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Esagerazione assurda molto più di quella occorrente nel protagonista di una novellina popolare polacca, il quale esercitava tale jettatura con gli occhi formidabili, che, dove li rivolgeva, ivi faceva sempre divampare un esteso gravissimo incendio.

La ferruginea cymba1 di Virgilio (l'affumicato legno di A. Caro) è stemperato nei versi della mirologia neo-greca, in cui dopo il paúpats poipas (neri destini) abbiamo:

Μαῦρο εἶν ̓ τὸ καράβι του, καὶ μαύρα τὰ πανιά του,
(μαύρο εἶν' τὸ σκαφίδι του, καὶ μαῦρα τὰ κουπιά του

Nera è la barca di lui, e nere (ne sono) le vele,
(nera è la chiglia di essa, e neri (ne sono) i remi,

2

L'atto di Caronte di ghermire con la mano quelli che fa salire nella sua barca, secondo la mirologia neo-greca, fa sovvenire il suo costume di afferrare le varie persone uccise, quando come Nume della Morte (perciò anche nel nostro canto è rappresentato con la falce strumento di distruzione in mano, laddove sempre invece l'impugna la Morte) scorre il mondo a far preda d'uomini; difatto secondo il n.o 400 della raccolta pel Passow, Тprɔúdia popaná. Popularia carmina Graeciae recentioris, Metz, 1865 Caronte trascina i vecchi per le mani, i giovani per i capelli, pone i fanciulletti sopra la sella del suo destriero (Passow, n.o 409); talora conduce le vittime sopra le spalle (Passow, n.o 413). Egli talora cigne una spada d'oro al fianco (collez. Legrand n.o 88), talvolta va invece armato d'una clava d'oro (Sakellarios, Kʊяpiaxá n.o 17), talora brandisce invece strali che scaglia contro quelli che vuol fare sua preda (Passow, n.o 417); egli è dipinto sovente in arcione d'un nero corsiero che ferra da se stesso (Id. ibid. e Sakellarios, Kuпplaná, n.o 17); esso percorre il mondo sempre intento alla sua tremenda opera di universale distruzione a lui imposta (Passow, n.o 428) quando traversa le montagne traendo seco i defunti, la terra si copre d'un velo di tristezza (Passow, n.o 409). Gli occhi sfolgoranti di Caronte che nella mirologia predetta, come si è visto già, tralignarono poi nelle ossa che scricchiolando divampano, hanno invece il riscontro loro in altri canti popolari greci, ne' quali Caronte ha un viso risplendente come la fiamma (Passow, n.o 428), i capelli sfolgoranti come i raggi del sole, (ecco perché i tre capelli del sole delle novelline popolari slave diventano i tre capelli del diavolo nella tradizione popolare tedesca); e gli occhi poi che lanciano lampi (Passow n. 430 e 428). Il lordo ammanto di Caronte con un nodo fermato al collo, secondo Virgilio, diventa nella tradizione neo-greca un abito nero (Sakellarios, Kuпptaxá n.o 17), talvolta invece indossa un abito dalle gradazioni luccicanti (Passow, 430). Che se però Dante nulla ci dice del colore della barca di Caronte, tocca però molto bene “della riva malvagia Ch'attende ciascun uomo che Dio non teme, della livida palude, dell' “onda bruna „,, perché si accolgono su quella i malvagi e perché Acheronte è il fiume della non gioia (letteralm.) cioè del dolore inseparabile dalla colpa, e conduce alla città dolente, al luogo dell'eterno dolore, natural effetto e legittima pena della causa, la colpa, e siccome il fango è immagine della bruttura morale mercé quella fisica 3 cosí livida palude ricorda insieme e il limus niger e il turbidus coeno di Virgilio, e farebbe pieno

3

1 Che Ciampolo rende in volgare: Con una nave molto antica e nera; cfr. Plauto Miles Gloriosus, IV, 4, 3: Palliolum ferrugineum, nam is color thalassicus. Nel v. 410 Virgilio l'appella: Caeruleam puppim, perché il colore ferrigno (della ruggine) ed il ceruleo sono affini oltremodo fra loro, cioé sono di tinta fosca: Claudiano, De Raptu Proserpinae, II, 275 dice: Ferrugineus Plutonis amictus; Stazio, Tebaide, II, 13: Ferrugineum nemus Inferorum, e I, ibid. 600: Ferruginea frons strigis.

