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Delle Vigne (Inf., XIII, 71), nell'incontro con Brunetto Latini (Inf., XV, 58), nel racconto di Guido di Montefeltro (Inf., XXVII, 112), nelle parole di Virgilio a Maometto (Inf., XXVIII, 46 e 49), nel ricordo di Geri Del Bello (Inf., XXIX, 31), nell' episodio del conte Ugolino (Inf., XXXIII, 20), nella risposta di Frate Alberigo (Inf., XXXIII, 121), nella domanda di Guido Del Duca (Purg., XIV, 2), nella preghiera a Marco Lombardo (Purg., XVI, 38 e 43), nel vaticinio di Beatrice (Purg., XXXIII, 54). Citerò invece due passi, sul significato dei quali tutti i commentatori sono pure d'accordo, ma che non possono in nessun modo riferirsi alla morte terrena. Li citerò, perchè da essi risulti intanto il significato, che almeno per due volte il poeta dà chiaramente alla seconda delle morti. Il primo è nel colloquio con Forese Donati, ove il poeta

dice a Forese:

Costui (Virgilio) per la profonda
notte menato m'ha da' veri morti,
con questa vera carne che il seconda

(Purg., XXIII, 121-123);

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l'altro è nelle parole di Beatrice agli angeli, a proposito della vita condotta da Dante :

Tanto giù cadde, che tutti argomenti
alla salute sua eran già corti,

fuorchè mostrargli le perdute genti.

Fer questo visitai l'uscio de' morti (Purg., XXX, 136-139).

I morti in questi due casi sono, come non è mai stato messo in dubbio da nessuno e come non può mettersi in dubbio, i dannati.

Il dissenso maggiore cade sui versi 117 del canto primo dell'Inferno e 46 del canto terzo. L'uno fa parte della descrizione che Virgilio dà all' Alighieri dei tre regni oltremondani:

E trarrotti di qui per loco eterno,
ove udirai le disperate strida,
vedrai gli antichi spiriti dolenti,
che la seconda morte ciascun grida:
E poi vedrai color che son contenti
nel fuoco, perchè speran di venire,
quando che sia, alle beate genti:
Alle qua' poi, ecc.

(Inf., I, 114-121);

ta

a

l'altro è nella spiegazione de' tormenti, che soffrono gli spiriti nel vesti bolo dell' Inferno:

Questi non hanno speranza di morte,

e la lor cieca vita è tanto bassa,

che invidiosi son d'ogni altra sorte (Inf., III, 46-48).

Sul primo tanto si è scritto, specialmente in questi ultimi tempi, che per la bibliografia occorrerebbe forse un volume. Le opinioni però su per giù si possono riassumere in queste: I. Dante con la seconda morte esprime l'annichilamento, che desiderano i dannati: ciascuno, cioè, desidera, chiede con grida di morire una seconda volta, cioè di rientrare nel nulla (1). Quest' opinione è di presso che tutti gli antichi commentatori; per i quali dunque il gridare esprime un desiderio. II. Gridare la seconda morte significa invocare il finale giudizio, o per invidia, secondo il Buti, o perchè la tema si volge in desio, secondo il Beccaria; ed anche per costoro, in conclusione, la morte seconda costituisce un desiderio. III. La seconda morte è il patimento dell' eterno dolore, e gridare significa piangere (Tommasèo), oppure imprecare (Poletto). IV. Anche la morte seconda è da intendersi nel senso della prima: sono i soli antichi spiriti del Limbo che la invocano, perchè essi vorrebbero rinascere per poi morire in grazia, come ebbe in sorte Traiano (Della Giovanna). V. La seconda morte è l'estrema condanna, come vogliono il Buti e il Beccaria, ma il gridare significa piangere, lamentarsi, perchè i dannati pensano che dopo il giudizio universale per l'unione dell' anima col corpo cresceranno i tormenti (Macrì-Leone).

