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L'acquistare cosí non significa piú guadagnare, ma ascendere (guadagnar l'erta) secondo che ancor oggi sentesi in alcune parti di Toscana, e secondo che anche il nostro poeta disse altrove;

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Il " tempo non è più soggetto ma complemento oggetto, soggetto invece diventa "chi Il cambiamento di chi in che è facilissimo: l'altro, pur fa

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cile, di li o lui in lo n'è venuto di conseguenza.

Ma, si dirà, il perder tempo può esser mai a chi ascende cagione di pianto ("Che in tutt'i suoi pensier piange e s'attrista,)? Si risponde: In primo luogo piangere qui non è impiegato nel significato ordinario di lagrimare, ma in quello di lamentarsi; del che è prova: 1° che il piangere è nel pensiero (“in tutt'i suoi pensier piange „); 2° che stando all'ordine della proposizione, quando non voglia supporsi un brutto bathos, "piange, è meno di “s'attrista, che segue, o è quanto esso; 3° che piangersi di alcuno o di alcun che, e parimenti compiangersi nei primi secoli della lingua, come nel francese se plaindre significano lagnarsi e cosí anche in franc. plaindre e in italiano rimpiangere non implicano pianto vero (cfr. altresì franc. complainte, ant. fr. complaindre, ingl. complain; plaint, plaintiff). In secondo luogo si consideri come l'ascendere ha qui un alto significato morale; e che ben dev'essere rincrescevole chi si solleva nel mondo morale essere respinto ove tace il sole della verità e della virtú. Il perder tempo poi era considerato gran male e cosa spiacevole dal N.: Virgilio l'ammonisce sempre a non perder tempo, Ché perder tempo a chi piú sa piú spiace;

ond'egli oramai si era abituato a quegli ammonimenti:

Io era ben del suo ammonir uso

pur di non perder tempo....

Ed eccoci ai tre puntini. Sicuro: una virgola, un apostrofo, un accento, alcuni puntolini di più o di meno o fuori posto, sono sufficienti, molte volte, a far dire a uno scrittore ciò che non s'è mai sognato di dire. Il caso questa volta non è tanto serio; ma non è per ciò meno notevole, né è trascurabile la differenza di significato che ne deriva.

A Virgilio e Dante, arrivati alle porte di Dite, dai demonii viene impedita l'entrata. Virgilio prima ne rimane abbattuto, poscia, per rinfrancare il compagno, si mostra acceso d'ira.

Indi

Attento si fermò com' uom che ascolta,

aspettando il soccorso celeste promessogli da Beatrice, e non vedendolo arrivare, prese a parlare fra sé, ma non senza che Dante lo sentisse;

Pure a noi converrà vincer la punga,
cominciò ei: se non... tal ne s'offerse.

oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga.

Prima di andare avanti, consideriamo come il pronome " tal, del secondo fra gli ultimi tre versi allegati, appo gli scrittori classici ha forza ellittica assai marcata, con soppressione del verbo principale sustantivo e del pronome relativo. Qui, per esempio, " tal ne s'offerse,, significa tal è chi ne s'offerse. Ora si rifletta che il pronome tale, in questo uso ellittico che ne fanno i classici, non appartiene mai a proposizione assoluta e indipendente, ma da un lato integrata da una complementare anch'essa ellitica, e dall'altro preceduta da una proposizione (integrata o no da altre subordinate) a cui è unita in relazione di causalità, vale a dire le è unita in modo da lasciar conoscere di essa la ragione o la causa. Valga a dimostrarlo il seguente esempio ch'è nel Purgatorio, ove Beatrice a Dante, che piangente confessa i suoi falli, dice: Se tacessi, o se negassi

.....

ciò che confessi, non fora men nota
la colpa tua: da tal giudice sassi;

cioè: Poi che tale è il giudice dal quale si sa.
altri luoghi del Petrarca:

Altrettanto vedesi in questi

E son (i sospiri del p.) di là sí dolcemte accolti,
com'io m'accorgo, che nessun mai torna:

con tal diletto in quelle parti stanno;

cioè: Perché tale è il diletto col quale stanno in quelle parti:

Ma miracol non è; da tal si vole;

cioè: Poiché tale è colui dal quale si vuole:

I' no 'l posso ridir, che no 'l comprendo;

da ta' due luci è l'intelletto offeso;

cioè: Poiché da tali due luci l'intelletto è offeso:

Non spero che già mai da 'l pigro sonno

mova la testa, per chiamar ch' uom faccia ;
si gravemente è oppressa e di tal soma;

cioè: Poiché sí gravemente e da tal soma è oppressa.