2 Dotato d'una forza soprannaturale dalle ferite aperte nelle sue vittime fa zampillare e scorrere fiumi di sangue (Sakellarios, Kʊñptæxá, n.o 17 e Passow, n.o 430). La sua vegeta vecchiezza vien espressa dal nostro poeta con la frase: Vecchio bianco per antico pelo e la sua vigoria singolare dal verso: Batte col remo qualunque s'adagia.

3 Ricorda nel c. VI dell' Inferno il fango, in cui al paro d'immondi animali stanno immersi i golosi, simbolica immagine la pena, come sovente succede in Dante della sozzura della colpa; ricorda pure il nome di Ciacco (porco) del fiorentino goloso che nel c. VI dell' Inferno parla con Dante, nome ricevuto da lui, com' egli stesso dice Per la dannosa colpa della gola. Cfr. nella

riscontro alla malvagia riva, dove col Bopp l'aggettivo latino malus (malvagio) si deducesse dal nome sanscr, malà fango, per l'ovvio passsaggio dal brutto fisico al morale; l'onda bruna fa riscontro alla ferruginea cymba virgiliana e alla nera barca della mirologia neo-greca, e qui cade in acconcio notare che il nero, simbolo del lutto dev'essere il colore del fiume che scorge al luogo dell'eterno lutto (ricorda le paɔ̃pat poípat della mirologia neo-greca) e significando pure la negazione d'ogni colore e, indi ancora della luce, perciò Dante appella neri cherubini1 i diavoli perchè spiriti delle tenebre, dell'inferno, ma per l'affinità fra nero e tristo (cfr. il comune tema di malus lat. tristo e di pia nero gr.) e l'espressione virgiliana: limus niger, che riconnette l'idea del nero al fango, alla palude limacciosa) Dante stesso con l'espressione: Anime nere? vuole significare anime malvagie. E qui ne sovviene il doppio senso di cui è suscettivo il vocabolo: sciagurato d'infelice e tristo, come pure il vocabolo gramo salvo che mentre solo in italiano significa infelice, (cfr. il dantesco verso allusivo alla simbolica lupa :

E molte genti fe' già viver grame 3)

nel dialetto piemontese vale pure: tristo, briccone; laonde d'un furfante in Piemonte si usa dire: Pel grama, pelle trista, cioè pelle di tristo, e, parlandogli, rivolgergli l'espressione: T" ses gram, sei tristo. Ed il Tommasèo giudiziosamente ne avverte in una nota ad un canto popolare funebre neo greco che in Corsica tinta vale la desolata, appunto dal bruno, simbolo del dolore; difatto il canto popolare neo-greco dice con l'usato suo affetto:

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Però nel testo letteralmente si dice: tingere bruno piú poetico, perché dice l'atto del tingere e del portare; in Sicilia poi tinto e anche tingiu to vale malvagio come il nero dantesco. Il virgiliano: Nunc hos, nunc accipit illos, è reso nella mirologia neo-greca dal tratto :

̓Αρπάχνει ἐκεῖνο τὸ κουπὶ καὶ τοὺς κουττάει, καὶ φεύγει.

Καὶ πάλι ἐματαγύρεσε, καὶ πάλι ἐματαπῆρε

άντρες, γυναῖκες, καὶ παιδιά, γέρους, παιδιὰ καὶ κήραις.

Quegli afferra il remo, e li scorre con l'occhio e li sfugge;

e vi ritorna di nuovo e nuovamente riprende seco (nella sua barca)
uomini fatti, donne, giovanette, vecchi, garzoncelli e vedove.

...