L'ordine, con cui ho esposte queste opinioni, mostra anche in qual modo esse furono successivamente confutate. Si cominciò a dubitare della prima, perchè si disse che i dannati non possono richiedere con grida ciò che certamente sanno di non poter ottenere. Della seconda, che ha contro di sè, ma fino ad un certo segno (2), le parole di Virgilio:

. Ritorna a tua scienza,

che vuol quanto la cosa è più perfetta,

più senta il bene e così la doglienza (Inf., VI, 106-108);

(1) Vedi: Soartazzini, La div. Comm. di Dante Alighieri, vol. I, Inferno. (Leipzig, 1874)

pag. 9.

(2) Dico fino ad un certo segno, perchè nè il Buti nè il Beccaria escludono che le anime possano prevedere un avvenire peggiore.

ed in suo favore, subito, la terzina seguente:

Tutto che questa gente maledetta

in vera perfezion giammai non vada,

di là più che di qua essere aspetta (Inf., VI, 109-111);

si disse che possono invocare il giudizio finale tutti gli altri spiriti dell' Inferno, sperando essi pur qualcosa, ma non gli antichi spiriti dotenti (intesi per quelli del Limbo), i quali vivono in desiderio di vedere Iddio, ma senza speranza; poichè anzi : « sol per pena han la speranza cionca ». Contro la terza opinione si notò che il verbo gridare, non può significare, come vuole il Tommasèo, piangere o lamentarsi; nè piacque, a quel che sembra, il significato d'imprecare, proposto dal Poletto. La quarta del Della Giovanna è parsa a tutti ingegnosa, ma pochi convinse, perchè il ricordo della seconda morte non trovasi in Dante soltanto, ma nel libro dell' Apocalisse, presso i Santi Padri e presso altri scrittori anteriori e contemporanei a Dante, sempre con significato spirituale. Per la quinta, che è una modificazione della seconda, non so se siano state fatte obiezioni (1). Il Macrì-Leone supera la difficoltà, che incontra l'opinione del Buti, dimostrando giusta l'interpretazione di gridare per lamentarsi; in tal modo il giudizio universale non è aspettato, ma temuto.

Come è facile scorgere, il Macrì-Leone va subito contro i versi 109-111 del canto VI dell' Inferno, sopra ricordati; e poi, secondo me, non sfugge all'obiezione, alla quale vorrebbe sfuggire; perchè è impossibile infatti che i dannati, in mezzo ai più atroci tormenti, si lamentino soltanto d'un tormento futuro. Dante in tutto l'Inferno ci dimostra il contrario.

L'obiezione, che fu mossa all' opinione de' vecchi commentatori, non è giusta; poichè ben si sa che l'uomo nel dolore desidera sovente l'impossibile. Le anime del Limbo, giova ripeterlo, senza speme vivono in desìo: e il desiderio senza speranza, che costituisce per loro la sola pena, può essere anche un aggravamento di pena per tutti gli altri dannati. È piuttosto l'espressione di seconda morte, comune, come dissi, ai Padri della Chiesa, già

(1) Una confutazione del Macrì-Leone è stata fatta, ma non pubblicata, dal mio amico prof. Amerigo Finzi; il quale non crede che possano temere il giudizio finale gli spiriti del Limbo, perchè la loro pena del vivere in desìo senza speme non può crescere, quando l'anima si ricongiunga col corpo.

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usata nell' Apocalisse, e che si rinviene nel Cantico al Sole di S. Francesco e nella Epistola ai Fiorentini (Ep., VI, 2) pur, come credesi, di Dante, che si oppone all' interpretazione degli antichi. Infatti essa significa ben altro che l' annichilamento dello spirito.

Abuserò della pazienza de' lettori col riferire tutti i passi a me noti, ne' quali questa seconda morte è ricordata: passi che già trovai citati in parte nell' egregio commento dello Scartazzini, nel commento del Tommasèo, nell' ottimo Dizionario dantesco del Poletto e in un articolo del prof. Vincenzo Pasquini (1).

Nell' Apocalisse è detto (2): 1.° « Sii fedele infino alla morte. ed io ti darò la corona della vita.... chi vince non sarà punto offeso dalla morte seconda» (Cap. II, vv. 10 e 11); 2.° « Beato e santo è colui che ha parte nella prima risurrezione: sopra costoro non ha podestà la morte seconda >> (cap. XX, v. 6); 3.° « E la Morte e l'Inferno furono gittati nello stagno del fuoco. Questa è la seconda morte » (cap. XX, v. 14); 4.° « Ma quanto è a' timidi ed agl' increduli ed a' peccatori ed agli abominevoli ed a' micidiali ed a' fornicatori ed a' maliziosi ed agl'idolatri ed a tutti i mendaci, la parte loro sarà nello stagno ardenté di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte » (cap. XXI, v. 8).

