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Πλέει του Χάρου τὸ πανί, πλέει τσῇ μαύραις μοίραις,
Ἐκεῖ ποῦ εἶναι ψυχαίς πολλαίς, γέροσι, καὶ κορασίδαις.
Μαῦρο εἶν ̓ τὸ καράβι του καὶ μαῦρα τὰ πανιά του,
(μαῦρο εἶν' τὸ σκαφίδι του καὶ μαῦρα τὰ κουπιά του)
τρέχουν γυναίκες καὶ παιδιά, ἄντρες καὶ καλογέροι, 1
τρέχουν εἰς τὸ καΐκι του, τσοι ἁρπάχνει ἀπὸ τὸ χέρι.
Κρύα εἶν' τὰ κρειάτα του, ἄσπρα εἶν ̓ τὰ μαλλιά του,
δραπάνι έχει στο χέρι, του πέφτουν τὰ κόκκαλά του.
Κῇ ἐκεῖ ποῦ πέφτουν πιάνουσε καίοντας σα φωτία,

σὰ νὰ ἤτουνα ἐκεῖ κοντὰ μεγάλη φουγγαρία.

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“ Τρέχα Βρέ Χάρε, πέρνασ ̓ τοὺς, κ' εἶν ̓ ἄλλοι ποῦ προσμένουν. η

̓Αρπάχνει ἐκεῖνο τὸ κουπὶ καὶ τοὺς κουττάει καὶ φεύγει.

Καὶ πάλι ἐματαγύρισε και πάλι ἐματαπῆρε

άντρες, γυναῖκες καὶ παιδιά, γέρους, παιδιὰ καὶ χήραις,

Bernhard Schmidt, Griechische Märchen, Sagen, und Volkslieder, Leipzig, 1877; Volkslieder, n. 37. (Myrologie); Lieder von Charos, und Unterwelt (Ni. 18-39).

Traduzione italiana.

Naviga la barca (letteralm. la vela) di Caronte, naviga verso i neri destini (cioè il luogo del fosco destino, del lutto, l'inferno),

dove sono molte anime di vecchi e di giovani;

nera è la barca di lui e nere (ne sono) le vele;

(nera n'è la chiglia e neri ne sono i remi);

corrono le donne, ed i fanciulli, gli uomini fatti ed i monaci

corrono alla sua barca ; (esso) li ghermisce per la mano ;

fredde sono le carni di lui, canuti i capelli suoi; tiene in mano una falce; scricchiolano l'ossa di lui,

e dove scricchiolano, ivi divampano sfolgoranti,

1 Etimologia: παλός, γέρων, francese: caloyer; cfr. la medesima metafora in presbyter dalla voce greca: πρεσβύτερος, donde la voce italiana prete, la francese prêtre, l'antica francese prèstre, e la napoletana: privete, affine ad un prebiter, alteraz. della predetta voce latina. La voce καλογέροι è una forma intensiva simile a πρεσβύτεροι, e il prefisso καλός compie ivi lo stesso ufficio del suffisso tépos dell'altra voce; cfr. in prova il francese beaucoup (bel colpo, cioé gagliardo colpo nel senso avverbiale di gagliardamente, molto).

come se un grave incendio vicino ardesse.

Corri, olà, o Caronte, prendili (nella tua barca), (ché) ancor altri ti attendono.

Quegli afferra il remo, e li scorre con l'occhio e li sfugge,

e vi ritorna di nuovo e di nuovo riprende seco (nella sua barca),

uomini fatti, donne, giovanette, vecchi, garzoncelli e vedove.

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B. S. Novelle, leggende e canti popolari greci, Lipsia, 1877; Canti popolari, Mirologie n. 37; Canti di Caronte e dell' Inferno (Ni. 18-39).