Basvilliana del Monti c. II il v. 22: La colma di vizi atra sentina (cioè cloaca), cosí detta Parigi per la sua corruzione; vedi ancora nello stesso poema c. IV Parigi, l'antica Lutetia con perifrasi simbolica etimologicamente avvilitiva detta al v. 3o: Città della sozzura. Cfr. pure lo sterco, nel quale stanno immersi gli adulatori dell'Inferno dantesco, sterco la cui suprema schifezza fisica indica simbolicamente la suprema schifezza morale dell'adulazione per il poeta della rettitudine, quindi l'altra dell' ignominia, onde Dante nel c. XVI del Purgatorio ce lo mostra per bocca di Marco Lombardo, versi 127-29.

Di' oggimai che la chiesa di Roma

per confondere in sé duo reggimenti
cade nel fango, e sé macchia e la soma,

e il Petrarca nella canzone II, della p. IV del Canzoniere dice al valentuomo, cui è diretta, parlando appunto pure di Roma, st. II, v. 5-7:

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Il dantesco:

avanti che sian di là discese

anche di qua nuova schiera s'aduna, 1

ricorda le parole dirette a Caronte nella mirologia neo-greca:

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“ Τρέχα βρέ Χάρε, πέρνατε τοὺς, κ' εἶν ̓ ἄλλοι που προσμένουν. η

"Corri olà, Caronte! prendili (nella tua barca) (ché) ancor altri ti attendono. „

Ed ora che ho compiuto alla meglio questo confronto fra i due passi dell'Eneide, della divina Commedia e la mirologia greca (ho tralasciato a disegno di parlare sulla comparazione della caduta delle foglie, perché la copia de' rispettivi riscontri avrebbe reso di soverchio prolisso questo articolo, salvo a trattare l'argomento in altra occasione piú propizia) mi si consenta di aggiugnere alle precedenti alcune altre considerazioni riguardanti Caronte e la sua barca.

In un dialogo di Luciano tra Caronte e Mercurio, quegli è rappresentato in atto di venir sulla terra per vaghezza d'osservare le cose della vita come siano, quel che vi operino gli uomini, o di che privati gemano essi mai, appena scendono giú all'inferno, perché mai Caronte nessuno traghettò che non piangesse. In tale scorsa per il mondo Caronte prega Mercurio, come pratico di tutto, d'accompagnarlo. Caronte dice ivi a Mercurio, che gli è compagno, come colui che scorge la schiera delle anime all'inferno, e con lui naviga e traghetta le anime.

Caronte ricorda ivi a Mercurio che mai non gli ha comandato di votar la stiva della nave, o di star a' remi, e che troppo spesso lo ha visto giacere disteso sul tavolato a russare, pur avendo spalle sí gagliarde, e che, quando si è imbattuto in qualche ombra loquace, per tutto il tragitto non ha mai atteso che a ciarlar con essa insieme, ed egli (Caronte intanto, vecchio com'è) ha fatto andar la bireme solo. Mercurio consente alla brama di Caronte, purché non gli faccia perdere troppo tempo, tantopiú che si distrarrebbe esso pure (Caronte) dalle mortuarie cure di barcaiuolo dell'anime, con danno del regno di Plutone, e, se mai rimanesse lungo tempo senza trasportarvi qualche morto, poi quel pubblicano d'Eaco (uno dei tre giudici dell' inferno con Minosse e Radamanto) andrebbe sulle furie, non lucrando neppure un obolo; ciascuno può di leggieri qui riscontrare l'arguta caricatura che lo scettico e incredulo Samosatense fa di questi mitici personaggi. Piú appresso dice Caronte che quando il vento furioso percuote a traverso la vela, e l'onda tumida s'innalza, Mercurio allora e le anime della sua barca lo esortano ad ammainar la vela, a rallentar alquanto la scotta, a correre insieme col vento, ed egli ordina loro di tacere, ben sapendo appieno quello che si faccia. Da questo ultimo tratto deduciamo che la barca di Caronte anche presso Luciano è provveduta di vela. Vediamo adesso quello che la mitologia classica ne riferisce intorno a Caronte. Esso era una delle divinità infernali, figlio dell'Erebo e della Notte; egli aveva l'ufficio di traghettare al di là dello Stige e dell'Acheronte le ombre de' morti in una barca, stretta, meschina e di color nero (particolare conservato nell'Eneide e nella mirologia neo-greca.) Vecchio ed avaro vi ammetteva soltanto coloro che ave