Ciò posto, leggendo, nel luogo in esame, colla vulgata, dov'è quest'altra proposizione, sola o con acccompagnamento di subordinate, che sia unita, nella relazione di effetto verso la causa, a "tal ne s'offerse?, Non è certamente quella accennata dal "se non...,, perché questa è indipendente condizionale, mentre noi abbiamo bisogno di una principale; e perché fra essa e "tal ne s'offerse corre una relazione avversativa, mentre qui occorre un rapporto di effetto a causa.

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A rimettere le cose a posto occorre perciò emendare la lezione. Il che io fo a questo modo:

Pure, a noi converrà vincer la punga,

cominciò ei, se.... Non, tal ne s'offerse ;

dalla quale nuova lezione scorgesi che Virgilio voleva dire: Eppure, a noi converrà vincere la pugna, se... (se vogliamo compiere il viaggio e arrivare a salvamento; ovvero: Anche se non venga il soccorso promessoci): ma no, perché il soccorso verrà a ogni modo, tale essendo chi ne s'offerse in aiuto.

A qualcuno suonerà male quel Non in cambio di no: ma esso non è estraneo alla lingua dei nostri classici. Senza recare in mezzo luoghi tolti a prosatori, ci basti questo ch'è nella divina Commedia :

E l'un grido da lungi: A qual martiro

venite voi, che scendete la costa?
Ditel costinci, se non, l'arco tiro;

quest'altro del Petrarca:

Ella non, ma colui che gli governa;

e un ultimo dell'Ariosto:

Deh, vita mia, non vi mettete affanno,
deh non, per Dio, di cosí lieve cosa.

Introdacqua, gennaio 1895.

LORENZO MASCETTA.

VARIETA'

CARONTE E LA BARCA DEI MORTI

nell' Eneide, nella divina Commedia e nella tradizione popolare neo-greca.

Mi consentano gl'illustri miei colleghi di collaborazione al Giornale dantesco, ed i sagaci lettori del medesimo che io richiami l'intelligente loro attenzione sopra un riscontro che intendo fare tra i due passi dell'Eneide VI, 295-314, della divina Commedia III, 70-129 e un canto popolare funebre neo-greco, cioè una mirologia cospicua per classica bellezza, che avvera pienamente per la Grecia l'entusiastiche parole dell'insigne mio concittadino Carlo Bini, allusive all'Italia, cioè ch'essa è per anco "la terra delle memorie e il Genio Eterno agita sopra essa tuttavia una fiamma divina, che ancora la sospira l'alito delle Grazie innamorate, e ancora è fresca della primiera bellezza, perché a Dio piacque suscitarla tra le forme create, come l'iride del suo pensiero.,, Né si diano a credere già i lettori che il passo dantesco, ricordato sopra posto di

contro al virgiliano, punto abbia a scapitare per la soverchia brevità, con la quale il divino poeta ci ritrae la figura di Caronte e la barca de' morti (qualità caratteristica identica pure nella mirologia neo-greca) poiché sa bene il Nostro che pluribus intentus minor est ad singula sensus e che quanto si acquista in estensione si perde poi nell'intensità ed efficacia; inoltre questo è il sublime accorgimento dell'arte sua di presentare a' lettori figure meglio sbozzate che finite per eccitarne la riflessione su quanto egli tralascia e indurli a concorrere con lui nel compimento di esse figure, e a provare piú commozione quindi e gusto nello scorrerne l'incomparabile poema. E qui cade in acconcio notare con Antonio Rosmini che fu vera ed acuta lode quella che diede a Dante un chiaro letterato de' nostri dí, dicendo ch'egli vola sopra gli altri poeti per quella sua virtú d'ingegno di saper trovare nelle cose "quell' una o due qualità che ci desse vivo lo spirito, o l'ultimo atto vitale dell'oggetto. „1

Acciocché possano poi cosí gl'illustri colleghi miei, come i lettori giudicare in proposito, riporterò qui appresso il passo dell'Eneide con la versione del Caro, il tratto della divina Commedia e la mirologia neo-greca, salvo dopo a notare fino a qual punto la figura di Caronte si trasfigurasse nella tradizione popolare neo-greca. Ecco il passo virgiliano:

