

Il dissenso maggiore cade sui versi 117 del canto primo dell'Inferno e 46 del canto terzo. L' uno fa parte della descrizione che Virgilio dà all' Alighieri dei tre regni oltremondani:

E trarrotti di qui per loco eterno,
ove udirai le disperate strida,
vedrai gli antichi spiriti dolenti,
che la seconda morte ciascun grida:
E poi vedrai color che son contenti
nel fuoco, perchè speran di venire,
quando che sia, alle beate genti:
Alle qua' poi, ecc.

(Inf., I, 114-121);

l'altro è nella spiegazione de' tormenti, che soffrono gli spiriti nel vestibolo dell' Inferno:

Questi non hanno speranza di morte,

e la lor cieca vita è tanto bassa,

che invidiosi son d'ogni altra sorte (Inf., III, 46-48).

Sul primo tanto si è scritto, specialmente in questi ultimi tempi, che per la bibliografia occorrerebbe forse un volume. Le opinioni però su per giù si possono riassumere in queste: I. Dante con la seconda morte esprime l'annichilamento, che desiderano i dannati ciascuno, cioè, desidera, chiede con grida di morire una seconda volta, cioè di rientrare nel nulla (1). Quest' opinione è di presso che tutti gli antichi commentatori; per i quali dunque il gridare esprime un desiderio. II. Gridare la seconda morte significa invocare il finale giudizio, o per invidia, secondo il Buti, o perchè la tema si volge in desio, secondo il Beccaria; ed anche per costoro, in conclusione, la morte seconda costituisce un desiderio. III. La seconda morte è il patimento dell' eterno dolore, e gridare significa piangere (Tommasèo), oppure imprecare (Poletto). IV. Anche la morte seconda è da intendersi nel senso della prima: sono i soli antichi spiriti del Limbo che la invocano, perchè essi vorrebbero rinascere per poi morire in grazia, come ebbe in sorte Traiano (Della Giovanna). V. La seconda morte è l'estrema condanna, come vogliono il Buti e il Beccaria, ma il gridare significa piangere, lamentarsi, perchè i dannati pensano che dopo il giudizio universale per l'unione dell' anima col corpo cresceranno i tormenti (Macrì-Leone).

L'ordine, con cui ho esposte queste opinioni, mostra anche in qual modo esse furono successivamente confutate. Si cominciò a dubitare della prima, perchè si disse che i dannati non possono richiedere con grida ciò che certamente sanno di non poter ottenere. Della seconda, che ha contro di sè, ma fino ad un certo segno (2), le parole di Virgilio:

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Ritorna a tua scienza,

che vuol quanto la cosa è più perfetta,

più senta il bene e così la doglienza (Inf., VI, 106-108);

(1) Vedi: Soartazzini, La div. Comm. di Dante Alighieri, vol. I, Înferno. (Leipzig, 1874)

pag. 9.

(2) Dico fino ad un certo segno, perchè nè il Buti nè il Beccaria escludono che le anime possano prevedere un avvenire peggiore.

ed in suo favore, subito, la terzina seguente:

Tutto che questa gente maledetta

in vera perfezion giammai non vada,

di là più che di qua essere aspetta (Inf., VI, 109-111);

si disse che possono invocare il giudizio finale tutti gli altri spiriti dell' Inferno, sperando essi pur qualcosa, ma non gli antichi spiriti dotenti (intesi per quelli del Limbo), i quali vivono in desiderio di vedere Iddio, ma senza speranza; poichè anzi : « sol per pena han la speranza cionca ». Contro la terza opinione si notò che il verbo gridare, non può significare, come vuole il Tommasèo, piangere o lamentarsi; nè piacque, a quel che sembra, il significato d'imprecare, proposto dal Poletto. La quarta del Della Giovanna è parsa a tutti ingegnosa, ma pochi convinse, perchè il ricordo della seconda morte non trovasi in Dante soltanto, ma nel libro dell' Apocalisse, presso i Santi Padri e presso altri scrittori anteriori e contemporanei a Dante, sempre con significato spirituale. Per la quinta, che è una modificazione della seconda, non so se siano state fatte obiezioni (1). Il Macri-Leone supera la difficoltà, che incontra l'opinione del Buti, dimostrando giusta l'interpretazione di gridare per lamentarsi; in tal modo il giudizio universale non è aspettato, ma temuto.

Come è facile scorgere, il Macri-Leone va subito contro i versi 109-111 del canto VI dell' Inferno, sopra ricordati; e poi, secondo me, non sfugge all'obiezione, alla quale vorrebbe sfuggire; perchè è impossibile infatti che i dannati, in mezzo ai più atroci tormenti, si lamentino soltanto d'un tormento futuro. Dante in tutto l'Inferno ci dimostra il contrario.

L'obiezione, che fu mossa all' opinione de' vecchi commentatori, non è giusta; poichè ben si sa che l'uomo nel dolore desidera sovente l'impossibile. Le anime del Limbo, giova ripeterlo, senza speme vivono in desio: e il desiderio senza speranza, che costituisce per loro la sola pena, può essere anche un aggravamento di pena per tutti gli altri dannati. È piuttosto l'espressione di seconda morte, comune, come dissi, ai Padri della Chiesa, già

(1) Una confutazione del Macrì-Leone è stata fatta, ma non pubblicata, dal mio amico prof. Amerigo Finzi; il quale non crede che possano temere il giudizio finale gli spiriti del Limbo, perchè la loro pena del vivere in desìo senza speme non può crescere, quando l'ani ma si ricongiunga col corpo.

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