1 Inf. III, v. 119-20,

2

2 Per questo richiamo a Luciano mi sono valso del pregevole opuscolo di Luigi Comencini: Caronte o gli osservatori, Mercurio e Caronte, dialogo di Luciano tradotto dal detto professore in latino e italiano, Benevento, Francesco De Gennaro, 1882, (Principio del dialogo). Quanto alla parodia di Caronte e della sua barca de' morti divenuta un semplice,burchiello vedi Merlini Cocaii (Theophili Folengi), Opus Macaronicum; principio della Macaronica XXIVa; ivi Fracasso d'un salto passa dall' una all'altra sponda il fiume dell' inferno, Baldo gli grida ad alta voce che strappi la barba del nocchiero a pelo a pelo, che ne spezzi il cranio e tutte l'ossa del corpo; poi l'autore aggiunge:

Sed Charon attonitus factus, saltante giganto.

iam rivat ad portum, cunctasque licentiat umbras.
Quae sfortunatae de navi ad litora saltant,
praecipitasque volant se confessare Minossi:
ut confessatae vadant quo andare bisognat....

Piú appresso l'autore dice ancora:

Qui (Charon) dum burchiellum reficit, pluresque facendas
expedit, indusiatque aliae se reddere ripae....

vano ricevuto sepoltura, e che gli pagavano il passaggio. La somma richiesta non poteva essere minore di un obolo, né maggiore di tre: quindi è che i pagani ponevano nella bocca del morto una moneta d'oro o d'argento per pagare il proprio passaggio. I soli Ermoni pretendevano d'esserne affatto esenti, perché il paese loro confinava coll' inferno. Oltre il tributo solito i Greci rinchiudevano talora ne' sepolcri attestazioni di cittadinanza. Le ombre di quelli già privati degli onori del sepolcro erravano per cento anni sulle rive dello Stige. Niun vivente po. teva entrar nella sua barca onde con molta esattezza da Caronte nel c. III dell'Inferno Dante si

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quando seco non avesse un ramo d'oro consecrato a Proserpina e bisognò che la Sibilla ne desse uno al pio Enea, quando egli volle penetrare nel regno di Plutone. Lungo tempo avanti l'arrivo di Enea, Caronte era stato punito e mandato in esilio in uno dei più oscuri ed orrendi luoghi del Tartaro per aver lasciato passare Ercole, non munito di questo magico ramo. I poeti dipinsero Caronte sotto l'aspetto di un vecchio robusto, con occhi vivaci, con sembiante maestoso, benché severo, con l'impronta della divinità in volto, con folta e canuta barba, con un'oscura veste addosso (come nella tradizione neo-greca) lordo di fango del fiume infernale. La sua barca ha vele color di ferro (cfr. le vele nere della barca di lui nella mirologia neogreca riportata sopra in quest' articolo stesso) ed egli tiene un palo (cfr. En., VI, v. 302) o remo per dirigerla. Non è a stupire che la sua barca2 sia assai leggera, perché ognuno sa che nulla è piú lieve degli spiriti. Secondo alcuni Caronte significa grazioso forse per antifrastica denominazione. Sembra il suo mito d'origine egizia e in questa lingua difatto Caronte varrebbe infernale barcajuolo, perché in essa Char prefisso del predetto nome significa inferno; cfr. per questo: Una cassetta funeraria del Museo egizio di Torino illustrata con una memoria (favoritami in omaggio) dal professore Francesco Rossi (estratta dagli Atti della r. Accademia delle scienze, di Torino vol. IX, adunanza del 7 gennaio 1874), Torino G. B. Paravia, 1874; difatto nella linea 9 dell'iscrizione di tale cassetta funeraria, con la voce egizia atu è ricordata la divina barca, che traversa il cielo, e nella quale accolti vengono i defunti giustificati. 3 L'idea del

....