Hinc via, tartarei quæ fert Acherontis ad undas:
turbidus hic coeno, vastaque voragine gurges
aestuat, atque omnem Cocyto eructat arenam.
Portitor has horrendus aquas et flumina servat.
Terribili squalore Charon, cui plurima mento
canities inculta jacet: stant lumina flamma,
sordidus ex humeris nodo dependet amictus;
ipse ratem conto subigit velisque ministrat,
et ferruginea subvectat corpora cymba.
iam senior, sed cruda dea viridisque senectus.
Huc omnis turba ad ripas effusa ruebat,
matres, atque viri, defunctaque corpora vita
magnanimûm heroum, pueri innuptaeque puellae,
impositique rogis juvenes ante ora parentum:
quam multa in silvis autumni frigore primo
lapsa cadunt folia, aut ad terram gurgite ab alto
quam multae glomerantur aves, ubi frigidus annus
trans pontem fugat et terris immittit apricis.
Stabant orantes primi transmittere cursum,
tendebantque manus ripae ulterioris amore,
navita sed tristis nunc hos, nunc accipit illos,
ast alios longe submotos arcet arena.

Traduzione italiana di Annibal Caro, versi 437-466:

Quinci preser la via la 've si varca
il tartareo Acheronte. Un fiume è questo
fangoso e torbo, e fa gorgo e vorago,
che bolle e frange e col suo nero loto
si devolve in Cocito. È guardiano

e passeggiero a questa riva imposto
Carón Demonio spaventoso e sozzo,

a cui lunga dal mento inculta ed irta

pende canuta barba. Ha gli occhi accesi
come di bragia. Ha con un groppo al collo
appeso un lordo ammanto, e con un palo,
che gli fa remo e con la vela regge

l'affumicato legno, onde tragitta

su l'altra riva ognor la gente morta.
Vecchio è d'aspetto e d'anni; ma di forze,
come dio vigoroso e verde è sempre.

A questa riva d'ogni intorno ognora
d'ogni età, d'ogni sesso, e d'ogni grado
a schiere si traëan l'anime spente,

1 Antonio Rosmini, Dell' idillio: Dell'esecuzione nelle arti.

e de' figli anco innanzi a' padri estinti.
Non tante foglie ne l'estremo autunno
per le selve cader, non tanti augelli
si veggon d'alto mar calarsi a terra,
quando il freddo gli caccia a' liti aprichi,
quanti eran questi. I primi avanti orando
chiedean passaggio e con le sporte mani
mostravano il desio de l'altra ripa.
Ma il severo nocchiero or questi or quelli
scegliendo o rifiutando, una gran parte
lunge tenea dal porto e da l'arena.

Divina Commedia, canto III, v. 70 e segg.:

E poich'a riguardar oltre mi diedi

vidi gente alla riva d'un gran fiume,
perch'io dissi: "Maestro or mi concedi
ch'io sappia quali sono e qual costume
le fa parer di trapassar sí pronte,
com'io discerno per lo fioco lume.,
Ed egli a me: "Le cose ti fien conte
quando noi fermeremo i nostri passi
sulla trista riviera d'Acheronte. 19
Allor con gli occhi vergognosi e bassi
temendo no' 'l mio dir gli fusse grave,
infino al fiume di parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio bianco per antico pelo
gridando: "Guai a voi, anime prave,
non isperate mai veder lo cielo,

i' vegno per menarvi all'altra riva
nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo.

E tu che se' costí anima viva

partiti da codesti che son morti,

e, poi che' ei vide ch'io non mi partiva, disse: "Per altre vie, per altri porti

verrai a piaggia, non qui per passare, piú lieve legno convien che ti porti.„, El Duca a lui: "Caron, non ti crucciare vuolsi cosí colà dove si puote

ciò che si vuole e più non dimandare. „

Quinci fur quete le lanose gote

al nocchier della livida palude

che intorno agli occhi avea di fiamme rote.

Ma quell' anime ch'eran lasse e nude

cangiâr colore e dibattero i denti,
ratto che inteser le parole crude.
Bestemmiavano Iddio e i lor parenti,

l'umana spezie, il loco, il tempo, il seme
di lor semenza e di lor nascimenti.

Poi si ritrasser tutte quante insieme

forte piangendo, alla riva malvagia,

ch' attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio con occhi di bragia,

loro accennando tutte le raccoglie,
batte col remo qualunque s'adagia. 1

Come d'autunno si levan le foglie

l'una appresso dell' altra infin che 'l ramo rende alla terra tutte le sue spoglie similemente il mal seme d'Adamo

1 In una leggenda popolare livornese inedita, riportata piú appresso, Caronte batte col remo le anime cattive (poiché le buone imbarcatesi pure sul legno di lui a metà strada se ne sono andate volando al paradiso), le butta nell'acque, le fa tutte annegare nel fiume; allora queste cadono giú nel profondo dell' inferno.

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