Qui per incidenza mi piace notare che mentre l'insigne ellenista Émile Legrand, professore al Collegio di Francia, nella sua prefazione alla propria Raccolta di canzoni popolari greche, Francesco Sabatini nella sua memoria pregevole: La poesia popolare in Grecia (uscita nell'A. I, fascicoli 5 e 6 della Rivista romana di scienze e lettere) e il prof. Felix Liebrecht nel proprio studio: Neugriechische Volkslieder, pag. 202 del dotto volume: Zur Volkskunde, Heilbronn, 1879, dell'antica barca di Caronte non trovano piú traccia schietta in alcun canto popolare neo-greco, poiché in quello riportato da loro essa è divenuta un palischermo solido e ben equipaggiato che va innanzi a piene vele, a me è invece bastato l'animo di trovarne una genuina traccia nel canto riportato sopra, ignoto ad essi, ed estratto dalla collezione dello Schmidt, e acciocché possano i miei colleghi e lettori ancora essi giudicare, come si usa dire ex informata conscientia, riporto qui appresso questo canto per loro norma:

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στὴ πρύμ ἔχει τοὺς ἄρρωστους, στη πλώρη λαβομένους,
καὶ ἀποκάτω στὰ πανιά τούς θαλασσοπνιμένους.

γυρεύει πόρτο γιὰ νὰ μπῇ λιμάνι γιὰ ν' ἀράξη,

τὸ παλαμάρι τόδεσε εἰς ἀγαθὸ λιμνιώνα.

Εδόθ ̓ ὁ λόγος στὰ χοριὰ καὶ διαλαλιὰ στὸ κόσμο.

แ Χήραις, πωλοῦνται οἱ ἄνδες σας· μαννάδες, τὰ παιδιὰ σας·

καὶ σεῖς καϋμέναις αδελφαῖς, πωλοῦνται οἱ ἀδελφοί σας.
"Εδραμαν μάνναις με φλωριά, καὶ ἀδελφοῖς μὲ δόσι,

κ' ἡ χήραις, ἡ μαυρόχηραις, μὲ τὰ κλειδιὰ στο χέρι,
κὴ ὅσαι; δὲν εἶχαν τίποτε τὰ χέρια σταυρωμένα.

κὴ ὁ Χάρος ἐμετάνοιωσε τὰ παλαμάρια κόβει.
Περνοῦν ἡ μάνναις τὰ Βουνά, κ' ἡ ἀδελφαῖς τὰ πλάγια,
κ ̓ ἡ χήραις, ἡ μαυρόχηραις, τὰ ἔρημα λαγκάδια.

Versione Italiana

La nave di Caronte.

Una nave carica di giovani ha spiegato le vele:

alla poppa stanno i malati, alla prora i feriti,

e sotto le vele quelle che annegarono nel mare;

essa cerca un porto per entrarvi, un seno, dove getti l'àncora,

alfine in un buon porto attacca essa la sua gomena.

E il rumore si diffonde nei villaggi, ed è questo annunziato dalla gente:


"O vedove, si vendono i vostri mariti; o madri, si vendono i vostri figli;

e voi, o povere sorelle, si vendono i vostri fratelli.

Le madri accorrono con fiorini, le sorelle con doni,

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Che se questa canzone, dice il Legrand, si raccomanda specialmente a coloro che si occupano degli studi di mitologia comparata, molto piú, aggiugnerò io, a queste persone si raccomanda il canto precedente, perché piú fedele reminiscenza del classico mito della barca di Ca

ronte.

e le vedove, le vedove desolate con le chiavi alla mano,

e quelle che non avevano niente, vennero con le mani giunte.

E Caronte tosto se ne riparte, e tronca le gomene.

Le madri rivalicano i monti, le sorelle i versanti dei colli,

e le vedove, le vedove desolate le solinghe valli.

Émile Legrand, Recueil de chansons populaires grecques, Paris, 1874, n.o 125, pagg. 254-55.

Una semplice occhiata, per quanto rapida, su questa canzone popolare neo-greca subito mostra non solamente la differenza profonda fra la barca di Caronte secondo il mito classico, e questa pomposa nave, ma il luogo diverso, dove si compie il viaggio, cioè l'altro mondo nel mito classico e invece questo mondo nella tradizione popolare neo-greca, il carattere piú profano e lo scopo diverso del viaggio in questa: onde non so qual servigio possa rendere agli studiosi di mitologia comparata, benché la frase del Legrand allusiva a tale supposto servigio fosse ripetuta dal Liebrecht nel passo citato sopra.