1 Il cenno di esso, VI, v. 143-44 per bocca della Sibilla ad Enea: Primo avulso non deficit alter Aureus et simili frondescit virga metallo suggerî a Dante il cenno del giunco sulla fine del I del Purgatorio, v. 134-36:

O maraviglia! che qual egli (Virgilio) scelse
l'umile pianta cotal si rinacque

subitamente là, onde la svelse.

2 Quantunque Caronte sia ignoto ad Omero ed a' poeti più antichi, pure nel Fedone Platone parla di certe barchette apparecchiate per passare dall' Acheronte nell' Acherusia palude, specie di luogo destinato alla purgazione delle commesse colpe con pene relative, dopo le quali indi le anime restano assolte, e in proporzione de' meriti ciascuna ottiene il premio delle opere buone; i tristi che non possono espiare le iniquità loro scendono giú nel Tartaro, donde non potranno mai piú miseramente uscire.

3 Ecco il rispettivo tratto della versione italiana fatta nel succitato fascicolo dal prof. Francesco Rossi: "Detto da TOTH, Signore delle divine parole, scriba di verità del Signore dei secoli. Egli dice.... che la sua anima.... sia accolta come prediletta nella divina barca: “L'Acheronte presso gli Egiziani era sostituito dal Bacino d'Occidente, parte dell'acque eterne che, dopo aver formato la volta dei cieli, si rovesciavano verso l'Occidente in ampia cascata e s'inabissavano per mezzo della bocca del Pepa (cioè della gran fenditura, per la quale il sole calava nel mondo della notte dentro le viscere della terra). Su queste scorreva la barca del sole e il suo corteo degli Dei luminosi, detti “Capi del Bacino d'Occidente„ Numi dei morti, che presiedevano a quest' oceano mitico; essa barca era dalle acque trascinata nel profondo della terra. Ogni Egiziano dopo la sua morte, era obbligato di recarsi ad Abido e di trapassare per la detta fenditura, che si apriva all' ovest di questa città, nel Bacino d'Occidente, in cui egli si univa alla scorta del sole notturno, per traversare l'inferno e andare a rinascere all'Oriente il mattino, del giorno seguente. (G. MASPERO, Les contes populaires de l'Egypte ancienne traduits et commentés Paris, Maisonneuve, 1882, Introduction, pag. LXI-II nota 1a, della pag. LXII; Les aventures de Sinouhit [XIIe pag. Dynastie] 124, nota 1.).

mito di Caronte sembra derivare dal costume degli abitanti di Menfi, di seppellire i loro morti al di là del lago d'Acherusa. Molti considerano Caronte come un potente principe che dette leggi all'Egitto, il primo che imponesse un balzello sulle tombe. Orfeo fu il primo a far conoscere in Grecia l'uso già divulgato nell'Egitto di porre una moneta nell'urne funerarie e dalla Grecia passò nell'Italia. L'esenzione in favore di quelli che portassero un ramo d'oro significa per l'appunto il valore incalcolabile di questo metallo e la sua onnipotenza. La moneta posta nella bocca del defunto' indicava che tutti i suoi creditori erano soddisfatti; l'attestazione che il defunto era uomo dabbene, contribuiva a mantenere i buoni costumi nel consorzio civile; ed il pontefice non faceva tale attestazione senza una specie d'esame dopo la morte della persona stessa, e che dava un'idea del giudizio particolare. "