S. Agostino (De Civ. Dei, XII, 2) dice: « Mors est cum anima a Deo deserta, deserit corpus. Ita enim nec ex Deo vivit ipsa, nec corpus ex ipsa. Huiusmodi autem totius hominis mortem illa sequitur, quam secundam mortem divinorum eloquiorum appellat auctoritas ».

S. Paolino (citato dal Tommasèo) in un punto chiama morte seconda la vita penale (Epist. XXVI), e in un altro, dopo aver detto che la morte prima è la dissoluzione della natura animale, dice che la seconda è il patimento del dolore eterno (Ep., II).

« Beati quelli ke

S. Francesco nel cantico al Sole esclama: «< se trovarà ne le tue santissime voluntati ka la morte secunda nol farrà male ».

Le parole dell' Epistola ai Fiorentini sono le seguenti: « Vos autem divina iura et humana transgredientes, quos dira cupiditatis ingluvies paratos in omne nefas illexit, nonne terror secundae mortis exagitat? >>

Per seconda morte dunque e nell' Apocalisse e in S. Agostino

(1) In Alighieri, anno I, p. 113.

(2) Cito dalla traduzione del Diodati, perchè non ho altro testo fra mano.

e in S. Paolino e nel Cantico del Sole e nell' Epistola ai Fiorentini s'intende non un desiderio dei dannati, ma una punizione; e precisamente il patimento dell' eterno dolore, come vuole il Tommasèo, la dannazione stessa, come vuole il Poletto. Non altrimenti intende lo stesso S. Agostino in altri passi delle sue opere e S. Ambrogio nel commento all' Apocalisse. Inoltre il Boccaccio, allorchè fa il catalogo de' poeti, nell' Amorosa Visione, ha la seguente terzina, nella quale se la dannazione non è chiamata morte seconda, è chiamata però gran morte, che è espressione equivalente:

Costui è Dante Alighier fiorentino,

il qual con eccellente stil vi scrisse

il Sommo Ben, le Pene e la Gran Morte.

A proposito del Boccaccio, anzi, è anche da notare che nel Commento al verso 117 del c. I, egli, tra le altre opinioni, non esclude quest'ultima, che dice dei teologi (1).

A questo modo d' intendere la morte seconda si aggiunga ora quanto ho detto a proposito dei due passi del Purgatorio XXIII, 121-123 e XXX, 136-139, riferiti sul principio di questo scritto, e si dica se non sia il caso di dichiararsi a dirittura favorevoli alla terza opinione, che è quella del Tommasèo e del Poletto.

Ma il gridare, si osserva, non ha mai in Dante il senso di piangere. È vero: esso però è stato anche osservato che non ha nella divina Commedia il senso d'invocare, o lo avrebbe soltanto al verso 117 del canto I dell' Inferno, che stiamo esaminando (2). Non si comprende quindi perchè tanta guerra si sia voluta fare a questo povero verbo nel senso proposto dal Tommasèo, per accettarlo poi nel senso d'invocare, dando al verso in questione significati abbastanza strani.

E dico così, perchè, per esempio, l' egregio prof. Della Giovanna, nel presentare l'interpretazione sua, non si nascose che non poteva con essa interamente persuadere chi si fosse interessato della questione. Egli poi fu costretto alla nuova interpretazione,

(1) Il Comento di Govanni Boccacci sopra la Commedia con le annotazioni di M. Salvini per cura di Gaetano Milanesi. Firenze 1863, vol. I, pag. 147.

(2) Si confrontino: Blanc, Vocabolario dantesco, Scartazzini, La div. Comm., Inferno, Lipsia, 1874, p. 9 e Macrì-Leone, art. cit. Si potrebbero peraltro obiettare i vv. 50-51 del c. XIII del Purgatorio, ove gl' invidiosi cantano le litanie dei santi. A me pare che tra' due casi sia una differenza palese.

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