Ritornando al precedente canto popolare neo-greco giova notare l'enumerazione di tutti coloro che prima corrono alla nave di Caronte per entrarvi e poi vi sono accolti :

Τρέχουν γυναίκες καὶ παιδιά, ἄντρες και καλογέροι,
Τρέχουν εἰς τὸ καΐκι του . . .

(Χάρος) πάλι έματαπῆρε

"Αντρες, γυναίκες καὶ παιδιά, γέρους, παιδιὰ καὶ χήραις.

Quest' enumerazione ricorda la virgiliana:

Huc omnis turba ad ripas effusa ruebat,

matres, atque viri, defunctaque corpora vita

magnanimûm heroum, pueri innuptaeque puellae,

impositique rogis juvenes ante ora parentum.

Questa è reminiscenza manifesta dell'omerica nel c. XI dell'Odissea, versi 36-41; però qui le anime escono dall'Erebo ed accerchiano Ulisse intento a compiere i funebri sacrifizi per propiziarsi Plutone; ecco il rispettivo brano greco:

αἱ δ' ἀγέροντο

ψυχαὶ ὑπὲς ἐρέβευς νεκύων κατατεθνηώτων.
[νύμφαι τ' ί θεοί τε πολύτλητοί τε γέροντες
παρθενικαί τ' ἀταλαὶ νεοπενθέα θυμὸν ἔκουσαι,
πολλοὶ δ ̓ οὐτάμενοι χαλκήρεσιν ἐγχείησιν,
ἄνδρες ἀφηίφατοι βεβροτωμένα τεύχε' ἔκοντες,
Οἱ πολλοὶ περὶ βάθρον ἐφοίτων ἄλλοθεν ἄλλος
δεσπεσίῃ ἰαχῇ. .

Traduzione italiana d'Ippolito Pindemonte, versi 47-56:

Ed ecco sorger della gente morta
dal piú cupo dell' Erebo e assembrarsi
le pallid' ombre: giovanette spose,
garzoni ignari delle nozze, vecchi
da nemica fortuna assai versati,

e verginelle tenere che impressi
portano i cuori di recente lutto;
e molti dall'acute aste guerrieri

nel campo un dí feriti, a cui rosseggia

sul petto ancor l'insanguinato usbergo.

Dante si ricordò del passo di Virgilio, quando nel canto IV della divina Commedia, v. 25-30 scrisse:

Quivi, secondo che per ascoltare,

non avea pianto, ma che di sospiri,
che l'aura eterna facevan tremare,

e ciò avvenia di duol senza martiri,
ch' avean le turbe ch' eran molte e grandi
e d'infanti e di femmine e di viri.

I versi virgiliani cosí pateticamente belli:

Stabant orantes primi transmittere cursum,
tendebantque manus ripae ulterioris amore,

sono resi due volte dal divino poeta: prima nella domanda che rivolge al suo maestro: ... Qual costume

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1

Questa idea è resa pure nella mirologiå neo-greca riportata da noi, anche due volte, prima quando si dice che "le donne, e i fanciulli e gli uomini fatti e i nonaci corrono, corrono alla nave di Caronte " per potervi salire, e piú appresso dove a Caronte sono rivolte le parole: Corri, Caronte, olà! prendi questi (nella tua barca), ché altri ancora laggiú ti attendono (ansiosi).",

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Traccia d'una simile ansia ma inversa occorre in un altro canto popolare neo-greco riportato nella sua collezione da N. Tommasèo, dove sono descritti tre forti che vogliono fuggire dall'abisso; prenderne le chiavi, e le contracchiavi di Caronte (che qui sostituisce in qualche modo Cerbero) e

Μια κόρη τοὺς παρακαλεῖ μὲ σαυρωμέννα χέρια
Πάρτε μ', ἀντρεωμένοι, εἰς τὸν ἀπάνου κόσμο.

Una giovinetta li prega con le mani in croce:
Prendetemi, o forti, e portatemi nel mondo di su.

Le contracchiavi di Caronte rammentano in modo singolare l'irremeabilis unda di Virgilio, il limen irremeabile 3 (meno bello) di Stazio, il portas aeneas e il vectes ferreos delle sacre Carte; richiamano pure al Lasciate ogni speranza o voi ch' entrate v. 9 del III dell' Inferno impresso sulla porta di esso inferno; cfr. nel I del Purgatorio, verso la fine, pure:

Venimmo poi in sul lito diserto

che mai non vide navigar sue acque
uom che di ritornar sia fatto esperto.