Nella tradizione popolare neo greca,3 siccome nell'antica mitologia, la dimora di Caronte è nell' Inferno; in questi luoghi oscuri egli ha dirizzato la sua tenda, che secondo i canti popolari neo-greci al di fuori è verde, e talora anche rossa, laddove al di dentro è nera (Passow, n.i 432-33): le aste che la sorreggono sono braccia di giovani, le corde treccie d'amorose fanciulle, le sedie, teschi di piccoli bambini (Passow, n. 427-433). Caronte ha il cuore inaccessibile alla pietà, e alle altrui lagrime, e nemmeno vi riesce sua madre, che l'induce a risparmiare qualcuno, a non disgiungere i figli dalle madri, i fratelli dalle sorelle e gli sposi novelli gli uni dalle altre. Ma Caronte risponde che, dove ne troverà tre, ne prenderà due, dove due uno, e dove un solo, toglierà pur quello (Legrand, n.o 88). Caronte, oltre all' antico ufficio di nocchiero infernale, pur esercita quello analogo affidato già dall'antico mito a Mercurio. Come Angelo della Morte Dio lo manda sulla terra per cercar l'anime e condurle all'altro mondo. Ei rapisce la vita al prode soldato, che prega il suo cavallo di scavargli la fossa, di seppellirlo e poi condurre le armi a' suoi cari. Egli uccide il giovine Clefta, cui non pesa la morte, ma l'ambascia di lasciar piccolo il figlio, che non sa difendersi ancora ('Aμápavtos.. Scelta di canzoni popolari greche, Pietroburgo, 1834, vol. II, pag. 20). 5

La nave de' morti occorre anche nella mitologia Scandinava; l'Edda infatti contiene questo

1 Un giovane professore toscano, mio collega mi assicura, che presso gli Ebrei eziandio vi era il costume di collocare una moneta nella bara del morto, acciocché servisse al medesimo per pagare al navalestro della infernale barca il pagamento del passaggio del fiume d'Averno, e che tuttavia presso gli Ebrei piú ligi alle antiche loro superstizioni si conserva il costume di porre a tale uopo un soldo nella bara del morto. Tale consuetudine antica è ricordata pure in una delle Facezie inedite di Ludovico Carbone umanista del '400, esistenti in un codice cartaceo della Comunale di Perugia, e nella leggenda popolare siciliana: Lu malu Gugliermu, per la quale vedi Giuseppe Pitrè, Fiabe, novelle, racconti popolari siciliani, Palermo, Luigi Pedone Lauriel, 1875, t. IV, n.° CCVII, e note rispettive. Nella bara del morto si deponeva talvolta dagli Egizi un esemplare dei capitoli del Libro dei morti e d'altri scritti teologici che servivano al morto, come d'altrettante malie, che gli aprivano il cammino delle infernali regioni, e da lui ne rimovevano i perigli. (G. Maspero, Les contes populaires de l'Egypte ancienne, traduits et commentés, Paris, Maisonneuve, 1882, Introductions, pag. LXV).

2 Per parecchi di questi cenni mitologici cfr.: Benedetto Perotti, Dizionario mitologico di tutti i popoli e sue relazioni con la storia, Torino, Giuseppe Pomba e C. 1837, fascicoli 10, vedi il 3o, pag. 275.

3 Anche nella tradizione popolare di Livorno e di qualche altro paese della Toscana è rimasta una qualche traccia di Caronte e della barca de' morti; cosí a Livorno per intimorire i bambini e indurli a star buoni, mentre assistono allo spettacolo della lanterna magica e passa dinanzi al lume il vetro che rappresenta Caronte, che traghetta sulla propria baica i morti dall'una all'altra sponda dell' Acheronte, qualche vecchia zia o nonna suol dire con grossa voce a' bimbi presenti: "Ora passa la barca di Caronte; ecco Caronte che si avvicina per venire a prendere tutte le anime, che gli dànno un soldo per una per fumare, affinché le porti tutte all'inferno, e quelle buone, quando sono a mezza strada, se ne vanno volando in paradiso, e alle cattive Caronte dà una remata, le butta nell'acqua e le fa tutte affogare; queste cadono giú in fondo all'inferno; dietro poi c'è una barca di vino per far ubbriacare Caronte.„,

4 Come già quelle di Achille portate dai marosi sulla tomba di Ajace, che non l'ebbe vivo, quantunque spettassero a lui; onde Ugo Foscolo nel Carme dei sepolcri, uscì nei v. 215-225.

Per questi cenni allusivi alla tradizione popolare neo-greca ho attinto alla prefazione del prof. É. Legrand alla sua raccolta sopracitata di canzoni popolari neo-greche, e alla pregevole memoria di Francesco Sabatini, ricordata essa pure avanti.

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