Ecco perché sul principio del canto V dell' Inferno, Minosse dice a Dante:

Guarda com'entri e di cui tu ti fide:

non t'inganni l'ampiezza dell' entrare.

imitazione del passo virgiliano del canto VI dell'Eneide, ove la Sibilla dice ad Enea (v. 125-29): "Sate sanguine divûm,

tros Anchisiade, facilis descensus Averno:

1 Nota il felice uso del raddoppiamento del verbo, fatto per significare la viva brama di costoro: nota pure il senso del verbo usato in proposito.

2 Rammenta pur Palinuro, ma il Tommasèo trova superiore il tratto greco a' virgiliani per patetica bellezza.

3 T. Mamiani, in un inno sacro, dice pure: I liti irremeabíli del polo.

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Nei canti letterari e popolari neo-greci secondo É. Legrand questa idea è molto frequente; cosí in un poema della sua collezione neo-ellenica del XVI secolo dal titolo: Añóxonos v. 19 si legge :

Οποῦ στὸν ᾅδη καταιβῇ 2 οὐ δύναται διαγύρειν.

(Nell'inferno profondo, da cui non si può uscire).

In un poema inedito in versi di quindici sillabe, racchiuso in un ms. greco n.o 390 della Biblioteca Nazionale di Parigi, dopo una descrizione delle pene dell'inferno, figura questo verso doppiamente notevole per la sua bellezza ed efficacia:

Ἐκεῖ βληθῆναι γὰρ ἐστίν, οὐκ ἐστίν ἐκβληθῆναι.

Dov'è senza dubbio possibile cadere, ma donde non è possibile piú fuggir fuori.

Finalmente in una canzone popolare della raccolta del Passow gli abitatori delle buie regioni dicono ad un nuovo arrivato ch'egli è giunto è tónov ayuрto, in un luogo cioè, donde piú non

si esce.

Tornando ora al proposito nostro, un tratto comune v'è nel passo citato dell' Eneide e nell'altro della mirologia neo-greca, cioè le vele, di cui è fornita la barca di Caronte in ambi i luoghi; laddove di vele non si parla punto nell' Inferno dantesco 3.

Il virgiliano: terribili squalore e lo stant lumina flamma (donde il dantesco: Caron dimonio con gli occhi di bragia,1 e poi: Intorno agli occhi avea di flamme ruote) 5 diventa nella mirologia neo-greca:

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1 Da comparare col uzupas poipais della mirologia neo-greca (neri destini, il nero luogo fatale).

2 Nel Fedone di Platone quelli che per la gravezza delle scelleraggini loro appariscono insanabili, cioè coloro che hanno commesso molti e gravi sacrilegi o altre grosse ribalderie, una sorte loro convenevole tutti sommerge nel Tartaro, onde mai piú non potranno uscire. Questa sommersione, che occorre ivi, riappare nella leggenduola popolare livornese riportata piú appresso, dove Caronte giunto alla metà del fiume Acheronte con la sua barca, dà una remata alle anime, le butta nell'acqua, le fa tutte affogare e precipitare in fondo all'inferno.

3 Anzi dell'angelo che trasporta le anime dalla foce del Tevere al purgatorio, c. II del Purg., dice il poeta:

Remo non vuol né altro velo

che l'ali sue fra liti sí lontani.

▲ Imitato dall'Ariosto cosí: “Con gli occhi biechu e più che bragia rossi,„ ma riferito a due cani mordenti che vengono a contesa fra loro (Furioso, c. II; ott. 5a, v. 4).

5 Imitato da V. Monti cosí: "Rote di fiamme gli occhi rilucenti,, a proposito del cherubino minaccioso e fiero che sta sulla cupola di san Pietro a guardia del Vaticano (Basvilliana c. I, v. 67). Nell' Apocalisse (I, 14) del simbolo di Gesù è detto che aveva "Gli occhi come fuoco fiammanti

6 Il vecchio bianco per antico pelo di Dante.

7 Nota la contradizione stridente con la frase anteriore: Κρύα εἶν' τὰ κρειάτα του (fredde sono le sue carni).

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